(1787) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome I « LIBRO PRIMO — CAPO X ed ultimo. Teatro Materiale, ove de’ più rinomati teatri, e della condizione degli attori Greci. » pp. 298-315
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(1787) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome I « LIBRO PRIMO — CAPO X ed ultimo. Teatro Materiale, ove de’ più rinomati teatri, e della condizione degli attori Greci. » pp. 298-315

CAPO X ed ultimo.
Teatro Materiale, ove de’ più rinomati teatri, e della condizione degli attori Greci.

Poichè sul Greco teatro ειδικῷ, formale, preso come spettacolo abbiamo in grazia della gioventù ragionato a sufficienza, non increscerà per diletto ed erudizione, quando per altro non fosse, formarsi di esso una meno confusa idea, considerandone la struttura ύλικην, materiale.

Copiose ricerche intorno al teatro materiale degli antichi trovansi sparse nelle opere degli eruditi150. Tuttavolta recheremo quì alcune delle notizie più curiose e necessarie all’ intelligenza degli scrittori.

Riguardando all’origine degli spettacoli, il nome di teatro che da ϑεαομαι, intueor, ebbe l’edifizio ove si rappresentavano, e che da Cassiodoro nell’epistola scritta dal Re Teodorico a Simmaco151 fu tradotto visorium, è più moderno di quello di scena che si diede al luogo delle prime rappresentazioni. É noto che scena deriva da Σκιας, umbra, per quell’ombra che formavano i rami e le fronde soprapposte ai tabernacoli o alle tende fatte di tela, di lana, o di pelli per difendere gli attori dal sole e dalle piogge prima che essi fossero ammessi a rappresentare in città. I noti carri di Tespi menati d’uno in altro luogo dovettero essere una specie di tenda portatile che prontamente si rassettava alle occorrenze ad imitazione del primo semplice apparato campestre.

Passato lo spettacolo tragico in Atene a’ tempi di Frinico e de’ suoi coetanei si eresse estemporaneamente nelle gran piazze un tavolato con scene formate dagli alberi; nè si pensò a migliorarle se non dopo che in tempo del tragico Pratina quelle mal accozzate tavole cedendo al peso, forse con danno degli attori e degli spettatori, convenne innalzare un edifizio più solido. Agatarco celebre architetto da noi altrove mentovato, colla direzione di Eschilo152, costruì in Atene il primo teatro. Un altro ancor più famoso tutto di marmo dedicato a Bacco se ne alzò dal chiaro architetto Filone 330 anni prima dell’Era Cristiana, del quale insino ad oggi veggonsi gli avanzi153. Vastissimo, secondo Pausania, fu il teatro edificato dagli Arcadi in Megalopoli. Policleto ne architettò uno in Epidauro, che sorpassò in vaghezza e in proporzione gli altri teatri Greci. Delo presenta a’ nostri giorni ancora nel pendio di una collina a cui si appoggia, e intorno a trecento passi lontano dal mare, che riguarda la punta del gran Rematiari, qualche reliquia di un bel teatro di marmo, il cui diametro preso con tutta la profondità degli scaglioni è di 250 piedi e la periferia di 500154. Oggi pure si osserva in Samo lo spazio che occupava il suo teatro, i cui marmi furono trasportati per edificarne Cora155. Uno de’ più magnifici teatri di marmo dell’Asia minore era quello di Smirne, il quale probabilmente fu il luogo dove bruciarono vivo San Policarpo primo vescovo di quella città in età di anni 96 sotto Marco Aurelio o Antonino Pio. I Turchi hanno interamente demolito questo teatro, e de’ suoi marmi costruito un bellissimo Basar o Bezestein, ossia mercato, e un gran Caravanserai, ovvero alloggio delle caravane156. Perinto città della Tracia poscia conosciuta sotto il nome di Eraclea, e si vicina a Bizanzio che l’una e l’ altra si reputarono come una città sola, a’ tempi di Filippo il Macedone ebbe un teatro di marmo di tale magnificenza che passava per una delle maraviglie del mondo. Argo, Tebe, Corinto, Creta, ed altre illustri città Greche furono decorate di famosi teatri. Considerando, come abbiamo praticato nel teatro formale, la Sicilia come diramazione della nazione Greca, si vogliono quì rammemorare i teatri di quell’isola, e singolarmente il massimo di Siracusa, quello di Agira patria di Diodoro Siculo, di Palermo, di Agrigento, di Catania, di Messina, di Segesta e di Taormina157. Similmente degni di ricordarsi sono i teatri della Magna Grecia, come il Capuano, il Nolano, il Puzzolano, e quelli di Minturno, di Pompei, di Ercolano e di Napoli158.

