(1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome V « LIBRO VII. Teatro Francese ne’ secoli XVII e XVIII — CAPO VII. Della vera commedia Francese e dell’Italiana in Francia. » pp. 144-176
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(1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome V « LIBRO VII. Teatro Francese ne’ secoli XVII e XVIII — CAPO VII. Della vera commedia Francese e dell’Italiana in Francia. » pp. 144-176

CAPO VII.
Della vera commedia Francese e dell’Italiana in Francia.

I.
Commedia Tenera.

La tragedia grande o domestica si prefigge di eccitare il pianto, ed esclude ogni riso: la commedia ride più e meno e in diversi modi, e non esclude certo pianto. Se voi fate una tela lugubre di persone private che ecciti il terrore, producete la tragedia domestica o cittadina: se a tal favola frammischiate alcuni tratti comici, cadete nella sempre riprensibile alleanza del pianto e del riso della commedia lagrimante che distrugge l’unità dell’interesse contro l’oggetto del poeta: se le comiche dipinture non contrastano con situazioni terribili, ma servono a dar moto a’ dilicati interessi famigliari ed a quel patetico che nasce dalle amorose debolezze combattute dagli eventi, voi spogliate la commedia lagrimante de suoi difetti, e la rendete una lodevole commedia tenera. Adunque quest’ultima specie di commedia presenta tutti i vantaggi della sensibilità posta in tumulto nelle favole lagrimanti, ma ne sfugge gli eccessi lugubri, l’espressioni da coturno, il tuono di disperazione, i gran pericoli. L’amor tenero e delicato, che degrada quasi tutte le tragedie francesi, ha il suo proprio luogo nella commedia tenera, che non conobbe Moliere, ma che conobbero in Grecia ed in Italia Menandro, Apollodoro, Terenzio, il Caro, l’Oddi, il cavalier Porta nel Moro e nella Sorella. Non sono le lagrime che rendono difettose le favole di Sedaine, Mercier, Falbaire e tanti altri, ma il tuono tragico, i gran delitti, i patiboli. La commedia tenera si contenta della sobria piacevolezza che risulta dalla pittura comica de’ costumi, rigettando la tinta risentita del buffonesco; ed ammette le lagrime delicate, guardandosi dal terrore e dalla sublimità tragica. Tutto ciò dimostra i confini delle specie drammatiche, e fa vedere che la commedia lagrimante è l’abuso e la corruzione della nobile e gentile commedia tenera. Guai al pedante folliculario intento a schiccherar deplorabili colpi d’ occhio

Colla veduta corta d’una spanna,

il quale non sapesse distinguere il pennello dell’autore di Pamela o di Nanina da quello di Sedaine o di Mercier.

Gli autori francesi che a me sembra di essersi contenuti alcune volte in questa specie di commedia senza cadere nella lagrimante, sono la Chaussée, madama di Graffigny, Voltaire e Collet.

Nivelle de la Chaussée nato in Parigi nel 1691 e morto nel 1754 ha maneggiato questo genere qualche volta con felicità. Il suo Pregiudizio alla moda ben dimostra che la commedia può avere certe lagrime senza cangiare la propria natura. Un marito che temendo di coprirsi di ridicolo agli occhi de’ pregiudicati suoi amici col mostrarsi innamorato della propria moglie, incorre nell’altro di voler palesare a lei il suo affetto colla segretezza che esige un amor colpevole, e con ciò cagiona le tenere lagrime della consorte, quest’ argomento, dico, è un vago innesto di costumi correnti, di tenerezza e di piacevolezza comica, che manifesta il pregio della commedia tenera. A torto contro di questo genere si sarebbero scagliati Chassiron, Palissot e Sabatier des Castres, confondendolo col larmoyant e colla tragedia cittadina, se la Chaussée avesse con pari felicità proseguito. Ma la di lui Melanida è una specie di romanzo fondato sul cangiamento di un nome, e troppo lontano dall’ essere commedia, benchè vi si trovi qualche situazione interessante. Il suo Amor per amore è sul medesimo gusto alieno dal vero comico, ma più languido ed a parer mio meno pregevole per aver l’ autore in tal favola voluto valersi delle fate e delle trasformazioni.

Francesca di Graffigny nata in Nansi nel 1695 e morta in Parigi nel 1758 diede al pubblico Cenia sotto il titolo di pièce nouvelle, nella quale imitò la Donna di governo di M. la Chaussée senza uguagliare l’ originale. Non mancando d’interesse ed essendo stata rappresentata assai bene nel 1750, mal grado di essere sfornita di veri colori comici, riuscì mirabilmente, e si è anche recitata e tradotta altrove. In seguito l’autrice diede al teatro, la Figlia di Aristide, del medesimo genere, la quale non ebbe ugual successo felice, perchè, dice Palissot, il tempo dell’indulgenza era passato.

