(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [A] — article » pp. 216-226
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [A] — article » pp. 216-226

Arrivabene Contessa Adelia, nata il 1818 a Mantova, e morta a Milano di tifo l’8 dicembre del’47, fu, per le parti di seconda donna, artista insuperata. Il Bonazzi (V.) nel suo studio su Gustavo Modena, parlando di quella nuova compagnia che egli pensò di creare, « raccogliendo filodrammatici non viziati da pretensioni (?), attori novelli non guasti da esempi contagiosi, ecc. ecc., » e che presentò poi nel’43 al Teatro Re di Milano, dice dell’Arrivabene (pag. 28, dell’edizione curata dal Morandi) :

E vi apparve l’Adelia Arrivabene, della patrizia famiglia di Mantova, nuova e vezzosa meteora, che dopo un’ora di meraviglia si estinse rapidamente per le scene italiane.

E nella pagina seguente :

Nel secondo anno della sua impresa, all’Adelia già grande nelle parti comiche, specialmente nelle aristocratiche, ma non ricca di mezzi per le parti di forza, aggiunse con provvido consiglio la Sadowski.

E Tommaso Salvini (Ricordi, ecc. ecc. Milano, Dumolard, 1895, pag. 46) :

La Contessa Adelia Arrivabene, giovanissima gentildonna mantovana (che morte immatura tolse troppo presto alla scena, sulla quale lasciò impronta incancellabile dei più eletti e squisiti modi nel porgere).

Era dunque nel’46 la seconda donna di Gustavo Modena, al fianco della Sadowski, di L. Bellotti-Bon e di Iannetti, il famoso dilettante romano ; e, fatto per sua beneficiata il Bicchier d’acqua di Scribe al Teatro Re di Milano, la sera del 3 febbraio ’46, tutti i giornali ebber già grandi parole di lode per questa giovine ben promettente, che aveva rappresentato il personaggio della Duchessa di Malborough, con una dignità vezzosa e piacente, non ancor riscontrata in altre attrici. Il corrispondente triestino del Mondo illustrato scriveva il 23 gennaio 1847 : « si parla più dell’attrice Arrivabene, come speranza delle scene italiane, che di musici e cantanti. »

Quasi tutti i giornali d’Italia piansero la morte immatura di questa singolar tempra d’artista con parole di schietta lode. Trascelgo il breve cenno che ne fece l’artista Bon nel Bazar di Milano :

adelia dei conti arrivabene

La mattina dell’ 8 dicembre mori in Milano Adelia dei Conti Arrivabene di Mantova, giovine donna di bell’ingegno, di educazione fiorita e di generosi sentimenti. Decorava l’arte drammatica già da quattro anni con sicurezza di splendido avvenire. Savia e pia, sentendo di dover lasciare la vita, domandò da sè tutti i soccorsi della religione. Spirò nella pace del Signore, perchè alla classe dei buoni spettava.

A questo faccio seguire parte dell’articolo apparso nell’Italia musicale di Milano (15 dic. 1847), in cui è discorso ampiamente delle doti artistiche, ond’era pregiata la povera donna :

……………………..

Sotto la scorta del Modena, che primo intravide in lei l’anima artistica, erasi collocata in breve nel novero delle principali attrici italiane ; e niuna la superava per naturale eleganza di modi, per amabile disinvoltura, per nobile squisitezza di sentire. Le commedie dell’alta società, le parti che richiedono alterezza di contegno e finezza d’ironia, erano da lei rappresentate con tal verità e con tal brio, che la donna faceva quasi sempre dimenticare in lei l’attrice. Iniziata alla scuola moderna che fugge le convenzioni e cerca l’effetto nel vero, ella sentiva più addentro che non si suole nel riposto concetto dell’arte, e in quelle passioni e in quei caratteri, che più era chiamata ad esprimere, vi rispondeva con rara intelligenza d’artista. Può dirsi anzi che per lei il nostro teatro comico siasi arricchito di un intero genere di componimenti da prima quasi ignorati. Chi l’ha vista nel Bicchier d’acqua e nella Madamigella di Belle Isle, non dimenticherà al certo quel superbo sorriso, quell’altero portamento di capo, quell’eleganza aristocratica che traspariva da ogni suo moto, da ogni più lieve girar d’occhi. Nè mancò in lei l’espressione di affetti più concitati e più caldi ; e recente ancora è tra noi il plauso con che vesti le sembianze della tenera Ermengarda, e narrò gli strazj e le smanie della tradita Usca nella ballata del Dall’Ongaro.

………………………..

