Andreini-Ramponi Virginia, milanese, moglie del precedente, celebre attrice col nome di Florinda, nacque, secondo abbiamo dall’ oroscopo, il 1 gennaio del 1583. Ebbe onore di rime da varj letterati, e scrisse anch’ ella qualche poesia, non del tutto sprezzabile, come il presente sonetto a suo marito.
Cigno felice, che spiegando i vanni,varcando vai sovra i cerulei campi,ed in tragico stil disserri i lampide’ gran tesori de’ superni scanni ;vivi pur, vivi, che il volar degli annilieve incarco ti fia, già che tu stampid’ eternitade il calle, ond’ oggi avvampid’ immortal luce in questo mar d’ affanni.E me beata, che dal tuo bel lumequal la terra dal sol, virtute apprendoinvolandomi teco al tempo edace.Che se Florinda tua su ricche piumeinnalzi al Cielo, insieme anch’ io v’ ascendo,cui porge la sua morte aura vivace.
Allude alla tragedia Florinda, scritta per lei da suo marito, e da lei recitata con grandissimo plauso a Milano nel 1606. Morì di circa 45 anni, intorno al 1628. Pare ch’ ella fosse di rara bellezza ; e Alessandro Allori (il Bronzino giovine) le fece in Firenze un tal bellissimo ritratto, che ispirò al Cav. Marino il presente madrigale :
« Bronzin, mentre ritraggiquesto fior di beltà, beltà gentile,che co’ detti, e co’ raggidegli occhi vaghi, e del facondo stilespetra i duri pensier, doma i selvaggi,se non ardi d’ Amore,hai ben di bronzo il core. »
Le gelosie di mestiere erano allora com’ adesso all’ ordine del giorno. L’ Antonazzoni (V.) non poteva, nè voleva più stare in Compagnia con una Valeria (l’ Austoni) nè con una Nespola (la Di Secchi)…. A Mantova il campo era diviso fra la Vincenza (l’ Armani) e la Flaminia (?) : qui abbiamo liti e lotte fra la Florinda, ed altra Flaminia (la Cecchini), come si vede da una lettera che essa Florinda scrisse da Torino al Cardinal Gonzaga il 4 agosto 1609, e che dall’ introduzione di A. Bartoli (pag. cxxxviii) riproduco intera.
Ricordevole degli obblighi ch’ io tengo con V. S. III.ma vengo con questa mia a farle riverenza, cosi fa Gio. Battista suo servo, ambidue con ogni affetto pregandola a tenerne vivi nella memoria sua. Saprà poi V. S. III.ma come io ho gettato a terra ogni trofeo eretto dalla S.ra Flaminia, e tanto se l’ è slungato il naso, quanto lo haveva superbo alzato. Ella è odiata da tutto Torino per la sua alterigia et frenesia nell’ amor di Cintio, invero con grandissimo suo obrobrio. Udrà V. S. sopra di questo cento ottave e quaranta sonetti del Cavalier Marino, l’ udrà sicuro, poi ch’ io faccio mia cura acciò che le capitino alle mani. Mi farà favore di parlar di costei con questo S.re Ambasciatore, che udrà cose scelleratissime. Tutti li compagni sclamano della temerità sua e di Frittellino, et già l’ harieno impiantata s’ io non giungeva a Torino. Io per sopportare questo humoraccio faccio quanto posso, ma credo che non durerò. Per tanto, caro il mio Sig.re, procuri con l’ Altezza Sereniss.ma del suo Signor Padre, ch’ io al partir di Torino (durando questi suoi capricci) ch’ io la possa lasciare, perchè non c’ è ordine ; et per cavarne S. A. il vero, faccia che parli con l’ Ambasciatore ; per vita sua, per l’ amor che mi porta, procuri che non potendo più soffrirla, ch’ io con gli altri compagni possa impiantarla, che vedrà che nessuno starà seco, poi che è da tutti odiata ; in grazia me ne avvisi ch’ io le giuro che se ottengo questo, che allora soffrirò più di core, sapendo ch’ io potrei volendo lasciarla, et ella forse ciò intendendo potria essere più donna da bene. Et per fine, raccomandandole D. Pietro Paulo mio cognato, le bacio la sua generosa mano, non mai stanca di giovare a Florinda ; cosi fa Gio. Batta, servo suo, et da N. S. le auguriamo il colmo dei suoi altissimi pensieri.
Di V. S. III., ecc.
A questa fa riscontro l’ altra del marito in data del 14, nella quale abbiamo ancor più particolareggiate notizie delle condizioni in cui trovavasi la Compagnia della Flaminia, e in cui si trovò poi coll’ arrivo dei Coniugi Andreini. Al Duca di Mantova pare non si potesse, almeno qualche volta, obbiettare, se la povera Virginia fu, dietro comando suo, costretta a raggiungere a Torino la Compagnia dei Cecchini, col pericolo di partorire entrando in lettiga.