La Pamela del Goldoni tratta dal celebre romanzo di Richardson mosse verisimilmente Voltaire a comporre la sua Nanina commedia tenera in tre atti. Essa si rappresentò nel 1748 la prima volta a Versailles; ma secondo il Giornale straniero del 1755 quando si replicò in Parigi, non vi fu accolta troppo favorevolmente. L’azione è più semplice di quella della Pamela: ha di più il merito di essere bene scritta in versi: i costumi vi sono toccati con franchezza, le passioni dipinte delicatamente: lo scioglimento avviene senza la gran rivoluzione della condizione della fanciulla; perchè Nanina al più si trova figliuola di un soldato nato in una onesta famiglia, là dove il padre di Pamela nella commedia Italiana si scopre signore Scozzese. Contuttociò le passioni hanno maggior forza nella Pamela: il contrasto nel cuore di Milord dell’amore e della nobiltà più vivace e teatrale: i costumi Inglesi più atti a tenere svegliata l’attenzione, specialmente col contrasto del cavaliere viaggiatore pieno di leggerezze. In fatti la Pamela non è ancora invecchiata, e la Nanina non parmi che torni spesso sulle scene francesi.

Carlo Collè segretario e lettore del duca d’Orleans nato in Parigi nel 1709 è uno de’ Francesi che hanno ritenuta la giusta idea della comica giovialità, resistendo alla seduzione del cattivo esempio de’ comici lagrimanti. Nel di lui Teatro di Società vi si trovano varie scene eccellenti. Senza soscrivere a tutte le lodi date dal Palissot alla commedia Dupuis & Des Ronais rappresentata nel 1763, possiamo noverarla tralle commedie tenere non infelici. “Benchè desti (dice il nominato critico) talvolta la tenerezza e le lagrime, per la verità de’ caratteri e per la semplicità degli evenimenti, è questa favola ben lontana da que’ drammi così poco degni di stima che vanno sotto il nome di tragedie cittadinesche e di commedie lagrimanti, pel cui cattivo genere il sig. Collé ha non di rado manifestato disprezzo. Questa favola è nel gusto delle commedie di Terenzio. I sentimenti sono veri, i caratteri ben sostenuti, il dialogo è naturale”. Si scorge da questo passo che il Palissot e il Collé compresero la differenza che passa tralla commedia tenera e la lagrimante. La comprese il Voltaire che compose la Nanina e il Figliuol Prodigo, ed affermava che la commedia può appassionarsi, adirarsi, intenerire, purchè non trascuri poi di far ridere la gente onesta. Comprese questa medesima differenza fin anche Chassiron tesoriere di Francia, il più severo, valoroso ed ingegnoso oppugnatore della tragedia cittadina e della commedia piangente. Egli nella sua dissertazione inserita nel tomo III della raccolta della sua Accademia della Roccella conchiude dicendo che “se in una commedia l’ intenerirsi può talvolta giugnere sino alle lagrime, appartiene unicamente alla passione di amore di farle spandere”. Al contrario non la comprese l’autore de’ Tre Secoli della Letteratura Francese, che non ammette altra specie di commedia se non quella di Moliere, la quale è veramente ottima, ma non la sola pregevole, siccome compruovano quelle di Terenzio. Sabatier des Castres pone nella classe riprovata delle commedie dolorose la Caccia di Errico IV del medesimo Collé. E perchè mai? Che vi ha di lugubre? Forse le lagrime liete e gentili che versa Errico a i discorsi naturali e candidi del contadino? Ma passiamo alle commedie piacevoli prodotte in Francia.

II.
Commedia piacevole.

Dopo i felici seguaci di Moliere del passato secolo Regnard, Brueys e Dancourt, troviamo tra’ buoni comici ne’ primi lustri del nostro Du Fresny nato nel 1648 e morto nel 1724, il quale dopo aver lavorato per l’antico teatro Italiano di Parigi insieme con Regnard, diede al Francese diciotto buone commedie. Nello Spirito di contraddizione che può passare per una delle migliori, e nella Riconciliazione Normanda ed in qualche altra, il sagace osservatore scorgerà maneggiata con arte certa spezie di ridicolo sfuggito al pennello di Moliere. Palissot mostra dispiacere di non vedersi più sulle scene di Parigi il di lui Falso Sincero, ed il Geloso vergognoso d’esserlo, a cui il prelodato Collé fece alcune felici correzioni49. I versi del Du Fresny (dice l’istesso Palissot) cedono in facilità a quelli di Regnard, ma il di lui stile è più puro. Io veggo nelle sue espressioni certo studio non molto occulto di mostrarsi spiritoso, (Nota VII) ond’è che la sua maniera degenera alcuna volta in affettazione, e fa perdere di vista i personaggi palesando il poeta.

Filippo Nericault Des Touches nato in Tours nel 1680 e morto nel 1754, le cui commedie cominciarono a rappresentarsi nel 1710, possiede arte e giudizio, ed anche spirito comico, benchè non possa sostenere il confronto della piacevolezza di Regnard, non che dello stile e delle grazie di Moliere. Instruttiva è la commedia del Dissipatore e di sicura riuscita, e i caratteri vi sono dipinti assai bene: ma si vorrebbe che la di lui rovina venisse affrettata per altri mezzi, e sempre per le di lui inconsiderate prodigalità, anzi che per un giuoco precipitoso di dubbio evento, che poteva eludere i disegni dell’innamorata divenuta scrocca all’ apparenza. Il Vanaglorioso tradotta in toscano dal Crudeli e lodata con distinzione dal Voltaire è l’altra commedia del Des Touches universalmente approvata; non per tanto forse il Palissot non a torto desiderava che il protagonista avesse un tuono più proprio della gente nobile. Il Filosofo maritato presso il medesimo critico passa per un capo d’opera: ma per meritare il nome di filosofo il quale ha vergogna che si sappia ch’egli sia maritato, non si doveano meglio far contrastare i suoi lumi colla forza del pregiudizio, e dal non saperlo vincere trarne un ridicolo più vivace? L’Irresoluto per mio avviso è un carattere errato, equivocandosi talvolta l’irrisoluzione colla pazzia. Moliere avrebbe forse meglio scelti i lineamenti speciali e proprj dell’ irrisoluzione per rendere quella pittura vera e naturale e chiara e per conseguenza piacevole. Nell’Uomo singolare egli copia dalla propria fantasia, o da qualche originale particolare da non poter riuscire importante pel pubblico che nulla v’impara per correggersi, nè prende diletto di un ridicolo non manifesto. Le stravaganze solo potrebbero produrre qualche diletto, qualora quest’uomo singolare non fosse freddo. Egli scrisse anche l’Agnese, i Nipoti ed altre commedie d’ intrigo, ed il Tamburro notturno che viene da una favola Inglese. In generale Des Touches è uno de’ buoni comici della Francia, e qualche sua favola riesce dilettevole, e molte interessanti; ma la piacevolezza non è il pregio caratteristico di questo commediografo.

