(1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome V « LIBRO VII. Teatro Francese ne’ secoli XVII e XVIII — CAPO III. Stato della Commedia Francese prima e dopo di Moliere. » pp. 36-58
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(1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome V « LIBRO VII. Teatro Francese ne’ secoli XVII e XVIII — CAPO III. Stato della Commedia Francese prima e dopo di Moliere. » pp. 36-58

CAPO III.
Stato della Commedia Francese prima e dopo di Moliere.

Pietro Cornelio che portò la tragedia alla virilità, lasciò in Francia la commedia quasi nella fanciullezza. Le prime sue sette commedie poco interessanti e difettose, ebbero qualche merito in confronto de’ poeti contemporanei. Il Bugiardo, tratto dalla Verdad sospechosa, e dal Mentiroso en la corte degli Spagnuoli, si rappresentò dopo che avea Cornelio illustrate le scene con gli Orazj, col Cinna e col Poliuto, cioè nel 1641 o 1642. Questa commedia assai piacevole di carattere e d’intrigo, al dir di Voltaire, fu la prima ricchezza del comico teatro francese; ma secondo M. de Fontenelle nella Vita di Cornelio, essa non bastò per istabilirvi la vera commedia. Non era al fine questo dramma che una traduzione in parte corretta, nella quale si cercava il ridicolo negli eventi immaginati con arte anzi che nel cuore umano che ne abbonda. Boisrobert, Scarron, Desmaret, T. Cornelio seguendo l’esempio di Pietro trasportarono, come dicemmo, diverse favole spagnuole al lor teatro, purgandole per lo più dalle principali irregolarità, ma sovente sfigurandole e convertendo in bassezze scurrili le grazie originali10.

Da ciò si vede che dominava allora in Francia la commedia d’intrigo, senza essere arrivata al punto, ove l’avea portata in Italia il cavaliere Giambatista della Porta; ma la dipintura delicata de’ costumi attendeva l’ inimitabile Moliere, cui i posteri diedero e conservano il meritato titolo di padre della commedia francese.

Dopo le guerre civili che durarono sino al 1652 cominciò Giambatista Poquelin detto Moliere a girar colla sua comitiva per le provincie, e nel 1653 rappresentò in Lione, indi in Beziers, in Grenoble, in Roano sino alla state del 1658 con general plauso alcune farse piacevoli benchè irregolari, delle quali rimasero i soli nomi. Le prime sue commedie che tirarono maggiormente l’attenzione del pubblico, furono lo Stordito, ed il Dispetto amoroso. L’una e e l’ altra appartengono al teatro Italiano. I medesimi Francesi non ignorarono, che l’azione ed i principali colpi di teatro della prima si tolsero da una commedia Italiana11. Arlecchino servo balordo si rappresentava in Francia a soggetto da’ commedianti Italiani; e Niccolò Barbieri detto Beltrame nel 1629 diede alla luce per le stampe la sua commedia l’Inavvertito 12, la quale servì di modello prima alla commedia di Quinault l’Amante Indiscreto ossia il Padrone Stordito rappresentata nel 1654, indi allo Stordito di Moliere incomparabilmente migliore di quella di Quinault. Abbiamo poi già notato che il Dispetto amoroso fu traduzione degl’ Inganni commedia del Milanese Niccolò Secchi. La storia dunque ci dimostra, che siccome Guillèn de Castro servì di scorta al gran Cornelio nella tragica carriera, così nella comica il gran Moliere ebbe per guida gl’ Italiani; benchè senza tradire l’interesse di queste favole straniere seppe dar loro maestrevolmente un colorito nazionale.

Le Preziose ridicole si rappresentarono prima del 1658 per la prima volta in Beziers con molto applauso. L’intrigo ha una tinta di farsa, ma vi si motteggia graziosamente il mal gusto dello stile romanzesco e affettato, che le donne stesse seguendo la moda prendevano nella conversazione più famigliare. Allorchè poi questa farsa si ripetè in Parigi dove il ridicolo che vi si satireggia, esser dovea più disteso e più notabile, si accolse così favorevolmente che se ne continuarono le rappresentanze per quattro mesi continui, raddoppiandosi sin dalla seconda recita il prezzo ordinario dell’entrata. È ben noto che in una di queste un vecchio rapito dal piacere gridò dalla platea, coraggio, Moliere, questa questa è la buona commedia, voce della natura onde siamo avvertiti che il pubblico polito, se la pedanteria non lo corrompe, sa giudicar dritto de’ componimenti teatrali.