Ecco ciò che scriveva Giovan Battista :
Era tutta questa Compagnia in arme, ma molto più s’ offendevano con la lingua arrotata che con il ferro, ond’ io quasi stetti per tornare a dietro. Lodato Dio, accomodai il tutto, ma che ? Feci per l’ appunto come colui che per un poco ripara a una gran corrente d’ acqua, che da un poco rompendo ogni riparo più impetuosa che mai l’ acqua scorre et innonda.
L’ Andreini supplicava il Duca a mettere riparo a tanto sconcio : nè lo supplicava in suo nome soltanto, ma a nome anche di alcuni colleghi, come il Garavini (Rinoceronte), il Ricci (Pantalone), il Soldano (Spaccastrummolo). « L’ A. V. — dice — è il pastore di questa greggia, la custodisca ancora, e le pecore infette le discacci. » E le pecore infette, si capisce, erano più specialmente i Coniugi Cecchini, poi, probabilmente, il codazzo degli ammiratori e corteggiatori e…. qualcosellina più, della Signora Cecchini : questo dev’ essere stato il pernio su cui s’ aggiravan di conseguenza tutte le altre cagioni della reciproca animosità.
Figurarsi ! La Cecchini non guardava in faccia, nè salutava alcuno degli Andreini e andreiniani ; sparlava di loro in casa, e anche in scena : all’ Andreini stesso faceva mossacce recitando. Fritellino, il marito di lei, faceva sempre acquistare alla Compagnia nomi ignominiosi…. Si assaltò perfino di notte da un servo dipendente da Fritellino il figliuolo del Ricci, perchè odiato a morte dalla Cecchini. In cotesto intrico tutti ebber parte, maschi e femmine, e fu per nascere un casa del diavolo. Per tutte queste cose G. B. Andreini supplicava il Duca di potere « al partire di Torino lasciar queste creature tanto odiose, poichè loro ne hanno giuramento — diceva — et io quasi voto, a ciò l’ A. V. non senta un giorno qualche nova che le dispiaccia. » (V. A. D’ Ancona, Nozze Martini-Benzoni).
Ed ora esaminiamo un po’ la cosa, poichè un po’ di bujo è intorno specialmente a Cintio, l’ innamorato della Cecchini, cagione di tanto intrico, di tante invidie, di tanti risentimenti !!! Circa allo « slungare il naso quanto lo haveva superba alzato, » transeat. La Flaminia piacea molto a Torino : vi andò la Florinda, e coll’ arte sua, rinnovando la division de’ partiti che furon già come abbiam detto per altre attrici, seppe gettare a terra ogni trofeo eretto dalla Signora Flaminia : non c’ è che ridire. Ma chi era codesto Cintio, pel quale la Signora Cecchini faceva addirittura frenesìe ? Non il primo Cintio, di cui s’ ignora il nome, e che si fece conoscere a Roma nel 1550 (V. Sand, T. I, pag. 331).
Non Mario Antonio Romagnesi (V.) il figlio di Orazio e dell’ Aurelia (V.), il quale esordì a Parigi nel 1667.
E nemmeno, pare, il famoso, bellissimo Iacopo Antonio Fidenzi (V.).