Cristofano Bartolommeo Fagan nato in Parigi nel 1702 e morto nel 1755 dotato di facilità e di naturalezza nel genere comico, ma obbligato dalle sue strettezze a scriver troppo, mostra nelle sue favole l’ effetto della precipitazione. Non si dovea stampare tutto ciò ch’egli produsse pel teatro. Bastava solo per sua lode che s’imprimessero: la Pupilla, la Stolidità, l’Appuntamento, l’Inquieto, gli Originali, nelle quali dipinge con naturalezza i costumi.

Piron di cui si è parlato fra gli scrittori tragici, forse dovrà alla Metromania, commedia ingegnosa, piacevole, spiritosa e regolare, la sua riputazione maggiore. Il piano è ideato con pratica e scorgimento: l’azione semplice diletta e interessa: i caratteri vi sono bene espressi e vivaci: i sali spirano urbanità e piacevolezza: lo stile conveniente e spiritoso senza sforzo e senza pregiudizio della naturalezza: la versificazione ha tutta l’armonia che può comportare la natural monotonia del verso Alessandrino. L’argomento consiste in un giovane ben nato che sacrifica la propria fortuna alla smania di poetare. Giudiziosamente viene egli enunciato prima di comparire. La serva domanda notizie distinte di lui ad un servo, che risponde così dipingendolo bellamente:

Oh! c’est ce qui n’est pas facile à peindre. Non.
Car selon la pensée où son esprit se plonge,
Sa face à chaque instant s’élargi où s’ allonge.
Il se neglige trop, où se pare à l’exces:
D’état il n’en a point, ni n’en aura jamais.
C’est un homme isolé qui vit en volontaire:
Qui n’est bourgeois, abbé, robin, ni militaire:
Qui va, vient, veille, sue, & se tourmentant bien,
Travaille nuit & jour, & jamais ne fait rien.

Tralle scene dell’atto I è graziosa e caratteristica la quarta in cui Dami si trattiene col servo su i proprj amori per una pretesa letterata di provincia ch’egli non conosce se non per le di lei poesie recate nel Mercurio. Egli prevede che da questo matrimonio nasceranno

Des pièces de théâtre & des rares enfans.

Ei già conta almeno tre figliuoli, e destina al primo la poesia comica, al secondo la tragica, all’ultimo la lirica, riserbando per se il pubblicare ogni anno un mezzo poema, e per la moglie un mezzo romanzo; tratti individuali del carattere, che subito danno al ritratto la vera fisonomia. La Dulcinea di questo Don Chisciotte poetico allude all’ avvenimento di M. Maillard poeta Brettone, il quale avendo pubblicate alcune poesie mediocri sotto il nome di Mademoiselle de Malcrais, ne ricevè gli elogj de’ più noti poeti della Francia, e varie dichiarazioni di amore in versi: ma gli elogj e gli amori si convertirono in dispregi tosto che l’autore ebbe l’imprudenza di smascherarsi. Traspare nella scena sesta dell’ atto III la grazia comica di Moliere oggidì perduta totalmente in Francia. L’incontro di Arpagone col figliuolo nell’Avaro si è rinnovatoin certo modo in quello di Balivò con Dami suo nipote, al cui vero stupore creduto effetto dell’arte da essi posta in rappresentare una scena, Francaleu grida attonito:

Comment diable! a merveille! à miracle! courage;
On ne sçauroit joüer mieux que vous de visage.

Sommamente comica ancora è la scena quarta dell’atto IV, nella quale Francaleu, che ha data la sua parola a Balivò di far carcerare il di lui nipote, prega l’istesso Dami di cui si tratta, a prendere sopra di se tale carcerazione. Dami se n’era scusato sulla difficoltà che incontra un poeta a farsi luogo nella corte, dove, al suo dire,

Nous sommes éclipsés par le moindre minois,
Et la, comme autre part, les sens entrainent l’homme,
Minerve est éconduite, & Venus a la pomme.

Ma intendendo poi che si tratta di lui stesso, finge prenderne l’ impegno, e dice,

Oh! je le servirai, si ce n’est que cela.

