(1787) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome II « LIBRO II — CAPO PRIMO. Antichità Etrusche fondamento delle Romane. » pp. 2-8
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(1787) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome II « LIBRO II — CAPO PRIMO. Antichità Etrusche fondamento delle Romane. » pp. 2-8

CAPO PRIMO.
Antichità Etrusche fondamento delle Romane.

Ogni riconoscenza ed applauso esigono dalla grata posterità le utili fatìche del Muratori, del Maffei, del Gori, del Guarnacci, del Passeri, dell’ Accademia di Cortona ed anche del Dempstero, i quali sparsero da non gran tempo non picciola luce nelle antichità Etrusche. Essi le vendicarono in parte delle ingiurie del tempo che di tenebre l’ avvolse, e ci rapì ancora la Storia degli Etruschi che ne avea in greco distesa in venti libri l’Imperador Claudio. Meritava al certo le cure di sì valorosi antiquarii una nazione che avea dominato in Italia prima de’ Romani e de’ Galli, che fiorì prima della stessa Grecia (Nota I), e che colla lingua, i riti, le arti e le usanze tanto contribuì all’origine e alla coltura dell’antica Roma.

Se voglia riguardarsi al suo dominio, l’Etruria di molto estendevasi oltre la Toscana presente; perciocchè i Tirreni, secondo Polibio1, abitavano tutte le terre poste tra l’Apennino e il mare Adriatico, e possedevano i Campi Flegrei che erano tra Capua e Nola. Capua stessa, anticamente chiamata Volturno, al dir di Livio, fu città Etrusca2. Lo stesso Storico ci fa sapere che gli Etruschi possedettero la massima parte dell’Italia, e colle colonie si sparsero per le alpi ancora, e tennero il paese de’ Grisoni anticamente chiamato Rhaetia 3.

Se si attenda al grado della coltura a cui pervenne, essa inventò, e fece ne’ dilatati suoi dominii fiorir tante arti di comodo e di lusso. Testimoni indubitati della perizia di tali popoli nell’ architettura abbiamo non solo l’invenzione e il nome di un ordine diverso da quelli che ci tramandò la Grecia, ma le reliquie degli antichi edificii che in parte esistono ancora ne’ paesi Toscani. Sebbene dello stupendo e capriccioso Labirinto di Porsena, monumento sepolcrale fabbricato nell’antichissima città di Chiusi, giunso all’età di Plinio soltanto la memoria4, pure non pochi altri antichi rottami ci rimangono che manifestano la loro espertezza nel costruire. Nel luogo selvoso, ov’era Populonia una delle dodici principali città dell’Etruria, appajono molte vestigia di sì famosa città, e specialmente una porzione di un grande anfiteatro, che si congettura essere stato tutto di marmi: tralla Torre di San Vincenzo ed il promontorio dove era la nomata Populonia, veggonsi le reliquie di un altro anfiteatro, presso al quale giaceva un gran pezzo di marmo con lettere Etrusche: di un altro osservansi i rottami fralle antichità della città di Volterra5, Del magistero degli Etruschi nel dipingere, oltre ai vasi coloriti, de’ quali favella il Maffei6 e ad altri posteriormente scoperti, ci accerta il lodato Plinio7, affermando che quando in Grecia cominciava la pittura a dirozzarsi, cioè a’ tempi di Romolo, non avendo il Greco pittore Butarco dipinto prima dell’ olimpiade XVIII, in Italia già quest’arte incantatrice era perfetta, e le pitture di Ardea, di Lanuvio e di Cere erano più antiche di Roma fondata, secondo la cronologia del Petavio, nella VI olimpiade8. S’incideva parimente e si scolpiva per ogni dove nell’Etruria, giacchè tante tavole di bronzo e di marmo intagliate e tante statue ed altri marmi e bronzi scolpiti se ne rinvengono sparsi quà e là per l’Italia. Ammiravasi in Populonia la famosa statua di Giove fatta tutta di una vite che si conservò lungamente senza veruna macchia9. Mostrasi in Volterra una statua marmorea di Marte e molte urne di alabastro con grande artificio istoriate, nelle quali veggonsi incisi caratteri Etruschi, come ancora una statua di donna vestita con un fanciullino fasciato nelle braccia. Fecesi da uno scultore Toscano in Roma la statua di Giove Capitolino sotto Tarquinio Prisco. Disotterransi tratto tratto diversi monumenti da’ migliori antiquarii stimati Etruschi. Tale si giudicò il puttino di bronzo che Monsignor Carrara presentò al Pontefice Clemente XIV, da cui fu collocato nel Museo Vaticano. L’Auditore Giambatista Passeri nel 1771 l’illustrò con una dissertazione latina10.

In pruova poi di essersi nell’Etruria coltivata la poesia, il tempo ci ha conservate alcune tavole di bronzo, nelle quali leggonsi incisi alcuni inni sacri. Sappiamo altresì che essa aveva spettacoli teatrali, oltre ai dialoghi satirici Fescennini. E per le cose sceniche troviamo mentovate le tragedie e la ludicra degli Etruschi, e ci si dice che le donne ancora rappresentavano ne’ loro teatri11. Etrusco, secondo Livio, è lo stesso vocabolo Hister da’ Romani poi convertito in Histrio, ed usato in vece di Ludio per l’attore scenico, nel qual senso si è continuato ad usare in molte lingue volgari Europee. Volunnio, secondo Varrone, scrisse alcune tragedie in lingua Etrusca. Che sieno però esse state composte avanti che l’Etruria fosse soggiogata da’ Romani, siccome pretenderebbe dare a credere il Dempstero12, è cosa incerta, nè apparisce dal passo di Varrone; ed il chiar. Tiraboschi saviamente oppone, che anche sotto il dominio Romano potevano gli Etruschi poetare nella loro lingua patria. Ed in fatti ognun sa che gli stessi Romani studiavano le lettere Etrusche; e secondo Dionigi Alicarnasseo il Greco Demarato fece non meno nelle Greche che nell’Etrusche lettere ammaestrare i figliuoli.

Roma certamente si formò sopra la nazione Etrusca. Giusta l’usanza religiosa da questa tenuta Roma nascente volle descrivere il circuito delle proprie mura per mezzo di un solco fatto coll’ aratro tirato da un toro e da una vacca13. A imitazione degli Etruschi aggiunse Romolo il pomerio nella sua città14. Da essi15 fu presa la pretesta che i Romani portavano fino ai quindici anni, e la trabea ornamento reale, e la toga, e i fasci consolari, e le trombe militari, e la sedia curule de’ gran magistrati16. Feste, arte aruspicina, regolamenti politici, giuochi gladiatorii, baccanali, istrioni, tutto tolse Roma dall’Etruria. Ma tutto ne imitò di mano in mano a misura che andava prendendo forma. Gli spettacoli destinati al ristoro della società dopo la fatica, furono un bisogno conosciuto dalla nuova città più tardi di quello di assicurare contro gli attentati domestici e stranieri la propria sussistenza per mezzo della religione, della polizia e delle armi. Perciò quando l’Etruria sfoggiava con tante arti e con voluttuosi spettacoli, e quando la Grecia produceva copiosamente filosofi, poeti e oratori insigni, e risplendeva pe’ suoi teatri, Roma innalzava il campidoglio, edificava templi, strade, aquidotti, prendeva dall’aratro i dittatori, agguerriva la gioventù, batteva i Fidenati e i Vei, scacciava i Galli, trionfava de’ Sanniti, preparava i materiali per fabbricar le catene all’Etruria, alla Grecia, e a una gran parte del nostro emisfero.