CAPO VII [IV].
Teatro Lirico: Opera Comica: Vaudeville.
I.
Opera Eroica.
L’Opera francese fondata dal Lulli e dal Quinault, che
tira dal fondo dell’immaginazione e dall’allegoria e dalle favole un
ammasso di prodigi e di stravaganze, nel secolo XVIII non calcò
miglior sentiero. Il palazzo del Sole, la Reggia di Plutone, divinità,
fate, silfi, incantatori, apparenze, miracoli, trasformazioni, edifizi
alzati e distrutti in un istante, anelli che rendono invisibili le
persone che pur si vedono, pugnali vibrati nel seno altrui che ammazzano
chi li vibra, uomini miracolosi dalla barba turchina, ed altre simili
stranezze, sono i tesori del teatro lirico della Francia. Un certo
sig. de Leyre passato in
Italia dimenticossi di quanto facevasi nel proprio paese, e scriveva da
Parma a Parigi che gl’incantamenti e le stravaganze dell’Arlecchino fra
gl’Italiani
alimentavano l’ignoranza e gli errori
popolari
. Egli non seppe osservare che le arlecchinate e
pulcinellate italiane si hanno in conto di prette buffonerie ancor dalle
contadine e fantesche, nè vi è pericolo che possano dentro le Alpi
alimentar l’ignoranza. Al contrario chi fosse dell’umore di codesto
Francese, ben potrebbe con maggior fondamento dubitare che simile
disgrazia avvenisse in Francia per lo stile serio e grave che può
accreditare appo gli incauti le loro rappresentazioni liriche ripiene
delle stesse mostruosità che, a suo giudizio, alimentano l’ignoranza e
gli errori popolari.
Reca in vero stupore che i migliori letterati, i Fontenelle, i Voltaire, i Batteux, i Marmontel, lungi dall’inspirare
a’ compatriotti il saggio gusto dell’opera istorica di Stampiglia, di
Zeno, di Metastasio, alcuni di loro si
applicarono a comporre opere puramente mitologiche, ed altri presero di
proposito a screditar l’opera istorica per sostener la miracolosa. Fontenelle fu autore di Teti e Peleo,
Voltaire di Pandora, Marmontel di varie
favole musicali alla francese. Le Batteux
a, e lo stesso Marmontel
b dicevano che le rappresentazioni
favolose sono la
parte divina dell’epopea posta in
ispettacolo
. Ma i francesi, facendo un aforismo delle parole
del Voltaire
c, non dicono che i numi della
favola, gl’eroi invulnerabili, i mostri, le trasformazioni, e tutti gli
abbellimenti convenevoli a’ Greci, a’ Romani ed agl’Italiani del XV e
XVI secolo, sono proscritti in Francia sin anco nell’epopea? Perchè
dunque con gusto
contraddittorio ammenttono
tutto questo nella poesia scenica, in cui parlano gli uomini, e non già
un poeta che si figura ispirato, ed i prodigii si rendono incredibili
perchè smentiti da’ sensi? Se questo sistema al loro credere non può
avere la verità richiesta nell’epopea, l’avrà poi sulla scena? Ebbe
dunque ragione m. Diderot allorchè declamò contro
l’assurdità del teatro lirico francese, e deplorò l’ingegno di Quinault occupato in un genere cattivo. Egli però non
fu solo a sugerire miglior sistema sull’esempio degl’Italiani.
Fortunamente all’articolo sull’opera fornito nell’Enciclopedia dal Marmontel (il cui
ragionamento per mille guise assurdo svilupperemo meglio altrove) se ne
trova soggiunto un altro più degno della filosofia, che, se ben
m’appongo, appartiene al celebre filosofo Ginevrino. In questo si
dimostra che tosto che la musica apprese a dipingere e a parlare,
disparvero gl’incanti e la mitologia, e le divinità vidersi bandite
dalla scena allorchè
essa imparò ad
introdurvi gli uominia.
Scrissero ne’
principii del secolo
pelteatro lirico La Mothe, Danchet, Menesson, la Roque, Pellegrin
sovente deriso, ma lodato pel suo Jeste, Fuselier e
Cahusac morto nel 1764 autore di Calliroe, e Bernard che compose le Sorprese dell’amore, e Castore e
Polluce una delle migliori opere francesi, posta in musica dal
famoso Rameau.