Il Sand, parlando di Flaminio Scala e de’ Gelosi (tomo I, pag. 304), dice :
« dal 1576 al 1604 i personaggi e attori di questa compagnia rimarchevole
furono, per le parti di amoroso, Flavio (Flaminio Scala), Orazio (Orazio Nobili), Aurelio (Adriano Valerini),
Cintio (Cintio Fidenzi) Fabrizio. »
Lasciamo stare il nome
di Cintio, che è evidentemente una inesattezza del Sand ; a lui certo poteva benissimo
attagliarsi la parte di rubacuori e guastamatrimonj,
a lui potevan benissimo esser volte le Frenesie della signora Cecchini
(il marito non aspettava più i sessant’ anni, e forse per sua temerità
si deve intendere la sua bonomia matrimoniale), se è omai stabilito
dal Cinelli (Biblioteca volante, scansia undecima. Modena, 1695) che
« fu il Fidenzi di bello e gioviale aspetto, di faccia che tondeggiava,
di capello castagno, di bianca carnagione, e maestoso nel
portar la vita. Fu pieno di carni, ed anzi maggior del giusto, ed in somma
appariscente e proporzionato alla parte d’ Innamorato che rappresentava. »
Ma ecco che stando a Francesco Bartoli, egli nacque intorno al 1596, e però non poteva essere cogli Accesi il 1609. Ed è possibile che la storia non ci abbia detto nulla sul conto di un così rimarchevole personaggio ? È possibile, dico, che questo amante della Cecchini, annunciato dalla Andreini col semplice nome di Cintio e però ben noto al Cardinal Gonzaga, e agli altri, sia poi giunto affatto sconosciuto a noi ? L’ unica conclusione, pare a me, è quella di ritenere erronea la data del Bartoli : forse, come accade talvolta, si son posposti i numeri ; e in vece di 1596, s’ ha a leggere 1569. (V. anche il Valeri, Un palcoscenico del seicento. Roma, 1893). All’ odio di mestiere, di cui ci parve di veder l’ origine nelle parole che il Cecchini stesso dettava al proposito del carattere del Capitano, aggiungevasi l’ odio generato per la dignità offesa della donna galante che vedeva il ricco sciame de’ corteggiatori volgersi d’ un tratto a quella nuova fortezza rimasta fin allora inespugnata ? Che la Cecchini fosse una specie di demonio è omai fuor di dubbio : che l’ Andreini le avesse dato nel naso co’ suoi trionfi è molto probabile, tanto più che a questa, sposa onesta e fedelissima a suo marito (« per quanto addetta al servizio del Duca Vincenzo, non faceva parte del suo harem riservato…. » A. Ademollo, La bell’ Adriana. Città di Castello, 1888), eran tributati onori, che avrebber fatto correr l’ acquolina in bocca all’ invidiosa e tumultuosa Cecchini. « Sulle magnifiche feste mantovane del maggio e giugno 1608 — scrive ancora l’ Ademollo (ivi) — indette per celebrare il matrimonio del principe Francesco con Margherita di Savoia, il carico principale per il lato musicale femminino fu sostenuto da Virginia Andreini…. », la quale, accettata la parte di Arianna, quantunque commediante di professione, l’ imparò in sei giorni e la eseguì in modo sorprendente, facendo scrivere al Marino :
Florinda udisti, o Manto,là ne’ teatri de’ tuoi regi tetti,d’Arianna spiegar gli aspri martiri,e trar da mille cor mille sospiri.
Oltre che nell’ Arianna, ella cantò anche nel balletto delle Ingrate,
parole del Rinuccini, e musica del Monteverde : e da Torino, proprio al momento della
lotta accanita, 13 giorni dopo l’invio della lettera al Cardinal Gonzaga, il Cav. D.
Ascanio Sandrio scriveva alla Duchessa di Mantova : « Credo che S.A.
darà una festa a mille fonti alli III.mi Card.li, dove sarà un Balletto di Sirene
che nell’ aqua nuotando danzar ano, et una Piscatoria cantata in musica, dove
Florinda acquista non poca riputatione cantando con bellissima
maniera. »
(Arch. St. Gonzaga. Comun. Davari).
Se poi la Cecchini ebbe onori di rime, come vedremo, anche maggiori n’ebbe l’Andreini. È peccato davvero che non siensi potute rintracciare le cento ottave e i quaranta sonetti del Cav. Marino su quell’ intrico di retroscena, come è peccato che, per quante ricerche fatte, io non abbia potuto trovare il ritratto della Virginia fatto dall’Allori. Intanto, a titolo di curiosità, verrò pubblicando qui alcune delle poesie inedite in lode dei coniugi Andreini, che sono in un Codice Morbio, così descritto dall’egregio Dottore Puliti della Braidense di Milano :
Mss. Morbio I. — Codice cartaceo miscellaneo di 53 carte composto di fogli che prima stavano ciascuno da sè. Formato massimo cm. 30 X 20. La scrittura è di diverse mani, forse tutte del secolo xvii. Intercalata tra le poesie in lode di Florinda, è a carte 18 la minuta di una lettera senza indirizzo nè firma. Sul dorso è : Poesie in lode dei Conjugi Andreini.
In genere le poesie non sono la più bella cosa di questo mondo : meschinissimi poi i sei sonetti probabilmente improvvisati sulle rime dell’ addio detto l’ultima sera dalla Virginia a un banchetto dato agli artisti dopo la recita a Vicenza. Eccone il quarto, il meno peggio, sotto il quale non è nome d’autore.