Sparta medesima, l’austera Sparta, ebbe un teatro assai magnifico, della cui bellezza favellano Pausania e Plutarco nella Vita di Agesilao. In fatti nulla parmi che si possa aggiugnere a ciò che adduce M. Guillet 159 per confutare l’ errore del Cragio, il quale ha creduto che gli Spartani mancassero di spettacoli scenici ed ha indotti nel medesimo errore altri scrittori nè volgari. Quel teatro, i cui vecchi fondamenti si additano presso la tomba di Pausania vincitore de’ Persiani nella battaglia di Platea, era veramente fatto per gli esercizj ginnici; ma vi si facevano anche pubbliche rappresentazioni delle ridicole farse de’ nominati Dicelisti spezialmente al secondo giorno delle feste Giacintie, che celebravansi ogni anno nel mese di agosto in Laconia ad onor di Apollo e del fanciullo Giacinto da lui amato e per disgrazia ucciso. In Suida troviamo ancora che il gramatico Sosibio Spartano compose un trattato sul genere di commedia usato dalla sua nazione. Cornelio Nipote nel proemio del suo libro degli uomini insigni riferisce una cosa assai più notabile, cioè che in Isparta ogni vedova quanto si voglia nobile compariva sulle scene prezzolata. Il dottissimo Marchese Maffei nel trattato scritto contro le stravaganze del P. Concina si maraviglia di ciò che asserì Cornelio, non parendogli probabile che Plutarco nel parlare degl’ Instituti Laconici avesse tralasciata tale particolarità, se fosse stata vera. Ma essa poteva esser vera dopo che si rallentò quel rigore degli statuti di Licurgo, il quale non permise agli Spartani di essere nè anche spettatori delle rappresentazioni sceniche. Certo è che a poco a poco s’ introdusse in Isparta una riforma delle cose stabilite da quel severo legislatore. Certo è pure che dopo dell’introduzione del danajo fattovi da Lisandro, insensibilmente gli Spartani e le loro donne in particolare si avvezzarono al lusso e a’ piaceri del resto della Grecia. Cornelio Nipote afferma con tal franchezza il fatto riferito, senza timore di essere smentito da’ contemporanei, che sembra escludere ogni sospetto suscitato dal Maffei di essersi egli lasciato ingannare da qualche falsa relazione. Da questo medesimo fatto possiamo eziandio rilevare che le rappresentazioni Spartane altro non fossero che burlette, o mimi; non essendovi esempio in Grecia che le donne rappresentassero in tragedie o commedie. Le parti femminili, come bene osserva il medesimo Maffei, si rappresentavano dagli uomini solamente; e viene ciò con ispezialità assicurato da Platone, cui rincresceva appunto che gli uomini comparissero sulla scena da donne160. Plutarco nella Vita di Focione racconta ancora di un tragedo che nell’uscire sul pulpito richiese una maschera degna di una regina e un corteggio proporzionato. E nella Vita di Silla egli pur mentova un certo Metrobio attore Lisiodo, cioè che rappresentava solo parti di donne, a differenza de’ Magodi che facevano quelle dell’uno e dell’altro sesso. É notissimo il passo di Aulo Gellio161 intorno all’attore Polo, il quale sostenendo la parte di Elettra nella tragedia di Sofocle, in vece delle ceneri di Oreste pose nell’urna quelle di un suo figliuolo, ed espresse vivamente il proprio dolore in quello di Elettra. Quanto poi alla condizione nobile delle Spartane che rappresentavano per prezzo, non è da stupirsene; e Cornelio l’adduce appunto per uno degli esempj della diversità de’ costumi de’ Greci e de’ Romani. La musica era uno de’ pregi di Epaminonda e di altri grand’ uomini della Grecia, e la declamazione teatrale vi si esercitava come nobile e degna di ogni distinto personaggio. Quasi tutti i poeti scenici erano attori, quando non gli teneva lontani dal rappresentare l’erà o alcun difetto personale, o la mancanza della voce, come avvenne a Sofocle. Frinico rappresentatore e autore fu, come abbiam veduto, creato capitano dagli Ateniesi in grazia de’ suoi versi. Eschilo musico, attore e saltatore non meno che poeta, era uno de’ valorosi capitani del suo tempo, e sotto di lui godeva la pubblica stima il saltatore Teleste che si segnalò nella rappresentazione de’ Sette a Tebe. Si è già riferito a qual segno godesse il favore del re Archelao e dell’amicizia di Socrate il celebre Euripide. L’attore Cefisonte che recitava nelle di lui tragedie, era rispettato in Atene, e sommamente caro allo stesso gran tragico, ne’ cui drammi correva romore di avere anche lavorato alcun poco come scrittore. Si è veduto similmente quanto fosse pregiato e rispettato Egemone il parodo. Eschine celebre oratore fu prima attore teatrale, e si distinse nel rappresentare il personaggio di Enomao, benchè non facesse che le terze parti, siccome gli è rimproverato dal suo gran competitore Demostene nell’aringa per la Corona. Aristodemo ambasciadore al re Filippo, e Neottolemo tanto da questo principe favorito, erano poeti ed attori sommamente stimati in Atene, i quali mirabilmente influivano nelle politiche deliberazioni, e attraversarono le mire di Demostene. Neottolemo stabilito in Macedonia, mentre Filippo si accingeva alla spedizione meditata contro la Persia, e celebrava le nozze di Cleopatra di lui figliuola con Alessandro re de’ Molossi, rappresentò un suo componimento intitolato Cinira, di cui Diodoro Siculo ci ha conservato un frammento notabile, tradotto o imitato dal chiar. Cesarotti162. E per finirla in grande stima era Satiro celebre attore, al quale secondo il racconto di Plutarco dovè Demostene tutto il vantaggio che ricavò dalle sue aringhe, avendo da lui appreso ad animarle con azione vivace e con tuono decente e alle cose accomodato. Ma veniamo alla struttura del teatro greco.