Ma il teatro lirico, e la poesia scenica pastorale nulla in Francia ebbe
di più vago, di più dilicato, di più interessante per le parole, e per
la
musica del Divin du
village di Gian Giacomo Rousseau. «In
Francia (disse m. Romilly
a) non si ha idea di
un colorito più fresco, nè di un tono più acconcio di semplicità
campestre. Quante e quante volte non si sono ripetute queste giolive
canzoni, Tant qu’ à mon Colin j’ai sçu plaire, e Je vai
revoir ma charmante maîtresse! Ecco quello che dee piacere in
ogni tempo; ecco il linguaggio che giugne al cuore, perchè dal cuor
parte.»
Merita pure di mentovarsi la novità musicale degna dello
spirito singolare di Rousseau provata in Lione
felicemente col Pigmalione, e ripetuta in Parigi nel
1775 con tutto l’applauso. Per dare un saggio della declamazione
teatrale, e della melopea de’ Greci, fe recitare quella sua favola senza
che se ne cantassero le parole. La musica
esprimeva a meraviglia gli affetti del personaggio, ne secondava i
pensieri, i movimenti, ne dipingeva la situazione, ma riempiva soltanto
gl’intervalli e le pause della declamazione. Molti pezzi di tal musica
si composero dallo stesso Gian Giacomo, ed alcuni da m. Coignet. Il sig. Elmotte volle imitare il
Pigmalione colla sua scena lirica le Lagrime di Galatea, la quale lontana dal suo originale, non
lasciò tal volta di commuovere.
In tal periodo del XVIII secolo mentre trionfava nella teoria, e nella pratica della musica il celebre filosofo Rousseau, si segnalò tanto in pratica che in teorica il riputato Rameau, ed i matematici profondi, le Sauveur, e d’Alembert, e de la Grange fecero ammirare gli esami musicali nella più colta Europa. Si distinsero parimente colle composizioni pratiche musicali Mouret, Campra, Destouches, ed il soprallodato Coignet.
Fiorirono intorno al medesimo periodo tralle attrici dell’opera madama Pellisier unicamente per la rappresentazione, e madama le More per l’eccellenza della voce. Si encomiò tralle ballerine mad. Camargo fiorendo nella danza alta al pari degli uomini, e la bella Sallè acclamata per eccellente nella danza seria, le quali sono state celebrate nelle opere del Voltaire. Anche madama Alard contasi tralle famose ballerine di quel tempo, come tra gli uomini di maggior nome si distinsero Dauberval, e l’italiano Vestris traspiantato in Parigi. Niuno ignora i meriti di Noverre tanto per le lettere che scrisse intorno all’arte sua, quanto per l’invenzione di varii balli, e pel modo di ballare, potendosi contare tra’ primi ristoratori dell’arte pantomimica, con aver rinnovata la muta rappresentazione con gesti e con passi graziosi e naturali misurati dalla musica in azioni compiute eroiche e comiche.
Verso gli ultimi tempi del precedente secolo e nel formarsi la Repubblica Francese e nel suo cangiamento in un vasto Impero, non sono mancati, nè componimenti eroici e piacevoli nè musiche fatighe, nè rappresentatori, nè ballerini.
Quanto alla musica possiamo noverare tra i drammi serii Ecuba di Milcent animata dalla musica di Fontenelle nuovo maestro che meritò qualche attenzione del pubblico, ad onta delle parole poco applaudite. Il sign. Leger in compagnia di un altro maestro che ignoro, compose Don Carlos lavoro romanzesco ed inverisimile non riuscito. Marsolier verseggiò le Rocher de Leucade posto in musica da Dalayrac, e non meno che le Cabriolet jaune di Sègur, e le Fruit defendu, ed Epicure di Dumonstrier posto in musica da Mèhul e Cherubini, sono tutte opere mal riuscite. Beniouski, o gli Esigliati a Kamschatka opera in tre atti di Alessandro Duval, ad onta delle inverisimilitudini, parve interessante. La sua musica di un’armonia sostenuta appartiene a Boïeldieu.
Praxitele, o la Ceinture di un atto solo contiene due azioni, l’una rappresenta Scopa che ottiene il premio con più ragione meritato da Prassitele, e l’altra tratta degli amori di questo per Aglae una delle Grazie. Venere vorrebbe a lui darla, ed Amore le si oppone, dicendo che disconviene ad un mortale possedere tutta intera una diva. Esige dunque che Prassitele ne scelga una parte sola, cioè o il cuore, o il cinto, ciò che fa una situazione poco decente. La musica fu di Devismes. L’Ariodante, e Montano e Stefania, sono due opere tratte dall’episodio di Ginevra dell’Ariosto, le quali riscossero molti applausi. La loro musica appartiene al riputato Mèhul, cui si deve anche la Stratonica che riuscì ancor meglio. Le Delire scritta da Saint-Cyr rappresenta un marito divenuto pazzo per aver perduta la moglie, il quale con ritrovarla ricupera la ragione. Fu posta in musica da Berton uno de’ migliori allievi francesi del nostro egregio maestro Sacchini, di cui con gran ragione pregiasi la Francia.
