CAPO IV.
Teatro Americano.
Dalla scarsa popolazione dell’immenso continente Americano, dalla quasi generale uniformità de’ costumi e delle fattezze e dal gran numero di picciole tribù tuttavia selvagge, che poco più di due secoli e mezzo indietro vi trovarono gli Europei, dopo che seguendo le tracce immortali degli argonauti Italiani Christoforo Colombo, Amerigo Vespucci, Sebastiano Cabotto e Giovanni Verazzani l’ebbero riconosciute32, si deduce forse non senza fondamento che quelle terre non da gran tempo sono state popolate. Non crediamo adunque che i pochi monumenti teatrali ritrovativi abbiano preceduto la drammatica del Vecchio Mondo; ma per non interrompere poi la serie de’ teatri Europei, parleremo quì degli spettacoli scenici dell’America.
Prima che ci fossero note le contrade Americane, due sole nazioni erano ivi uscite dallo stato selvaggio, la Messicana e la Peruviana. Fioriva la prima in molte arti di lusso non che di necessità, ma non ebbe della drammatica se non que’ semi che sogliono produrla da per tutto, cioè travestimenti, ballo, musica, e versi accompagnati da gesti. Tutto ciò contenevano le danze Messicane chiamate mitotes, nelle quali i nobili e i plebei si trasformavano, e divisi in cori saltavano, cantavano, gestivano e beveano33. La sola Repubblica di Tlascala nemica dell’Impero Messicano e poi stromento della distruzione di esso e della propria schiavitù, amando la poesia e la danza, seppe usare l’una e l’altra nelle rappresentazioni teatrali; ma non se ne sa più oltre. Le tribù selvagge non soggette a quest’impero coltivavano eziandio con predilezione il ballo valendosene in diverse congiunture pubbliche e private. Gli ambasciadori di due diverse tribù solevano incontrarsi ballando. Col ballo s’intimavano le guerre, si placavano gli dei, si celebrava la nascita di un fanciullo e la morte di un amico. Il ballo usavasi per medicina in certi mali, e si vuole che in questa sola occasione fosse stato osceno e indecente. Tutti i balli Americani esprimevano con somma energia qualche azione, e possono giustamente chiamarsi pantomimi. Dilettavansi sommamente que’ popoli del ballo guerriero, che solea rappresentare una spedizione militare. La partenza dei guerrieri dai loro villaggi (così ne parla lo storico Robertson 34), la marcia nel paese nemico, le cautele colle quali si accampano, l’accortezza con cui pongono alcuni del loro partito in aguato, la maniera di sorprendere l’ avversario, lo strepito e la fierezza della battaglia, lo strappamento del pericranio a quegli che sono uccisi, la presa dei prigionieri, il ritorno de i conquistatori in trionfo, ed il tormento delle vittime sventurate, sono tutte cose che vi si rappresentano una dopo l’altra. Gli operatori eseguiscono con tale entusiasmo le loro diverse parti, sono così bizzarri i loro gesti, il viso, la voce, e così bene accomodati alle loro varie espressioni, che gli Europei durano fatica a credere che sia una scena immaginaria, e non la vedono senza ribrezzo ed orrore.
Ma la nazione Peruviana senza dubbio la più colta di tutta l’America, oltre all’avere inventata e migliorata l’agricoltura con tante altre arti, seppe qualche cosa di geografia, meccanica e astronomia, ed ebbe polizia e legislazione eccellente per la natura e per l’ indole di que’ popoli, nella quale trionfa una sana morale. Ebbe pure gli Haravec (vocabolo corrispondente a inventore, trovatore, poeta) ne’ cui versi scorgonsi lampi di poesia; e l’Inca Garcilasso ci ha conservato un componimento in cui veggonsi le meteore bellamente personificate e arricchite d’immagini giuste e vivaci35. Qual maraviglia adunque che avesse spettacoli teatrali? L’Inca, ce ne dà alcune notizie senza entrare a indagarne l’origine, la quale con alcuna probabilità può rinvenirsi in una festa solenne che soleva celebrarsi in Cusco.