All’ Ill.reSig.ra VIRGINIA ANDREINI detta
FLORINDA COMICA FEDELE
RISPOSTA
Và felice Florinda, Alto stuporeDe la presente, e della prisca etade,Và gloriosa, è di salir non badeIl tuo gran merto al titolo maggiore.Versa dagl’occhi lagrimoso humoreVicenza tutta al tuo partire, è, radeSono le penne, che di lei pietadeNon mostrino, scrivendo il suo dolore.Ma che ? se da mortal corpo se ’n uolaL’alma à gloria immortale, adonq. fia,Ch’ ad’ huom saggio dolor partendo apporte ?Và pur honor de l’Amorosa scolaChe ciascun t’ oda, è ’l tuo ualor ti siaContr’ à colpi del tempo vsbergo forte.
Quanto alla bellezza dell’Andreini, pare fosse davvero meravigliosa. Oltre al madrigale del Marino pe ’l ritratto dell’ Allori, abbiamo qui vari madrigali di Don Venantio Galvagni, non de’ peggiori, che ce ne dicon qualcosa.
Le chiome, gl’ occhi, e i labri,Son oro, stelle, e rose,Ch’ in uoi (donna gentil) Natura pose.Le mani, il petto, e ’l uisoSon ricchezze amorose ;Ma le parole e ’l risoTesori e gioje son del paradiso.FLORINDA hauete in uoiBellezza et leggiadria,A cui null’ altra par non fu nè fia ;Et nel sen fresche brine,Et nel aurato crineIneuitabil rete,Oue mill’alme, et mille cor togliete ;Ne i cari et dolci sguardiAcutissimi dardi ;Ma uolto nel mirar tanto soave,Che tal nel suo bel regno Amor non haue.Quel sì pregiato FIORE,In qual giardino hai colto,Quando facesti il uoltoDi FLORINDA gentil, o dolce Amore ?Dimmi qual sì bel arco,Anzi amoroso artiglio,Ponesti al nero ciglio,Che prende l’alme e i cori in mezzo al uarco ?Ove prendesti l’oro,Con cui facesti il crine,Inuer opre diuine,Anzi del biondo Apollo il bel tesoro ?Saper anco uorrei,Quai sì lucenti stelleFurasti mai sì belle,Quando facesti gl’ occhi di costei.Le stelle in Cielo io tolsi.Al sol l’oro furai.Del arco io men privai.E ’l uago FIOR nel mio giardino io colsi.
Questi e altri madrigali e tre sonetti furono mandati dal Galvagni Al Virtuoso, et Gentilis.mo Sig.r mio Oss.mo Il Sig.r Gio. Battista Andreini — Mantova, accompagnati da una lettera che stimo inutile riprodur qui. Riproduco invece il seguente sonetto che a me pare il migliore della raccolta :
Sopra la S.ra FLORINDA
Questa del Cielo angelica SirenaChe con soavi innamorati accentiE col chiaror de gl’ occhi suoi lucentiL’ aria amorosamente rasserena.Mentre si mostra in luminosa scenaOh quante auuenta à i cor fiammelle ardenti,E fugati i pensier aspri e pungentiDispensa all’ alme ogn’ hor diletto, e pena.Non così uaga al mattutino alboreNell’ immensa del Ciel stellata moleVedesi lampeggiar la Dea d’Amore.Che questa altera Diua emula al soleVnisce a’ raggi, onde s’infiamma il core,Armonia di dolcissime parole.
V’hanno versi per la Pazzia di Florinda, ve n’hanno Pe’l suo vestirsi da uomo, Pel suo meraviglioso modo di cantare e di suonare. Le poesie son quasi tutte senza nome d’autore, eccetto una filastrocca di un seicento della più bell’ acqua di certa Luisa Pastronichi, e qualche sonetto e madrigale firmati or col nome di P. Cesareo Orobuoni, or con quello di C. Senterio Bossi, o colle semplici iniziali I. R., D. P. M., I. F., M. M. ; poesie tutte che furon pubblicate in appendice dello studio, più volte citato, di Enrico Bevilacqua su Giovanni Battista Andreini.
Chiudo la serie con due madrigali : l’uno, ignoto, scritto
Sopra i uarij effetti di pallore, e rossore, che si uiddero sul uolto di Florinda mentre recitaua la pazzia in scena ; e sopra la stessa pazzia.
Se impallidisce il fior del tuo bel uisoFlora gentil, uago di quel palloreSi fa ghiaccio il mio core.Se poi ripiglia i suoi uiui colori,Tosto ripiglia il core i primi ardori.Corri disciolta il crin, squarciati i panni,Segue l’alma il furor, segue gli affanni.Ma finta in finta scena è tua pazzia.Ne la scena d’ Amor uera è la mia.
e l’altro di Pomponio Montanaro,
Alla virtuosissima S.ra Florinda
FLORINDA, un fior tu sei entro a’ i giardiniDi virtude, e d’Amore.Ah foss’ io d’ eloquenza agricoltoreChe del tuo sole al raggioHavrei perpetuo maggio,Anzi, che coglierei da le radiciDel tuo immenso ualor frutti felici.