II.
Opera Comica.
Quanto a ciò che intendesi per opera comica, ossia buffa, ecco ciò che nel secolo XVIII precedette all’epoca della Repubblica Francese.
Nel 1715 si ripigliò lo spettacolo dell’opera comica, avendo alcuni commedianti della Fiera ottenuta la permissione dell’Accademia di musica per rappresentare farse piacevoli d’ogni sorte miste di prosa, e accompagnate da balletti, ed alcune parodie de’ componimenti che si recitavano nel Teatro Francese, e nel Teatro Lirico. Simili dilettevoli rappresentazioni chiamarono sì gran concorso che ingelosiva gli altri attori, ond’è che si divietò a tali attori della Fiera di più recitarle. Allora essi si avvisarono di supplirvi con certi cartelloni, ne’ quali scrivevano in prosa ciò che non potevano profferir con la voce; ma simile spettacolo al fine venne totalmente abolito, e si riprodusse l’opera comica che dal 1724 durò sino al 1745, dopo di che alla Fiera si rappresentarono soltanto pantomimi. Nel 1752 m. Monnet ristabilì l’opera a S. Germano con tutte le stravaganze e buffonerie, e con quelle ariette nazionali dette Vaudevilles così care a’ Francesi.
Gli autori che tirarono maggior concorso colle loro graziose farse musicali, furono le Sage, Colle, Fuselier, Roy, Ornerai, Crolet, Vadè. Panard morto nel 1764 scrisse un gran numero di componimenti buffi, di parodie, e di vaudeville tutti ben accolti. L’attore Favart dee contarsi tra’ più fecondi e piacevoli scrittori d’opere comiche e di vaudevilles. Scrisse ancora parodie e burlette con arie, come sono il Mondo a rovescio, Bertoldo in città, il Cinese in Francia, il Dottor Sangrado ecc. Ascendono a più di ottanta le di lui favole; ma in alcune fu ajutato da qualche altro. La sua Chercheuse d’esprit, dice Palissot, si reputa la più ingegnosa opera buffa francese. La moglie di lui attrice che gli premorì, altre ne compose bene ricevute, e fralle altre Bastiano Bastiana nel 1753, gli Ammaliati nel 1757, ed Annetta e Lubino nel 1762. Ma generalmente però fuvvi intorno a quel tempo un immenso numero di componimenti stravaganti in questo genere che eccede in iscempiaggini le più grossolane buffonerie musicali dell’Italia. Accenneremo soltanto che verso il declinar del secolo le magie, i delirii, e le stranezze le più scurrili crebbero soprammodo nel paese dove nacquero Fedra, Cinna e Zaira. Serva per pruova di ciò il Vello d’oro rappresentato nel 1786 la piggiore tralle cattive opere musicali, e l’Alcindoro di Chabannes rappresentato nel 1787, ed il Re Teodoro a Venezia del sig. Moline opera detta eroicomica che manca di comico e di eroico, posta in musica dal nostro Paisiello, e Tarara di Beaumarchais stravaganza in cinque atti con prologoche incresce al buon senso, benchè diverta i volgari colle decorazioni spettacolose, e l’Anfitrione in tre atti nato e morto in un giorno nel 1788.
Dopo simili mostruosità furonvi dall’epoca della Repubblica sino a questi dì alcune composizioni comiche in musica, le quali benchè colme di difetti non parvero stravaganti, e talora ebbero buon successo. Ne rammenterò una gran parte. Verso il mese di luglio del 1800 si rappresentò Zoe ovvero la Pauvre Petite di Bouilly colla musica di Plantade. Non incresce tanto in tal componimento un buon numero d’incoerenze, ed il piano mal congegnato, quanto il pessimo esempio che ne risulta per chi v’assiste, per cui meriterebbe d’escludersi dalle scene mal grado della riuscita che ebbe sul teatro dell’Opera comica della strada Favart.
