Capitolo settimo
Rapida propagazione del melodramma dentro e fuori d’Italia. Azioni musicali in Francia, Inghilterra, Germania, Spagna, e la Russia.
[1] Uno spettacolo che riuniva tutte le vaghezze delle belle arti non poteva far a meno di non aggradare all’universale. Così appena comparve il melodramma in Firenze che rapidamente si sparse dentro e fuori d’Italia.
[2] Roma, che in ogni tempo si dichiarò protettrice delle arti e delle lettere, sì perché le une e le altre servono ad abbellire il maestoso edifizio della religione, come perché questa nuova maniera di signoreggiare negli animi si confà molto alle mire di quella Capitale del mondo cristiano, e perché gli avanzi non anco spenti della sua grandezza la richiamano ogni giorno allo studio dell’antichità il quale tosto o tardi conduce al buon gusto, doveva parimenti promuovere la musica e la poesia. Quel genio, che la determinò a incoronar il in Campidoglio e a preparare per il medesimo onore, che la mosse ad inalzar il primo teatro conosciuto in Italia a tempi di Sisto IV e a far rappresentare a’ tempi di Leon X la prima tragedia che la sollecitava a voler fregiare colla porpora di cardinale gli omeri di Raffaello d’Urbino e a profonder tesori a pro de’ begli ingegni, quel genio medesimo fecesì che ben presto allignò per entro alle sue mura codesto nuovo genere di musica teatrale. L’anno 1600 vi rappresentò L’anima e il corpo, pastorale di , dama lucchese, posta in musica da . Nel 1606, , celebre compositore romano, fece colà vedere uno spettacolo consimile per istigazione di assai noto pe’ suoi viaggi. La celebrità che acquistò poco dopo l’Arianna del modulata dal introdusse fra i signori romani l’uso delle musiche di camera e delle cantate, a comporre le quali concorrevano a gara i primi poeti e le più brave donne a cantarle. Levò fra l’altre gran fama l’Oronta di componimento in ottava rima messo in musica allo stesso tempo da quattro maestri. Il severo e religioso contegno del papa Innocenzo XI trattenne in seguito per qualche tempo il corso a siffatti divertimenti, ma dopo la sua morte incominciò di nuovo la corte ad assaporarli, dando a ciò occasione il concorso di tanti stranieri e la magnificenza di tante famiglie principesche, le quali si pareggiavano coi sovrani nella sontuosità e nelle ricchezze. né troppo era strano il vedere i cardinali stessi impegnati nell’accrescer lustro e splendore a’ teatrali spettacoli; tra essi basti annoverare il cardinal Deti, il quale in compagnia di istituì l’anno 1608 nel proprio palazzo l’Accademia degli Ordinati, destinata a promuovere le cose poeti che e le musicali, come anche un altro porporato illustre scrisse, e fece rappresentar l’Adonia, melodramma di cui fa ne’ suoi Commentari un magnifico elogio, ma che debbe riporsi tra i molti insensati panegirici, che il bisogno o la voglia di farsi proteggere detta non poche fiate a quelli scrittori che fanno della letteratura un incenso onde profumare gl’idoli più indegni di culto.
[3] Una delle prime anche ad abbracciarlo fu Bologna, città che dopo essersi renduta famosa per le virtù che ispira l’amore della libertà, coltivava allora le arti che germogliano nell’ozio d’una pacifica servitù. Memore della sua antichissima gloria nelle lettere, e desiderosa di conservarla, essa fu quasi la sola che mantenesse nel secolo scorso le belle arti guaste per tutto altrove dal cattivo gusto dominante. Tra queste fiorirono principalmente la pittura nella pregievolissima scuola de’ , e la musica nelle tante accademie erette a fine di perfezionarla. I Filomusi, istituiti dal nel 1622, i Floridi, i Filaschi, i Filarmonici, e soprattutto i Gelati e pel favore prestato alle cose musicali, di che ci è rimasta la testimonianza in molte e belle cantate, e per le fatiche di molti dotti accademici che coltivarono questo ramo di drammatica poesia, contribuirono assaissimo a propagarlo in Italia. L’anno 1601 si rappresentò ivi l’Euridice del , e poi di mano in mano altri drammi comparvero con poche volte interrotta cronologica serie fin quasi a’ nostri tempi.