Nel Mincio di Mantova, giornale di scienze, lettere ed arti (sabato 1 marzo 1851, anno 1, Numero 1), redattore responsabile Alessandro Arrivabene, cugino dell’Adelia, apparve una poesia inedita di G. Prati (che metto qui per non averla più vista riprodotta), preceduta dal seguente cappello :

Questi versi gentili, e spiranti tutti venustà ed affetto, mi furono cortesemente profferti dal signor Luciano Cerchi : ed io son grato ad esso di questo dono, e a me ne sarà grato il pubblico.

La persona che il poeta cantò mi era unita per sangue, e fu segno di encomio e di biasimo, forse talvolta troppo alto il primo, ma certamente immeritato il secondo. Ora quella poveretta in Dio riposa, e poichè tacciono le umane passioni oltre il sepolcro, io vivo nella dolce lusinga che leggendo taluno queste melanconiche note, si ricorderà con reverente e pietoso animo di un fiore in si verdi giorni succiso !

Perchè Adelia, il tuo cor rompe in sospiri,

e raro il detto su’tuoi labbri suona,

e chiusa in bruno la gentil persona,

soletta e malinconica t’aggiri ?…

E più dei crocchi, ove elegante e bella

seder potresti, e più dell’infinito

strepitar delle turbe, ami il romito

favellìo d’una fronda o d’una stella ?

Perchè talvolta chi ti siede accanto

chinar ti mira tra le palme il viso,

poi sollevarlo con un tal sorriso

che men duro sarebbe un mar di pianto ?…

Ahi ! forse nell’occulta anima porti

qualche piaga insanabile e profonda,

nè per te stilla una balsamic’onda,

che il cupo e lento tuo dolor conforti.

Eppur…. chi lieta non dovria chiamarti ?
La serena speranza al cor ti serra,
e tu di terra trapassando in terra
col plauso arrivi, e insiem con lui ti parti ;
memore sempre d’onde nata sei,
la polve teatral varchi superba,
e t’aman quanti alla fortuna acerba
servono muti, ma non son di lei !
E sin ne’crocchi ove il maligno stile
in argute viltà scoppia sovente,
il tuo bel nome pronunciar si sente
con reverenza e simpatia gentile.
Qual è dunque la croce, onde si mesta
tu se’talvolta, che pietà n’avrebbe
qual più infelice nella polve crebbe
nè da quel loco osa levar la testa ?…
Ah ! tu coll’occhio seguitando vai
la rondinella che rivarca i mari,
e risaluta il ciel nativo, e i cari
lidi materni, amati or più che mai !
Povera Adelia ! E in un pensier ti vola
l’anima lagrimosa ai patrj flutti,
e sempre indarno ! Tu sei cara a tutti,
povera Adelia,… ma sei sempre sola.
Nè cara a tutti veramente sei,
martire egregia in tramutar di stato !
Oh razza d’Eva ! In tuo giudicio ingrato
quanti, perchè son miseri, son rei !
Ma non tremar ! chè la parola infame
sul labbro è a pochi : e questi pochi or sono
di te men degni. Nè dal lor perdono
l’amaro pan tu cerchi….
ma lo cerchi a quell’Arte, in cui s’onora
qual con affetto e con virtù l’abbraccia ;
leva, Adelia gentil, leva la faccia
verso al tuo Cielo ! Tu sei ricca ancora !
E conduci pur sempre il pensier mesto
al buon Parente, alla pia Madre, a quanti
una dolce superbia han de’tuoi vanti….
e poi lascia al tuo Dio cura del resto.
Pregalo sol, che germogliando sotto
le amare spine della vita il vago
fior dell’anima tua, quasi presago
d’un destino miglior, splenda incorrotto !
E insiem lo prega (perchè, Adelia, i buoni
son generosi !) per que’pochi il prega
chè abbian essi quel ben, che a te si niega,
a te cara, che piangi e che perdoni.
Abbiano il ben degli immutati affetti
e non sappiano mai siccome pesa
in cor gentile una inclemente offesa
più rea se vien dai consanguinei tetti !
Cessa, Adelia, dal piangere ! Perenne
ti porgerà la tua virtù conforto.
Pensar tu dèi che di chi fece il torto
è più caro al Signor chi lo sostenne.

La qual poesia fu inviata da Venezia il 26 gennaio del’46 alla madre dell’Adelia, accompagnata dalla seguente lettera :

Signora Marchesa,

Ho voluto io stesso mandarle questi versi che mi uscirono spontanei dal core dopo aver conosciuto e apprezzato il nobile ingegno, e l’animo elevato della Contessina Adelia. Annovero tra i pochi giorni festivi della mia vita questi che passo a Venezia alternati tra le inspirazioni della grande città e il conversar elegante ed arguto di questa decima Musa. Ella invero si rende molto simpatica a chi la conosce perchè sparge abitualmente di un velo di melanconia i suoi discorsi, e perchè rapisce all’arte quelle egregie e fidate consolazioni che forse non le saprebbe dare la vita.