Francaleu allora ricusa avendo pensato ad un altro, Dami insiste, e le sue premure riescono piacevoli. Lepida è pure la sesta scena di Lisetta, che scaltramente fa confessare a Dami di esser egli l’autore anonimo di una commedia che poi si sa di essere stata fischiata nella rappresentazione. La settima è ancora più vivace e piena di sale comico. In essa Dorante ingannato dagli abiti di Lisetta la prende per Lucilia, e la rimprovera per averla sorpresa nell’atto che Dami le bacia la mano. Lo scioglimento corrisponde alle grazie di questa commedia eccllente, nella quale colla sferza comica ottimamente si flagella una ridicolezza comune a tutte le nazioni culte di far versi a dispetto della natura, il quale argomento fu infelicemente trattato in Italia dal signor Goldoni nella commedia intitolata i Poeti.

Hanno prodotto in Francia alcune commedie pregevoli, mentre Talia vi cangiava l’abito gentile che un tempo la rendeva vezzosa, i seguenti scrittori: Giovanni Campistron autore della buona commedia il Geloso disingannato rimasta al teatro; le Sage nato a Ruys in Brettagna nel 1677 e morto nel 1747 autore della graziosa commedia di Turcaret, e della piacevole commediola di Crispino rivale del padrone; Giambatista Rousseau nato in Parigi nel 1669 e morto nel 1740, che pubblicò l’Adulatore, ed il Capriccioso, commedie non esenti da difetti, ma pregevoli pe’ caratteri bene espressi.

Gresset d’Amiens autore della graziosa novelletta le Vert-vert, dopo aver dato al teatro Sidney scritto con eleganza ma che non ebbe compiuta riuscita, per esserne il soggetto lontano dal tempo presente e dal costume francese, pubblicò il Méchant buona commedia rappresentata nel 1740 con molto applauso. Vi si dipinge un malvagio pieno di spirito di cui veggonsi nelle società culte molti originali, che sotto di un esteriore polito nascondono il cuore più nero e l’empietà più raffinata. Voltaire nel Pauvre Diable poco bene affetto a Gresset pretende che nelle di lui commedie manchi azione, interesse, piacevolezza e la necessaria dipintura de’ costumi correnti. Convenendo col Voltaire per la mancanza di piacevolezza e in certo modo anche di azione, parmi di non poter negarsi alla commedia del Méchant il merito d’un vivace colorito ne’ caratteri, della buona versificazione e di uno stile salso ed elegante. Ecco il carattere del protagonista preventivamente enunciato da Lisetta a gran tratti:

S’il n’avoit de mauvais que le fiel qu’il distile,
Ce seroit peu de chose, & tous les medisans
Ne nuisent pas beaucoup chez les honnêtes-gens;
Je parle de ce goût de troubler, de détruire,
Du talent de brouiller, & du plaisir de nuire,
Semer l’aigreur, la haine, & la division,
Faire du mal enfin, voila votre Cléon.

Degne di essere singolarmente notate mi sembrano le seguenti scene: la terza dell’atto II piena di pitture naturali del gran mondo di Parigi; la settima dell’abboccamento di Valerio con Cleone; la nona dell’atto III che contiene un giuoco di teatro di Cleone il quale sottovoce ora anima Valerio a farsi credere uno stordito, ora fa notare a Geronte le di lui sciocchezze ed impertinenze; mentre che Valerio adopera tutta la sua industria per riescire a screditar se stesso, e Geronte s’ impazienta, freme, si pente e risolve di rompere ogni trattato. Tralle scene bene scritte dee contarsi la 4 dell’ atto IV, in cui Aristo (personaggio virtuoso copiato dal Cleante del Tartuffo) volendo distaccar Valerio dall’amicizia di Cleone entra a dipingere i malvagi culti che affettano di dare il tuono negli spettacoli, quei che prendono l’aria beffarda e quei che vogliono parer gravi e laconici. Questa scena termina con una osservazione vera e gloriosa per l’umanità. Valerio temendo di comparir singolare per troppa bontà, asserisce che tutti sono malvagi sulla terra; e Aristo distrugge quest’opinione ingiuriosa al genere umano con una notabile risposta, la quale soffriranno di veder quì tradotta certi meschini ingegni non meno di Valerio ridicoli, i quali volendo passar per uomini di mondo escludono ogni probità dalla terra:

Sono tutti malvagi? È ver, son tali
Certi perversi cuor che ognun detesta:
Tale è la calca, è ver, d’uomini falsi,
Di spregevoli donne, di buffoni,
Spiriti bassi, spiriti gelosi,
Senza onestà, senza principj, senza
Costume meritevole di stima;
Gente infingevol che a se stessa rende
Giustizia disprezzandosi a vicenda.
Ma questa detestabile genia
Priva d’onor, di scrupolo e di freno
Ricoprir di ridicolo e di scorno
Procura invan l’altrui bontà di cuore.
Per dissipar tal nebbia, e mostrar chiaro
Che per natura non è l’uom proclive
Alla malvagità, prender potete
Per giudice e ascoltar come un oracolo
Il popolo raccolto in un teatro.
Quivi quando alcun tratto si dipigne
Di candor, di bontà, dove trionfi,
E del proprio splendor tutta sfavilli
L’umanità benefica e gentile,
Di pura voluttà s’empie ogni cuore,
Quivi s’intende di natura il grido.