La sua figura era rettangola dalla parte che serviva alla rappresentazione, e circolare da quella dell’uditorio. Della prima il luogo più elevato e visibile, e quasi la fronte dell edifizio, era la Scena, la quale veniva coperta da un tetto, e presentava agli spettatori tre porte, delle quali quella del mezzo dicevasi βαοιλειον, reale, e l’una, e l’ altra de’ lati ξενοδοχειον, ospitale 163. Questa scena, a seconda dei drammi che vi si esponevano, diveniva tragica mostrando statue, colonne e ornati nobili, comica imitando piazze e finestre di edifizj particolari, e satirica presentando rupi, caverne, boscaglie. Le decorazioni accennate proprie di ciascun genere comparivano al bisogno per mezzo di macchine, le quali secondo Servio164 cangiavano l’aspetto della scena o col volgere velocemente i tavolati o col ritirarli, per togliere dalla vista una dipintura e farne comparire un’ altra165. Nell’alto della scena eravi il Θεολογειον, cioè il luogo onde parlavano le divinità. Nell’alto era ancor situata la macchina versatile, dalla quale giove lanciava i suoi fulmini, come dinota la voce Κεραυνοσκοπειον che le diedero. Dietro della scena era il βροντειον, il luogo, in cui con otri ripieni di selci che si agitavano, imitavasi lo strepito de’ tuoni. Anche al di dietro era il coragio che oggi si direbbe la guardaroba del coro, serbandovisi quanto faceva d’uopo alla rappresentazione. Il luogo spazioso e libero posto innanzi alle porte della scena (secondo Isidoro e Diomede) chiamavasi Proscenio, ed in mezzo di esso benchè alquanto più basso alzavasi il Pulpito che dicevasi λογειον, dove recitavano gli attori tragici e comici, e i planipedi, o sieno mimi che non usavano nè coturni nè socchi. Al di sotto del pulpito e nel bel mezzo del teatro era l’orchestra destinata al canto e ai movimenti compassati del coro, la quale così chiamavasi dal saltare, dal verbo ορχεομαι, salto. Vedevasi in essa un luogo particolare chiamato Θυμελη, che secondo Polluce non era già il pulpito descritto, siccome scrisse il Calliachio, ma sì bene una specie di ara o tribunale che si occupava da’ musici. E quì termina la parte del teatro destinato alle operazioni degli attori e de’ musici e de’ ballerini.