[4] Vinegia allorché divenne maestro della Serenissima Repubblica, e prima nei privati palagi e ne’ conviti dei dogi, poi nell’antichissimo teatro di S. Cassiano fu veduta per la prima volta comparire in pubblico l’Andromeda colla musica e la poesia di . D’allora in poi quella città fu sempre uno de’ principali seggi del dramma, e qui si rappresentava colla pompa più illustre, massimamente nel Carnovale a fine di tirare a se l’oro de’ forestieri. Tutte le altre città chi più presto chi più tardi s’affrettarono anch’esse ad accoglierlo.
l’introdusse in[5] Nè si ristette fra i termini d’Italia,
ma varcando le Alpi portò la gloria della musica e della lingua italiana per tutta
l’Europa. La superba Francia, la quale
vorrebbe pur ora far fronte e resistere alla dominatrice magia delle modulazioni
italiane, fu allora la prima a chiamare a se il dramma musicale, e ciò nel 1645. Non è
che i Francesi non avessero anche avanti notizia di qualche spezie di rappresentazioni
musicali, poiché senza risalire fino a’ provenzali, che furono i primi a introdurle in
Italia, sappiamo ancora che erano conosciute fin dai tempi di
Francesco I, il quale fece venir da
Firenze parecchi uomini celebri in questo genere, annoverandosi
tra loro corte il più distinto un certo Messer chiamato dall’ in una
lettera scrittagli nel 6 di luglio del 1538: «lume dell’arte, che l’ha fatto sì
caro alla sua Maestà e al mondo»
. Furono poi maggiormente promosse sotto la
regenza di Caterina de’ Medici, la quale chiamò
musici e suonatori italiani per rallegrare con balli, mascherate e festini la corte, ove
gran nome s’acquistò il conosciuto dai
Francesi col nome di colle sue
leggiadrissime invenzioni, onde ottenne l’impiego di cameriere della regina, e in
seguito di Arrigo Terzo. né dee tralasciarsi
inventore del dramma in
Italia, il quale allorché accompagnò la regina Maria de’ Medici, di cui ne fu perdutamente innamorato,
col titolo di gentiluomo, il gusto delle cose musicali grandemente promosse. Ma il
melodramma, come s’intende in oggi, non fu conosciuto se non se a’ tempi del cardinal
Mazzarini. Codesto celebre ministro per
trattener Luigi XIV nella sua giovinezza, e per
avvezzarlo a quella dissipazione di spirito così fatale ai popoli e così utile ai
favoriti che aspirano ad uniccheggiar nel comando, fece di nuovo venir
dall’Italia gran numero di musici, i quali rappresentarono per
la prima volta sul teatro Borbone la Finta pazza,
dramma di colla musica del . Nel 1647 fu visto nel teatro del Palazzo
Reale
Orfeo ed Euridice d’
rappresentato con magnificenza incredibile. Nel 1660 comparve sul medesimo teatro
l’Ercole amante finché nel 1669 Monsieur ottenne il privilegio di comporre esclusivamente per l’opera
francese70, condotta di poi a gran celebrità pell’erezione
dell’Accademia in musica, per le armonie del , e per le mirabili poesie di .
