Aliprandi-Pieri Emilia. Figlia dei precedenti e moglie di Vittorio Pieri. Nata a Torino, recitò coi genitori parti di bambina, poi fu lasciata per la sua istruzione a Trieste presso una famiglia di amici. Ne fu tolta ancor giovinetta, e in una permanenza di sei mesi a Firenze recitò per la prima volta nella Società Antologica, diretta da Giacomo Frascani ; quella recita segnò il primo suo passo nell’arte, poichè da allora continuò sempre a recitare co’Suoi, allargando a poco a poco il suo ruolo, e con esso procacciando a sè incoraggiamenti e lodi. Il giurì drammatico di Milano le conferì il premiò di primo grado e con ragione ; poichè l’Emilia era tra le giovani una delle più forti promesse. Nel 1882 sposò l’attore brillante Vittorio Pieri, e nell’ 83, abbandonati per la prima volta i Suoi, andò col marito nella Compagnia drammatica di Alamanno Morelli, nella quale esordì come prima attrice. Nell’ ’84-’85-’86 venne al marito la malaugurata idea di condurre una Compagnia, della quale ella fu la prima attrice. Continuò nell’ 87-’88 nella Compagnia in società con Cesare Vitaliani e Angelo Vestri ; fu poi scritturata assieme al marito nella Compagnia di Ernesto Rossi, e finalmente in quella diretta da Virginia Marini. L’Emilia, anzi l’Emilietta Aliprandi, come la chiamano ancora con vezzo gli amici, non fu in alcun modo, mai, quel che si chiama un’attrice fortunata. Si direbbe anzi che il genio cattivo si fosse divertito a perseguitarla, non foss’altro per isfogare in qualche modo l’invidia destatagli dalla infinita bontà ond’ella è ornata. Fu attrice correttissima, semplice, studiosa ; di nessuno spolvero, ma simpatica sempre.
Allori Francesco detto Valerio, e Francesca detta Ortensia. In nessuno, ch’io mi sappia, nè antico scrittore, nè moderno, si trova citato il nome di questi comici. Il Bertolotti soltanto (op. cit.), a pag. 113, dopo di avere accennato a concessioni di famigliarità e passaporti e patenti a vari comici e cantanti dal 1680 al 1684, scrive : « anche prima vi sono lettere di Francesca Allori, detta Ortensia, comica. »
Il Sand (op. cit.), dopo avere detto semplicemente che il ruolo di Ortensia era quello di servetta, come l’Olivetta, la Nespola, la Francischina, ecc., dice, al proposito di Valerio (I, pag. 331) :
Nel 1660, essendo la Compagnia italiana definitivamente stabilita a Parigi, il Cardinale fece venir d’Italia un primo innamorato, il quale colmasse il vuoto lasciato dal valente Marco (?) Romagnesi, detto Orazio. L’attore in parola aveva il nome di teatro, Valerio, e copri quel ruolo sino al 1667.
E i fratelli Parfait (op. cit., pag. 55) sotto il nome di Valerio, scrivono :
Questo attore che non ci è noto se non col suo nome di teatro, parve aver succeduto a N…. Romagnesi (Orazio). Lo si vede prender parte nella nona comparsa del Ballet des Muses, rappresentato il 2 dicembre 1666, e in qualche commedia. A ogni modo abbiamo ogni buona ragione di credere che Valerio lasciasse il teatro nel 1667, sostituito dal secondo amoroso Andrea Zanotti bolognese, del quale prese il posto Marco Antonio Romagnesi, esordiente alla Commedia italiana.
Ma ormai è accertato (cfr. Jal, Dictionnaire critique de Biographie et d’Histoire, Paris, 1872 ; e Campardon, op. cit.), che il Valerio sconosciuto al Sand e ai Parfait era il modenese Giacinto Bendinelli o Bendinely, come si trova scritto nel suo atto di matrimonio colla Poulain ; o Bandinelli, come egli nel medesimo atto si sottoscrive.
Dell’Allori dunque, che pel suo ufficio non poteva esser da vero attore mediocre, nulla.
Di lui e della Francesca posseggo due lettere autografe che riproduco ridotte di un quarto, nelle quali sono, come il lettore vedrà, notizie di non poco interesse. La prima è diretta al Molto Ill.mo Sig. Stefano Modanese a Ferrara, e la seconda, quella dell’Ortensia, non ha indirizzo.