Nell’autunno del medesimo anno venne Moliere co’ suoi nella capitale della Francia. Cominciò le rappresentazioni colla tragedia del Nicomede di P. Cornelio, e con una delle sue farse il Dottore innamorato; ed il modo di rappresentare di questa comitiva piacque alla corte, e Moliere ottenne dal re di stabilirsi in Parigi, e di alternare sul teatro del Picciolo-Borbone colla comitiva Italiana.

La dimora ch’ei fece in corte contribuì all’aumento de’ lumi di Moliere intorno al cuore umano e a’ costumi nazionali, e disviluppò sempre più il suo discernimento e buon gusto, e ne migliorò lo stile. Tutto ciò si conobbe nella recita del Cocu immaginaire scritto più correttamente delle prime favole. Il carattere di questa favola parimente ricavata dagl’ Italiani non è de’ più dilicati, ma per la piacevolezza e per l’interesse che vi si sostiene, si rappresentò quaranta volte.

Fino alla state del 1662 diede Moliere al teatro il Principe geloso, in cui riuscì male come attore e come poeta, la Scuola de’ mariti tratta principalmente dal Boccaccio, la cui riuscita consolò l’autore, e cancellò la svantaggiosa impressione della favola precedente, e gl’ Importuni commedia in cui non si vede altra connessione se non quella che si trova in una galleria di belli ritratti, ma pure si accolse con indulgenza per essere stata composta, studiata e rappresentata in quindici giorni.

Intanto il graziosissimo attore comico conosciuto col nome di Scaramuccia, il quale nel mese di giugno del 1662 prese congedo dal pubblico per venire in Italia, tornò dopo quattro mesi di assenza, ed al suo arrivo i Parigini accorsero con tale affluenza e trasporto ad ascoltarlo, che il teatro di Moliere, mal grado del di lui credito, rimase per tutto il mese di novembre desolato13. Nè vi ritornò il concorso se non con la Scuola delle donne rappresentata in dicembre, che Moliere ricavò da una novelletta delle Notti Facete di Straparola14.

Essendo stata questa piacevole commedia criticata da certi smilzi letterati pieni d’invidia più che di gusto e d’intelligenza, Moliere nel seguente anno se ne vendicò comicamente facendo ridere il pubblico a spese de’ suoi censori, e pubblicò la Critica della Scuola delle donne, in cui dipinse vagamente i ridevoli critici colla grazia comica a lui naturale. Volle indi scagionarsi di un sospetto insorto che poteva nuocergli, cioè che nelle imitazioni ridicole avesse satireggiato alcuni ragguardevoli cortigiani; e se ne giustificò alla presenza del re coll’ Improvvisata di Versailles recitata nell’ottobre del 1663, e poi in Parigi nel seguente mese. Derise in essa gajamente il modo di rappresentare de’ commedianti dell’Hôtel di Borgogna, contraffacendoli, e segnatamente vi pose alla berlina Boursault comico scrittore dozzinale, il quale avea indegnamente ferito Moliere motteggiandolo sulla condotta della moglie col Ritratto del Pittore.

Ma dopochè nel 1664 ebbe egli dato al teatro la Princesse d’ Elide, il Matrimonio a forza intitolato Ballo del re perchè vi danzò Luigi XIV, il Convitato di pietra che scrisse in prosa in cinque atti nel 1665 d’infelice riuscita15, e la farsa dell’Amor Medico in tre atti, produsse nel 1666 il Misantropo che fu il primo capo d’opera della commedia francese.

