(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [A] — article » pp. 42-49
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [A] — article » pp. 42-49

Andolfati Pietro, milanese, e figlio de’ precedenti, studiò da avvocato per desiderio dello zio prete, citato più su, ma poi volle seguire la professione de’ suoi genitori. Fu un buon amoroso, e recitò applauditissimo nella Compagnia di Pietro Rossi e in quella di Giovanni Roffi di Firenze, dove con molto onore recitava ancora tra l’ 80 e l’ 81. Colà restò poi come direttore del R. Teatro di Via del Cocomero (oggi Niccolini). Scrisse tragedie e commedie, altre ne tradusse dal francese e dallo spagnuolo ; altre ancora, del Goldoni, ridusse malauguratamente in prosa dall’originale in versi. Il signor De Bastide indirizzò all’Andolfati, mentre dirigeva il Cocomero, una lettera, nella quale si discutevan queste tre leggi per un direttor di teatro : « 1. Bisogna guardarsi d’ offendere il gusto del pubblico. — 2. Bisogna sforzarsi di perfezionarlo. — 3. Bisogna aver paura che il gusto languisca. » A lui rispose l’Andolfati con lettera pubblicata per le stampe nel 1792, nella quale sono le stesse lagnanze, le stesse ragioni di oggidì : cita il caso frequente di commedie magnificate dagli attori e alla rappresentazione cadute per non più rialzarsi ; rimette in ballo la questione delle repliche, e raffronta, al solito, la Francia coll’Italia, annoverando i vantaggi di quella e le condizioni poco liete di questa ; e infine gli dà con molta sottigliezza una stoccata non lieve con le seguenti parole che riproduco testualmente :

« Voi mi avete gentilmente prescelto per esporre con la mia compagnia qualche vostra produzione, che sarà certamente conforme alle rispettabili leggi, che vi compiaceste accennarmi : tutta l’ attività de’ miei attori, qualunque ella si sia, verrà impiegata per l’ esecuzione la più scrupolosa, avvalorata dall’ istruttiva vostra comunicativa ; desidero che corrisponda l’esito alle vostre ed alle mie brame : — a voi, per non aver saputo offendere il gusto del pubblico — per prender maggior vigore a perfezionarlo — e acciò non si tema che egli languisca — a me, per aver potuto sotto la vostra scorta contribuire a sì desiderabili conseguenze. »

Si recò a Milano per dirigervi l’Accademia filodrammatica, e vi ebbe, come istruttore, moltissimi onori : il ritratto che presentiamo a’ nostri lettori fu disegnato dal vero, in quell’epoca, dal Locatelli. Dall’amore dell’arte militante fu ricondotto vecchissimo sul teatro, e morì in miseria, dice il Regli (op. cit.), nella Compagnia drammatica di suo figlio Giovanni. « Nel 1788 — scrive Benedetto Croce ne’ suoi Teatri di Napoli (Ivi, Pierro, 1891) — venne una nuova compagnia di comici lombardi, capo Giuseppe Grassi veneto, che già era stato a Napoli. Ne facevano parte gli uomini : Pietro e Giovanni Andolfati, ecc. ecc., e le donne : Gaetana ed Angiolina Andolfati, ecc. ecc. » Dall’elenco si capisce come Pietro fosse il primo attore e la Gaetana la prima attrice. Nulla sappiamo dell’Angiola. Il Bartoli non cita che due sorelle Andolfati, comiche : la Francesca e la Gaetana. In altro elenco, che riproduciamo in fine, troviamo oltre all’Anna, la moglie, che è innanzi alla Gaetana, anche una Antonia Andolfati, della quale non ho potuto trovare alcun cenno, e che non so bene se essere una sorella o una figlia di Pietro. In detto elenco figura il padre Bartolommeo come Pantalone. Quanto all’anno 1788 segnato dal Croce, qualcosa rimane a verificare, poichè l’Andolfati stesso nella citata lettera in risposta al signor De Bastide colla data del ’92, dice : « …. ciò intanto, di cui accerto il mio rispettabilissimo pubblico fiorentino che da dodici anni pazientemente mi soffre, si è, che più mi sta a cuore la di lui cara grazia, che qualunque oggetto di vanità, e d’ interesse. » Come dunque c’entra il 1788 di Napoli, se l’Andolfati nell’ 80 andò a Firenze, ove trovavasi ancora nel ’92 ?…