A queste due tengon dietro le sei non meno interessanti, che debbo alla squisitezza del cav. Stefano Davari, direttore dell’Archivio storico Gonzaga di Mantova, dalle quali si vede chiaro come l’Allori fosse non solo attore, ma anche autore e direttore della Compagnia, per ragione forse della Francesca, l’Ortensia, che in una lettera del Truffaldino, Carlo Palma, è chiamata buona comica, e indicata al Ministro del Duca di Mantova, per giudicare dei meriti di un capitano da scritturarsi, certo Federico Beretta.
L’Ortensia era, senza dubbio, la moglie dell’Allori, giacchè per la putta sempre ricordata si vede chiaro doversi intendere la figliuola Settimia, maritata, della quale è cenno nella lettera di lui riprodotta autograficamente. È strano però che il marito saluti il ministro in nome della putta, senza mai accennare alla moglie, che per di più era la Prima Donna della Compagnia.
Non è cosa tanto facile rintracciare le sue lettere annunciate dal Bertolotti, essendo stata la notizia buttata là senza indicazioni di sorta.
A queste lettere mancano gl’ indirizzi ; ma sono dirette ai Ministri del Duca di Mantova.
Dimani faciamo l’ultima comedia qui in Padova e la settimana ventura mi porterò a Vicenza con tutta la compagnia, havendo già l’Ill.mo S.r Conte Marcho Negri ottenuto da quelli Ecc.mi Rettori la licenza et il Teatro ; porto a V. S. Ill.ma l’avviso, qui si sta in pace ne vi è tra di noi pure una parola, resta solo la cità un poco disgustata perchè il Dottore non ha voluto far la sua pazzia. Questo gli lo scrivo confidentemente ; lui dice che non l’ha fatta per dubio di non si amalare per una sua indispositione, intanto havendo io posto fin un opera nova per render più diligenti questi compagni a impararla, suplico V. S. Ill.ma a portarmi il comando d’ordine di S. A. S. che deva portar a Mantua almanco due o tre opere nove che cosi si impararano più presto. V. S. Ill.ma se lo ricordi perchè mi preme assai venire a Mantova con qnalche cosa di novo, non ho che agiungere e con la mia putta riverentiss.º me l’inchino.
Il guadagno di Padua è stato di tre mila lire settecento a parte.
Al ultima di V. S. Ill.ma risposi prima si finisse il Carnevale, e perchè in quella mi accennò che S. A. S. non voleva che la compagnia andasse a Napoli, et che le piazze dove si dovrà recitare il venturo ano sono già state destinate dall’A. S., sono a suplicarla a darmene qualche motivo, aciò sappia come regolarmi, perchè dovendo io portarmi a Bologna, fra pochi giorni, caso che si havesse d’andare a Padova o per lo Stato veneto, come mi giova di credere, lascierei parte della mia robba qui in Venetia. Qui sono finite le recite con bonissimo guadagno et aplauso universale, et quello che più importa con bonissima concordia fra di noi, et se pure vi è stata qualche cosa, ho procurato con la mia flemma di superar tutto, aciò che S. A. S. et V. S. Ill.ma habiano richiami, et perchè potrebbe essere che alcuno havesse qualche pretensione irragionevole li rendo motivo a ciò sappia come contenersi, et in particolare nell’interesse della borsa a non vi metter la mano, e sopra a tutto a tenerci lontano da Milano, perchè quella cità è la ruina de comici. E perchè forsi qualcheduno de comici pensa di fare il padrone, a questo dico che non voglio riconoscere altro padrone che il Ser.mo S.r Duca e V. S. Ill.ma, et quelle cose che si espettano a me come primo moroso non intendo che alcuno mi metta il piede avanti, non ho che agiungere e riverentiss.º me l’inchino a sieme con la mia putta.
Il Sig.r Federico Beretta detto il Capitano, che l’Ill.mo Sig.r conte Residente fece obligare in scrittura al servitio del S.mo padrone per la nostra compagnia, si ritrova di presente in Venetia, et desidera sapere quello ha da esser di lui, mi ha pregato che io ne dia parte a V. S. Ill.ma, et io lo faccio volontieri per servire S. A. S., et perchè la nostra compagnia ne ha bisogno, et il Sig.r Truff.no in particolare per la sua parte et per i travestimenti spagnoli ne è oltre modo desideroso che sia in compagnia, perchè il figlio di pantalone per queste parti non è bono, et poi ha tanto poca fortuna da per tutto che la compagnia patisce pur assai. Sup.co dunque V. S. Ill.ma a darmi qualche risposta in questo particolare aciò possa consolarlo questo Giovane, et non havendo che sogiungere, riverentis.º me l’inchino con la mia putta.