Zoe abbandonata da’ parenti è costretta a sostentarsi
col lavoro delle proprie mani. Il giovine Dulinval nobile e ricco
amandola perdutamente
vuole sposarla. Zoe vede gli ostacoli che si oppongono a tale unione, e
prende il partito di partecipare alla di lui madre stessa il disegno del
figlio, e ne implora ajuto e consiglio. Oltreacciò prega una buona donna
venuta ad abitare presso di lei a compiacersi di conviver seco, e farle
da madre. Questa donna è la stessa madre di Dulinval che ha accettato,
ed abita con Zoe senza esserne conosciuta, per
osservarne la condotta. Incantata della di lei virtù la stima degna di
unirsi col figliuolo. Intanto un vecchio libertino chiamato Furard
proprietario della casa di Zoe, e di lei amante viene
a sollecitare l’effetto delle speranze che ella gli ha date, e si
raccomanda alla pretesa vicina facendole sapere che già ella più volte
ha ricevuto del danaro, e promesso di soddisfarlo. Madama Dulinval non
la crede capace di sì infame convenzione; ma ad una nuova visita di
Furard, essendosi tenuta celata, si assicura di avergli egli detta la
verità. Di più giunge un altro uomo e vede, che Zoe
loriceve con tutti i segni di viva affezione,
e lo fa occultare nel suo gabinetto all’arrivo di Dulinval, cui già la
madre avea accordato di sposar Zoe. Tal procedere
sveglia lo sdegno di Madama che comparisce e dichiara che non consentirà
mai a tale unione sconvenevole, e rileva quanto occulta ha ella
osservato. Dulinval è penetrato d’orrore. Zoe fa
uscire Delancourt dal gabinetto, e palesa esser colui che dall’infanzia
l’ha protetta, soccorsa e sollevata nelle sue disgrazie, e che essendo
ora nell’estrema povertà, ella per sovvenirlo ha preso danaro da Furard
lusingandolo. Madama ne ammira la delicatezza e la riconoscenza, e
permette che sposi suo figlio. Furard pieno di vergogna, e ravveduto
riconosce anche in Delancourt il proprio cognato. Chi approverà un
esempio siffatto sulla scena? Vedere una giovanetta virtuosa che in
apparenza si prostituisce per esercitare un atto di beneficenza o di
gratitudine! La virtù tutto può sacrificare, fuorchè se stessa. Mercatar
favori illeciti, riceverne prezzo a più
riprese, alimentar desiderii, e speranze infami, è scuola di morale da
soffrirsi su di un teatro culto? Oltreacciò Zoe che ha un amante ricco
di buona intenzione, non poteva più convenevolmente a lui ricorrere che
pensa a sposarla, per sovvenir colui che nelle sue strettezze l’aveva
sollevata? Poteva ancora fidarsi nella buona vicina per evitare il
pericolo di tener occulto un uomo con iscapito della propria
riputazione. Quanto poi al merito letterario di tal componimento, ne’
giornali stessi di Parigi se ne rilevarono molti difetti particolari,
lentezze, inverisimiglianze, monotonia di scene, e non pochi vizii nello
stile. Contuttociò ebbe felice riuscita nella prima rappresentazione.
Sembra che non abbia in seguito ottenuti sì favorevoli suffragii,
giacchè trovo nell’Anno VIII teatrale francese il
seguente giudizio:
Zoe, où la Pauvre Petite, pauvre petite
piéce de Bouilly; pauvre petite musique de Plantade; pauvre petit
succès; pauvre petite recette.
Nello stesso teatro di Favart l’anno medesimo 1800 si rappresentò con ottimo successo Una notte di Federigo II, in cui si osserva più di una scena ben maneggiata, e varie idee piacevoli e spiritose. Vi si recitò l’anno stesso le Locataire in un atto di Sèverin colla musica di Gaveaux. L’azione complicata produsse poco interesse, per non essersi, dice un giornalista, saputo trarre partito dal soggetto. In fatti gli espedienti dell’autore spesso falliscono per la debole opposizione di un tutore inetto e per la timidezza di un rivale. L’anno stesso si rimise nel medesimo teatro Annetta e Lubino opera pastorale dell’attrice Favart coll’eccellente musica del Martini che si reputa un modello di semplicità graziosa e di melodia.
