A CHI AMA LA POESIA RAPPRESENTATIVA.
Chi può ricusare alle matematiche pure tutta la riconoscenza pel ritrovato del metodo delle flussioni, onde il grande Inglese e ’l di lui emolo di Lipsia renderono tanto intelligibile il gran libro dell’universo? Chi all’astronomia contrastare il bel vanto delle maravigliose scoperte di Ticone, di Keplero, del Galilei, del Cassini? Chi negherà che oggi dietro la scorta di tali insigni corifei si penetri con agevolezza incredibile ne’ più riposti arcani della natura, e corransi con sufficiente sicurezza gli immensi spazj de’ cieli? Tutto però esser non debbe calcolo 1 e telescopio. Con non meno invidiabil riuscita i grand’uomini che portarono i loro sguardi su tutta la natura, seppero anche discendere alle più minute osservazioni degli esseri che la compongono. Gli animali poco all’apparenza importanti, i polipi marini, le vipere, le tarantole, le api, gl’ insetti, le farfalle, occuparono sovente ingegni sublimi, nè men degni sono de’ più distinti encomj i Rai, i Grew, i Levenoek, i Reamur, i Goedart, i Templey, i Bonnet, i Redi, i Valisnieri, i Serai, i Buffon, allorchè spaziano per l’ampiezza dell’universo, che quando minutamente indagano la storia particolare di esseri picciolissimi e talora co’ microscopii stessi appena percettibili.
Se tutti esser dovessero Archimedi, Bernulli, Euleri e La-Grange, rimarrebbe sepolta nel proprio abisso la maggior parte delle maraviglie della natura. E che diverrebbe singolarmente delle belle arti? Raffaello, Correggio, Buonarroti, per una via totalmente aliena dal calcolo infinitesimale divennero immortali. Omero, Virgilio, Tasso, Ariosto (e con passi disuguali ancor Milton e Camoens) senza valersi delle ali dell’analisi e senza maneggiare l’astrolabio d’Urania, siedono nel tempio della gloria esposti all’ ammirazione concorde di tutti i secoli e di tutti i paesi.
L’uomo stesso poi, opera la più mirabile della mano del Creatore, non vuolsi considerare soltanto come una delle parti figurate e distese nello spazio, o come pianta che vegeti o animale che senta. Dotato della ragione, dono divino della suprema sapienza, epli è dalla natura formato per la società, alla quale inevitabilmente vien tratto dal bisogno di sussistere agiatamente. Se dunque riscuotono giustamente i pubblici applausi le leggi del moto e del corso de’ pianeti, non ne meritano minori quelle che dirigono le azioni morali degli uomini divisi in tante gran famiglie che debbonsi reciprocamente molti riguardi. Scuoprono talora le scienze esatte alcune verità ingegnose che pur non recano utilità veruna 2: a somiglianza, com’ altri pur disse, delle stelle chiamate nebulose, la cui esistenza è per gli ultimi telescopii Inglesi ugualmente assicurata che inutile a tramandare al nostro pianeta luce maggiore. E se la geometria, più che per le utili verità che insegna, si rende commendabile per l’attitudine che somministra agl’ ingegni tutti per bene e coerentemente ragionare, essa e tutte le scienze esatte contribuiranno sempre colla loro giustezza a formare i gran legislatori morali e politici tanto per ciò che l’una società debbe all’altra, quanto per quello che debbonsi mutuamente gl’ individui di ciascuna: ma esse non saranno mai nè più pregevoli nè più necessarie a conoscersi delle leggi che immediatamente gli uomini governano. V’ha dunque un alto seggio ancora per chi emulando i Montesquieu, i Beccaria e i Filangieri, saprà attendere ad illustrare e perfezionare la preziosa importantissima scienza della legislazione.