[6] Il privilegio esclusivo dato al Inghilterra. Imperocché sdegnato di ciò il , musico francese che pretendeva al medesimo onore, lasciò il proprio paese e si ritirò a Londra, dove le feste musicali erano in uso come per tutto altrove da lungo tempo. Sotto i primi re d’Inghilterra e di Scozia, la musica fu selvaggia quasi del tutto. Dai tempi di Riccardo cuor di Lione cominciò lentamente a prender forma più regolare. Scaduta dall’antico privilegio che godeva ai tempi de’ Caledoni, d’animare, cioè, i popoli ai trionfi e alla osservanza de’ riti nazionali, essa prese il carattere della scostumatezza e della licenza nelle canzoni chiamate da loro Drinking Catches, ovvero sia da cantarsi nei brindisi. In questi componimenti non meno che negli amorosi si scorge piuttosto la vivacità e il brio che il vero gusto musicale, sebbene alcuna vi si legga di esse lavorata con siogolar espressione71. , quel celebre italiano favorito dalla bella e sventurata regina Maria Stuarda, introdusse il primo di tutti nella musica scozzese il gusto italiano, che dura tuttora in alcune composizioni72. Sotto il regno di Elisabetta fece quest’arte qualche maggior progresso pel favore della regina, e pel commercio cogl’Italiani. In seguito preser voga gl’intermedi nelle commedie o feste, massimamente ne’ conviti e ne’ tempi di pubblica allegrezza, tra le quali assai bella e ingegnosa comparsa ne fece quella rappresentata nel palazzo di San James l’anno 1613 nelle nozze di Federigo V Palatino del Reno colla principessa Isabella d’Inghilterra e di cui ne daremo in altro luogo la descrizione. Da quali principi incoraggito il mostrò per la prima volta agli occhi degli Inglesi il dramma musicale qualmente si trovava allora in Francia, ma non si potendo sostenere per la persecuzione mossa contro all’autore, furono chiamati dall’Italia musici e cantori che introdussero il melodramma italiano, sollevato di poi a maggior altezza nelle composizioni del fecondo e sublime 73.
fu la cagione che il melodramma s’introducesse in[7] La Germania l’accolse parimenti versò la metà del Seicento. Le loro antiche fiere, ovvero siano feste carnascialesche chiamate Wirschaft, che con grandissimo apparato di comparse e di suoni vi si celebravano; la musica strumentale da loro coltivata con impegno; la magnificenza degli elettori di Baviera, di Sassonia, dell’Imperador Leopoldo, e d’altri principi che non risparmiavano spesa né diligenza affinchè riuscissero sontuosissimi gli spettacoli che si davano alle loro corti, aveano di già appianata la via al melodramma. , poeta drammatico superiore agli altri della sua nazione in quel secolo, fu il primo a introdurlo in Dresda, traducendo in tedesco la Dafne del , e un’altra d’autore diverso intitolata la Giuditta. Ciò avvenne verso il 1630. Pel sentiero da lui indicato si stradarono parecchi scrittori desiderosi d’arricchire la poesia germanica con un teatro lirico nazionale; ma o fosse che la lingua rozza e inflessibile non potesse alla dolcezza musicale abbastanza piegarsi, o nascesse ciò dalla penuria d’ingegni superiori, certo è che i tedeschi abbandonarono allora il pensiero di scriver drammi nel proprio idioma. Aggiugnendosi poi la circostanza che la corte imperiale si riempì di ministri e di signori italiani e che l’Imperator Leopoldo 74 molto si dilettava della musica loro, fu chiamato gran numero di suonatori e di cantanti, i quali sparsero dappertutto il gusto dell’opera, e furono scelti poeti che ne componessero, tra quali il marchese ne scrisse cinque drammi intitolati: l’Armida, la Disperazione fortunata, la Fuga, l’Innocente mezzano della propria moglie, e l’Alessandro magnanimo. L’Italia è debitrice di molto ai tedeschi, i quali, procurando agli ingegni italiani l’agio e il comodo di coltivar i propri talenti, sono stati la cagione che l’Europa ammiri in oggi i e i .