Nelle prefazioni alle sue rappresentazioni teatrali stampate a Firenze nel ’91 e dedicate all’Illustrissima Accademia del R. Teatro degl’ Infuocati, egli accenna all’ indole sua piuttosto viva :…. facile alle commozioni di ogni specie, ma più soddisfatto del pianto che del riso…. piuttosto iracondo e sprezzante contro chi non pensasse a suo modo…. Parlando del Calderaio di S. Germano, commedia spagnuola di Zavara e Zamora da lui tradotta, egli dice : « Questa commedia ha sortito un esito felicissimo ; e fu appunto questo esito che indusse un vivace talento a carpirla a memoria, e darla contemporaneamente ad altra Compagnia, per il che fui da una incauta violenza di temperamento, che arrossendo condanno, trasportato a…. un denso velo sopra il passato. »

Gli dedicò il comico Bartoli per la sua tragica rappresentazione Le glorie della Religione di Malta il seguente sonetto :

Se de’ Maltesi Eroi su finte scene
le gesta vittoriose esprimi e mostri,
or ben vegg’io che ne’ tuoi dotti inchiostri
evvi quanta in piacer arte conviene.
E come l’ottomano ardir si affrene
da Enrico e l’empia rabbia di que’ mostri
fai scorger chiaro, e come il sangue inostri
le navi, l’onde e le gloriose arene.
Pietro, son queste del tuo ingegno l’opre.
Ci fai parer il finto e vivo e vero,
quando di legni il mar tutto si copre.
Però sia encomio tuo giusto e sincero :
l’arte che tutto fa nulla si scopre
nel dir, negli atti, e nel valor guerriero.

L’ Elisabetta Caminer Turra, la nota traduttrice teatrale, ne fa l’elogio nel Giornale Enciclopedico (Vicenza, gennaio [e non febbraio, come cita il Bartoli] 1780. Tomo I, Num. 7, pag. 97-102) a proposito della suddetta tragedia, e occupandosi dell’attore sol di sfuggita. Essa prelude al suo articolo con queste parole : « il giovane attore che compose questa rappresentazione merita i nostri elogi e gl’ incoraggiamenti del Pubblico, il quale avvezzo ad applaudire a’ suoi non ordinarj talenti nell’ arte del declamare, potrà, s’ egli non si stanca d’ impiegarli eziandio nello scrivere, dovergli dei drammi, pei quali anche il Teatro italiano conti un autore fra’ suoi attori. » E dopo avere esaminata e magnificata l’opera, trascrivendone un brano, riportato poi a sua volta dal Bartoli stesso nelle sue Notizie de’ Comici italiani, conclude : « noi non possiamo se non consigliar questo giovane autore a proseguire la carriera dello scrivere, in cui può avanzarsi cotanto per avventura, quanto non ha fra Comici italiani e difficilmente può avere chi lo superi nel sostenere le Parti più ardue ed interessanti, e nel produrre quell’ illusione impegnante ch’è la sola prova della perfezione. »

Ecco l’elenco su citato :

SIGNORE SIGNORI
Anna Andolf ati Pietro Andolfati
Gaetana Andolfati Luigi Delbono
Antonia Andolfati Giovanni Delbono
Maddalena Nencini Gaetano Michelangeli
Rosa Foggi, da Serva Giovanni Ceccherini
Lorenzo Pani
Giulio Baroni
Filippo Nencini, caratterista

MASCHERE

Bartolommeo Andolfati, Pantalone

Giorgio Frilli, Dottore

Gaspare Mattaliani, Arlecchino, e subalterni

A questo elenco, ne farò succedere uno del 1820, il quale mostra chiaramente il progredire che fece l’arte nel non lungo periodo di circa trent’ anni :

DONNE UOMINI
Andolfati Natalina Andolfatti Pietro
Garofoli Giuseppa Andolfatti Giovanni
Pollina Margherita Garofoli Luigi
Cappelletti Laura Cavicchi Giovanni
Cavicchi Carlotta Carraro, Giovanni
Bonsembiante Bianca Bonuzzi, Francesco
Maldotti Adelaide Bonsembiante Giovanni
Maldotti Marietta Maldotti Ermenegildo
Lensi Anna Cappelletti Gaetano
Astolfi Marianna Astolfi Giuseppe
Coccetti Antonio
Maldotti Eugenio
Andolfatti Luigi
Nastri Leopoldo
Astolfi Tommaso, suggeritore
Tommaselli Luigi, macchinista

La Compagnia recitava a Bologna all’Arena del Sole, di giorno, e al Teatro del Corso, di sera ; e aveva cibo conveniente ai due palati. Là, ad esempio, Dibattimento e condanna di Giovanni Stella e compagni, emanata dal Tribunale residente in Padova, di ignoto autore, Il Corvo del Gozzi, Gustavo Wasa, ecc. ecc. ; qua Le Nozze di Figaro, il Vanaglorioso, il Tartuffo, ecc. ecc.