Tutti i comici antichi e moderni hanno motteggiata e dipinta la civetteria, la maldicenza, l’ingiustizia, la vanità e le altre ridicolezze umane. Ma niuno che io sappia trovò mai il ridicolo di una virtù feroce ed austera. Un carattere virtuoso ma intollerante, che si maraviglia di tutto e tutto condanna: che per non tradire il vero, a costo della politezza e senza necessità, si pregia di dire ad un cavaliere il quale ha la debolezza di voler esser poeta, che i suoi versi son cattivi: che in vece di compatire gli errori umani vuol perdere la rendita di quarantamila lire, per lasciare a’ posteri nel suo processo un testimonio di una sentenza ingiusta; un carattere, dico, siffatto, sebbene amabile e caro a i buoni per la virtù che ne fa il fondo, ha pure il suo ridicolo degno d’esser corretto, ed il genio di Moliere seppe seguirlo alla pesta e riprenderlo comicamente. Non mai Talia si elevò a così alto segno; e poche altre ridicolezze importanti come questa rimangono da esporsi allo scherno scenico. Il carattere di Alceste contrasta egregiamente con quello di Filinto, e dà movimento a tutti gli altri che lo circondano. L’intreccio veramente manca di vivacità, e i colori assai delicati non possono recar pieno diletto a chi è avvezzo alle tinte risentite che diconsi zingaresche. Ad onta della grazia de’ caratteri, della felice arditezza dell’idea, dell’ eleganza e purezza dello stile, questo bel componimento non piacque la prima volta che si rappresentò, e Moliere scaltramente si avvisò di accompagnarlo colla farsa piacevole del Medico a forza, e con tal mezzo il Misantropo si riprodusse e piacque. Una pastorale eroica, un’ altra comica cantata nel medesimo anno 1666, ed il Siciliano commedia-ballo 16 rappresentato nel 1667, precederono un altro capo d’opera, il famoso Tartuffo. Se ne rappresentarono i tre primi atti sin dal 1664, e se n’era sospesa la rappresentazione. Compiuta, corretta, riveduta, e approvata, sulla permissione verbale ottenutane dal sovrano, Moliere la rimise sul teatro l’ anno 1667. Ma gridarono gl’ ipocriti, e la commedia assai bene accolta dal pubblico fu di bel nuovo proibita. Il re assediava Lilla, e due attori spediti da Moliere gli presentarono un memoriale contro di tal divieto; ma non prima del 1669 si ottenne la permissione autentica di riprodursi il Tartuffo. Come esso fu ben compreso, caddero le macchine dell’impostura, la quale temendo di essere smascherata volea farlo passare per una satira della vera pietà e religione. Mille pregi rendono questo dramma l’ornamento più bello della comica poesia e delle scene francesi. L’interesse che si desidera nel Misantropo, comincia nel Tartuffo a sentirsi sin dalla prima scena della vecchia Pernelle. La vivacità ch’è l’anima delle scene, aumenta per gradi col comparire nell’atto III il personaggio di Tartuffo, e col disinganno di Orgone nel IV.

Nel 1668 comparvero l’Anfitrione e l’Avaro commedie tratte da Plauto e accomodate ottimamente a’ costumi più moderni, e Giorgio Dandino piacevolissima farsa, il cui soggetto non è de’ più innocenti, e che col sale comico scema in parte la riprensione meritata per la leggerezza d’Angelica. Nel 1669 quando tornò sul teatro il Tartuffo, uscì ancora la farsa di M. de Pourceaugnac, in cui un avvocato di provincia viene aggirato da Sbrigani personaggio modellato su i servi della commedia greca ed italiana antica e moderna.

Gli Amanti magnifici altra commediaballo, in cui Moliere raccolse tutti i divertimenti introdotti nella scena, uscì nel 1670. La varietà degli oggetti che appagavano i sensi, fe mirare con indulgenza questo spettacolo, di cui avea suggerito il piano lo stesso Luigi XIV, il quale nel primo tramezzo ballò da Nettuno, e nel sesto da Apollo; ma fu l’ ultima volta che questo monarca che si trovava nel trentesimosecondo anno della sua età, comparve in teatro a ballare scosso da alcuni versi del Brittannico di Racine (Nota V).