[8] Nel medesimo tempo in circa si lasciò il melodramma vedere tra
gli Spagnuoli amantissimi della musica massimamente nazionale. Ciò si scorge dalla
inclinazione al canto e al suono nella gente ancor più rusticana, nelle feste villerecce
che celebransi spesso con istromenti propri di quella gente di minor dilicatezza forse
che gl’Italiani, ma più atti a svegliar le passioni, nelle serenate urbane, nelle
ciaccone, nelle follie, nelle sapate, moresche, sarabande, fandanghi, pavaniglie ed
altri balli sparsi per tutta l’Europa colla dominazione
spagnuola, e massimamente in Italia, la quale ora disdegna di
confessare nel tempo della sua decadenza ciò che non ebbe a schifo di accogliere nel
secolo più illustre della sua letteratura. Musica più composta fu ancora in uso ne’
tempi più antichi, rimanendo per testimonianza non solo la memoria delle canzonette
arabiche cantate dai mori, ma componimenti spagnuoli eziandio posti sotto le note da
Alfonso il Savio re di
Castiglia. Oltre a questi debbono anche aver luogo le
rappresentazioni sacre chiamate Villancicos, che celebransi
con gran pompa nelle chiese, la notte del santissimo Natale, come reliquie de’ Misteri della Passione, come anche le feste profane di tornei,
quadriglie, caroselli, parejas e altri simili divertimenti, che erano allora in gran
voga, e principalmente a’ tempi d’Isabella e di
Ferdinando, e poi di Filippo Secondo. Salì non molto dopo la musica in sul
teatro, dove il primo di tutti la condusse , che fu tra gli Spagnuoli ciò ch’era Tespi fra i Greci. Nel suo tempo
si cantavano dietro alle scene alcune vecchie cantilene nazionali chiamate Romanzes senza strumenti di sorte alcuna. Il toledano , se prestiamo fede a
75, obbligò i musici a sortir fuori alla vista
del pubblico . , ristauratore anch’esso del
genere drammatico, ampliò la musica strumentale, raddoppiando il numero e la qualità
degli strumenti nella orchestra. e introdussero i primi l’usanza di
cantare negli intermezzi, lo che in quella prima rozzezza delle arti drammatiche veniva
eseguito dagli orbi. I Saynetes, sorta di frammessi bellissimi
che sono nel teatro spagnuolo l’immagine della vera e genuina commedia, e nella composizione dei quali ebbe gran nome Don nel secolo passato e Don nel nostro, servirono a promuovere
maggiormente la musica teatrale aprendo talora la scena con qualche coro di musica e
anche framischiando talvolta qualche dialogo musicale. Le Tonadillas, ovvero sia spezie di arie buffe che vi si cantano, possono
gareggiare nella vivacità comica con qualsivoglia componimento musicale delle altre
nazioni. Sui primi anni del regno di Filippo
Secondo s’introdusse l’usanza di cantar duetti e terzetti nelle commedie, e
il melodrammma sarebbe stato conosciuto più presto se da una parte il carattere di
Filippo Terzo dedito alla divozione e alieno da
i teatrali divertimenti, e dall’altra la preferenza data da Filippo Quarto alle commedie nazionali nelle quali furono insigni al suo
tempo , , , e tanti altri sotto le insegne del loro antecessore
, non avessero altrove chiamata
l’attenzione del pubblico . Da una lettera di Don scritta a si
rileva che «la nuova musica drammatica inventata dal Spagna e di Francia»
, lo che,
essendo certo, proverebbe che l’opera in musica fosse stata trapiantata fra gli
Spagnuoli quasi subito dopo la sua invenzione. Ma per quante ricerche abbia io fatte
affine di verificar l’epoca indicata dal era dalle corti de’ principi italiani passata a quelle di
non
mi è avvenuto di poterlo fare, né ho ritrovato notizia alcuna del dramma musicale avanti
ai tempi di Carlo Secondo, nelle nozze del quale
con Marianna di Neoburg si rappresentarono alcuni
drammi colla musica del , il primo dei quali fu
intitolato l’Armida. Indi a non molto, non piacendo alla nazione la
musica francese, si fecero venire musici e cantori da Milano e da
Napoli a rappresentare il melodramma italiano.