Si sono parimente rappresentate nel medesimo teatro ed in altri di Parigi con varia fortuna le seguenti opere comiche. Le Tableau des Sabines operetta piacevole di Jouy, alla cui musica lavorarono i due maestri La-Foi e Long-champs. Le Maçon di Sèverin cadde affatto; ed i Francesi dissero, che da tale opera appare che l’autore conosceva meglio l’arte di muratore che l’arte drammatica. Le due Giornate di Bouilly si ricevette con applauso singolarmente per la musica del riputato maestro romano Cherubini. Anche il Marcellino opera di Bernardo Valville, benchè mancante di verisimiglianza, si ascoltò con piacere per la musica di Lebrun. Appartiene anche a Valville l’Ingannatore ingannato posta in musica dal maestro Gaveaux, che si rivede sempre con piacere in Parigi. Contansi tralle opere cadute: le Petit Page di Gilbert Pixerecour posto in musica da Lebrun, l’Esclave dè Gossè colla musica di Bruni, e le Roman del medesimo colla musica di Plantade, e Laure, o l’Actrice chez elle opera fredda di Marsollier e Daleyrac. D’Auberge en auberge di Dupaty presenta moltissimi cangiamenti di decorazioni e mille precauzioni per produrre picciolissimo effetto. La musica è del maestro Tarchi della buona scuola italiana, e non manca di vivacità. Piacque la Dame voilèe di Sègur il giovine posta in musica dal Mengozzi celebre maestro italiano e si reputa il suocapo d’opera. Le Calife de Bagdad opera di Saint-Just colla buona musica di Boieldieu piacque e si replicò più volte. La Maison du Marais, poesia di Duval con musica di della Maria, sermone soporifero, sentenze ribadite, tratti satirici rancidi stemperati in tre atti compongono quest’opera comica recitata nel teatro così detto l’anno 1800. La Fille en lotterie è componimento male avviluppato, che ha però alcune strofe ed arie piacevoli tanto di poesia quanto di musica. Altre opere possono parimente rammentarsi di non meno varia fortuna; ma ad accezione di alcune che ne accenneremo nel parlar del Vaudeville e de’ teatri materiali francesi, abbandoneremo tutto il resto all’obblio che le ricopre.
III.
Vaudeville.
Vaudeville chiamasi un piacevole componimento drammatico musicale proprio della nazione Francese, che si rappresenta principalmente in un edificio posto dirimpetto al Palais-Royal di Parigi. Dal nome del componimento prende il suo quest’edificio. La giovialità e leggerezza francese produsse simil genere che non è nè commedia nè tragedia nè opera nè parodia, ma che di tali generi partecipa ad un bisogno, dando luogo alla satira ed alla piacevolezza e alla buffoneria per eccitare il riso. I motteggi che vi campeggiano, consistono per Io più in una lotta di concetti e di scherzi mordaci sulla parola, de’ quali i Francesi de’ Dipartimenti comprendono a stento tutta l’acutezza, mentre i Parigini che l’assaporano pienamente, escono dallo spettacolo canticchiando le strofette ascoltate che bentosto si adottano e passano in moda.
Un tempo l’Opera Comica ed il Vaudeville furono due generi uniti, de’ quali il Vaudeville vien considerato come il produttore dell’Opera comica in Francia. Convenne indi far tacere l’uno e l’altro, finchè il solo Vaudeville forse per certa sua naturale insolenza rimase bandito e sacrificato per alquanti anni. Alcuni in seguito si avvisarono di riprodurlo facendone giudice il pubblico, e si ritenne, e nella mia dimora sulla Senna lo vidi frequentato.
Il repertorio del Vaudeville è assai copioso e vasto appunto come richiede simil genere, perchè possa sussistere, essendone l’anima la varietà, e mal comportandovisi la ripetizione. Questo repertorio è composto di commedietto alquanto serie che per buona fortuna non sono molte, di una galleria vastissima di ritratti di scrittori francesi e stranieri, di alcune pastorali, di parodie, di opere musicali e di tragedie e commedie altrove rappresentate, di arlecchianate, di parate ancora, tuttochè questo genere insipido sia già quasi totalmente abbandonato.
I componimenti che recitansi al Vaudeville per lo più non si pregiano per l’artificio e per la forza del piano. Un quadro piccante, una graziosa circostanza ben rilevata, qualche piacevole strofetta, l’insieme nell’esecuzione, un’acconcia distribuzione delle parti ossia de’ caratteri, basta per la riuscita.
Rare volte il Vaudeville è lavoro di un solo. Giungono spesso ad occuparvisi ben cinque autori; di maniera che la lode o il biasimo si divide sovente fra molti, e ciascuno ha poco da insuperbirsi del buon successo e poco da contristarsi del sinistro. Barrè, Radet, Desfontaine formano un triumvirato appellato de’ Tre autori, a’ quali suole unirsi per quarto Bourgueil. Si sono parimenti arrollati tra gli scrittori del Vaudeville Despres, Deschamps, e i due Sègur. I più giovani sono Chaset, Jouy, Long-Chams, che sogliono seminarvi a buon dato la satira e l’epigramma.