Ed in fatti se a conservar la tranquillità di ogni stato bastar potesse il castigare o prevenire i delitti che lo sconcertano, l’armata sapienza delle leggi è quella che presta alle società l’opportuno soccorso per atterrire o distruggere i colpevoli e per minorar la somma dei delitti, a’ quali trascorrono gli uomini abbandonati a’ proprii appetiti e alle passioni eccessive. Ma sventuratamente sono i delitti posteriori a’ vizii, e questi menano gradatamente agli eccessi dopo di aver corrotto il costume. Or quale antidoto forniscono le stesse leggi contro questo lento veleno che serpeggia per le nazioni e le infetta? Esse contente di recidere ad ogni bisogno i rami che lussureggiano, non cercano di correggere le radici viziate o le cagioni che le viziano ed affrettano la morte della pianta. Ma il mal costume invecchiato nè anche, al dir di Orazio, colla forca giugne a sterminarsi; ed osserviamo che da per tutto quasi sempre i costumi col tempo sogliono diventar leggi, e ben di rado le leggi si convertono in costumi. Fa dunque mestieri di un altro ramo della sapienza che sappia correggere i costumi; e non essendo essi altro che abiti contratti per opinioni vere o false, nostre o straniere, a purificare i costumi bisogna raddrizzare le opinioni 3. La sapienza adunque precettiva che si occupa a far la guerra agli errori naturali ed a correggere le opinioni per inspirar costumi confacenti al disegno del legislatore, non merita al pari delle altre scienze la pubblica gratitudine? E non ebbero ragione gli antichi che a questa scienza che migliora l’intendimento e rettifica la stessa volontà e che Socrate trasse dal cielo, diedero per eccellenza il nome di filosofia? Dietro adunque a Socrate, a Platone, ad Aristotile, a Cicerone, a Seneca, non meritano lode e rispetto i Muratori, i Genovesi e simili insigni filosofi morali?
Pur sono moltissimi quelli che svolgono i libri de’ moralisti? Tutto il popolo abbisogna di essere educato perchè possa concordemente serbar gli statuti prescritti dal pubblico bene; corre perciò tutto il popolo alle biblioteche de’ filosofi? L’educazione domestica è forse una fiaccola chiara a sufficienza e durevole per tutto il camino della vita? Il mondo ideale che si contempla nelle proprie case e ne’ collegii, è lo stesso che ci si presenta quando ne usciamo? Qual discordanza trall’uno e l’altro! Ciocchè nel mondo esterno si apprende (diceva l’autore dello Spirito delle Leggi4) sconvolge tutte le idee del mondo immaginato. Pugnano i doveri della religione e delle leggi con molte opinioni adottate dagli uomini, ed in tal contrasto, quando più ci farebbe d’uopo al fianco una Minerva sotto forma di un Mentore, ci troviamo abbandonati a noi stessi, alla nostra scelta, al nostro discorso. E quando pure gl’ insegnamenti domestici potessero in ogni occorrenza soccorrerci posti nel gran mondo, quanta parte di essi si apprende nell’età prima? quanta se ne ritiene? quanta non ne cancellano gli anni e la novità di tante forme esterne? quanta ne rimane all’uomo per norma delle sue passioni allorchè crescono coll’ età e diventano più robuste e imperiose?
Abbisogniamo adunque principalmente in tal tempo di un saggio educatore che alla giornata ci ammonisca, e ci mostri passo passo fedelmente il mondo civile e quale egli è infatti e quale esser dovrebbe. E perchè egli potesse produrre un pieno effetto generale, dovrebbe esser pubblico, per insegnare a tutti come da una scuola comune sotto l’occhio del governo. Vorrebbe soprattutto essere spogliato di ogni aria magistrale che riesce sempre nojosa, ed allettare il popolo che cerca ristoro dopo della fatica. Or se v’ha tra’ lumi somministrati dalla ragione rischiarata (oltre delle scienze esatte e delle leggi e della stessa moral filosofia) un Educatore di simili circostanze rivestito, non merita egli al pari delle scientifiche cognizioni gli applausi degli amici dell’ uomo?
E chi non ravvisa in un buon teatro siffatto educatore pubblico, saggio, retto, geniale, all’ombra del governo? Chi al pari di esso accoppia il diletto del passatempo all’utile dell’ insegnamento? il dolor della correzione al piacere dello spettacolo? Qual genere poetico ha saputo meglio deporre il portamento dottrinale e mascherarsi di piacevolezza? Ben possiamo dire, che a somiglianza de’ numi della mitologia che cinti di umane spoglie viaggiarono fra gli uomini per arricchirli di sapienza, la poesia drammatica si trasforma negli uomini stessi che prende ad ammaestrare. Può aggiugnersi che essa al pari dello scudo di Ubaldo ci dipigne quali veramente siamo, per avvertirci delle discordanze de’ nostri ritratti dalle bellezze della sapienza. La morale è la maestra de’ costumi, e la poesia drammatica è la stessa morale posta in azione: quella si trasmette per l’udito, questa si presenta alla vista: quella fa supporre un rigido precettore che gravemente ammonisce, questa affabile e popolare in aria gaja e gioconda non mostra all’uomo che l’uomo stesso: quella parla nudamente all’ intendimento, questa l’intendimento stesso illustra commovendo gentilmente il cuore: quella è un farmaco salutevole ma amaro, questa una bevanda vitale insieme e grata al palato. La ragione umana che suggerì sì vaga ed utile morale rappresentativa, quanto vide profondamente nella natura dell uomo!