La corte nel medesimo anno che applaudì gli Amanti magnifici, fu poco sensibile all’altra commedia-balletto le Bourgeois gentilhomme che valeva assai più. Il solo Luigi XIV ne giudicò in Versailles più favorevolmente de’ suoi cortigiani, il che dimostra il buon gusto di questo monarca e la stima che faceva di Moliere. Parigi meglio della corte sentì la verità della comica dipintura di M. Giordano, in cui si ridicolizza vagamente la comune vanità di parere quel che non si è. Tuttavolta vi si trovano molti colpi di teatro proprj della farsa; benchè gli uomini di gusto non pedantesco sanno bene che per rendere notabili certe utili dipinture conviene adoperar qualche volta un colorito risentito alla maniera del Caravagio.

Nè di grazia nè di arte scarseggia la commedia delle Furberie di Scapino recitata nel 1671, sebbene il sacco in cui si avvolge Scapino, e la scena della galera appartengano a un genere comico più basso. Psiche tragedia-ballo che si era rappresentata nel carnevale del 1670, si ripetè nel 1671. Essa fu notabile pel concorso degli autori che vi lavorarono nel medesimo tempo, per eseguir con prontezza gli ordini reali. Il piano ed i versi del prologo, dell’atto I, e delle due scene prime del II e del III sono di Moliere; il rimanente si verseggiò da Pietro Cornelio, ad eccezione delle parole italiane, e de’ versi francesi da cantarsi scritti da Quinault e posti in musica da Lulli. Moliere, Lulli, Cornelio, Quinault lavorano ad un sol componimento destinato al piacere di Luigi XIV. Bel regno! illustri nomi!

Le Donne Letterate altro capo d’opera venne alla luce nel 1672. Vi si dipigne il falso bell’ ingegno, e la superficiale pedantesca erudizione; ma da un soggetto così arido Moliere seppe trarre partito per la scena comica colla caparbieria di Filaminta preoccupata del merito ideale di Trissottino. Dietro a questa commedia nell’anno stesso venne la farsa della Contessa d’Escarbagnas, una pastorale comica di cui rimasero solo i nomi de’ personaggi, e la commedia-balletto l’Ammalato immaginario recitata nel 1673, ultimo frutto di questo raro ingegno. Alla quarta rappresentazione che se ne fece il dì 17 di febbrajo, morì in sua casa questo principe della commedia francese, essendovi stato trasportato dal teatro moribondo.

Moliere nato nel 1628 con disposizioni naturali alla poesia comica più che alla seria, appena ebbe veduto il teatro di Borgogna che manifestò la sua inclinazione verso la scena. Coltivò i suoi talenti colle lettere studiando per cinque anni nel collegio di Clermont, ed ascoltò le lezioni filosofiche di Pietro Gassendo, onde trasse l’abito di ben ragionare, ed analizzare, che si vede trionfar nella maggior parte delle sue opere. E chi gli negherà il talento filosofico ove ponga mente a quella sagacità, che lo mena ad entrar da maestro nel mecanismo delle umane passioni? Ma la filosofia di Moliere non fu quella che orgogliosa e vana sdegna di piegarsi al calore della passione, o ignora l’arte sagace di mostrar di perdersi in esso per celare i suoi ordigni e le sue forze; non fu quella filosofia che fa pompa del suo compasso, de’ suoi calcoli e dell’ austerità della sua dottrina. La filosofia di Moliere e di ogni uomo che pensa e medita per giovare, è quel fuoco secreto, benefico, necessario che tutto penetra, tutto avviva e tutto purifica per l’altrui ammaestramento. Or questa filosofia da quanti filosofi e matematici d’ostentazione è conosciuta?

Scorrendo per le provincie egli giva studiando l’uomo e la propria nazione. Se imbatteva in qualche personaggio originale degno di ritrarsi sulla scena, non lo perdeva di vista prima d’averlo pienamente studiato (Note VI). In Versailles ebbe agio di osservare i costumi de’ cortigiani e di dipingerli al vivo; essi stessi contribuirono talora colle loro notizie ad arricchire il suo tesoro comico.