Ed ora, come curiosità teatrale e rarità bibliografica, presento al pubblico il prologo e V addio recitati (probabilmente dall’Anna Andolfati, moglie di Pietro e prima attrice allora della Compagnia) alla presenza delle LL. AA. RR. nel Teatro della Real Villa del Poggio a Cajano, in occasione delle rappresentanze fattevi nell’autunno 1791.

PROLOGO

Per goder frà le selve almo ristoro,
Scender sovente dall’Olimpo i Numi
Vide già la felice Età dell’ Oro.
Allor di puri e placidi costumi
L’ Uomo informosse, e dolcemente il mèle
Stillâr le querce, e corser latte i fiumi.
Ignote voci fur pianti e querele,
Come alle vaghe Pastorelle ignoti
Di traditrice i nomi e di crudele.
Formava il cuore, ed accoglieva i voti
Lo schietto cuor, che allora il labbro avea
Interprete fedel de’ proprj moti.
Ma, dei Numi al partir, l’età più rea
Successe, e fe men delle Selve amanti
Le Ninfe, e incerto il lor pensier volgea.
Allor seguendo i più fallaci incanti,
Lasciò, sedotto, il Pastorel l’Armento,
Sperando alla Città ricchezze e vanti.
E pur ora frà Voi ben cento e cento
Saran, cui forse la Cittade appare
Unica sede dell’ uman contento.
Oh beate Campagne ! oh Selve care !
Ecco, schiudonsi a voi, sù finte scene.
Della ricca Città le sorti avare.
Venga il Pastore a rimirar quai pene
Il Cittadino petto in se racchiude,
Col van desio d’immaginario bene !
Venga la Ninfa a contemplar le crude
Di Cittadino amor vicende amare,
E il timor cieco e le speranze nude !
Venite ; e (di follie si varie, e rare
All’aspetto impensato) alto gridate
Oh beate Campagne ! Oh Selve care !
Lieti ne’ patrj boschi indi restate,
Ove porge virtude al cuor ristoro,
Ove scender di nuovo oggi mirate
I Numi a ricondur l’Età dell’Oro.

ADDIO

Ecco (misera me !) quel di che rea
Sorte prepara a ogni contento umano,
Quel di che tanto il mio desir lontano,
E si vicino il mio timor facea.
Dell’età pastorale al dolce incanto
Questo di si fatal toglier ne debbe !
Addio Ninfe, Pastori. E chi potrebbe
Frenar, nel dirvi Addio, sul ciglio il pianto ?
Qui puri vezzi e candida innocenza,
Qui del Mondo primier gli aurei costumi,
Qui l’alme ne rapia dei sommi Numi,
Sotto spoglia mortal, l’alta presenza.
Qui le follie della Cittade e il fasto
Potè meglio ritrarre Arte gradita :
Tanto pregio ne accrebbe il bel contrasto
Di questa Pastoral tranquilla vita !
Dei plausi vostri al lusinghiero vanto,
Fatto di sè maggior, tant’ oltre crebbe,
Qui, di Noi forse alcuno. E chi potrebbe
Frenar, nel dirvi Addio, sul ciglio il pianto ?
Oh, almen, calma porgesse al cuore afflitto
Di riederne la speme a questo lido,
Come lieta rivola al caro nido
La Rondinella dall’antico Egitto !
Oh, dato almen fosse co’ voti il giorno
Affrettar che ne renda a voi dinante !
Potria la cara idea di un bel ritorno
Questo ricompensar crudele istante.
Ma, Oh Dio ! Chi sa se viva e cara tanto
Brama di Noi quivi sperar si debbe !
E, in dubbio si funesto, e chi potrebbe
Frenar, nel dirvi Addio, sul ciglio il pianto ?
Ninfe, Pastori, Addio. Fiorisca lieta
A voi d’intorno eterna Primavera,
Piovan su voi, dalla superna sfera,
Fausti gli influssi del maggior Pianeta.
Quando avverrà che sotto umano velo
Qualche Nume talor fra voi si assida,
Del più dolce seren diffuso rida
Sulle amene Campagne il puro Cielo.
Qui la Partenopea vivace Fronda,
Che alta ventura al Tosco Giglio unio,
Goda placida sempre aura seconda,
E il Giglio eccelso…. Ah ch’Io mi perdo ! Addio.
Addio Ninfe, Pastori. A voi soltanto
Il timido mio dir volger si debbe,
Ed ai Numi non già. Sembrar potrebbe
Forse ardito coi Numi ancora il pianto.