Signora Marchesa, le bacio le mani con animo riverente.

G. de’Prati.

A quelli, dopo due giorni, tennero dietro questi altri versi, tuttavia inediti, e a me comunicati con gentilezza squisita dal fratello di lei Conte Giovanni Arrivabene, al quale debbo anche, in gran parte, la compilazione di queste notizie.

AD ADELIA CONTESSA ARRIVABENE

Ai vani e curiosi occhi mortali
Questa pagina, o Adelia, in cui si versa
Tanta parte di me, chiudi in eterno !
Oh Adelia ! Alfin due simpatie remote
Trovansi un’ora, e forse come due
Pianeti urtati nell’immenso Cielo,
Gemendo si distaccano per sempre !
Odimi dunque : e dalle inesorate
Leggi del tempo mi sia dato un giro
Di pochi istanti, e ch’io li parli teco !
Credi : nè reo nè ingeneroso io sono
Qual ti fui detto dal frequente vulgo,
Misero d’opre e d’animo codardo.
Perciò talor mi fuggirebbe il carme
Dalle sanguigne latèbre del core
Maledicendo. Ma v’han ore al mondo
Piene così d’inusitata gioia,
Che in quell’ore si svia l’amara fonte
Dello sdegno e dell’odio, e per un’alta
Anima sola, che s’incontra in questi
Muti deserti, tollerabil pare
Tanta razza di deboli e di rei !
E ier sentii nella profonda notte
Del mio pensiero un tremito di vita,
Una fiera allegrezza ; e con la muta
Ala del desiderio io ti deposi
Lagrimando sull’omero la fronte
E ti parlai così :
Misterïoso
È veramente de’mortali il Fato.
O Adelia ! appena io ti conobbi, e sento
Che potrei con l’ardente anima amarti !
Odi in silenzio, e oblia ! Sol ti rivenga
Qualche volta al pensier, quando t’ascolti
Suonar per questo italico deserto
Riverito il mio nome o vilipeso,
Ti rivenga al pensier che un’infinita
Riconoscenza a te, pia creatura,
Mi lega d’invincibili catene,
E seguirò coll’anima le tue
Poche gioie, o diletta, e i tuoi dolori
Sin che tra questo di civili belve
Covo io rimanga alla calunnia, e al canto !
Oh Adelia ! io penso di raccormi in qualche
Alpe nativa oscuramente. È troppo
Grave recarsi fra le turbe cieche,
Mobili, ingrate, e qualche volta infami,
Questo cencio di gloria. È un infinito
Patimento celar sotto ridente
Maschera il viso colorato d’ira
O dipinto d’amor, perchè la terra
Sì all’amor che allo sdegno è rinnegata !
Seder vicino a qualche anima cara,
E serrarle la mano, e in quei veloci
Moti del tempo ripigliar la fede
Della vergin natura, e via dal volto
Questa larva strapparsi e dire al mondo
Sei vil, sei vile, sette volte vile…. — 
Oh questa gioia procellosa immensa
Non puoi darla nè torla, avara terra ! — 
Ella è mia questa gioia, e mi lampeggia
Nella fronte e negli occhi, e se la morte
Vi serpesse per entro, io non saprei
Solo un istante rinunciare a questa
Gioia di morte….
Oh Adelia ! è veramente
Misterïoso de’mortali il Fato !
G. Prati.

Temendo la madre che queste tenerezze del Prati potessero distoglier l’Adelia dall’arte, glie ne movea rimprovero ; ma l’Adelia serenamente rispondeva :

State quieta che la passione della drammatica non è punto scemata e che studio e procuro di farmi onore. ’Sta settimana farò i cannoni. La Marion, il Bicchier d’acqua, la Cabala, la Calunnia. Se Prati mi vuol bene non nuoce però punto alla mia carriera, ed anzi mi incoraggia a progredire ognor più.

A questi cannoni si potevano aggiungere la Bohemienne,

e il Visconte di Letorières, in cui ella sosteneva con grande successo la parte del protagonista.

