NOTE DI D. CARLO VESPASIANO126.
Nota I.
Il Nasarre non sarebbe stato forse indotto dal folle orgoglio nazionale a pronunziar seriamente tali scempiaggini, se avesse riflettuto, che per le continue guerre e inquietudini ch’ebbe la Spagna per lo spazio di quasi otto secoli cogli Arabi conquistatori, l’ ignoranza divenne così grande in quella Penisola, e tanto si distese, che nel 1473, come apparisce dal Concilio che nel detto anno, per ripararvi si tenne dal cardinal Roderigo da Lenzuoli Vicecancelliere di S. Chiesa e Legato a latere di Sisto IV (V. Mons. Perrimezzi tom. I Dissertazione Ecclesiastica IV, pag. 100), e come attesta parimente il Mariana (lib. 23 apud Spondan.) tra’ Sacerdoti pochi intendevano il Latino, pauci latine scirent, ventri gulæ servientes. Avrebbe certamente quel bibliotecario parlato con maggior circospezione, se si fosse anche ricordato di ciò che si narra da tanti scrittori (V. il P. Coronelli Bibl. tom. III pag. 1317), cioè che Antonio di Nebrixa nato nell’Andalusia al 1444, dopo aver fatto per poco tempo i suoi studj in Salamanca, non ben soddisfatto passasse nell’Italia, e fermatosi lungamente nell’Università di Bologna, dopo essersi renduto ben istruito non men nelle lingue che nelle scienze ritornasse alla sua patria, richiamato, come vogliono, dall’Arcivescovo di Siviglia Guglielmo Fonseca (Istor, della Chiesa tom. III, sec. XV, n. 8) cogli acquisti fatti della dottrina Italiana; e leggendo per un gran pezzo in Salamanca, non ostante l’ opposizione degli Scolastici che di favorir la novità l’accusarono, inspirò a’ suoi nazionali l’amor delle lettere, onde fu caro al Re Cattolico, che lo volle perciò in Corte per iscrivere la sua storia, e fu dal Cardinal Ximenes impiegato nell’edizione della Bibbia Poliglotta, e di poi alla direzione dell’Università di Alcalà di Henares, ove si morì nel 1522, e lasciò molte opere. Il medesimo anche si dice che fatto avesse Ario Barbosa (V. Nic. An tonio Bibl. Hisp.) nato in Aveiro nel Portogallo, il quale fu discepolo del Poliziano in Firenze, e fecevi gran profitto, e dopo lesse ancora egli in Salamanca per lo spazio di venti anni in compagnia del Nebrissense, e passato in Portogallo fu Maestro de’ due Principi, e morì decrepito in sua casa nel 1530 con lasciar varie opere. Laonde a questi due dotti uomini dirozzati ed ammaestrati in Italia dee la Spagna tutto l’onore di aver da’ suoi cacciata l’ignoranza in cui erano immersi. Del resto pur troppo vero si scorge in non pochi Spagnuoli ciò che di essi generalmente afferma M. Baillet: Si l’on en croyoit ceux du pais, il ne s’en trouveroit point parmi ceux des autres nations qui les auroient surpassés, & fort peu même qui les auroient égalés; mais il faut considerer cette opinion plutôt comme un veritable sentiment de tendresse pour leur patrie, que comme un jugement fort sain ou fort sincere.
Contro di questa mia nota volle scagliarsi l’apologista Lampillas nel tom. I della P. II del Saggio Apologetico, attribuendola per abbaglio al mio dotto amico il Dottor Napoli-Signorelli. E perchè tanto gl’ incresce la storia? Quel che vi si avanza, specialmente dell’ignoranza provata de’ Sacerdoti Spagnuoli sino al XV secolo, è fondato, come ognun vede, sulle cure presene per distruggerla da tutto un Concilio Matritense, e sul testimonio del celebre Storico Mariana. Ora il Sig. Lampillas ha egli per avventura distrutte queffe testimonianze nazionali lampanti, imparziali, irrefragabili? E se non l’ha fatto, a che tante ciance? A che accozzar un capriccioso e fallace raziocinio ed ascriverlo all’autor della Nota? Poteva (dice poi il medesimo apologista) nel principio del XVI secolo uno spagnuolo insegnare agl’ Italiani a scrivere commedie, tuttochè uscisse da un paese barbaro ancora nel XV. Poteva, sì, accordiamolo; è ciò un possibile, benchè troppo raro; ma un possibile gioverà mai contro il fatto? Io veggo però un altro possibile incomparabilmente più comune, e naturale, cioè, che il Nasarre ignorasse o dissimulasse la barbarie della Penisola verso il principio del XVI secolo (alla quale non mai derogheranno nè tre nè quattro scrittori che altri potesse citare), e spacciasse un fatto passato solo dentro del suo cervello, cioè che ne fosse sbucciato un autore spagnuolo che, usando nelle insipide sue commedié un latino barbaro e un pessimo italiano, calato fosse ad insegnare a scrivere commedie ai maestri de’ Nebrissensi e de’ Barbosi, agl’ Italiani, che, come bene osserva l’A. di questa eccellente Storia teatrale, già possedevano le comiche produzioni de’ Trissini, degli Ariosti, de’ Machiavelli, de’ Bentivogli.