Tra’ componimenti in Vaudeville vien singolarmente
esaltata la parodia che si fece dell’opera eroica di Prassitele
intitolata Bilboquet. Essa si compose da i tre autori
Radet, Barrè e Bourgueil, e si
rappresentò al finir d’agosto del 1800 sul teatro del Vaudeville. Consiste in una serie di quadri l’uno più
grottesco dell’altro che eccitano strabbocchevolmente il riso. In tal
componimento (dice un Francese) «vi sono venti strofe che per la
grazia e per la delicatezza de’ pensieri e pel giro della
versificazione, e per la scelta felice delle rime, reggono al paragone
di quanto si è mai prodotto in simil genere»
. Si recitò nel
medesimo teatro a que’ dì il Dancourt che riscosse
molti applausi. Qualche riuscita ebbe Young, ossia la
Vita di Creuzet. Un anonimo
produsse Champagnac et Suzette che ebbe un successo
passeggiero in grazia di un travestimento di un’attrice.
Boursault o
la Barbe de
frere Jean, ristretto della vita di Boursault
composto dal Desfontaine si applaudì per la sua
piacevolezza non imbrattata da indecenze. Si novera tra’ vaudevilli piu
felici le Carosse Espanol di Gersain
di un intrigo leggero condito di ariette spiritose e piacevoli, che
contiene alcune scene comiche e salse. Il Viaggiatore
sconosciuto, ossia m. Guillaume appartiene a
quattro autori contandovi quelli che posero in musica le strofette, cioè
Desfontaine, Bourgueil, Barrè, Radet. Il suggetto
è semplice, l’azione naturale; convenevole lo stile. Passa per
eccellente nel suo genere le Portrait de Fielding, Madama
Deshoulieres, Plus heurreux que sage primo lavoro di Fievèe, Gesner, la Nièce curieuse,
l’Entrevue, e le Rendez-vous de Maurice, ebbero
nel proprio teatro mediocre riuscita. Ne tralascio un gran numero che
caddero perfettamente.
Simili componimenti rappresentansi parimente in altri teatri. Nel repertorio de’ Troubadours si reputano fra’ migliori Cristophe Morin azione poco importante ma copiosa di piacevoli strofette. Men pregevole fu la Clef forèe di Leger e Creusè. Le Connoisseur de Marmontel si pose su quelle scene da Giuseppe Piis dopo molti altri che han maneggiato questo medesimo soggetto. I migliori Vaudevilli del teatro de la Gaitè sono: l’Amour remouleur, le Gagne-Petit, l’Horologe de bois. Nel teatro Favart si diede il Vaudeville intitolato Une Nuit d’ètè garbuglio di accidenti inverisimili senza decoro. Nel teatro de’ Giovani Artisti fecero qualche fortuna le Petit-Jule, e la Lanterne magique.
IV.
Teatri materiali.
Si amano in Francia, universalmente gli spettacoli scenici di ogni maniera. Havvi almeno venti case private di teatro solo in Parigi, dove varie società particolari rappresentano tragedie, commedie, e segnatamente alcune favole composte per tali brigate espressamente. Lo spirito di rappresentazione che anima i Francesi, i grandi modelli nazionali che riempiono le loro scene, il gusto di cui credonsi con privilegio esclusivo in possesso, non basta ad obbligarli a volgere un solo sguardo alla meschinità de’ loro pubblici teatri. Le sale di tutti gli spettacoli di Parigi (dicono i nazionali) cioè quelle del Teatro Francese, della Commedia Italiana, e del Teatro Lirico, sono senza magnificenza, strette, prive di ogni gusto, ingrate per le voci, incomode per gli attori, e per gli spettatori. Non è vero ciò, che diceva il Voltaire che solo in Francia prevale l’impertinente usanza di obbligare la maggior parte dell’uditorio ad assistere all’erta allo spettacolo. Anche in Madrid quei che chiamansi Musqueteros ne godono senza sedere. È però vero che nè in Ispagna, nè in Italia gli spettatori si frammischiano con gli attori sulla stessa scena, come avviene in Francia, lasciando appena dieci passi liberi alle rappresentazioni. Cinna e Atalia (al dir del medesimo autore) doveano rappresentarsi in sì meschini edifizii, e con decorazioni così grossolane? » In tal disordine può sperarsi veruna illusione teatrale? Di simili inconvenienti lagnasi pure l’autore del libro intitolato la Mimographe. Vero è però, che negli ultimi tempi del XVIII si è riparato all’inconveniente di mischiarsi sulla scena gli spettatori con gli attori. Vero è pur anche che il Teatro Francese ricevè in seguito varii miglioramenti. Vi si veggono eziandio i ritratti dipinti de’ più celebri autori drammatici della nazione. Nel Foyer architettato con magnificenza vi si collocarono i mezzi busti di marmo di Rotrou, de’ due Cornelii, di Racine, di Moliere, di Regnard, Des-Touches, Du Fresni, Dancourt, Piron, Crebillon, ed al piè della scalinata si alzò la statua intera marmorea del Voltaire. Nel teatro dell’Opera alzato in Parigi nel 1769 co’ disegni dell’architetto Moreau di figura ovale lunga, si contano quattro ordini di logge senza divisione, e nella platea larga 39 piedi e lunga 32 si vede una scalinata dirimpetto alla scena.