Intorno a’ caratteri diversi delle sue favole è d’avvertirsi che egli da prima accomodò i suoi lavori al gusto dominante per le commedie d’intrigo; ma poichè ebbe acquistato maggior credito, si rivolse da buon senno a ritrovare il ridicolo ne’ costumi correnti. Dipinse a maraviglia i petits-maîtres francesi divenuti ognora più ridicoli col passarne la caricatura nelle altre nazioni. Espose graziosamente alla derisione il pedantismo, l’impostura de’ medici, la ciarlataneria de’ falsi eruditi, l’affettazione delle donne preziose e delle pretese letterate, ed il difetto di una virtù troppo fiera ed intollerante.

Allo studio dell’uomo e della propria nazione Moliere accoppiò quello degli scrittori teatrali, e seppe approfittarsi delle loro invenzioni, non da plagiario meschino, ma da artefice sagace che abbellisce imitando. É incerto che in qualche scena del Borghiggiano Gentiluomo e del Tartuffo avesse avuta la mira alle Nuvole e al Pluto di Aristofane, come pretese Brumoy; benchè qualche remota rassomiglianza si scorga delle nominate favole greche con qualche tratto delle francesi. Ma è certo che sono imitazioni di Plauto l’Anfitrione e l’Avaro, e che i fratelli della Scuola de’ mariti sono modellati sugli Adelfi di Terenzio. Gli accidenti del velo nella medesima favola, e nel Siciliano, il Convitato di pietra, la Principessa d’ Elide, ed una parte della Scuola delle donne, si ricavarono dal teatro spagnuolo. Prese assai più dagl’ Italiani. Dallo Straparola trasse l’argomento ed alcune grazie della medesima Scuola delle donne. Varie scene ed astuzie di Scapino e di Sbrigani si trovano nelle commedie del Porta. Giorgio Dandino deriva da una novella del Boccaccio già dallo stesso Porta trasportata sulla scena. Il Dispetto amoroso è del Secchi. Lo Stordito è il Servo balordo de’ commedianti Italiani, e l’Inavvertito del Barbieri. Il Cornuto immaginario viene dalla favola Italiana intitolata il Ritratto. Il Tartuffo stesso fu preceduto dal Bernagasso degl’ Italiani, come attestò anche il Baile17. Ma si vuol notare che il Bernagasso ed il Tartuffo vennero dopo di due altri componimenti Italiani, ne’ quali si dipinse il carattere di un falso divoto, cioè dalla commedia latina del Vercellese Mercurio Ronzio De falso hypocrita & tristi, e dall’Ipocrito di Pietro Aretino, in cui nulla desidereresti per raffigurarvi il Tartuffo, se l’autore non avesse voluto nella sua favola aggruppare gli eventi che nascono da una somiglianza, e quelli di cinque coppie d’innamorati, le quali cose gl’ impedirono il rilevar tutti i tratti più vivaci di tal fecondo detestabile carattere sempre necessario di essere esposto alla pubblica derisione. Ora se gl’ Italiani ebbero il Bernagasso che rappresentarono anche in Francia, se ebbero eziandio l’Ipocrito del Ronzio e dell’Aretino, non comprendo come l’erudito sig. Palissot potè affermare nelle Memorie Letterarie che il Tartuffo non avea avuto modello in veruna nazione. E se tanti e tanti altri materiali e favole degl’ Italiani imitò o tradusse Moliere con felice riuscita, ebbe torto manifesto Giambatista Rousseau quando scrisse che Moliere nulla dovea agl’ Italiani, a riserba del modo di rappresentare pantomimico di Scaramuccia, e della commedia del Secchi, e del Cornuto immaginario. Da ciò si vede la difficoltà di esser critico e pensatore senza cognizione della storia.