[9] Quantunque la introduzione del melodramma in Moscovia non s’appartenga ai tempi di cui parliamo, ho tuttavia giudicato opportuno il trattarne in questo luogo per non vedermi poi obbligato a interromper di nuovo la narrazione. Spero che le cose che sono per dire abbiano a interessare la curiosità del lettore, trattandosi di un paese che ha rivolti verso di se gli occhi di tutta l’Europa, e che sì famoso è divenuto oggimai non meno per la sua passata barbarie che per il presente splendore. La musica dei russi è semplicissima, come debbe esserlo in tutte le nazioni non ancor coltivate. Essa si compone, come dappertutto, di parole, di canto e di suono. Ma ciò che ha la moscovitica di particolare, si è che la poesia veniva esclusa dai loro componimenti musicali, perocché i russi non cantavano se non la prosa. Egli è vero che qualche antico romanzo in versi non rimati si conserva tuttora presso al popolo, come quello del gigante , del grande , ed altri di simil guisa, ma le moderne canzoni tutte in prosa altro per lo più non sono che improvvisate, che ciascuno compone a suo talento, senza curarsi d’osservare il numero delle sillabe o il ritorno delle rime76.
[10] A così strana usanza danno occasione gli accenti della lingua russa, i quali sono così spiccati e sensibili, che agevolmente possono adattarsi alla melodia senza l’aiuto del metro. Coloro che non comprendono come la lingua greca fosse cotanto musicale, troveranno in un barbaro idioma formato tra i giacci e le paludi del settentrione convenevol risposta ai loro dubbi poco fondati, e le nazioni meridionali, che fiancheggiate da filosofiche teorie stimano se sole essere state privilegiate dal cielo per ricevere e rimandarne le dolcissime scosse dell’armonia, dovranno confessare di non poter coi loro linguaggi neppur venire al paragone (almeno in qualche circostanza) con un idioma scitico. Da ciò si vede che il canto costituiva la principal parte della musica russa e che gli strumenti non servivano ad altro che a sostenere la voce. Questa non s’aggirava se non intorno ad una sola specie di melodia, la quale si variava poi dal cantore secondo il proprio genio, onde veniva in conseguenza che l’arte del compositore e del maestro fosse del tutto ignorata. Gli strumenti erano egualmente semplici e l’arte gli ha così poco perfezionati che si veggono a un dipresso nel medesimo stato in cui furono inventati. I principali sono il Gudock, ovvero sia piccolo violino a tre corde. La Balalaika, spezie di chittarino comunissimo presso al popolo, composto di due corde, una delle quali si vibra colla man sinistra mentre con la destra si suonano entrambe. La Dutha, o Schvreraan, composto di due flauti, uno più grande e più piccolo l’altro, ma di tre fori ciascheduno. La Walinka, spezie di cornamusa semplicissima, la quale si forma mettendo due flauti in una vescica di bue inumidita. La Gusli, stromento più nobile perché usato nelle città eziandio, rassomiglia nella fabbrica interna, nella grandezza e nella figura ad un clavicembalo senza tasti. Le corde sono di latta, e si suonano ambidestramente. Il suono è armonioso e gradevole, e capace di gran varietà.
[11] Tal’era lo stato della musica in
Russia dal golfo di Finlandia fino alla
Siberia, e dalla Uckrania fino al
mar glaciale, benché con quelle modificazioni locali che
naturalmente esige una varietà così prodigiosa di climi, allorché Pietro il Grande salì sul trono. Questo genio immortale
che fu non meno il Mercurio che il Solone della sua nazione, tra i moltiplici oggetti
della sua vasta riforma comprese ancora la musica. Egli fece venire dalla
Germania, ove diligentemente avea osservato ne’ suoi viaggi
codesto ramo delle umane cognizioni, ogni sorta di trombe, tamburi, cornetti, fagotti,
viole, tromboni ed altri strumenti; istituì una truppa di giovani moscoviti da erudirsi
nella musica; ne introdusse il gusto e l’usanza ne’ pubblici e ne’ privati divertimenti
promovendo in particolar modo la musica militare come la più confacente alle sue mire.