Nel palazzo di Versailles si edificò nel 1770 dall’architetto Gabriel un teatro di figura semicircolare con una scalinata che gira intorno, e con una sola loggia. La corte nella passata dinastia occupava il parterre, ed il sovrano sedea nel mezzo.
Ampliata Parigi nella parte detta i Baloardi si erano costrutti prima della Repubblica Francese altri cinque teatrini da fiera, ne’ quali si balla sulla corda, e si cantano drammi burleschi. I primi ad elevarsi furono quello di Nicolet intitolato i Gran Ballerini da corda, quello di Audinot detto l’Ambigu Comique, e quello dell’Ecluse nominato Varietà piacevoli. Gli ultimi due sono quello degli Allievi del ballo dell’opera, e quello de’ Commedianti fanciulli del Bosco di Bologna.
I nomi di alcune delle sale sceniche mentovate si sono posteriormente alterati, e se n’è costruita qualche altra nuova. Accennerò una parte di quel che vidi rappresentarvisi nella mia dimora nel 1800. Nel teatro de la Gaitè si recitavano componimenti di varii generi, ma per lo più l’opera comica. Nella classe delle commedie non se n’è rappresentata con successo che una intitolata il Pazzo supposto di Armand Charlemagne, in cui si trova piacevolezza, ed alcuna situazione comica tratta per altro dalla Metromania di Piron, e dal Medico de’ Pazzi di Mimaut.
Nell’Ambigu Comico vidi applaudito lo Statuario Greco, o Sophronime, imitazione di una novella di Florian, ed il Calderajo uomo di stato immaginario di Etienne, imitazione di un componimento Suedese.
Nel teatro de la Citè si rappresentavano componimenti d’ogni genere. La commedia de’ Viaggiatori di Charlemagne si recitò più volte con applauso. Non rincrescevano alcuni pantomimi in parte dialogizzati, come il Serraglio, la Festa del Gran Mogol, il Fanciullo del mistero, Armand di Joinville, i Cinesi. Non ebbero gran concorso alcuni drammi malinconici, come Jenny o gli Scozzesi, ed Eleonora di Rosalba dell’attore ed autore Saint-Pière.
Nel teatro de’ Giovani Artisti vedevansi diverse arlecchinate piacevoli che tiravano gran concorso, ed anche qualche composizione di spettacolo come le Chateau misterieux, e la Pastorella di Saluzzo, ed alcun vaudeville.
Havvi un altro teatro detto de’ Giovani Alunni, dove tralle commedie si rappresentavano con piacere, e con concorso le Petit-Figaro, e le Due Pastorelle, ed i Tre Uomini femmine.
Nel teatro detto Sans pretension si ascoltava volentieri la tragedia di Giuseppe già rappresentata a Nantes, ed il dramma intitolato l’Angelo ed il Diavolo, i quali si contrastavano la condotta di un giovane, imitazione stravagante di Shakespear.
Si vedeva a quel tempo nel teatro delle Vittorie nazionali Adela e Leonora, ed i Pericoli dell’ambizione, e la tragedia Arato liberatore di Sicione, e qualche vaudeville.
Nel teatro du Marais fece molto strepito senza valerne la pena la favola intitolata i Ciarlatani letterarii per le pretese allusioni.