Il Sig.r Capitan Beretta sarà da me impiegato in quello conoscerò profitevole per il bon servitio di S. A. S. et della compagnia, io partirò presto per Bologna colà starò atendendo i comandi di V. S. Ill.ma, et a quelli sarò sempre riverentissimo, in tanto sono suplicarla a suplicare in mio nome il S.mo Padrone di una lettera di raccomandatione al S.r Card.le legato di Bologna per una mia lite. Il S.r Truff.no doppo haver quasi perso il cervello dietro alli suoi inbrogli partirà per questa volta, dal quale intenderà più a lungo li interessi della compagnia, et io a lui mi riporto, spera dalla benignità di S. A. S. di restar allevato, dice che sempre a V. S. Ill. conserverà l’obligatione, e riverent.mo me l’inchino con la mia putta.
Starò qui in Venetia sin venerdì pross.º venturo per sapere dove deve la compagnia deve principiare, et a qual parte deve incaminarsi, come nella sua mi accenna, giacchè la mia putta sta assai bene et è in stato di potersi mettere in viaggio, la prego dunque a portarmene l’avviso aciò possa parteciparlo ad Oratio e pantalone che qui si ritrovano, et doppo partirmi subito per bologna, dove per miei interessi mi converrà trattenere al mancho otto giorni, non ho che agiungere se non supplicarla di novo per lettera di Ferrara per la Gabella, et augurando insieme con la mia putta a V. S. Ill. felicis.e le feste della S.ma Pasqua, devot.mo me le inchino.
Ricevo la cortesiss.ª sua con l’anessa per la Gabella di Ferrara, rendo a V. S. Ill.ma infinitiss.e gratie. Le piazze destinate da S. A. S. alla nostra compagnia, Brescia è bona e vi anderemo volentieri, Vicenza non fa per noi, essendoci noi stati tre anni in fila, et vi ci siamo morti di fame, tutta quando doppo Brescia non si potrà haver altra piazza ne procuraremo una noi medemi. La verità di quanto li scrivo li sarà autenticata dal S.r Truff.no, circa poi che dice il S.r Carlo di non poter più recitar, io mi rimetto all’Autorità et comandi del S.mo padrone e di V. S. Ill., so bene che se potessi ancor io dire non voglio più recitare, con sodisfatione di S. A. S., et che mi fusse concesso mi sarebbe oltre modo caro, non soggiungo altro perchè scrivo a chi molto intende. Parto per Bologna lunedi pross.º venturo, colà starò attendendo i suoi pregiatiss.i comandi, et non havendo che soggiungere, a sieme con la mia putta riverentis.º me l’inchino.
Chi fosse il Dottore citato dall’Allori, che con iscusa pare di malattia non voleva recitare in una fatica particolare, non so dire. Il Dottore vivente a quell’epoca e a noi noto sin qui era il Lolli ; ma egli, recatosi a Parigi nel 1653 per assumere nella Compagnia italiana la maschera di Dottor Baloardo, tornò in Italia, non so in che anno (nel’58 era certamente a Roma, come si vede ai nomi di Lolli e Bandinelli) per poi restituirsi una seconda volta a Parigi, ove e precisamente nel ’70, fece rappresentare una comedia intitolata Il Gentiluomo campagnuolo, ovvero Gli stravizzi di Arlecchino.
Forse nel ’74 fu ancora in Italia, e andò una terza volta a Parigi, dove si trovava il 21 dic. ’78, testimonio a un battesimo, e dove fattosi naturalizzar francese il giugno ’83, morì nel 1702 ?
Noto incidentalmente che a Roma nel 1658 era con lui nel distretto della Parrocchia di S. Pietro, anche Carlo Palma, il Truffaldino menzionato nelle lettere dell’Allori.
Nè di codesta Pazzìa mi resta a dire alcun che di preciso. La pazzìa del Dottore era un Caval di battaglia dell’attore, come quella d’Isabella di F. Scala, o di Pantalone d’Incerto Autore. (V. Allacci, Drammaturgia). Due son le Pazzìe del Dottore a me note : quelle sotto il titolo anche di Invidia in Corte, d’Incerto Autore (il Dottore si chiama Scatolone, ed è primo Consigliero del Re di Siviglia) ; e quelle sotto il titolo di Nuove pazzìe del Dottore, di Simon Tomadoni, stampate a Venezia nel mdclxxxix da Domenico Lovisa. (V. Bianchi (De) Ludovico).