Al quale tien dietro la
Risposta della S.ra Florinda
Tu, che per faticosi erti caminiCerchi con nobil coreMercar sudando glorioso honore,MONTAN sublime, e saggioNon disdegnar d’un picciol fior l’homaggio ;Che forse di Parnaso a’ i colli apriciProdurà nel suo auttun frutti felici.
Al proposito poi dell’ arte di Florinda come cantatrice, oltre alla testimonianza del Cav. Marino ammiratore accanito, e accanito corteggiatore sempre della Virginia, abbiamo il seguente madrigale di Benedetto Pamoleo :
FLORINDA, è pur il uer che, i, Giri eterniFaccian nell’alma mia dolce concento ?Pur è uer, e lo sento,Che mi rubasti il core :E gli diè la tua forma, il fabro Amore ;Mentre con sì soaui e dolci noteE fra rubini ardentiSciogli musici accenti ;Che ’l Cielo pareggiarli anche non puote,Ma non stupisco io già, che possi tanto ;Ch’Angiolo al uolto sei, Sirena al canto.
E come tale fu cantata anche in un idillio di Francesco Ellio, nobile Milanese, pubblicato da Gio. Batta Bidelli il 1618 a Milano, nella sua raccolta d’Idillj di diversi ingegni, e intitolato La Sirena dei mar tirreno — Stanze in lode della Signora Virginia Ramponi, — comica fedele detta Florinda. È questa una delle testimonianze del casato vero di Virginia Andreini, sebbene paia strano che nel ’18, anno in cui fu scritto l’ idillio (fu anche in quell’anno pubblicato a parte dallo stesso Bidelli), l’autore non accenni menomamente al nome del marito. L’idillio è diviso in due parti e consta di 44 ottave non affatto spregevoli per una certa melodica scorrevolezza, ma assai misere per concetto. Trascelgo le poche dalla prima parte che ci dicon le lodi di Florinda.
Non mai spiegò Pavon vago e gentileCon fasto tal l’ambiziose piume,come costei, ch’ha tutto il mondo a vile,di sue bellezze il prezïoso lume ;erra nelle sue guancie aureo focileonde accender le Stelle amor presume ;il bel candore, il bel vermiglio sale,che dir non si può : l’un l’altro prevale.Quasi novelle rose al primo alborech’ apron vermiglie il rugiadoso seno ;s’egli avvien che propinquo il suo candorespieghi giglio gentil fiorito appieno,fassi col misto lor vario coloresì dubbioso e cangiante il loco ameno,che non si può giammai scerner col cigliose sia giglio la rosa, o rosa il giglio.Stavan sotto il bel naso in un congiontedue vaghe di rubin labbra lucenti,entro a cui perle preziose e conte,note non anco a l’iperboree genti,con ordin vago, alle dolcezze pronte,nel nido degli amori aghi pungenti,lascive si scorgean, pure e vivaciinvitatrici a morsi, a scherzi, a baci.Ma che parl’io di voi labbra amorose,e quei begli occhi suoi sacro all’obblio ?Occhi, che di sua mano amor compose,non occhi no : ma strali al morir mio ;occhi stelle del ciel, belle e ritrose,fontane di dolcezza e di desìo,a cui cede la gloria, a cui s’inchinameraviglia celeste, opra divina.Voi con il puro e tremulo baleno,al primo folgorar morto m’avete ;voi mi spiraste al cor dolce veleno,ond’egli arda a tutt’or d’eterna sete :voi, pria che l’angue ohimè nodrissi ’n seno,mirai : nel Ciel d’amor, fauste Comete ;indi (oh dolor, per cui piango e sospiro)mi disperaste in un volubil giro.Sotto a quegli archi, che un bel nero oscurole due degli occhi suoi serene stelleluce porgean più rilucente e purache dal nascente Sol l’auree fiammelle ;tali, mentre emulò l’alma natura,pinse all’ eterna Dea l’antico Apelle ;l’antica Dea che pur tra queste sponde,genitrice d’amor, produsser l’onde.Le rose della fronte, i tersi avorifendean a solchi d’or, neglette ad arte,le biondissime chiome, emule agli ori,che a noi più schietti il fosco indo comparte.Giva turbando i lor lascivi erroriZefir umil ch’ora raccolte, or sparte,a quello aurato vel sembrar le feache diè’n preda a Giason l’empia Medea.
Ed ecco l’ oroscopo, del quale spero, con quello di Gio. Batta Andreini, e cogli altri che verrò pubblicando, di dar presto la chiave per la completa deciferazione.