Adunque senza tener conto veruno della rigidezza affettata di alcuni sedicenti coltivatori de’ severi studii, i quali sdegnano tutto ciò che non è algebra, nè delle meschine rimostranze di qualche bonzo o fakir, nè delle insolenze di alcuni immaginarj ministri di non so qual filosofia arcana, e molto meno apprezzando le ciancie insidiose smaltite fra i bicchieri delle gran tavole da certi ridevoli pedanti che ostentano per unico lor vanto l’ essersi procacciati varii diplomi accademici, noi avremo sempre in pregio così amena filosofia in azione, di cui gli additati impostori ignorano il valore e la prestanza. Noi siamo persuasi più dall’esempio di tanti e tanti veri filosofi e grand’uomini che ne ragionano con sommo vantaggio 5 che dagli schiamazzi delle cicale letterarie che declamano contro di essa senza aver mai saputo che cosa è l’ uomo, che società, e che coltura generale delle nazioni. Niuno screditerà mai gli spettacoli teatrali o chi gli coltiva con felicità, se non colui che non paventa la censura. Dà del bastone sullo specchio chi teme di arrossire della propria deformità. Catone pretese in Roma la censura, e i nobili corrotti formarono un partito per contrastargliela.
Se io abbondassi d’ozio e di talenti, occupar mi vorrei da buon senno in sì utile poesia, e con novelle invenzioni vivacemente colorite destar sulle moderne scene quando il riso e quando la compassione. Ma per sì bella impresa, oltre di un raro ingegno affinato dal senno e dal gusto, vi bisognerebbe quel lieto nido, quell’ esca dolce, quelle aure soavi che bramano i cigni per elevarsi al Parnaso, ed a me di ciò invece sovrabbondano solo cure mordaci che me ne respingono. Mi contenterò intanto di narrare più pienamente di quel che altra volta non feci, gli sforzi fatti sino a questi tempi ne’ paesi conosciuti per dipignere su’ teatri ora grandi sconcerti ora picciole ridevoli avventure. E giacchè con non isperata benignità accolse il pubblico il saggio che ne diedi l’anno 1777 nella Storia critica de’ teatri in un sol volume in ottavo, ho voluto, invece di riprodurla quale allora la pubblicai (come diverse volte ne venni gentilmente invitato dalla Società tipografica di Nizza, e da qualche librajo Veneziano e Napoletano), rifonderla ed ampliarla non di parole ma di nuove cose comprese in cinque volumi oltre di un’ appendice. Non è dunque l’opera presente una semplice seconda impressi ne della mia storia teatrale, ma sì bene un nuovo libro che con nuova sospensione d’animo presento al pubblico. E chi sa s’ egli accorderà a queste seconde cure il benigno compatimento che concesse alle primiere?
Contento di aver quì accennato succintamente l’eccellenza e l’ utilità della poesia rappresentativa, stimo inutile per chi ha da leggere l’ opera il prevenirlo delle moltissime cose che la rendono del tutto nuova. Dirò solo quanto allo stile, che dopo l’autorevole approvazione dell’ elegantissimo Bettinelli 6 non avrei osato dipartirmi da quella energica facile schiettezza che invita a leggere un libro istorico. Ho cercato anche di conservare la purezza del linguaggio evitando ugualmente la studiata fiorentineria che la dispotica libertà di alterarne l’indole. Quindi vedendo che il Cotta, il Salvini, il Conti, il Maffei, l’Algarotti, il Cesarotti ed il Bettinelli, non hanno avuto ritegno di adottare le voci analizzare, interessare nel senso Francese, e personificare, benchè non si trovassero registrate nel Vocabolario della Crusca, l’ho usate anch’io senza dar retta a’ rigidi puristi, colla sicurezza di svegliare le idee che io vo’ manifestare, e colla probabilità che simili verbi transalpini non tarderanno a ricevere la cittadinanza da chi pensa di aver diritto a torla o a donarla. Egli è vero che io usai ancora nella prima edizione e ritengo in questa, forse senza esempio, il termine tecnico della danza piroettare tratto dal Francese, che mi fu notato dal medesimo chiar. Bettinelli come vocabolo inusitato fra’ Toscani; ma io il feci senza pentirmene, perchè quell’istantaneo girare su di un piede che fa il ballerino, è così detto in Francia cui tanto debbe la danza moderna, e s’intende in Italia, dove la cosa è trasportata senza che abbiavi sinora un vocabolo patrio equivalente.
