Andolfati Pietro, milanese, e figlio de’ precedenti, studiò da avvocato per desiderio dello zio prete, citato più su, ma poi volle seguire la professione de’ suoi genitori. Fu un buon amoroso, e recitò applauditissimo nella Compagnia di Pietro Rossi e in quella di Giovanni Roffi di Firenze, dove con molto onore recitava ancora tra l’ 80 e l’ 81. Colà restò poi come direttore del R. Teatro di Via del Cocomero (oggi Niccolini). Scrisse tragedie e commedie, altre ne tradusse dal francese e dallo spagnuolo ; altre ancora, del Goldoni, ridusse malauguratamente in prosa dall’originale in versi. Il signor De Bastide indirizzò all’Andolfati, mentre dirigeva il Cocomero, una lettera, nella quale si discutevan queste tre leggi per un direttor di teatro : « 1. Bisogna guardarsi d’ offendere il gusto del pubblico. — 2. Bisogna sforzarsi di perfezionarlo. — 3. Bisogna aver paura che il gusto languisca. » A lui rispose l’Andolfati con lettera pubblicata per le stampe nel 1792, nella quale sono le stesse lagnanze, le stesse ragioni di oggidì : cita il caso frequente di commedie magnificate dagli attori e alla rappresentazione cadute per non più rialzarsi ; rimette in ballo la questione delle repliche, e raffronta, al solito, la Francia coll’Italia, annoverando i vantaggi di quella e le condizioni poco liete di questa ; e infine gli dà con molta sottigliezza una stoccata non lieve con le seguenti parole che riproduco testualmente :
« Voi mi avete gentilmente prescelto per esporre con la mia compagnia qualche vostra produzione, che sarà certamente conforme alle rispettabili leggi, che vi compiaceste accennarmi : tutta l’ attività de’ miei attori, qualunque ella si sia, verrà impiegata per l’ esecuzione la più scrupolosa, avvalorata dall’ istruttiva vostra comunicativa ; desidero che corrisponda l’esito alle vostre ed alle mie brame : — a voi, per non aver saputo offendere il gusto del pubblico — per prender maggior vigore a perfezionarlo — e acciò non si tema che egli languisca — a me, per aver potuto sotto la vostra scorta contribuire a sì desiderabili conseguenze. »
Si recò a Milano per dirigervi l’Accademia filodrammatica, e vi ebbe, come istruttore,
moltissimi onori : il ritratto che presentiamo a’ nostri lettori fu disegnato dal vero,
in quell’epoca, dal Locatelli. Dall’amore dell’arte militante fu ricondotto vecchissimo
sul teatro, e morì in miseria, dice il Regli (op. cit.), nella
Compagnia drammatica di suo figlio Giovanni. « Nel 1788 — scrive
Benedetto Croce ne’ suoi Teatri di Napoli
(Ivi, Pierro, 1891) — venne una nuova compagnia di comici
lombardi, capo Giuseppe Grassi veneto, che già era stato a Napoli. Ne facevano parte
gli uomini : Pietro e Giovanni Andolfati, ecc. ecc., e le donne : Gaetana ed Angiolina
Andolfati, ecc. ecc. » Dall’elenco si capisce come Pietro fosse il primo attore e la Gaetana la prima attrice. Nulla sappiamo
dell’Angiola. Il Bartoli non cita che due sorelle Andolfati, comiche : la Francesca e la
Gaetana. In altro elenco, che riproduciamo in fine, troviamo oltre all’Anna, la moglie,
che è innanzi alla Gaetana, anche una Antonia Andolfati, della quale non ho potuto
trovare alcun cenno, e che non so bene se essere una sorella o una figlia di Pietro. In
detto elenco figura il padre Bartolommeo come Pantalone. Quanto all’anno 1788 segnato
dal Croce, qualcosa rimane a verificare,
poichè l’Andolfati stesso nella
citata lettera in risposta al signor De Bastide colla data del ’92, dice : « ….