L’ultima scena dell’atto IV contiene lo stesso artifizio usato da Elmira nel Tartuffo, benchè la copia venga dall’ originale sorpassata per vivacità e maestria. Lo scioglimento del Méchant avviene senza sforzo per mezzo di una lettera del medesimo Cleone. Dee però notarsi in questa bella dipintura che il malvagio è troppo abbellito dallo spirito che gli presta il poeta per renderlo simile agli originali Francesi e a’ malvagi che brillano nelle società polite. Forse non inutilmente, perchè divenga più comico e più spregevole, poteva sulla malvagità caricarsi la tinta dando a Cleone un poco più di ridicolo e meno di politezza e d’ingegno (Nota VIII). Si è detto che il Méchant contiene eccellenti versi di satira più che di commedia; ma la satira è tanto aliena dalla commedia? Più giustamente s’ imputa all’autore l’aver dato a’ personaggi il proprio spirito in vece di farli porlare giusta i costumi e le condizioni, nel che segnalaronsi Moliere e Machiavelli.

Voltaire, oltre alle riferite commedie tenere, altre ne produsse nel genere puramente comico. In versi alessandrini compose l’Indiscreto dipintura più dilicata del Chiacchierone del Goldoni, ma priva di azione. Scrisse ne’ medesimi versi la Donna ragionevole uscita nel 1758, la quale può dirsi una galleria di bei ritratti; ma v’introdusse M. Duru che poco verisimilmente si trattiene molto tempo sconosciuto nella propria casa. Pubblicò nel 1762 in versi di dieci sillabe ottimi per la commedia il Dritto del Barone interessante pel carattere di Acanta ma tessuta di avventure romanzesche sforzate. La Bacchettona, ovvero la Custoditrice della Cassetta tratta da una favola inglese è parimente scritta in versi di dieci sillabe, e vi si vede ben dipinta una falsa virtuosa contrapposta ad una sua cugina amante de’ piaceri ma ingenua e di buon cuore ed anche ad un uomo candido, il quale giudica bene della prima e male della seconda, ed al fine a stento si disinganna per opera di una fanciulla che si occulta sotto spoglie virili. Voltaire compose anche la Contessa di Gibrì, la Principessa di Navarra commedia balletto &c.

Luigi di Boussy nato nel 1694 e morto nel 1758 compose intorno a trenta commedie fredde per lo più ed inferiori a quelle del suo contemporaneo Des Touches, benchè l’autore abbondasse di talento. “Mancavagli (dice Palissot) la profonda conoscenza del cuore umano, quella del mondo e dell’arte comica . . . Mai non possedè il talento del buon dialogo drammatico fondato nell’imitazione fedele del miglior genere di conversazione”. Delle commedie di Boussy sono rimaste al teatro soltanto le Apparenze ingannevoli (les Dehors trompeurs), il Francese a Londra, il Chiacchierone.

Pietro Marivaux nato in Parigi nel 1688 e morto nel 1765 autore di romanzi e di commedie pare che riuscisse meno de’ contemporanei, benchè fuvvi in Alemagna chi tradusse le sue opere50. Dotato di spirito e d’ingegno mancava di naturalezza nello stile, e gli noceva singolarmente certo parlar gergone a lui proprio.

Antonio Bret nato nel 1717 scrittore della Vita di Ninon l’ Enclos si esercitò pure nel genere comico. La Doppia Stravaganza commedia d’intrigo è rimasta al teatro francese. Tratto poi dall’esempio si rivolse l’autore al genere serioso, e tutto di lui si è dimenticato, fuorchè il Falso Generoso, in cui mostrò di saper maneggiare questo genere difettoso senza cadere ne’ soliti eccessi, benchè la versificazione richiedesse maggior diligenza.

Claudio Errico di Voisenon scrittore ingegnoso che vedeva con pena il teatro francese troppo allontanato dalle tracce di Moliere, compose il Ritorno dell’ombra di Moliere buona commedia recitata con ottima riuscita, indi i Matrimonj uguali, e la Cochetta fissata lodate da’ nazionali. La dipintura di una cochetta esige sagacità per ricavare dal fondo del cuore umano e da’ costumi correnti e dalla conversazione i veri tratti comici che ad esso appartengono, pregi che non mancavano al Voisenon. Anche il commediante la Noue autore del Maometto II riuscì in tal carattere nella sua Cochetta corretta, in cui si trova questo giudizioso avviso a chi crede aver motivo di lagnarsi della leggerezza donnesca,

Le bruit est pour le fat, la plainte pour le sot,
L’honnête-homme trompé s’èloigne & ne dit mot.

Il Parigino Saurin dopo aver prodotte alcune commedie poco riuscite sulla scena, cioè les Rivaux, l’Orpheline leguée e la traduzione del Beverley, scrisse in prosa la piacevole commedietta de’ Costumi correnti applaudita in teatro e nella lettura.

L’Addio del Gusto commedia molto bene accolta dal pubblico appartiene al Parigino Claudio Pietro Patu nato nel 1726 e morto immaturamente nel 1757. Egli tradusse anche alcune farsette del teatro inglese, e le pubblicò in Parigi in due volumetti colla data di Londra del 1756. Non è priva di piacevolezza nè di brio l’Impertinente commediola di Desmahys nato nel 1761. La Madre gelosa commedia di tre atti in versi di M. Barthe dell’accademia di Marsiglia si rappresentò nel 1771 e s’ impresse nell’anno seguente. Vi si disviluppa bellamente il carattere delle madri che vedono con gelosia il merito nascente delle figliuole, e si studiano di tenerle lontane dalla conversazione temendo che ne rimanga la propria gloria ecclissata. L’Inglese a Bordò di M. Favart si compose dopo la penultima guerra de’ Francesi ed Inglesi, e riuscì sulla scena.