Nota II.
Avvegnachè la prima Accademia scientifica de’ Segreti della Natura fosse stata formata in Napoli nel secolo XVI (V. il dotto ab. Gimma nella sua Italia letterata pag. 479) da Giambatista della Porta fertile ed elevato ingegno, pregio delle scienze e delle arti, onore dell’Italia non che del Regno, pure fassene quì menzione, perchè parecchi individui di essa col loro capo vissero nel XVII, e furono aggregati nell’Accademia de’ Lincei instituita in Roma l’ anno 1603 dallo scienziato principe Federigo Cesi Duca di Acquasparta, il quale con raro immortale esempio (secondo l’eruditissimo ab. Amaduzzi Discorso filosofico sul fine e sull’utilità delle Accademie) la sua casa e le sue sostanze per essa consacrò, e di Museo, di Biblioteca e d’Orto Botanico generosamente l’arricchì. Di quest’Accademia che durò per anni 27 sino alla morte del lodato Principe accaduta nel 1630, veggasi Jani Planci Lynceorum Notitia premessa alla nuova edizione del Fitobasano di Fabrizio Colonna fatta in Firenze nel 1744 presso il Viviani.
L’Accademia del Cimento che diede norma e regola alla Reale di Londra, ed a quella delle Scienze di Parigi, fu istituita l’anno 1657 dal Principe Leopoldo de Medici, e cessò nel 1667.
Quella degl’ Investiganti si formò in Napoli verso il 1679 dal Marchese di Arena Andrea Concubleto nella propria casa, come accenna il Gimma pag. 483.
La privata Accademia degl’ Inquieti nacque in Bologna l’ anno 1690, e si convertì poi nella si famosa dell’Istituto nel 1714.
I principj dell’Accademia Senese de’ Fisiocritici, al dir del prelodato Amaduzzi, furono fondati da Pirro Maria Gabrielli Lettore primario di Medicina Teorica e di Botanica nell’Università di Siena nel mese di marzo dell’anno 1691. Quindi nell’anno 1699 fu incorporata in questa medesima Accademia una Colonia dell’Arcadia di Roma.
La Società Scientifica Rossanese formossi in Rossano di Calabria l’anno 1695 per le cure del dotto ab. Gimma.
Nota III.
Del Buonarrotti il giovane e de’ di lui drammi leggasi quanto ne dice il conte Mazzucchelli, a cui si può aggiugnere il giudizio, che della Tancia portò il Nisieli in questa guisa: Ridicolosa, accomodata e ingegnosissima invenzione mi par quella dell’ autor della Tancia commedia, ove per cori all’usanza delle antichissime commedie de’ Greci, inventò alcuni intermedj nel fine d’ogni atto, i quali contengono fragnolatori, uccellatori, pescatori, e mietitori, tutte persone opportunissime alla scena, e convenevolissime al subjetto rusticano. Per simigliante artifizio altrettanta lode merita il Lasca, il quale nella Gelosia commedia introdusse per intermedj, o per cori, satiri, streghe, folletti, e sogni. Le quali imitazioni, benchè estrinseche, non cedono al cori d’ Aristofane, anzi gli sopravvanzano di novità e di varietà.
Nota IV.
Il ballo (son parole del chiar. Bettinelli nella Nota VII dell’Entusiasmo delle belle Arti tom. II) era pur esso un’ arte solo Italiana, e chiamavansi i nostri maestri in Francia e in Germania. Il Poeta antico Du Bellai al sonetto 32 dice, che spera, venendo in Italia, d’apprendere il ballo; e la Marchesa di Mantova andando in Baviera sua patria condussevi ballerini Italiani, siccome una rarità prima del 1500.
Nota V.
“Wycherley (dice il sig. di Voltaire) ha tirato dalla Scuola delle Donne di Moliere questa singolare e troppo ardita commedia, la quale, se volete (ei soggiugne) non è scuola di buoni costumi, ma sì bene dello spirito e del buon comico”.