Nè anche ho del tutto bandito il latinismo interloquire che tecnico può dirsi della drammatica, sembrandomi chiaro, intelligibile, sonoro e di bella origine. I Toscani in ogni tempo dissero eloquio, eloquenza, loquela, loquacità, loquace, interlocutori; or perchè per acconcia analogia non dirassi anche interloquire ammesso in Lombardia, in Roma ed in Napoli, se non nella Toscana? Usò pure lo stesso Sig. Bettinelli non pochi latinismi non usitati fra’ Toscani 7.
La parola gergone mi fu parimente dal medesimo letterato ripresa che pure oggi a me sembra pretta Italiana. Dessa è mai altro che un aumentativo di gergo che in Toscano significa un parlare oscuro di convenzione? Parlar gergone è frase Toscana inserita nel Vocabolario della Crusca coll’ esempio di Franco Sacchetti. Che se gergone rassomiglia anche al jargon de’ Francesi, quale in ciò è la mia colpa? Sono forse poche le parole comuni a queste due belle lingue sorelle? V’ha qualche regola che prescriva che si fuggano le parole domestiche quando rassomigliano alle straniere 8? Dall’altra parte il chiar. Bettinelli elegante senza dubbio e gentile scrittore Italiano non ischivò diversi gallicismi 9, e talvolta a qualche voce Toscana diede il significato Francese 10, o ne diede uno tutto nuovo 11, o si valse di voci ch’egli chiamerebbe inusitate e strane12. O dunque debbesi moderatamente far uso della severità de’ puristi intorno alle parole di straniera origine, o riceverne e concederne a vicenda il perdono, giacchè
Iliacos intra muros peccatur & extra.
Passando ad altro ho cercato esaminare con nuova diligenza le favole antiche e moderne, per presentare a’ giovani studiosi con sempre più accurata scelta le drammatiche bellezze da tenersi per esemplari. E giudicando degli autori secondo il mio criterio senza spirito di partito o di sistema, con moderazione insieme e con libertà, ho procurato conservare quella imparzialità che non può dall’onesto scrittore andar disgiunta 13. Io ragiono senza la folle pretensione di certuni di proporre il proprio avviso per norma dell’altrui pensare. Io m’ingannerò talvolta (e chi non s’inganna!), ma al mio inganno non avrà mai parte il cuore, che
non che farmiCieco su’ miei stessi capricci, ardiscoContro de’ vizii miei darmi battaglia,
per valermi del concetto di Pope e delle parole del Gozzi che tradusse il di lui Saggio di Critica.
Non ho poi voluto defraudare il pubblico delle Note apposte alla prima storia de’ teatri dall’eruditissimo Professore di Eloquenza Italiana e di Storia nella R. Accademia di Marina di Napoli Don Carlo Vespasiano. Anzi questo valoroso letterato si è compiaciuto di sostituire ad alcune sue prime note che rimanevano fuor di luogo nell’essersi la mia storia dilatata, altre non meno pregevoli, interessanti ed erudite. Esse si collocheranno alla fine di ciascun volume, così per non alienar troppo spesso il leggitore dalla catena delle idee del testo, come per evitar gli equivoci e per non far che a me talvolta si arroghi il merito di ciò che avrà detto il mio dotto amico 14.
Finalmente nel rendere più copiosa la mia narrazione ho fatto resistenza alla piena che soprabbondava per non accedere i cinque volumi, temendo di stancar la gioventù cui ho consacrato questo lavoro. Chi la bramasse ancor più distesa, potrà attendere gl’ immensi volumi di storia teatrale preparati da una intera compagnia di letterati Francesi.
Ecco quanto io ho fatto in quest’opera per diletto ed istruzione della gioventù che ama la poesia rappresentativa. Avrò colpito nel segno? Decidera il pubblico illuminato e imparziale. A me basterebbe che le mie vigilie o almeno i principi additati in questi primi fogli intorno all’ utilità e all’eccellenza della drammatica ottenessero il frutto d’ insinuare la necessità che hanno le società culte di preparare agli stranieri un buon teatro, che, in vece di essere un seminario di schifezze e di basse buffonerie, presenti una dilettevole polita scuola di educazione.