Altavilla Pasquale. Attore napoletano popolarissimo. Rappresentava le
parti di servo sciocco, al S. Carlino, nel 1835,
ove era
ancora nel 1847, al fianco di Salvatore Petito e di Serafina Zampa. Poco dopo, di attore
egli si era, come il Cammarano e lo Schiano, mutato in autore. La sua prima commedia
scrisse nel 1834 : ma come autore, pare avesse davvero un nome assai maggiore del
merito. Traeva le sue commedie dalla cronaca giornaliera, attorno alla quale egli
ricamava favole intricatissime, chiassone, quasi direi acrobatiche, a cui faceva il
pubblico le più matte risate. Ma quei successi rumorosi che avevano stabilita la fama
dell’autore non dovevano nè potevano essere di troppa durata, poichè letterariamente le
sue commedie valevan poco o punto…. A lui non importava de’ posteri : egli voleva
campare onoratamente la sua numerosa famiglia, e togliere momentaneamente il suo
pubblico dalla musoneria ; e vi riuscì compiutamente. Come attore, invece, egli avrebbe
diritto ad uno studio accurato che ne rivelasse le alte doti. Egli era il vero artista
del momento : spigliato, arguto, di vena inesauribile. La Moda del
’48, dando il resoconto della riapertura del S. Carlino, colla Compagnia rifatta,
impresario Silvio Maria Luzzi, chiama l’Altavilla « attore
valentissimo nelle parti di carattere, che con le sue grazie, con i suoi epigrammi
ci muove al riso e fa dimenticarci della tristezza di che è circondata la
vita. »
Passò poi, sempre col Luzzi, nel ’64 alla Fenice, e di qui al Nuovo. Nel ’72, richiamato un giorno da
un’inquilina del piano superiore mentre scendeva le scale, si volse a risponderle : ma,
sciaguratamente, messo un piede in fallo, cadde, e morì in capo a tre o quattro giorni
per commozione addominale e cerebrale. (Cfr. S. Di Giacomo, op.
cit.).
Alvarotto Marco Aurelio. Rappresentava nella Compagnia di
Angelo Beolco detto il Ruzzante (prima metà del secolo xvi)
le parti di Menato, contadino arguto, francone, che snocciola
parolaccie come gli vengon dal cuore, senza metterci su nè sale nè pepe. A Ruzzante che
torna dal campo, dice : « Vagnìu adesso adesso de campo : si vu stò
amalò ? o in preson ? Haì una mala ciera, compare ! A parì un de’sti traditoròn.
Perdonéme, compare, à hè vezù cento apicché, che n’ha sì mala ciera con haì vu. A no
dighe, compare, intendì vu ? che abbiè mala ciera de omo, intendì vu ? Mò que a sì
spelatò marzo al fumo. Cancaro à ghe, n’aì bu ’na stretta da can. »
A
Ruzzante che nell’Anconitana, dopo aver cantato gli dice :
« Caro frello, cantane un’altra ; e nu dà cantémola in quattro,
mi solo a cantare ben pre dù, ecc. ecc. »
risponde : « al sangue de cancaro, la sarà ben bella, chi poèsse fare, que na vacca
tirésse per dù, e un pan fesse per quattro ! »
Ma notevole è la
schietta semplicità del monologo con cui egli apre la Moschetta, e in
cui si lamenta con sè stesso, per essersi innamorato come mai non avrebbe dovuto della
comare : « Putana mo del viver, mo a son pur desgratiò, a crego ch’a
foesse inzenderò, quando Satanasso se pettenava la coa : a dir ch’ a n’ habbi me
arposo, ne quieto, pi tromento, pi rabiore, pi rosegore, pi cancari, c’haesse me
Christian del roesso mondo ; mo l’è pur an vera, Menato, cancar’ è ch’ a l’ è vera,
ma a dire an la verité, a no m’ he gnian da lumentare lome de mè, perquè a no me
diea mè inamorare in tuna mia comare con hè fatto, ne cercar de far becco un me
compare : che maletto sea l’amore, e chi l’ ha impolò, e so pare, e so mare, e la
puttana on l’ è vegnù ancuò. Me gh’ hal mo tirò a Pacca, e si hè lago buò, vacche,
cavalle, piegore, puorci, e scroe, con tutto, per venir on ve mo ? Drio na femena ;
a far que po’ ? Gniente. Ch’ a no farè gniente !… Poh, oh…. »
A Messer Alvarotto è indirizzata la lettera del Ruzzante, colla quale si chiude il volume delle sue opere, e nella quale è descritta una visione in lingua rustica, piena di allegorie e di argute osservazioni. (Tutte le opere delfamosissimo Ruzante, ecc. Vicenza, Greco, 1584).
Amadei Lodovico. Nella lettera dedicatoria al molto magnifico ed onorando signor Gio. Giacomo Giuliani, in data 23 gennaio 1606, che sta in fronte alla Donna costante, commedia di Raffaello Borghini, l’Amadei dice : facendo io ora ristampare la commedia chiamata la Donna costante, essendo questo uno de’frutti della mia professione, ecc. ecc. È questa la sola notizia che abbiamo dell’Amadei comico. …. ?