CAPO II.
In quali cose si rassomigli ogni
teatro.
Una catena d’idee uniformi fece spuntar la poesia rappresentativa in tanti paesi che insieme non comunicavano; ed il concorso di altre simili idee sopravvenute a moltissime società pure senza bisogno di esempio le condusse a produrre alcuni fatti comuni a tutti i teatri.
Come il genere umano diviso in gran famiglie e società civili ha la di loro suffistenza assicurata coll’unione delle forze particolari, e provveduto al comodo colla fatica, tosto si volge a procacciarsi riposo e passatempi. Manifesta allora lo spirito imitatore, e chiede un teatro. Ma dall’idea complicata di società non può a ragione scompagnarsi quella di una divinità e di un culto religioso16 (mal grado de’ sofismi e delle sceme induzioni de’ moderni Lucreziani), e tali idee nell’infanzia delle nazioni agiscono con tanto maggior vigore, quanto minore è la fiducia che allora ha l’uomo nella debolezza del proprio discorso. Quindi è che non sì tosto egli comincia a far pruova delle forze del suo ingegno che ne dirige le primizie a quella Prima Cagione da cui sente interiormente di dipendere. Troviamo perciò nella storia anteriore ad ogni profana produzione gli oracoli composti da’ sacerdoti gentili, le Greche poesie nomiche e ditirambiche ad Apollo e Bacco, i versi saliari del Lazio, gl’ inni Peruviani al Sole, quelli de’ Germani alle loro guerriere divinità, e tanti altri. Pieni adunque i popoli di tali idee religiose molto naturalmente le trasportano eziandio ne’ loro passatempi, i quali in tal guisa quasi consacrati si cangiano in una spezie di rito; ond’è che per primo fatto generale osserviamo che in tanti paesi tutte le prime rappresentazioni furono sacre.
Il nostro intendimento poi, il quale da’ sensi attende le notizie delle cose esteriori, non in un tratto, ma successivamente si arricchisce. Egli si avvezza al facile, cioè ad osservare i particolari e a dipingerseli; e prima di avere acquistata una gran copia d’immagini, e di averle in mille guise combinate, non può per una piena induzione sollevarsi agli universali, donde comincia il sillogismo. L’uomo adunque procede per gradi ne’ lavori dell’ ingegno, ed è naturalmente prima poeta che filosofo. Perciò s’incontra da per tutto la poesia coltivata prima della filosofia, e l’esercizio di verseggiare anteriore allo scrivere in prosa. Cominciando dagli Ebrei l’ opera letteraria più antica sono i due Cantici del loro legislatore Mosè. Le memorie dei defunti scolpite nelle colonne Egiziane erano in versi. Tra’ Barbari le prime leggi dettaronsi in canzoni 17. Secondo Ateneo nelle feste degli Ateniesi cantavansi le leggi del nostro Caronda. I Goti feroci popoli antichi delle Scandinavia che abitavano nelle coste del Baltico, ebbero le famose poesie Runiche che talora erano ancor rimate, e i loro poeti detti Scaldi 18, i cui canti chiamaronsi Wyses. I Celti nazione più antica e più potente de’ Goti pregiarono sommamente i loro Bardi. Tra gli antichi Scozzesi ed Irlandesi di origine Celtica fiorirono moltissimi cantori appellati parimente Bardi, nel cui ordine sembra che avessero luogo ancor le donne, per quello che apparisce dal poema di Ossian intitolato Canti di Selma:
. . . . . . . . . . . Vedi con essoI gran figli del canto Ullin canuto,E Rino il maestoso, e il dolce AlpinoDall’armonica voce, e di MinonaIl soave lamento 19.
Secondo Tacito i Germani non aveano altra storia che i canti de’ loro Bardi.
Lino, Orfeo, Museo, Esiodo, Omero ecc. fiorirono in Grecia molto tempo
avanti che scrivessero in prosa Cadmo ed Ecateo Milesii e Ferecide Siro
maestro di Pitagora. Gli anzinomati versi saliari Latini sono anteriori alla
prosa usata la prima volta da Appio Cieco contra Pirro. All’emergere dalla
seconda barbarie le moderne nazioni Europee, prima di avere chi potesse
dettare uno squarcio di prosa competente, abbondarono di Trovatori Provenzali e di Rimatori Siciliani. I Lapponi, popolo
assai materiale e barbaro, fanno versi. Ne fecero in Affrica e in Asia molti
Negri ed Indiani senza lettere. Nel Nuovo Mondo i Caraibi, gl’ Irochesi e
gli Uroni compongono canzoni20. I Messicani
ne insegnavano alcune a’ fanciulli, le quali contenevano le imprese de’ loro
eroi e servivano d’istorie. “Strana cosa (diceva il Signor di Voltaire) che quasi tutte le nazioni abbiano prodotto
poeti prima di altri scrittori”.