Bisogna però mostrare maggiore ingenuità di codesti eruditi Francesi, e confessare che Moliere abbelliva le altrui invenzioni, accomodandole così acconciamente al suo tempo ed alla sua nazione, che quando non lavorava con fretta, gli originali sparivano sempre a fronte delle sue copie. Niuno al pari di lui possedeva l’arte di scoprire il ridicolo d’ogni oggetto: niuno mosse con più fortuna e destrezza la guerra agl’ impostori: niuno innalzò la poesia comica sino al Misantropo: niuno copiò più al vivo la natura seguendola da per tutto senza lasciarla prima d’ averne raccolti i tratti più rassomiglianti. Di quì venne quella verità di carattere che costituisce il maggior talento di questo grand’uomo, e che lo rende superiore di genio a tutti gli altri comici. La poca felicità notata da’ critici nello scioglimento delle sue favole; qualche passo dato talvolta oltre il verisimile per far ridere; alcuna espressione barbara, forzata, o nuova nella lingua, di che fu ripreso da Fénélon, La Bruyere e Baile; molte composizioni scritte per necessità con troppa fretta; la mancanza di vivacità che pretesero osservarvi alcuni Inglesi che ne copiarono qualche favola alterandola e guastandola a lor modo; tutte queste cose, dico, quando anche gli venissero con ogni giustizia imputate, dimostrerebbero in lui l’ uomo. Ma i sommi suoi pregi sino a quest’ora trovati coll’ esperienza inimitabili, lo manifestano grande a tal segno, che al suo cospetto diventano piccioli tutti i contemporanei e i successori. Si vide allora al maggior Cornelio succedere l’immortal Racine, e all’uno e all’altro qualche tragico del nostro secolo; ma dove è il degno successore di Moliere? Egli è ancor solo.

Mentre egli fioriva altri scrissero ancora farse e commedie; ma noi non ci arresteremo su quelle di Poysson, Montfleury, Boursault, Hauteroche, Champmelè, Vizè, Baron ed altri commedianti, i quali o ne composero in effetto o prestarono il nome a chi non volle comparire. Trarremo solo da questa folla di poca importanza il Pedante burlato piacevole commedia di Cirano di Bergerac, i Visionarj di Desmaret morto nel 1676 commedia in quel tempo stimata inimitabile, benchè non sia che una filza di scene di ritratti immaginarj cattiva e maltessuta, e i Litiganti di Racine imitazione delle Vespe di Aristofane uscita nel 1667, cui credesi di aver in qualche modo contribuito e Despréaux e Furetiere ed altri chiari letterati18.

Dicasi pur anche alcuna cosa delle commedie di Quinault scritte nel fiorir di Moliere. Contando egli nel 1653 il diciottesimo anno di sua età diede al teatro le Rivali favola tessuta alla spagnuola su di una deflorazione, sulla fuga di due donne rivali e sul loro travestimento da uomo, senz’arte, senza regolarità e senza piacevolezza. Nel 1654 produsse l’Amante indiscreto, ovvero il Padrone stordito, tratto, come dicemmo, dagl’ Italiani, commedia assai difettosa per condotta, per economia, e per arte di dipingere, e di molto inferiore all’Inavvertito del Barbieri ed assai più allo Stordito di Moliere. Riconobbero i Francesi nella di lui Commedia senza commedia recitata nel 1655 gran fertilità d’ingegno. Vi si figura che alcuni commedianti per mostrare i loro talenti rappresentino nel secondo atto una pastorale, nel terzo una commedia, nel quarto una tragedia della morte di Clorinda, nel quinto una tragicommedia decorata sull’innamoramento di Armida. La Mère coquette rappresentata con gran concorso nel 1664 è la migliore delle sue commedie, ma troppo lontana dal mettersi in confronto di quelle di Moliere. La dipintura di una Madre che si enuncia per civetta, mal corrisponde alla vera idea di tal carattere. Ella è una donna attempata, che si belletta e vuol passare alle seconde nozze; ma basta ciò per caratterizzarla per coquette? L’autore ebbe principalmente in mira di tesser la sua favola sul disgusto di due amanti procurato per furberia di una serva. Vi si vede, è vero, abbozzato il ritratto di un marchese stordito e impudente, come accennò Voltaire; ma non vi si trova la verità e la vivacità comica ch’ebbe poi tal carattere da Moliere. L’istesso Voltaire avendo riguardo a questa Mère coquette diceva che Moliere non trovò il teatro francese totalmente sfornito di buone commedie; e che quando questa si rappresentò, non avea egli prodotto i suoi capi d’opera. Egli in ciò s’ ingannò, come anche nel credere sì buona cotal favola. Non era uscito nel 1664 il Misantropo, ma le Preziose ridicole, la Scuola delle donne, la Critica di questa e l’Improvvisata di Versailles, ed assai più i tre primi atti del Tartuffo preceduti alla Mère coquette, aveano già enunciato ben degnamente Moliere e la buona commedia.