Al caso, triste caso, ella dovè lo sviluppo largo e immediato della sua innata e ignorata attitudine all’arte. La provincia di Mantova fu nel’ 39 desolata da uno straripamento del Po ; e la miseria generata dalla immane catastrofe fu tale e tanta che si studiò di alleviarla in ogni maniera. A iniziativa del Conte Giorgio Roma di Zante, giovane di forte ingegno, che si trovava allora in Mantova, attratto dalle grazie di una delle più avvenenti e colte signore di quella aristocrazia, fu costituita una vera e propria compagnia, la quale doveva dare due o tre rappresentazioni la settimana, al celebre teatro dei Gonzaga, illustrato dagli affreschi del Mantegna. L’Adelia, al fianco di un Puricelli, che sosteneva con singolare maestria le parti di primo attore, tanto da parere artista provetto, vi fece la prima attrice, acclamatissima dalla prima sera. Fu una rivelazione. Rappresentatasi la Maria Padilla del Bugamelli, il grido del nuovo, imprevisto successo non si ristrinse alla città di Mantova : e Gustavo Modena, che dal’39 al’40 era a Milano, attratto da quel grido, e recatosi a Mantova ad assistere a una replica della Padilla, n’ebbe tale impressione che da quella sera determinò di prender con sè la nobile e vezzosa e già valorosa attrice. Nè molte parole ci vollero a farla risolvere di darsi tutta all’arte ; chè alle innate attitudini e alla recente e pur viva e radicata passione s’aggiungeva la speranza di recare alcun sollievo allo stato allor triste della famiglia, la quale dal più alto fastigio di fortuna era caduta in una relativa povertà.

Povera Adelia ! Ella sin allora vezzeggiata, amata da tutti, trovò dal momento di quella sua risoluzione tal voltafaccia che le fu cagione poi di continua e profonda amarezza…. Nè v’è da stupirsene, se si guardi al conto non troppo alto in cui eran tenuti i comici allora, e alla maggiore austerità e, oserei dire, intransigente solitarietà nella quale si teneva allora l’aristocrazia…. Data dunque la enorme disuguaglianza, i parenti ed amici di una Arrivabene non potevan vedere di buon occhio il loro blasone trascinato sulle tavole della scena. E quale blasone ! L’Adelia era figliuola del Conte Francesco Arrivabene, soldato del primo Impero, e della Marchesa Teresa Valenti Gonzaga, e però nipote della Principessa Tour-Taxis, una delle più illustri famiglie mantovane, imparentata colla Casa di Augsburgo.

Non v’era notabilità artistica o letteraria, o politica, la quale, attratta a Mantova da’suoi tesori d’arte, non mettesse piede nella gran Casa ospitale della Marchesa Valenti-Gonzaga, l’amica fidata di Enrico Tazzoli ; quella Casa, che, perseguitata poi fino al’66, aveva cominciato dal’21 a dar contingente allo Spielberg, alla Giudecca, ecc….. In quell’ambiente alto e severo di letteratura, di arte, di amor caldo e profondo della patria, crebbe l’Adelia : e la naturale aristocrazia de’modi, mista a una ineffabile dolcezza dell’animo, e la squisita e compiuta educazione recò sulla scena, dischiudendo all’arte nuove vie : e chiunque anch’oggi la ricordi, suol dire che, non avendo visto l’Adelia Arrivabene nel Bicchier d’acqua, si può ben dire di non aver visto mai la vera Duchessa di Marlborough….

Una delle più accanite avversarie alla nuova professione fu la zia Eleonora, Marchesa Ippoliti di Gazzoldo, madre di Alessandro Arrivabene, uomo di alcuna coltura, e direttore a Mantova di quel Mincio, in cui apparver la prima volta, dopo la morte di Adelia, i versi del Prati accennanti a punto alla sospirosa e lagrimosa vita di lei,

martire egregia in tramutar di stato,

e che sono l’eco fedele, il commento lirico, dirò, delle intime confidenze dell’amica.

Nè il grido trionfale che corse di lei a Cremona, a Milano, a Padova, a Venezia, a Trieste ; nè gli applausi ch’ella strappò dagli stessi avversari, quando nella primavera del’45 fu per un corso di rappresentazioni a Mantova, valsero ad addolcire i loro animi. In vano Ferdinando Negri, noto poeta mantovano, s’era dato nel’44 con questi nobili versi a difender la povera vilipesa :

Lascia — ti disse il Genio — 
le neghittose torme ;
vieni, saliamo al vertice
dove il valor non dorme,
dove la sacra attingere
favilla io ti farò !
Vieni più cara a rendere
al cuor dell’uom virtude ;
vieni a svelar del vizio
le turpi forme ignude :
nell’alta impresa e nobile
compagno io ti sarò.

In vano Giovanni Prati la circuiva con parole di fuoco : ad esse non sapeva rispondere che collo stender della mano, serena, tranquilla, riconoscente, ma fredda. Se grido di passione uscì mai dal suo petto, fu per Seismit-Doda, il giovane dalmata, uscito allora dalla Università, entusiasta, ardente : e fu grido fuggevole. Conforto unico le era l’affetto non mai venuto meno della madre, con cui spesso s’intratteneva per lettere, ch’ella soleva intestare colle soavi parole : « Mamma mia divina. »

Povera Adelia ! Si dovè aspettare che il suo corpo fosse composto sotto terra, perchè al sincero dolore dell’arte si aggiungesse alta, se non sincera, la palinodìa delle rigide concittadine.