Asti Cesare. Cessata la società Tessari e Soci a’Fiorentini di Napoli nel 1840, cominciò un’epoca nuova per quel teatro colla Compagnia Prepiani, Monti ed Alberti. La quarta sera, dopo la pessima riuscita del Domeniconi, si presentò al pubblico Cesare Asti, primo generico, nell’antico dramma : La valle del Torrente. Rappresentava la parte di un vecchio mendico, il quale veniva ingiustamente arrestato in sospetto di ladro. La sua truccatura meravigliosa gli procurò un fragoroso applauso al suo primo apparire. Egli era un bell’ uomo ; la voce aveva naturalmente tremolante, molto adatta alle parti di vecchio, e piacque in quella sera a segno, che molti abbuonati reclamarono lui anzichè il Domeniconi al posto di primo attore. Ci fu persino (e fra questi il Duca di Ventignano, soprintendente de’ reali teatri) chi lo giudicò un nuovo De Marini. Ma il Domeniconi andava di sera in sera acquistando terreno, e di sera in sera l’Asti ne andava perdendo, a cagione più specialmente della sua poca mente e della niuna istruzione. Cesare Asti è passato proverbiale nella storia allegra del nostro teatro di prosa, per gli spropositi. Erano arrivate a un punto le corbellature dei compagni che ogni qualvolta gli si accennava seriamente ad un fatto storico, egli soleva rispondere : « Ah ! non me la dài ad intendere, non mi corbelli più ! »
Egli è quello stesso che a Torino, al Circo Sales, in compagnia Trivelli, sostenendo la
parte di un pescatore nella caduta di Missolungi, dovendo dire :
« nell’imperversare della bufera, mi abbandonai alla discrezione delle
onde, »
disse invece : « nell’imperversare della bufera, mi abbandonai
alla descrizione di Londra…. »
Lo troviamo padre nobile, nel 1842, della drammatica compagnia condotta e diretta da Angelo Lipparini, poi, nel 1844, in quella di Romualdo Mascherpa ; proprietario nel ’54-55 di una Compagnia discreta, della quale era prima attrice la Vedova-Ristori, e caratterista Luigi Bottazzi, artisti di merito non comune ; e finalmente, nel ’57-58, caratterista e promiscuo della Compagnia condotta e diretta da Valentino Bassi.
L’Asti era un attore che voleva ad ogni costo farsi applaudire. Con ripetizione di
parole, occhiate espressive, alti e
bassi immediati di voce, tremarelle e
simili ingredienti, era sicuro di scuotere le moltitudini. Accadde una sera, in un
dramma a forti tinte, che il pubblico di applausi non volle saperne. Aveva l’Asti un bel
far rotare in alto la spada, andando alla quinta e tornando a dietro poi, rosso come un
gallinaccio per l’indignazione con cui proferiva le parole : « sì,
con questa spada, lo giuro ! oh, sì !… lo giuro !… Con questa
spadaaa ! »
Ma il pubblico…. come non ci fosse. L’Asti, giunto al
parossismo, uscì precipitoso di scena, e per vendicarsi dell’ offesa per lui
inqualificabile del pubblico, trafisse con terribile veemenza la tela di una quinta. Un
ahi lungo, doloroso seguì a quel colpo !…
La punta
della spada era andata a trovare le parti posteriori di un armigero che aspettava
tranquillo il momento di entrare in iscena. (Cfr. Costetti, Bozzetti di
teatro).
Nel 1842 eran con lui in Compagnia Lipparini come generici i figliuoli Gustavo e Marina.