Per varj spettacoli scenici lavorò Germano Francesco Saint-Foix scrivendo in prosa alcune picciole farse graziose di un atto notabili per la gentilezza che vi regna. Di questo genere sono le seguenti: l’Oracolo impressa nel 1740, in cui intervengono tre personaggi, cioè una Fata, Alcindoro di lei figlio e Lucinda il cui carattere è un leggiadro tessuto di vezzi: le Grazie rappresentata nel 1744 ed impressa l’anno che seguì, il cui soggetto si trasse dall’ode III di Anacreonte di amore immollato dalla pioggia, e dalla XXX dell’istesso amore annodato con una catena di fiori dalle Muse secondo Anacreonte, o dalle Grazie secondo la vaga cantata del Metastasio recitata in Vienna nel 1735: gli Uomini vivace azione drammatica allegorica rappresentata nel 1753, in cui intervengono Mercurio, Prometeo, la Follia e le Statue animate dal fuoco celeste, le quali formano alcuni pantomimi allusivi a i caratteri e alle passioni degli uomini. Si accenna in questa favoletta che il modo di rendere gli uomini meno colpevoli non è già la sterile uguaglianza de’ beni che gli addormenterebbe, ma l’attività dell’amor proprio che rendendo operose e vivaci le loro passioni, fa nascere tutto il mondo civile, leggi, onori, divisioni di ordini, povertà, ricchezza: de l’indigence (vi si dice) naîtra l’industrie; l’industrie sera la mère des arts, des sciences, du commerce; on batira des villes, dans des villes des superbes palais; la mer se couvrira de vaisseaux &c., le quali sagge idee ebbero luogo in una delle commedie di Aristofane, e furono poi nobilitate colla naturale sua grazia e leggiadria dal Metastasio nell’Astrea placata.

Carlo de Montenoy Palissot nato in Nansì l’anno 1730 autore della Dunciade francese compose due drammi comici. L’avversione al mal gusto letterario gl’ inspirò il nominato poema satirico ad imitazione di quello di Pope; e l’ abborrimento conceputo contro i compatriotti che davano nome di filosofia a’ loro capricciosi sistemi, gli dettò le commedie les Philosophes e l’Homme dangereux. Nella prima rappresentata nel 1760 con amarezza e libertà Aristofanesca motteggiò su i moderni filosofi francesi, servendo al piano delle Letterate di Moliere. L’oggetto fu lodevole, ma non è questa composizione una delle migliori commedie51. Nella seconda impressa e non rappresentata vibrò contro gli stessi le più acerbe punture comiche. Il Valerio di quest’altra è una imitazione del Cleanto del Tartuffo e dell’Aristo del Méchant. Per esse la poesia comica nulla ha guadagnato, benchè l’intenzione morale dell’autore fu di manifestar le conseguenze perniciose delle nuove massime de’ filosofi d’ultima moda, per li quali non v’ha nè legge nè virtù veruna. Serva di saggio l’ironico frammento che ne soggiungo tradotto. Il secolo (dice Dorante filosofo moderno) ha fatti tanti progressi che può oramai ridersi dell’odio e dell’invidia. Valerio risponde:

E chi può dubitarne? E quando mai
Vide la Francia tanti varj ingegni
Opre più vaghe, più puri costumi?
La nobil gioventù fu mai più saggia?
Seppe usar meglio delle sue ricchezze?
Ebbe mai miglior gusto? In altri tempi
Delle belle se mai scelta più degna?
Ma soprattutto delle nostre donne
L’onor sicuro, la non dubbia fede
Con tal ragion si può vantar, che vinto
Dal rispetto, di lor più non favello.
I nostri dotti poi stupido ammiro.
La lor filosofia di quai non sparse
Delizie e fiori il viver de’ mortali!
Grazie alle lor fatiche al fin del peso
De’ vecchi pregiudizj e de’ doveri
Scarchi respiriamo. Abbonda solo
Di giolivi pedanti ogni adunanza:
Sulle orme lor nelle festive cene
Ragionar sanno ancor gli appaltatori:
Son di decenza esempio i nostri abati:
Di studio e di saviezza i curiali.
Non si può far di più, con voi convengo.
Meraviglioso in tutto è il secol nostro.

M. Dorat noto poeta morto nel 1780 d’anni quarantasei coltivò anche la poesia drammatica per avventura poco propria de’ di lui talenti. Cominciò nel 1760 con Zulica e Teagene tragedie d’infelice evento. Riuscì un poco più col Regolo nel 1773, in cui imitò l’Attilio Regolo del Metastasio, e in ricompensa il censurò; al qual travaglio volendo noi mostrarci grati abbiamo fatto menzione della sua tragedia per conservarne almeno il titolo. Sofferse il pubblico nel 1774 l’Adelaide. Pietro il Grande rappresentata nel 1779 fu mal ricevuta. Lasciò ancora Zoramide altra tragedia non rappresentata. Quanto al genere comico troviamo che nel 1773 imitò il Desden con el Desdèn di Moreto nella sua commedia Fingere per amore titolo infelice che non dà punto idea dell’argomento spagnuolo. Il Celibatario, la Rosalba, i Cavalieri Francesi, lo Sfortunato immaginario per qualche tempo ebbero felice riuscita. L’ultima commedia ch’egli produsse fu Merlino bello spirito, nella quale punse gli autori drammatici suoi avversarj.