Un semicircolo col suo diametro comprendeva la parte del teatro occupata dagli spettatori. In essa seguendo la circonserenza si elevava dal basso all’alto una continua scalinata. Veniva questa interrotta da tre piccioli piani formati da scaglioni più spaziosi degli altri, i quali facevano la figura di fasce, e da Vitruvio chiamaronsi Precinzioni 166 e da’ Greci διαξωματα. Facevansi in queste varj aditi, entrate, o porte che dall’introdurre il popolo si dissero da’ Latini vomitoria, o anche vomitaria, come scrive il dottissimo Mazzocchi; e a questi aditi si ascendeva per gradi anteriori. Viæ, itinera, o scalaria dicevansi alcune scalinate più anguste, fatte, non per sedere, ma per montare a i rispettivi cunei. Ogni coppia di queste picciole scalinate conteneva uno spazio, che dall’andarsi sempre ristringendo nel calar giù presentava la figura di un cuneo, e secondo Giusto Lipsio167 diede il nome agli spartimenti de’ sedili assegnati a i diversi ceti degli spettatori. Tutti gli spartimenti erano di modo divisi, che gli apici degli angoli de’ gradini sarebbero stati toccati da una retta tirata dal primo dell’ima all’ultimo gradino della summa cavea; cosa secondo l’anzilodato architetto Latino ben necessaria in un edifizio teatrale, affinchè la voce possa diffondersi senza impedimento. Osserva ancora lo stesso Vitruvio non essersi senza molto senno, per la scalinata, scelta da’ Greci architetti la figura circolare, ed averne gradatamente innalzati e ingranditi i cerchi a misura che si allontanavano dal centro. Nella qual cosa secondarono la naturale espansione del suono, il quale, non come l’acqua percossa forma de’ circoli concentrici in una superficie piana, ma bensì gli forma nel mezzo dell’aria in tutti i sensi come in una superficie di una sfera, il cui centro è il corpo sonoro. A render poi sempre più chiare e soavi le voci degli attori, immaginarono i Greci certi vasi di bronzo chiamati echei artificiosamente lavorati e collocati in alcune cellette sotto gli scaglioni. Erano essi fra loro accordati con musica ragione in guisa che scossi dalla voce la rimandavano più sonora e modulata. Ponevangli a tal fine in un luogo vuoto rivolti verso la scena e sostenuti da cunei che si ponevano sotto di essi, perchè non toccassero le pareti. L’ultima gran curva della scalinata terminava in un portico che pareggiava l’altezza della scena ed era anche coperto da un tetto, rimanendo il resto alla scoperto. Formavano ancora una parte del teatro alcuni gran portici edificati dopo la scena, i quali servivano al popolo per ricoverarvisi quando le piogge dirotte interrompevano la rappresentazione. Adjacenti al teatro facevansi pure spaziosi passeggi, ne’ quali il popolo trattenevasi attendendo l’ora prefissa allo spettacolo.