ciò intanto, di cui accerto il mio rispettabilissimo pubblico
fiorentino che da dodici anni pazientemente mi soffre, si è, che più mi sta a cuore
la di lui cara grazia, che qualunque oggetto di vanità, e d’
interesse. »
Come dunque c’entra il 1788 di Napoli, se l’Andolfati nell’
80 andò a Firenze, ove trovavasi ancora nel ’92 ?…

Nelle prefazioni alle sue rappresentazioni teatrali stampate a Firenze nel ’91 e
dedicate all’Illustrissima Accademia del R. Teatro degl’ Infuocati, egli accenna all’
indole sua piuttosto viva :…. facile alle commozioni di ogni specie, ma più
soddisfatto del pianto che del riso…. piuttosto iracondo e sprezzante contro chi non
pensasse a suo modo…. Parlando del Calderaio di S. Germano,
commedia spagnuola di Zavara e Zamora da lui tradotta, egli dice : « Questa commedia ha sortito un esito felicissimo ; e fu appunto questo esito che
indusse un vivace talento a carpirla a memoria, e darla contemporaneamente ad altra
Compagnia, per il che fui da una incauta violenza di temperamento, che arrossendo
condanno, trasportato a…. un denso velo sopra il passato. »
Gli dedicò il comico Bartoli per la sua tragica rappresentazione Le glorie della Religione di Malta il seguente sonetto :
Se de’ Maltesi Eroi su finte scenele gesta vittoriose esprimi e mostri,or ben vegg’io che ne’ tuoi dotti inchiostrievvi quanta in piacer arte conviene.E come l’ottomano ardir si affreneda Enrico e l’empia rabbia di que’ mostrifai scorger chiaro, e come il sangue inostrile navi, l’onde e le gloriose arene.Pietro, son queste del tuo ingegno l’opre.Ci fai parer il finto e vivo e vero,quando di legni il mar tutto si copre.Però sia encomio tuo giusto e sincero :l’arte che tutto fa nulla si scoprenel dir, negli atti, e nel valor guerriero.
L’ Elisabetta Caminer Turra, la nota traduttrice teatrale, ne fa l’elogio
nel Giornale Enciclopedico (Vicenza, gennaio [e non febbraio, come
cita il Bartoli] 1780. Tomo I, Num. 7, pag. 97-102) a proposito della suddetta tragedia,
e occupandosi dell’attore sol di sfuggita. Essa prelude al suo articolo con queste
parole : « il giovane attore che compose questa rappresentazione
merita i nostri elogi e gl’ incoraggiamenti del Pubblico, il
quale avvezzo ad applaudire a’ suoi non ordinarj talenti nell’ arte del
declamare, potrà, s’ egli non si stanca d’ impiegarli eziandio
nello scrivere, dovergli dei drammi, pei quali anche il Teatro italiano conti un
autore fra’ suoi attori. »
E dopo avere esaminata e magnificata
l’opera, trascrivendone un brano, riportato poi a sua volta dal Bartoli stesso nelle sue
Notizie de’ Comici italiani, conclude : « noi
non possiamo se non consigliar questo giovane autore a proseguire la carriera dello
scrivere, in cui può avanzarsi cotanto per avventura, quanto non
ha fra Comici italiani e difficilmente può avere chi lo superi nel sostenere le
Parti più ardue ed interessanti, e nel produrre quell’ illusione impegnante ch’è la
sola prova della perfezione. »
Ecco l’elenco su citato :
SIGNORE SIGNORI Anna Andolf ati Pietro Andolfati Gaetana Andolfati Luigi Delbono Antonia Andolfati Giovanni Delbono Maddalena Nencini Gaetano Michelangeli Rosa Foggi, da Serva Giovanni Ceccherini Lorenzo Pani Giulio Baroni Filippo Nencini, caratterista MASCHERE
Bartolommeo Andolfati, Pantalone
Giorgio Frilli, Dottore
Gaspare Mattaliani, Arlecchino, e subalterni
A questo elenco, ne farò succedere uno del 1820, il quale mostra chiaramente il progredire che fece l’arte nel non lungo periodo di circa trent’ anni :
DONNE | UOMINI |
Andolfati Natalina | Andolfatti Pietro |
Garofoli Giuseppa | Andolfatti Giovanni |
Pollina Margherita | Garofoli Luigi |
Cappelletti Laura | Cavicchi Giovanni |
Cavicchi Carlotta | Carraro, Giovanni |
Bonsembiante Bianca | Bonuzzi, Francesco |
Maldotti Adelaide | Bonsembiante Giovanni |
Maldotti Marietta | Maldotti Ermenegildo |
Lensi Anna | Cappelletti Gaetano |
Astolfi Marianna | Astolfi Giuseppe |
Coccetti Antonio | |
Maldotti Eugenio | |
Andolfatti Luigi | |
Nastri Leopoldo | |
Astolfi Tommaso, suggeritore | |
Tommaselli Luigi, macchinista |
La Compagnia recitava a Bologna all’Arena del Sole, di giorno, e al Teatro del Corso, di sera ; e aveva cibo conveniente ai due palati. Là, ad esempio, Dibattimento e condanna di Giovanni Stella e compagni, emanata dal Tribunale residente in Padova, di ignoto autore, Il Corvo del Gozzi, Gustavo Wasa, ecc. ecc. ; qua Le Nozze di Figaro, il Vanaglorioso, il Tartuffo, ecc. ecc.