Andreini Lidia. Seconda moglie dell’ Andreini. « Aveva l’Andreini nella sua Compagnia - scrive Fr. Bartoli - una brava comica per nome Lidia rimasta vedova anch’essa da alcuni anni ; ed essendo di fresca età e vistosa, oltre il suo valore nell’arte del teatro, pensò Gio. Battista di passar seco alle seconde nozze. Spiegatole il suo desiderio, ella di buona voglia v’acconsentì, e furono in breve tempo conclusi i loro sponsali. Il nuovo matrimonio e le domestiche brighe della famiglia distolsero per alcuni anni l’Andreini dallo studio. »
Di Lidia abbiamo la seguente lettera alla duchessa di Mantova, colla data di Vienna 16 novembre 1628, già pubblicata in parte dal Bevilacqua :
Fu già tenuta a battesimo dalla A. V. S. Leonora figlia di Lidia comica, et humiliss.ª serva di V. A. S. e conforme l’uso natio dell’heroica bontà di così gran Principessa fu sempre come figlia sacramentale dall’ A. V. S. amata e protetta. Fede ne fa l’haverla già l’A. V. S. raccomandata alla S.ma Caterina Medici alhor che viveva meritissima Duchessa di Mantova, in modo tale che fu degna in virtù d’ una validiss.ª raccomandazione di V. A. S. alla stessa Ser.ma Caterina d’essere posta nella Scuola di quelle figlie che protette erano da così gran Protettrice. Partita per accidente di morte la stessa S.ma mancando di simil luogo la base e la benefattrice convenne alla povera Lidia tirar la figlia presso di sè, non già per molto custodirla, ma per locarla in alcuna parte degna e sicura, come al presente ella dimora, stando ad allevarsi Damigella con una figlia dell’ Ill.mo S.r Hercule Marliani meritiss.° Consigliero di Stato di questa A. S. di Mantova. Hora dovendosi (per esser grandicella) o maritare o monacare detta sua figlia in Cristo, supplica divotissima Lidia madre vedova e carica di sette figliuoli ad ajutarla in caso di tanto bisogno, onde per gran necessità ella non s’induca a farla divenir commediante, essercitio tanto pericoloso per donna. Il favore adunque sarà (All’ A. V. S. piacendo) che siccome l’A. V. si degnò di scriver lettera efficace per Leonora alla S.ma Caterina, onde fu posta nella sua scuola, cosi rimanga servita di scriver caldamente lettera alla M.tà dell’ Imperatrice (alla qual servitù è un anno che serve con le commedie) che in grazia di V. A. S. voglia haver per raccomandata la suddetta Leonora, tenuta a battesimo dall’ A. V. S. e far si che d’alcuno ajuto sovvenuta sia sì dalla M.tà dell’ Imperatrice, come dalla M.tà dell’Imperatore, grazie come tutto giorno fanno in figliuolette che prive di protezione non hanno chi chieda e supplichi per loro. Ottenerassi al sicuro la supplicata grazia, poichè la Intercedente è la S.ma Arciduchessa di Toscana e la supplicante è serva di 25 anni della Ser.ma Casa, e perchè è stata degna che due suoi figliuoli siano stati tenuti a battesimo, uno dal S.mo Ferdinando, l’altro dal Ser.mo Vincenzo duchi di Mantova, et ambi di gloriosa memoria.
Pongasi adunque l’A. V. S. e per la Madre che è tanto che serve questa S.ma Casa Gonzaga e per la servitù che di continuo fa a queste M.tà d’un anno intero, ottenga la supplicata grazia, la qual tutta ridondando a gloria dell’ A. V. S. ne haverà lode in terra e ricompensa in Cielo, Iddio la feliciti.
Di Vienna, il dì 16 novembre 1628.
D. V. A. S.
Serva Divot.ma
Non tanto fresca dunque, come vorrebbe il Bartoli, se da 25 anni serviva la Casa Gonzaga, ed era allora vedova con 7 figliuoli.
Erronee anche, o meglio, ingenue paiono a me le parole dello stesso Bartoli che concernono il matrimonio della Lidia con Lelio. L’Andreini non era davvero marito esemplare ; ed è ormai fuor di dubbio che l’amore fra la Rotari e lui esisteva già, vivente la Florinda, per quanto egli si scalmanasse a far credere calunnie le voci sparse intorno a ciò.
Il Cecchini, il quale, anche non parendo, co’ modi i più gentili, non perdeva mai l’occasione di punzecchiare gli Andreini direttamente o indirettamente, scrive, su questo proposito, al Duca da Milano il 1620.
