(1788) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome III « LIBRO III — CAPO III. Memorie drammatiche d’oltramonti nel medesimo secolo XIV. » pp. 41-46
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(1788) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome III « LIBRO III — CAPO III. Memorie drammatiche d’oltramonti nel medesimo secolo XIV. » pp. 41-46

CAPO III.
Memorie drammatiche d’oltramonti nel medesimo secolo XIV.

Mentre l’Italia già avea l’Ezzelino e l’Achilleide tragedie, e la Filologia, e ’l Paolo commedie, al di là delle alpi i soli Provenzali scrissero componimenti rassomiglianti ai teatrali, benchè lontani assai in qualunque modo dall’imitar gli antichi. Non trovavasi tra’ Provenzali nè un Mussato, nè un Petrarca, nè un Vergerio, nè un Salutato. Essi ignoravano, dice M. de Fontenelle, di esservi stati al mondo Greci e Latini. I loro pezzi chiamati drammatici nudi di azione, erano anzi dialoghi che drammi, dicesi nell’introduzione alla Biblioteca Poetica Francese. Batista Parasols Limosino morto nel 1383 compose cinque dialoghi chiamate tragedie contro Giovanna I contessa di Provenza e regina di Napoli ancor vivente. Luca de Grimaud Genovese satireggiò ne’ suoi drammi o dialoghi che scrisse in volgar Provenzale, il Pontefice Bonifacio VIII.

Non entro io quì di proposito ad esaminare se i Provenzali abbiano a dirsi piuttosto Spagnuoli che Francesi, perchè i conti di Barcellona dominarono alcuni anni in Provenza, e perchè la lingua Catalana e la Provenzale si rassomigliarono molto. Dico solo di passaggio quanto alla prima parte, che siccome i Napoletani, i Toscani, i Parmigiani, i Milanesi, i Corsi, per essere sottoposti al dominio Spagnuolo, Alemanno e Francese, non si chiamarono mai Spagnuoli, Alemanni, o Francesi, così i conti di Barcellona non faranno che i Provenzali chiaminsi Spagnuoli. Quanto alla seconda parte io credo che nell’origine degl’ informi dialetti moderni, e specialmente nel fermento del X e XI secolo, fuvvi per necessità molta somiglianza ne’ parlari, più sensibile tralle provincie confinanti che tralle lontane. Ma come dedurre da ciò, che la lingua Provenzale derivi dalla Catalana? L’amor del dialetto nativo fe dire all’Ab. Lampillas 36 che sin dal nono secolo i conti di Barcellona introdussero in quelle provincie di Francia, in cui dominarono col titolo di duchi di Septimania, il loro nativo idioma; e credè ciò provato a maraviglia coll’ epitafio del conte Bernardo avvelenato nell’anno 844. Quest’epitafio prova bene la somiglianza della lingua Catalana colla Provenzale, ma in niun conto può provare che la Catalana fu da’ conti di Barcellona introdotta in Provenza. Laonde noi quì distingueremo sempre i Provenzali dagli Spagnuoli; tanto più che ci sembra ingiusta e sconvenevol cosa il distendere il giudizio del Fontenelle, intorno all’ignoranza de’ trovatori Provenzali, anche alle provincie Spagnuole.

Parlando adunque delle regioni che portano incontrastabilmente il nome onorevole di Spagnuole, noi troviamo nella Catalogna prima in Barcellona, indi in Tortosa l’accademia della Gaya Ciencia, e parimente tra gli Aragonesi alcuni poeti degni di mentovarsi. Vi troviamo ancora i Giullari, e nel 1328 celebrandosi le feste per la coronazione del re d’Aragona, i giullari Ramaset e Novellet cantarono molti versi composti dall’infante Don Pietro fratello del re. Tuttavolta insino a questo giorno con molta diligenza (anche dopo le ciance apologetiche e le bravate e i lampi e i tuoni strepitosi ed innocui de’ Lampillas, degli Garcia de la Huerta ed altri simili trasoni, sofisti e declamatori) a me non è riuscito raccorre, nè dalla storia, nè da’ romanzi apologetici stessi, cosa veruna teatrale di questo secolo, siccome nè anche riuscì al dotto bibliotecario D. Blàs de Nasarre, nè all’Ab. Andres.

Si avvicinano bensì alle teatrali alcune farse sacre de’ primi anni di questo secolo che si trovano mentovate nella storia di Francia, ma che si sono ignorate dall’anonimo Francese che nel 1780 cominciò a pubblicare in Lione una collezione del Teatro Francese. Quando il re Filippo detto il Bello morto nel 1314 armò cavalieri i suoi figliuoli, trovasi in un’ antica cronaca37 che si diede una festa, in cui si vide la persona di N. S. mangiar de’ pomi ridendo con sua Madre, dire de’ paternostri cogli Apostoli, e risuscitare e giudicare i morti: vi si udirono i beati cantare in paradiso in compagnia di circa novanta angeli, e i dannati piangere in un inferno nero e puzzolente in mezzo a più di cento diavoli che ridevano del loro supplizio: vi si vide ancora una volpe prima semplice clerico, indi di mano in mano vescovo, arcivescovo e papa, sempre cibandosi di polli e pulcini. Per questi passi si venne in Francia ad introdurre l’uso di rappresentare i misteri che nel 1380 si stabilì sul teatro per mezzo del Canto Reale. Esso consisteva in versi in lode della Vergine e de’ Santi, cantati a competenza da’ varj branchi di pellegrini venuti da’ Santuarj38. Fermavansi da principio a cantar nelle piazze, facendo come uno steccato co’ loro bordoni, e di poi montarono su d’un rustico palco in una casa comprata espressamente da alcuni per trarre profitto dalla folla che concorreva a questo nuovo devoto divertimento.

Trovansi pure in questo secolo i misteri teatrali in Inghilterra, che allora contava due poeti Giovanni Gover e Gualfrido Chaucer di lui migliore. N’erano attori gli ecclesiastici e scolari, i quali andavano talmente altieri dell’usanza privativa di rappresentarli, che non soffrivano che altri se ne ingerisse. Gli studenti di San Paolo nel 1378 presentarono una supplica a Riccardo II, affinchè vietasse a certi ignoranti di rappresentar le storie del Vecchio Testamento in pregiudizio del clero39.

Senza contrasto sul principio del secolo XIV furono in Alemagna alcune rappresentazioni sacre. Varie cronache addotte dal Menkenio40 recano che Federigo margravio di Misnia e langravio di Turingia assistette a una rappresentazione delle dieci vergini del Vangelo eseguita pubblicamente in un gioco piacevole da’ preti della città di Eisenach nel 1322 quindici giorni dopo Pasqua destinata al pubblico divertimento41.