Ed ora, come curiosità teatrale e rarità bibliografica, presento al pubblico il prologo e V addio recitati (probabilmente dall’Anna Andolfati, moglie di Pietro e prima attrice allora della Compagnia) alla presenza delle LL. AA. RR. nel Teatro della Real Villa del Poggio a Cajano, in occasione delle rappresentanze fattevi nell’autunno 1791.
PROLOGO
Per goder frà le selve almo ristoro,Scender sovente dall’Olimpo i NumiVide già la felice Età dell’ Oro.Allor di puri e placidi costumiL’ Uomo informosse, e dolcemente il mèleStillâr le querce, e corser latte i fiumi.Ignote voci fur pianti e querele,Come alle vaghe Pastorelle ignotiDi traditrice i nomi e di crudele.Formava il cuore, ed accoglieva i votiLo schietto cuor, che allora il labbro aveaInterprete fedel de’ proprj moti.Ma, dei Numi al partir, l’età più reaSuccesse, e fe men delle Selve amantiLe Ninfe, e incerto il lor pensier volgea.Allor seguendo i più fallaci incanti,Lasciò, sedotto, il Pastorel l’Armento,Sperando alla Città ricchezze e vanti.E pur ora frà Voi ben cento e centoSaran, cui forse la Cittade appareUnica sede dell’ uman contento.Oh beate Campagne ! oh Selve care !Ecco, schiudonsi a voi, sù finte scene.Della ricca Città le sorti avare.Venga il Pastore a rimirar quai peneIl Cittadino petto in se racchiude,Col van desio d’immaginario bene !Venga la Ninfa a contemplar le crudeDi Cittadino amor vicende amare,E il timor cieco e le speranze nude !Venite ; e (di follie si varie, e rareAll’aspetto impensato) alto gridateOh beate Campagne ! Oh Selve care !Lieti ne’ patrj boschi indi restate,Ove porge virtude al cuor ristoro,Ove scender di nuovo oggi mirateI Numi a ricondur l’Età dell’Oro.
ADDIO
Ecco (misera me !) quel di che reaSorte prepara a ogni contento umano,Quel di che tanto il mio desir lontano,E si vicino il mio timor facea.Dell’età pastorale al dolce incantoQuesto di si fatal toglier ne debbe !Addio Ninfe, Pastori. E chi potrebbeFrenar, nel dirvi Addio, sul ciglio il pianto ?Qui puri vezzi e candida innocenza,Qui del Mondo primier gli aurei costumi,Qui l’alme ne rapia dei sommi Numi,Sotto spoglia mortal, l’alta presenza.Qui le follie della Cittade e il fastoPotè meglio ritrarre Arte gradita :Tanto pregio ne accrebbe il bel contrastoDi questa Pastoral tranquilla vita !Dei plausi vostri al lusinghiero vanto,Fatto di sè maggior, tant’ oltre crebbe,Qui, di Noi forse alcuno. E chi potrebbeFrenar, nel dirvi Addio, sul ciglio il pianto ?Oh, almen, calma porgesse al cuore afflittoDi riederne la speme a questo lido,Come lieta rivola al caro nidoLa Rondinella dall’antico Egitto !Oh, dato almen fosse co’ voti il giornoAffrettar che ne renda a voi dinante !Potria la cara idea di un bel ritornoQuesto ricompensar crudele istante.Ma, Oh Dio ! Chi sa se viva e cara tantoBrama di Noi quivi sperar si debbe !E, in dubbio si funesto, e chi potrebbeFrenar, nel dirvi Addio, sul ciglio il pianto ?Ninfe, Pastori, Addio. Fiorisca lietaA voi d’intorno eterna Primavera,Piovan su voi, dalla superna sfera,Fausti gli influssi del maggior Pianeta.Quando avverrà che sotto umano veloQualche Nume talor fra voi si assida,Del più dolce seren diffuso ridaSulle amene Campagne il puro Cielo.Qui la Partenopea vivace Fronda,Che alta ventura al Tosco Giglio unio,Goda placida sempre aura seconda,E il Giglio eccelso…. Ah ch’Io mi perdo ! Addio.Addio Ninfe, Pastori. A voi soltantoIl timido mio dir volger si debbe,Ed ai Numi non già. Sembrar potrebbeForse ardito coi Numi ancora il pianto.