…………………………
…………………………
Riman solo Serenissima Altezza lo applicar l’animo, et vestirsi dell’ afflitioni, che apporta a diversi la baldina, la quale con un’ arte et con un modo tanto occulto notrice un incendio così grave in compagnia che ci è impossibile il vivere in questo travaglio.
Io lo voglio dire, se ben aveva pensato di tacerlo.
Florinda già da tre giorni fuggi et piangendo se n’andò in verso chiesa dove si faceva tenir per spiritata, et voleva mandar per una carozza per venirsene a Mantova, quando suo suocero con suo compare, et il Moiadé nostro portinaro corsero a rimediarvi et la fecero rimanere, di queste cose ce ne sono ogni giorno, et questa sgratiatuzza ride et gode sott’ occhio havendo ridotto questo negotio con una tal volpagine che l’istessa Florinda prega che lei non si disgusti acciochè il marito non li faccia qualche burla. dico signore che si tratta di cose concernenti alla vita e da queste che V. A. intende ne sieguono poi di quelle che la prudenza sua si puol immagginare.
Arlecchino non è informato di ciò facendo vita fuori del grembo dei compagni, et essendo sempre stato in casa del signor Ambasciatore e poi lui fuori de’ suoi interessi non capisce altra cosa.
Orsù non parliamo di questo che la materia c’ è amplissima.
Io replico a V. A. et glie ne fo giuramento, sà il desiderio ch’ io ho di ritornare con salute a riveder l’A. V., che con baldina non faremo mai cose buone nè in Francia nè in Italia.
Levar dunque costei et pigliar quel Pavolino in Compagnia, mi par che siano due cose necessariissime, rimetendomi sempre a quanto l’A. V. mi comanderà, et con il fargli profonda riverentia l’auguro da Iddio continua salute.
« L’istessa Florinda prega che lei non si disgusti acciocchè il marito non li faccia qualche burla. » E la cosa mi par chiara ! Bisognava non fare sgarbi alla baldina, perchè se no l’innamorato Andreini si sarebbe rifatto con la moglie. E l’Andreini doveva essere cotal tomo di non troppa arrendevolezza.
L’ 11 settembre del 1606 Pier Maria Cecchini cominciava una sua lettera da Milano al Duca con queste parole :
Le stratageme et persecucioni che me vengono dalla Florinda et suo marito et i mali trattamenti loro sono così grandi che mi hano ormai ridotto a rovina e a precipicio. Mi fano parlare che io resti questo verno a Milano, et perchè non mi pare giusto, et che io niego di restargli, mi ha il ditto marito di Florinda tirato a termine di fare questione, il che succedeva se Iddio non gli metteva la mano.
E chiesto aiuto al Duca, e avutolo con ordini recisi che a lui davano alcun potere in faccia ai compagni, trovò Gio. Battista Andreini sdegnosamente ribelle, il che si rileva con ampiezza da quest’altra lettera colla data del 20 settembre :
Gionto il mio messo et ricevuto la lettera di V. S. Ill.ma la quale ha servito anco per risposta di quelle che io scrissi a S. A. S., ho voluto parteciparla a tutta la compagnia ; et per trovarli tutti uniti gli parlai dietro il Palco doppo la Comedia, et mi ritirai in una camera dove si spogliamo et vestemo, ma Lelio marito di Florinda non volse venire, et ben che io supplicassi et gli mandassi doi volte un servitore publico a dirli che io volevo parlar de ordine di S. A. S., con tutto ciò il detto Lelio ridendo voltò via, nè volse ascoltarmi.
Ammettiamo pure che ci fosse un po’di esagerazione e di maligna insinuazione per parte del Cecchini, il quale avendo da rivelare qualche segretuzzo di compagni o riferir pettegolezzi e scandali di compagnia, adopera quasi sempre paurose parole come queste : non volevo dir tanto ; ma mi affido ch’io lo dico a padrone che non lasciarà perder questa mia et penetrare facilmente il tutto. Ammettiamo : è certo nondimeno che l’Andreini non la cedeva al Cecchini sia nei dispetti, e nelle offese, sia nelle rivelazioni più o meno aperte. L’affare della Baldina gli aveva messo addosso l’inferno, ed è naturale che alle scene di gelosia della povera Florinda che parve davvero una terribile donna a modo, egli scattasse come un demonio. Al Duca [p. 155]mandava proteste acerbissime, maravigliando come avesse ad ascoltarsi più tosto un mentitore che un povero giove che aveva sempre professato di essere servo di S.A.S. e servo d’honore. Povero Duca !… Ogni qualvolta gli capitavan fra mano lettere dell’una o dell’altra parte, sa Dio a quali contorcimenti nervosi si lasciava andare ! In una lettera del 20 settembre 1626 da Cremona l’Andreini arriva a dire persino della Cecchini, che il mondo non può più sostener di veder lei tanto è difforme. Dopo la quale dichiarazione, al solito, imitando il suo egregio avversario, aggiunge paurosamente : sopratutto non si tratti che questo avviso venga da me che pur troppo sarà sospettato.