Tre altri comici rinomati si vogliono nominar con onore dopo Moliere, cioè Regnard, Brueys e Dancourt. Giovanni Francesco Regnard nato in Parigi nel 1674, secondo Voltaire, morì d’anni cinquantadue; ma l’autore del Calendario degli Spettacoli vuole che sia mancato di vivere nel 1710, e Palissot reca la di lui morte seguita nel 1709. Di genio allegro, giocondo e comico meritò, dopo lunghissimo intervallo, di occupare il secondo posto appresso Moliere. Il suo Giocatore si avvicina molto al gusto di quel gran comico. I Menecmi tratta da Plauto vien pregiata dagl’ intelligenti; ed è da notarsi che l’ autore la dedicò a Desprèaux contro di cui poi scrisse una satira, parendogli di non essergli stata dall’Orazio della Francia renduta tutta la giustizia. Il Legatario universale buona commedia d’ intrigo si distingue pel dialogo vivo e naturale. Il Distratto è piacevole per la bizzarria del carattere, ma il colore a me sembra troppo risentito, e vi si ammassano in tanta copia le distrazioni che si rende poco credibile. Il Goldoni introdusse questo carattere in una sua favola, facendolo comparire pochissime volte, come personaggio episodico, e le distrazioni non eccedettero nè in numero nè in istranezze, e la dipintura riuscì dilettevole e verisimile.

Davide Agostino Brueys, benchè morto nel 1723, passò la maggior parte della sua età nel secolo XVII, essendo nato in Aix nel 1640. Da teologo controversista divenne poeta comico non ispregevole, e conservò tra’ Francesi il gusto della vera commedia. Le Grondeur gli acquistò molto credito. Egli convisse con Palaprat per alcun tempo con molta intimità, e da lui fu ajutato nella nominata commedia. Diceva però colla maggior naturalezza del mondo, che il primo atto era tutto suo ed era eccellente, il secondo in cui Palaprat avea inserite alcune scene burlesche, era mediocre, il terzo che tutto apparteneva all’amico, era detestabile. Di lui è pure rimasta al teatro una imitazione dell’Eunuco di Terenzio intitolata il Mutolo. Egli abbellì ancora l’antica farsa dell’Avvocato Patelin 19.

Florent Carton Dancourt nato nel 1661 o 1662 e morto nel 1725 o 1726, fu un commediante di mediocre abilità, ed uno de’ buoni autori comici. Dialogizza con felicità e piacevolezza, se non che tal volta diventa affettato per voler essere concettoso. Riusciva principalmente nel dipingere le donne intriganti e i cavalieri d’industria, caratteri copiosi nelle nazioni opulente, i quali sanno così ben coprirsi di politezza e di onestà, che merita ogni applauso il delicato comico che sappia smascherarli e denunziarli graziosamente al pubblico. Il Cavaliere alla moda, il Cittadino di qualità, il Giardiniere galante, sono le di lui commedie più pregevoli. Tutte le sue favole vanno impresse in dieci volumetti, ma si stima che alcune sieno state pubblicate da autori anonimi sotto il di lui nome. Verseggiava languidamente, ma scriveva con vivacità in prosa.

Quanto alla Commedia Italiana fu sostenuta, dopo i Comici Gelosi, prima da una comitiva che rimase in Parigi fino al 1662 senza stabilimento fisso, poi da un’ altra più fortunata che alternava colla Compagnia Francese or nel teatro di Borgogna, or nel Picciolo-Borbone or nel Palazzo Reale. Sette anni dopo la morte di Moliere si unirono le due Compagnie Francesi nel Palazzo di Guenègaud, ed il teatro di Borgogna rimase alla sola Compagnia Italiana sino al 1697, quando d’ordine sovrano rimase chiuso. Per lo più essa rappresentava commedie dell’arte ripiene sovente di apparenze e trasformazioni per dar luogo alle facezie e alle balordaggini dell’Arlecchino. Nondimeno il teatro francese conserverà sempre grata memoria di Scaramuccia e della Commedia Italiana dove andava Moliere a studiare l’arte di rappresentar con grazia nelle situazioni ridicole.