Anzi non v’ha cosa meno strana
di questa. La prosa colla quale si ragiona ordinatamente,
abbisogna di metodo e di principj che non si acquistano
prima che l’intendimento si perfezioni. La poesia che dipigne, abbisogna d’
immagini che rappresentano le cose, la cui storia dalla prima età si va
imprimendo nella fantasia. Oltre a ciò gli scrittori primitivi ambivano di
scostarsi dal favellar volgare, e non essendo ancor destri abbastanza per
conseguirlo nella sciolta orazione che aveano comune con tutti, adoperarono
la meccanica de’ versi, i quali subito e a poco costo allontanansi dal
linguaggio naturale. Quindi si scorge perchè tutte le prime
composizioni sceniche (come non molto lontane da’ primi passi delle
nazioni verso la cultura) si trovino scritte in versi, che
è il secondo fatto generale da notarsi ne’ teatri.
Ma quando le società diventano più culte veggonsi tosto gl’ inconvenienti che produce quel mescolarsi un divertimento colle delicate materie religiose. Allora le classi de’ cittadini si vanno aumentando, si assegnano a ciascuna di esse i limiti e le cure corrispondenti; e la religione intatta e rispettata va a sedere in un trono augusto e sublime, donde si vede a’ piedi gli autorevoli capi delle società, non che i poetici scherzevoli capricci. Da tal punto i poeti teatrali tutta rivolgono la curiosità verso gli oggetti non religiosi, notano le grandi rivoluzioni e gli evenimenti mediocri, ne scuoprono le ingiustizie, le stravaganze, le ridicolezze, ne tentano la correzione, e i teatri fortunatamente si cangiano in tante scuole di sana morale. È questo il terzo fatto osservato in tutti i teatri.
Cresce poi nelle nazioni colla coltura la popolazione, colla popolazione la ricchezza, colla ricchezza il lusso, e col lusso crescono nuovi bisogni e nuovi mali. Il teatro che vuol considerarsi come uno de’ pubblici educatori, per rimediare a que’ mali sovente eccede, trascorre e degenera in malignità, e talvolta avviene che si corrompa coll’ esempio del resto della società. Nell’uno e nell’altro caso viene dalla vigilanza della legge corretto e richiamato al dovere. Ma questo freno che apparentemente avrebbe dovuto inceppare l’attività degl’ ingegni, in tutti i teatri che conosciamo bene, ha prodotto avventurosamente un effetto assai diverso. Imperciochè in cambio di trattenere il volo dell’immaginazione de’ poeti, la legge gli ha costretti ad uscire dall’uniformità, a spianarsi nuove strade, ed a rendere il teatro più vago, più vario, più delicato. Ed è questo il quarto fatto da notarsi, che noi troveremo avverato in tutti i teatri Europei, e dall’analogia delle idee ci sentiamo inclinati a conchiudere, che troveremmo eziandio ne’ teatri orientali e in quello del Perù, se gli storici e i viaggiatori, da’ quali soltanto noi possiamo instruirci sulla legislazione e la poesia di tali regioni, si fossero avvisati di riguardarli nel punto di vista che quì presentiamo.
Or da quanto si è ragionato scende per natural conseguenza che la poesia rappresentativa non nasce nelle tribù de’ selvaggi, perchè essa richiede maggior complicazione d’idee per saper volgere l’imitazione in satira ed istruzione. In fatti nelle picciole nascenti popolazioni del vecchio e del nuovo continente trovansi si bene i semi della drammatica, cioè saltazione, canto, versi, ma non rappresentazione che meriti di chiamarsi teatrale. Ne segue parimente un’ altra filosofica, e sicura conseguenza, cioè che la poesia teatrale prende l’aspetto della cultura di ciascun popolo: se esso non eccede i costumi primitivi e semplici, l’imitazione scenica ne seconderà la materia: se ha costumi barbari, feroci, romanzeschi, il teatro gl’ imiterà: e se si giunga all’ultimo raffinamento e alla doppiezza propria de’ popoli culti, nasceranno i Tartuffi de’ Molieri e i Cleoni de’ Gresset21.