Da Galeotto a Marinaro, non c’è che dire : facevano a chi poteva dirsene di più grosse ; e francamente non saprei affermare chi avesse il disopra nella tenzone. Dell’Andreini si sa per fino che un cotale italiano voleva farlo assassinare ; onde Maria de’Medici chiedeva in una lettera a suo nipote il Cardinal Duca di Mantova, protezione e giustizia.
Ma torniamo alla Lidia. Dunque l’Andreini ne era da gran tempo l’amante, vivente e (per forza, si capisce) assenziente la moglie Virginia. In fatti, in una sua lettera da Vienna (23 novembre 1628) egli unisce agli ossequi della Florinda quelli della Lidia…. Fo riverenza a V. S. Ill.ma e così fa Flor.ª e Lidia serve devotiss.e sue. Non solo ; ma ricorda, raccomandandolo caldamente, il negozio della S.ª Lidia con la Ser.ma Arciduchessa di Toscana ; quello concernente le raccomandazioni per le LL. MM. l’Imperatore e l’Imperatrice a favore della figlia Eleonora : mentre otto anni prima succedeva in Compagnia quel famoso scandalo per la Baldina, che fece scappar la Virginia come spiritata ! ! ! Morta questa, l’Andreini si unì in matrimonio con essa Lidia, imposta prima alla povera Virginia, la quale sopportava non rassegnata, per paura, come dice il Cecchini, che il marito non le facesse una qualche burla ! ! ! La tresca dunque durava, per lo meno, dal 1620, data della lettera del Cecchini, concernente gli scandali provocati dalla baldina, che altra non era che la Lidia Virginia Rotari, già moglie di Baldo Rotari, come abbiamo da una lettera (26 novembre 1612) al Duca di Mantova firmata da’comici tutti, fra cui Baldo Rotari, in nome di sua moglie ; alla quale fu dato il soprannome di baldina, dal nome del marito, o in antico per distinguerla dall’altra Lidia di Bagnacavallo, la comica famosissima de’confidenti, che di non molti anni l’aveva preceduta, o più tardi, in compagnia dell’Andreini, per meglio distinguere le due Virginie : io ritengo più probabile la seconda ipotesi. — Che anche la Rotari fosse attrice valente sappiamo dalle poesie varie pubblicate insieme alla Maddalena lasciva e penitente, azione drammatica dell’Andreini, nella quale recitando in Milano nel 1652 la parte della vecchia Marta, ottenne, come si direbbe oggi, uno strepitoso successo.
Trascrivo da Fr. Bartoli il madrigale di Lucio Narni :
Se la similitudine s’appellacausa di vero amore,Lidia c’innamorasti,quando Marta piagnevole imitasti.Così bene il pallore,gli atti per convertir vana sorellain Teatro fingesti,che gl’Insubri traestia dir, di verità lingua cosparta :non è Lidia costei ; mirala : è Marta.
Ed ecco i due madrigali che Gio. Battista Andreini dettò per la signora Eularia, e per Lidia sua moglie, l’una Maddalena, l’altra Marta rappresentando.
I
Se di lascivo ardoreMaddalena un Vesevo ha un Enna al core :Marta Egeria, che Egei forma di piantogià d’estinguer tai fochi ha vena, ha vanto.Di serafico ardor si riaccendela Peccatrice : al Pianto Pianto rende.Oh, di Marta valor, s’entro un sol locomesce l’onda col roco.
II
Su ’l bel pian Senonensede’ Sicambri terror, fastosa io viditeatrale innalzar Mole superba,là, ’ve di Maddalena illascivital’oscena io vidi e penitente vita.Già tra’ que’ Regi nidi(proprio d’ Insubri a ministrar Compense)narran : che ’nfrà di lor tal gloria ha sparta,una sol MADDALENA, una sol MARTA.
Il Sand mette fra le amorose che fecer parte della Compagnia dei Gelosi dal 1576 al 1604, Isabella, Flaminia, Ardelia, Lidia, Laura. Al nome di Lidia segue la parentesi (seconde femme de G. B. Andreini). Avrebbe dovuto dire più esattamente : quella che circa trent’ anni dopo diventò la seconda moglie di G. B. Andreini. Se nel 1628 scriveva essere serva da 25 anni, non avrà avuto meno di 42 anni…. Dunque nel ’52, quando essa rappresentò la Marta, non poteva aver meno di 65 anni.