Un annuo sacrifizio e convito pubblico, in cui beveasi sino all’ ubbriachezza, e mescolavasi al ballo il canto e i motteggi, condusse i Greci a formarsi i loro spettacoli teatrali. Un annuo sacrifizio e convito pubblico colle medesime particolarità, e accompagnato da strani travestimenti e mascherate ridicolose, troviamo in Cusco. Or non ne poteva nascere come nella Grecia lo spettacolo scenico che pure in seguito vi si vede coltivato? Le circostanze che l’accompagnano, rendono probabile la congettura.
La più solenne festa celebrata da’ Peruviani in onor del Sole chiamavasi Raymi e durava nove giorni. V’intervenivano il Re, o sia il maggior Inca, gl’ Inchi tutti, i Capitani e i Curaci pomposamente armati e inghirlandati. Ognuno dava a conoscere nelle divise la propria origine o prosapia; chi si attaccava al dorso due grandi ale, chi si copriva di un cuojo di drago, chi di una pelle di leone36. Tutti portavano maschere spaventevoli, suonavano flauti e tamburi scordati, e facevano gesti e visacci da forsennati37. Seguiva il sacrifizio, si mangiava la carne delle vittime, beveasi con certo ordine e con brindisi scambievoli, e si danzava cantando, e facendosi da ognuno uso delle proprie insegne, maschere ed invenzioni. E’ probabile che un rito così strano precedesse gli spettacoli teatrali, ne’ quali veggonsi più ordinate idee. Forse il piacere prodotto in questa festa dal ballo, dal canto e dalle maschere, suggerì il disegno di formare di tali cose un tutto e una imitazione più ragionata. E chi sa che le armi portate da’ Curaci in un luogo di pietà, di pace e di allegrezza, sia per pompa sia per cautela sia per insegnare a’ popoli coll’ esempio di vegliar sempre a difesa della religione e della patria, non destassero l’idea di una rappresentazione eroica e marziale? Chi sa che quelle maschere ridicole, le quali dovettero esser simboli satirici delle stravaganze delle passioni smoderate, non si convertissero col tempo in dipinture comiche delle umane ridicolezze? Ci voleva un capitale di filosofia per dar questo passo, e appunto troviamo, che le favole drammatiche del Perù furono inventate e coltivate da’ filosofi colà chiamati Amauti. Essi composero due generi di drammi, eroico per rappresentar pubbliche imprese, vittorie, trionfi, e comico per imitar fatti domestici e pastorali. Tali rappresentazioni eseguivansi nelle sacre festività più solenni (una delle quali era la nominata Raymi), assistendovi il maggior Inca con tutta la Corte. Il luogo, il tempo e gli spettatori esigevano decenza e gravità, e gli Amauti vi conservarono questo lodevole carattere senza contaminare con oscenità il divertimento.
Cresce finalmente la probabilità delle congetture sull’origine degli spettacoli del Perù col riflettere che si eseguivano da’ medesimi Curaci, Inchi e Capitani che si mascheravano nella festa Raymi. Questi nobili attori, prima e dopo la rappresentazione, occupavano tra’ loro uguali i luoghi corrispondenti alla propria dignità e agl’ impieghi; e quei che si distinguevano per la delicatezza e proprietà di rappresentare ne riportavano ricchi doni e favori particolari38. Non erano adunque gli attori del Perù schiavi abjetti come i Cinesi, bensì persone nobili e decorate come in Grecia. Ma avvegnachè in questo ed in altro si rassomigliassero Greci e Peruviani, non diremo però che questi sieno da quelli discesi, ragionando alla maniera di Laffiteau. Simili idee (ripetiamolo) combinandovisi circostanze simili si risvegliano naturalmente senza bisogno d’imitazione; come senza questa vi si accozzano le particelle elementari necessarie alla produzione, e vi spuntano e vegetano le piante.