Marmi, bronzi, statue, colonne ed altre preziose reliquie di tanti teatri Greci, a dispetto degli anni che gli abbatterono, ne manifestano la solidità e la magnificenza. Non è da stupirsene. Gli spettacoli come scuole di destrezza, di valore, e d’ingegno formavano una delle cure predilette de’ Greci, e tralle prime di queste cure erano i teatrali. Se ne occupavano perciò con tutta l’accuratezza i Temistocli e i Pericli per cattarsi la benevolenza popolare. Il Demarca principal magistrato Ateniese prendeva a suo carico lo spettacolo; e reputavasi impiego così onorifico che Adriano stesso poscia imperadore ne fu decorato. Due splendidi campi di onore aperse agl’ ingegni la Grecia, l’uno ne’ giuochi Olimpici e l’altro in Atene; e nell’uno e nell’altro si gareggiava per la palma drammatica. Quale ardore destar non dovea ne’ generosi scrittori un’ adunanza composta di quanto avea di più cospicuo la dotta Grecia destinata ad assistere al certame e pronta a coronare il vincitore! Questa onorata fiamma di gloria, questa bella utile contesa così chiamata da Esiodo perchè nulla avea di quella bassa malignità che tormenta gl’ invidi impostori e gli stimola a perseguitare il merito innocente, questa, dico, regnava singolarmente in Atene. Quivi collocò il suo luminoso trono la gloria drammatica; e le sceniche contese accadute in sì celebre città vinsero di gran lunga di fama le stesse gare Olimpiche. Nelle più solenni feste di Minerva dette Panatenee e di Bacco dette Dionisie famose pel gran concorso de’ Greci, aveano luogo gli spettacoli scenici. Colui che ad essi presedeva, riceveva un presente o sussidio considerabile che esauriva l’erario pubblico, e pure non bastava alle spese necessarie. Ne’ Baccanali quando si esponevano a gara le nuove tragedie, preparavasi al popolo in teatro un gran rinfresco di vivande e di licori, e si facevano correre da più parti fontane di vino168. Ebbero anco gli Ateniesi alcune leggi intorno al danajo degli spettacoli. Il popolo che vi accorreva con estrema avidità, soleva azzuffarsi e spargere anco del sangue per avervi luogo. Or per moderare alquanto questo pericoloso concorso, si emanò una legge che niuno potesse sedervi, se non pagava un picciolo prezzo fisso a favore de’ fabbricatori del teatro, perchè si rimborsassero delle spese fattevi. I poveri per questa legge rimanevano esclusi, e i ricchi pagando per gli poveri approfittaronsi di tale occasione per comperarsene i voti ed il favore. Pericle in grazia della plebe decretò che certo danajo pubblico riserbato per l’occorrenze di qualche invasione straniera si desse a’ cittadini in tempo di pace per abilitarli ad assistere agli spettacoli; ed è questo il danajo chiamato τόϑεωρικὸν o sia degli spettacoli. Sull’incominciar della guerra di Olinto volle Apollodoro fare un decreto che questo danajo ritornasse all’uso antico; ma egli fu per questo accusato e punito con una grossa pena pecuniaria. Laonde Eubulo cittadino potente e adulatore del popolo promulgò una strana legge, cioè che chiunque proponesse di trasportare ad uso di guerra il danajo che si chiamava teatrale, fosse reo di morte169. Incredibili erano, per conseguenza di tanto ardore e di tanta avidità per gli spettacoli, gli applausi, le ricchezze, le corone, e gli onori che a piena mano versavano gli Ateniesi su i poeti che n’erano l’anima e su gli attori che n’erano gli organi.

Qual magnificenza, qual concorso, qual lusso, quali profusioni per un semplice divertimento di una repubblica sì picciola in confronto di tanti poderosi stati moderni arricchiti dalle miniere Americane, ne’ quali son pure così meschini e spregevoli i teatri! Ma quell’Atene che con tale ardore correva al teatro e fuggiva gli accampamenti, che profondeva in quello tanti tesori, e negavali ai patriotici progetti di Demostene, si corruppe170, rovinò per questo appunto, divenne schiava e poi barbara. Se il divertimento non occupa solo una picciola porzione del tempo lasciando il rimanente agli affari, se il piacere prende il luogo del dovere, la nazione è perduta. Non per tanto dove i costumi mancano di una pubblica scuola teatrale che ammaestri il popolo sotto gli occhi di un provvido governo: dove il teatro, in cambio di essere scuola, fomenta le laidezze, le goffaggini, le assurdità, le bassezze, i pregiudizj, e resta abbandonato dalla gente colta e di buon gusto: dove la poesia drammatica si trascura, si pospone alle farse informi, e si avvilisce per le declamazioni degl’ imperiti, de’ pedanti orgogliosi e raggiratori, o de’ filosofi e matematici immaginarj: dove in somma si cade nell’eccesso contrario delle repubbliche Greche, ognuno vede che in un popolo così guasto si chiudono le cattedre di educazione e di morale che sono le ausiliatrici della legislazione. I selvaggi ignorano gli spettacoli scenici: i barbari vanno a ridere in un teatro rozzo e goffo e ne tornano quali vi entrarono; i soli popoli illuminati consacrando sempre le prime cure ai doveri, sanno promuovere la poesia rappresentativa e cangiarla (senza escluderne la parte che diletta) in un morale e politico sostegno. Io auguro ad ogni nazione questa bell’ epoca teatrale.