Dentro Parigi il teatro des Troubadours è competentemente frequentato, e non è de’ più piccioli. Vi si rappresentano componimenti di ogni genere, commedie, vaudeville, opere. Vi si vede sovente la Pipe cassèe di Leger, Gouffe e George Duval, il Prestito forzoso lavoro dell’istesso Leger e Gouffe, e Prèvot d’Iray, e l’Armoire, ovvero i Tre Matrimonii. La Mote Houdart à la Trappe che appartiene a Piis ed Auger, non parve ad un giornalista condotto con felicità a quella pia ritirata. Momo a Parigi, Regnard ad Algieri, Piron à Beaune, Une heure d’intrigue, si recitavano con poco vantaggio. I migliori componimenti, e che vi si ripetevano spesso, sono: la Lezione conjugale, ed il Diavolo color di rosa.
Nel teatro Montausier che è nel recinto del Palais-Royal, si rappresentavano mal grado della loro caduta, le composizioni di Pixerecourt, Jacques, e Chazet. Il Gondoliere di Sègur maggiore, ed il Duello di Bambin di Dumaniant vi si veggono con maggior frequenza.
Ne’ teatri Feydeau e Favart concorrevano in folla gli spettatori alle opere comiche che vi si rappresentano sovente con decorazioni dispendiose.
Oltre de’ teatri nominati della Capitale altri ne ha la Francia ne’ dipartimenti. Quello di Marsiglia non è picciolo, e vi si recitano tragedie e commedie, ed opere. Allorchè io vi dimorai, si rappresentò con molta riuscita il pantomimo in cinque atti intitolato le Siège de Cythere, in cui i Ciclopi meditano, ed eseguiscono l’assedio di Citera. Ciascun atto ha una nuova decorazione e mutazione di scena; ma vi è l’inconveniente che in ognuno si cala il sipario, e l’uditorio dee attendere che si pianti con gran lentezza la scena.
Lione ha un teatro grande sopra tutti i teatri francesi dove compariscono
componimenti recitati e musicali. Si eresse nel 1756 sui disegni
dell’architetto Soufflot. Di figura ovale ha una
platea lunga 54 piedi, e larga 40; vi sono gradini intorno, e dirimpetto
alla scena, e tre ordini di logge
continuate
senza divisione di palchi similmente forniti di scalini.
Questo edifizio
(dicesi nel trattato del
Teatro)
è ben provvisto di convenienti accessorii,
ed ha la facciata retta a tre ordini di finestre con gran ringhiera
nel mezzo, e con balaustrata in cima arricchita di statue.
Più picciolo è il teatro di Mompellier benchè regolare e di migliore apparenza al di fuori. È costruito a campana lungo 44 piedi, e largo 30. Havvi un portico nella platea, e tre ordini di logge continuate divisi in palchetti soltanto da balaustri che impediscono il passaggio da un palco all’altro, ma non la veduta.
In Bordeaux il dì 7 di aprile del 1780 si aprì una nuova sala di spettacoli assai magnifica, e vi si rappresentò Atalia con i cori preceduta da un prologo allusivo all’apertura del teatro. E un edificio isolato che rappresenta un parallelogrammo circondato da portici, la cui facciata di 200 piedi consiste in un maestoso colonnato d’ordine corintio con peristilo, le cui colonne hanno tre piedi di diametro, e su di esse corre una balaustrata con piedistalli ornati di figure analoghe alla destinazione del luogo. Le facciate laterali e la posteriore sono decorate col medesimo ordine, ma in pilastri con una galleria in arcate su tutta la lunghezza. La facciata dell’entrata è sulla piazza di 50 tesi di lunghezza sopra 24 di larghezza. Sotto il peristilo si veggono cinque porte che introducono ad un vasto vestibolo ornato di sedici colonne doriche, il cui fondo ripete le cinque arcate dell’entrata che sono ad esse opposte, e formano altrettanti portici aperti. Tre di questi nel mezzo comunicano colla principale scalinata, e i due estremi terminano alla platea ed al paradiso da un lato, e dall’altro alla scalinata che mena al terzo ordine delle logge. La porta di entrata è riccamente adorna. Due cariatidi grandi rappresentano Talia e Melpomene, e quando l’edificio si costruì, eranvi al di sopra le armi del re con una iscrizione. La sala ha dodici colonne d’ordine composito che nella loro altezza comprendono due ordini di logge. I primi palchi seguono il piano circolare della sala composta di tre scaglioni in anfiteatro con balaustrata. Il secondo e terzo ordine di palchi sono negl’intercolunnii. Vi sono altresì tre scalinate in anfiteatro, cioè una in fondo che guarda il teatro, e l’altre due da’ due lati della sala, il cui fondo è di marmo bianco venato.