Dopo l’invasione fatta dagli Europei in quelle vaste regioni, che abbracciano forse poco meno della terza parte del globo terrestre, quando essi considerandole come poste nello stato di natura supposero di aver diritto ad occuparle e saccheggiarle senza tener conto della ragione degl’ indigeni che ne aveano antecedentemente acquistata la proprietà: dopo, dico, l’epoca della desolazione di sì gran parte della terra, le razze Affricane, Americane ed Europee, più o meno nere, bianche ed olivastre, confuse, mescolate, riprodotte con tante alterazioni, vi formano una popolazione assai più scarsa dell’antica distrutta alla giornata da tante cagioni fisiche e morali, la quale partecipa delle antiche origini nel tempo stesso che se ne allontana. Così le arti, i costumi, le maniere, le imitazioni, e sino il bestiame e i vegetabili sonoci piuttosto forestieri che naturali, nè più reca stupore il vedervi abbarbicato quanto si trova nell’antico continente. Nella Nuova Spagna non solo trovansi gli spettacoli dell’antica, ma la famosa città del Messico può pregiarsi di aver prodotto nel passato secolo uno de’ migliori commediografi Spagnuoli. Giovanni Ruiz de Alarcòn di origine Spagnuolo ma nato nel Messico, per purezza di lingua, per grazia comica, per abbondanza e per invenzione, merita di preferirsi a moltissimi suoi contemporanei.
La provincia di Chiapa contiene un popolo che forse conserva meno alterata l’indole e la natura Americana. D’ingegno, di forza, di statura e d’idioma più che altrove dolce ed elegante, vince tutti gli altri Messicani. Chiapa de los Indios è la città principale di tal contrada popolata da moltissime famiglie nobili Americane, dove si gode una giusta libertà e proprietà, che sono le cagioni onde ne’ popoli fioriscono l’industria e la coltura. In effetto non vi si trascurano le arti di necessità, di comodo e di lusso. Fabbricansi colà per eccellenza quadri e stoffe di penne antichi lavori Messicani non mai più da veruno imitati. Vi si eseguiscono poi con destrezza tutti gli esercizj ginnici Spagnuoli, come corse di tori e giuochi di canne: si fanno combattimenti navali sul gran fiume che bagna la citta: si formano castelli di legno coperti di tela dipinta, e se ne imprende l’assedio e la difesa: vi si esercita la pittura, la danza, la musica: e vi si trovano teatri.
Quanto a’ Peruviani, i quali gemono avviliti da più dura schiavitù, hanno de’ loro antichi riti e costumi conservata una viva e cara rimembranza, che solo gli attuali loro padroni potranno a poco a poco cancellare o almeno indebolire, rendendo agl’ infelici il giogo meno pesante e più conforme all’ umanità. Essi in certi giorni solenni prendono la loro antica foggia di vestirsi, e menano per le strade le immagini del Sole e della Luna. Alcuni di loro sogliono farsi lecito di rappresentare certe feste teatrali, e spezialmente una tragedia della morte dell’ultimo Inca Atabualpa accusato dall’Americano Filippetto divenuto Cristiano, e condannato con formalità giuridiche da Pizarro. Questa rappresentazione commuove siffattamente l’uditorio, che prorompe in un dirotto pianto, e talvolta entra in tal furore che non è maraviglia che ne sia divenuto vittima qualche Spagnuolo.
Ma in Lima celebre capitale del Perù edificata nel 1535 da Francesco Pizarro oggi si vede un teatro lodato per la grandezza e per la magnificenza delle decorazioni, nel quale si rappresentano le commedie Castigliane. Gli attori però sono tutti Americani, e tra essi intorno a diciotto anni fa (per quel che mi narrò un negoziante di Cadice che vi avea passata una parte della vita) spiccava una bella e giovane attrice figliuola di una Peruviana e di un Italiano chiamata Mariquita del Carmen, e conosciuta pel soprannome di Perra-chola.