Monvel, Imbert, Cailhava ed altri hanno lavorato per la commedia con qualche cura senza farla risorgere. Chabanon tralle sue poesie ha pubblicate due commedie lo Spirito di partito ovvero i Contrasti alla moda, ed il Falso Nobile che non danno molta speranza nell’attual decadenza. Rosalina e Floricour, ovvero i Capricci, commedia di tre atti in versi rappresentata in Parigi nel 1787, manifesta una mano di un giovane che potrebbe andar oltre. La contessa di Genlis ha composti due Teatri, l’uno per l’educazione della gioventù, e l’altro di società, ne’ quali si pregiano la Buona Madre, la Rosiera, le Generose Nemiche, il Magistrato. M. Pieyre colla Scuola de’ Padri in versi di cinque atti recitata in Parigi nel 1787 può animare la gioventù a ricalcare le orme della buona commedia e a ricondurre in Francia il socco festevole di Moliere. Si sono anche ultimamente rappresentate l’Ottimista o l’ Uomo contento di tutto del giovane Collin d’ Harleville; il Matrimonio segreto di tre atti tollerata in grazia de’ buoni attori; la Fisica in un atto imitazione debole delle Letterate di Moliere, in cui una donna d’altro non vuol parlare che di magnetismo, di gas, di elettricità, di palloni volanti; le Riputazioni commedia in versi di cinque atti non migliore imitazione delle Letterate rappresentata in Parigi nel 1788; Moliere in casa di Ninon in prosa di mad. di Gouge impressa nel medesimo anno da’ gazzettieri enunciata col titolo di episodica, in cui intervengono le persone più distinte del secolo di Luigi XIV; la Morte di Moliere in versi e in tre atti che serve solo a rinnovare il dolore della perdita di quell’ingegno raro; la Giovane Sposa in versi ed in tre atti del sig. di Cubieres lodata dal giornalista di Buglione per la morale e pe’ caratteri.

III.
Commedia Italiana in Francia.

Congedata l’antica compagnia non fuvvi in Francia commedia Italiana per lo spazio di 19 anni, cioè sino al 1716, quando il duca di Orleans regente v’invitò la compagnia di Lelio e Flaminia nomi teatrali presi dal Romano Luigi Riccoboni e dalla sua consorte Agata Calderini (Nota IX). Questi nuovi attori detti prima commedianti di S. A. e poi del re nel 1723 ottennero una pensione di 15000 lire. Rappresentarono ne’ primi anni componimenti italiani stravaganti e buffoneschi per servire all’arlecchino, ed il teatro ben presto rimase spopolato. Ripeterono indi i componimenti francesi de’ loro predecessori; ma non ritornando nel lor teatro il concorso pensarono ad abbandonar Parigi. Il pubblico però benchè non pago delle loro favole compiacevasi della buona condotta, dell’urbanità e del rispetto che essi mostravano per la nazione, e con pena gli vedeva partire. Ciò mosse alcuni Francesi a comporre per essi qualche favola nella propria favella in cui cercarono di unire la ragione e la novità alle grazie dell’arlecchino; e quindi nacque un genere di commedia che partecipava della francese e dell’ italiana istrionica. In tal genere si distinsero tra’ Francesi Autreau, le Grand, Fuselier, Boussy, Marivaux, e singolarmente Saint-Foix, e poi l’attore Favart e l’abate Voisenon, e tra gl’ Italiani della stessa compagnia Domenico Romagnesi, Riccoboni, Flaminia sua moglie e Colato morto nel 1778 che rappresentava da pantalone. Di quest’ultimo si rappresentano ancora il Mostro Marino, gl’ Intrighi d’Arlecchino, i Tre Gemelli Veneziani da me ascoltata nel dicembre del 1777 passando per Mompellier. Tra gli altri valorosi attori di tal compagnia si ammirava il famoso Carlino nella parte d’arlecchino, il quale cominciò a rappresentare nel 1742, e la celebre attrice Carolina da alcuni anni ritirati dal teatro. Nel 1788 si è recitata le Arti e l’ Amicizia commedia in un atto secondo i giornalisti nè naturale nè edificante, benchè condotta con qualche interesse e semplicità.