Il principe Federico d’Olstein-Gottorp, in
occasione di portarsi a Pietroburgo a fine di prender in moglie Anna Petrowna figliuola di Pietro, menò seco dodici bravi musici tedeschi, i quali fecero sentire per
la prima volta a’ moscoviti un concerto in forma. La novità colpì, qualmente si dovea
aspettare, i grandi della nazione, ed ecco a gara coltivarsi da loro la musica, anche
per imitare l’imperatore, il quale avea cominciato a tener accademie regolate di musica
due volte alla settimana nel proprio palazzo. Anna
Iowanona portò sul trono il gusto della musica, e fu nei primi anni del suo
regno che si vide l’Abiazar, opera italiana, comparir sul teatro di corte
con intermezzi e balli. , napoletano, fu il
maestro di cappella, siccome italiani furono per la maggior parte i cantori e i
suonatori, che il gusto nazionale maggiormente promossero. L’Imperatrice Elisabetta protettrice di tutte le belle arti, e in
particolare di questa, fece costruire il primo teatro pubblico dell’opera a
Mosca, dove assistette nella sua incoronazione alla Clemenza di
Tito posta in musica dal celebre , e
rappresentata con magnificenza incredibile. Il prologo intitolato la Russia
afflitta, e riconsolata era dell’ ,
L’aria «ah miei figli» fu onorata dal pianto universale, e di quello altresì della
imperatrice. Dopo il Seleuco, lo Scipione, e il
Mitridate, drammi composti dal , fiorentino, e messi sotto le note dal nominato , fu rimpiazzato come maestro di Cappella di corte il
pistoiese. Fece questi la musica
all’Alessandro nell’Indie, alla Semiramide, e
all’Olimpiade del ,
rappresentata nel gran teatro di Mosca l’anno 1752 per
l’incoronazione della regina Caterina. Indi si
coltivò l’opera russa. La prima intitolata Cefalo e Proci ebbe per autore
il poeta , e fu posta in musica
dall’ . I suonatori e i cantanti erano tutti
russi. Sotto Caterina II fu chiamato alla corte
con grossissimo stipendio il celebre , maestro
allora di cappella in Venezia. La Bidone del
modulata da lui incontrò l’aggradimento
universale. L’imperatrice, terminato che fu lo spettacolo, gli mandò in regalo una
boccetta piena di rubli, dicendo che «la sfortunata Didone avea sul punto di morire lasciato per lui quel
codicillo»
. A succedette il
, napoletano, famoso compositore anch’egli.
, fiorentino, fu dichiarato poeta della
corte. In oggi per la scelta delle più belle voci e de’ più gran musici, per la
magnificenza delle decorazioni e dei balli, l’opera di
Petersbourg è la più compita di Europa.
[12] Siami concesso però di riflettere che lo splendore, che le belle arti ai nostri sguardi tramandano nel clima della Moscovia non è che effimero e passaggiero. Sebbene Pietro il Grande incominciasse dalla musica con lodevole divisamento la sua riforma, sapendo quanta influenza acquisti su un popolo non coltivato tutto ciò che parla immediatamente al sensi, non è tuttavia da commendarsi che siasi egli prevalso a cotal fine d’una musica straniera invece di perfezionare la nazionale. Ogni arte che dipende dal gusto, ha la ragione della sua eccellenza nel clima, nei costumi, nel governo, e nell’indole non meno fisica che morale di quelle nazioni che la coltivano, né può altrove trapiantarsi senza perder molto della sua attività. Codesta verità tanto più diviene sensibile quanto maggiore ne è la differenza che corre tra i paesi, e più stretto è il rapporto che vuolsi mettere fra lo stromento della riforma e la riforma stessa. La musica e la poesia italiana non possono adunque se non assai debolmente influire sulla civilizzazione dei russi, i quali, ignorando le ascose cagioni della loro bellezza, altro non saranno giammai che languidi e freddi copisti. Laddove se le arti di genio fossero presso a loro piante native e non avventizie, se il novello legislatore avesse a poco a poco preparata la nazione al gran cangiamento, se avesse prima profondamente studiato nella storia le vie che percorre l’umano spirito nel coltivarsi, avrebbe forse innalzato al suo nome un più durevole monumento, e le belle arti abitatrici finora dei privilegiati climi della Grecia e dell’Italia additerebbono anche a’ loro cultori nuovi originali da imitare sulle rive del freddo Tanai, e sugli scogli deserti di Sant’Arcangelo.