La maniera di rappresentare di quest’Italiani diè motivo agli scrittori francesi di rimproverare a’ commedianti nazionali l’affettazione e la durezza. “Io preferisco (dicesi nel libro l’Anno 2440) quest’Italiani a’ vostri insipidi commedianti Francesi, perchè questi stranieri rappresentano più naturalmente e perciò con maggior grazia, e perchè servono il pubblico con più attenzione”. Diderot diceva ancora: “I nostri commedianti Italiani rappresentano con più franchezza de’ Francesi . . . Nel loro gestire apparisce certo non so che di originale e di facile che mi diletta, e diletterebbe ognuno se non venisse sfigurato dal loro dialogo insipido e dall’intreccio assurdo”. Da ciò si scorge che la bella natural declamazione del celebre discepolo di Moliere Michele Baron nato nel 1653 e morto nel 1729, e della mirabile attrice Adriana Le Couvreur, sia andata degenerando. In fatti il sig. Eximeno nel suo libro Origine e progressi della Musica afferma che i commedianti (Francesi) pajono energumeni che ad ogni atteggiamento vogliono staccar le braccia dal corpo, ed esprimono un affetto di pena colle contorsioni, con cui potrebbe un ammalato esprimere un dolor colico. Non so se il sig. Eximeno sia stato testimonio oculare di ciò che asserisce; ma ben lo fu il nostro Pier Jacopo Martelli. Ecco come egli ne ragiona con conoscimento nel Dialogo sopra la tragedia antica e moderna nella sessione VI: Osservo ne’ Francesi piuttosto un poeta il quale recita le sue poesie che un attore che esagera le sue passioni, mentre non solamente essi alzano in armonioso tuono le voci ne’ grandi affari, ma ne’ bei passi e nell’enfasi de’ gran sentimenti; di modo che par che non solo essi vogliano rilevare la verità dell’affetto naturalmente imitato, ma anche l’artificio e l’ingegno del tragico. Imperdonabile è veramente tal difetto a un attore, non dovendo egli pensare nè a se stesso, nè al poeta, nè allo spettatore, ma unicamente all’affetto che esprime e al personaggio che imita. Parlano (segue il Martelli) gli attori Francesi a voce bassa borbottando, quando compariscono dal fondo della scena, e declamano più sonoramente quando si accostano al proscenio. Senza tale affettazione, parlando essi secondo che esige la natura del dialogo stesso, le parole profferite con vivacità conveniente giungeranno meno sonore dal fondo della scena, e più spiccate a misura che si avvicini l’attore; l’arte che non sappia combinare il comodo di chi ascolta colla verità dell’espressione, è la madrigna della natura. Si situano (aggiugne) mostrando il profilo all’uditorio, e la voce va in un angolo del teatro. E’ un infelice attore colui che ignora l’ arte di accomodarsi alla convenienza richiesta nel favellar con gli altri, alla decenza teatrale e al comodo dell’uditorio. Riprende in seguito il Martelli nel Bouhour il vizio frequente di voltar le spalle al compagno e nel Quinault di lui imitatore censura il soverchio vibrar delle braccia. Si ride poscia del tormento che danno al povero cappello, e del vestito di ballerino che sogliono dare agli eroi antichi. Ecco Agamennone (ei dice) col cappello e colla parrucca Francese sino al collare, dal collo poscia in giù in giubbone e in brache dintornate da giojelli, ricamate d’oro, ridevole, nè Francese, nè Greco, nè di nazione che si sappia finora scoperta nell’universo. Quando arriviamo alle gambe eccolo divenir Greco in un tratto, ecco applicati alla calzetta di seta i tragici maestosi coturni, di modo che parmi appunto quella figura d’Orazio Humano capiti &c. Non parlano diversamente delle improprietà ed affettazioni degli attori nazionali i Francesi di questo tempo. “L’arte della declamazione (dice uno di essi ironicamente) si è fra noi inalzata a un punto sublime. Una principessa irritata impiega tant’arte per esprimere il proprio furor convulsivo che lo spettatore giugne a temer per l’attrice. Un bel principe le risponde con un atteggiamento geometricamente misurato. Gli abiti, i popoli, le damigelle, le guardie e le machine vi fanno tutta l’ azione”. M. Clement nelle sue osservazioni critiche sul poema della Declamazione teatrale di M. Dorat scrive ancora: “Io avrei coperti di ridicolo i nostri attori ossessi, i quali caricano tutto, e non sanno parlare se non per convulsioni, e fanno patir chi gli ascolta per gli strani loro sforzi di voce e pel dilaceramento del loro petto”. Con tutto ciò la Francia ha avuti valorosi attori, e fra gli uomini si sono segnalati Du Fresne e le Kain morto in Parigi nel 1778, e tralle donne, dopo l’insigne le Couvreur, la Desaine, la Gossin, la Dumenil che tutte superava le compagne ed anche se stessa nella parte di Fedra e di Merope, e la maravigliosa Clairon la quale trionfava singolarmente rappresentando Medea, nella cui figura volle farla dipingere la principessa d’Anhalt. Voltaire l’ha più volte encomiata, e le diresse anche un componimento poetico nel 1761.

Nella commedia italiana cui si trova aggregata l’opera buffa che si cantava nella fiera, sogliono anche rappresentarsi opere italiane de’ nostri più celebri maestri, e pastorali, opere-comiche, commedie-balletti, e parodie in francese, recitate senza canto fuorchè nelle arie, e ne’ cori, finali, e duetti. Azemia è una commedia romanzesca in tre atti con ariette, ma di caratteri naturali che riscosse molto applauso nel 1787. Confessano i Francesi di dovere le prime idee delle vere bellezze musicali nel genere comico alla Serva Padrona dell’immortale maestro Napoletano Pergolese, la quale colà si cantò nel 1753.

I Francesi che somministrarono opere musicali a’ comici Italiani di Parigi, sono stati Favart, Saint-Foix, Boussy, Marivaux, Marmontel, Sedaine e Framary autore di Nannete & Lucas, e dell’Isola deserta traduzione di quella di Metastasio nel 1775 animata dalla musica del celebre nostro Sacchini, ed anche della traduzione dell’Olimpiade pure rappresentata colla musica del medesimo eccellente maestro. Il sig. Mayeur nel corrente anno 1789 ha data una commedia istorica in tre atti con musica intitolata il Barone di Trenck.