(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome VIII « STORIA CRITICA DE’ TEATRI ANTICHI E MODERNI. TOMO VIII. LIBRO VIII. Teatri d’oltramonti nel secolo XVIII. — CAPO III. Della vera Commedia Francese e della Italiana in Francia. » pp. 128-191
/ 1560
(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome VIII « STORIA CRITICA DE’ TEATRI ANTICHI E MODERNI. TOMO VIII. LIBRO VIII. Teatri d’oltramonti nel secolo XVIII. — CAPO III. Della vera Commedia Francese e della Italiana in Francia. » pp. 128-191

CAPO III.

Della vera Commedia Francese e della Italiana in Francia.

Due specie della vera commedia noi contiamo, la Tenera, e la Piacevole, prima di parlar della Commedia Italiana che troviamo allignata in Francia.

I

Commedia Tenera.

La tragedia grande e la domestica si prefige di eccitare il pianto, ed esclude ogni riso: la commedia ride più e meno e in diversi modi, e non esclude certo pianto. Se voi fate una tela lugubre di persone private che ecciti il terrore, producete la tragedia domestica o cittadina: se a tal favola frammischiate alcuni tratti comici, cadete nella sempre riprensibile alleanza del pianto e del riso della commedia lagrimante che distrugge l’unità dell’interesse contro l’oggetto del poeta: se le comiche dipinture non contrastano con situazioni terribili, ma servono a dar moto a’ dilicati interessi famigliari ed a quel patetico che nasce dalle amorose debolezze combattute dagli eventi; voi spogliate la commedia lagrimante de’ suoi difetti, e la cangiate in una lodevole commedia tenera. Adunque quest’ultima specie di commedia presenta tutti i vantaggi della sensibilità posta in tumulto nelle favole lagrimanti, ma ne sfugge gli eccessi lugubri, l’espressioni da coturno, il tuono di disperazione, i pericoli grandi. L’amor tenero dilicato che degrada quasi tutte le tragedie francesi, trova il proprio luogo nella commedia tenera, che non conobbe Moliere, ma che conobbero in Grecia ed in Italia Menandro, Apollodoro, Terenzio, Annibal Caro, Sforza Oddi, e Giambatista della Porta nel Moro e nella Sorella. Non sono le lagrime che rendono difettose le favole di Sedaine, Mercier e tanti altri; ma il tuono tragico, i delitti grandi, i patiboli. La commedia tenera si contenta della sobria piacevolezza che risulta dalla pittura comica de’ costumi, rigettando la tinta risentita del buffonesco; ed ammette le lagrime delicate, guardandosi dal terrore e dalla sublimità tragica. Tutto ciò dimostra i confini delle specie drammatiche, e fa vedere che la commedia lagrimante è l’abuso e la corruzione della nobile e gentile commedia Tenera. Guai al pedante folliculario intento a schiccherar deplorabili colpi d’occhio .

Colla veduta corta d’una spanna , il quale non sapesse distinguere il pennello dell’autore della Pamela e della Nanina da quello che colorisce le favole lagrimanti di Sedaine o di Mercier!

Gli autori francesi che a me sembra che siensi contenuti alcune volte in questa specie di commedia senza cadere nelle lagrimanti, sono: La Chaussèe, madama di Graffigny, Voltaire, e Collet.

Nivelle de la Chaussèe nato in Parigi l’anno 1691 e morto nel 1754 maneggiò questo genere qualche volta felicemente. Il suo Pregiudizio alla moda ben dimostra che la commedia può avere certe lagrime senza cangiar natura. Un marito che temendo di coprirsi di ridicolo agli occhi de’ pregiudicati suoi amici col mostrarsi innamorato della propria moglie, incorre nell’altro di voler palesare a lei il suo affetto colla segretezza che esige un amor colpevole, e con ciò cagiona le tenere lagrime della consorte che l’ama; simile argomento, dico, è un vago innesto di costumi correnti, di tenerezza e di piacevolezza comica, che manifesta il pregio della commedia tenera. A torto contro di questo genere si sarebbero scagliati Chassiron, Palissot e Sabatier des Castres, confondendolo col larmoyant e colla tragedia cittadina, se la Chaussèe avesse con pari felicità proseguito. Ma la di lui Melanida è una specie di romanzo fondato sul cangiamento di un nome, e troppo lontana dall’esser commedia, benchè vi si trovi qualche situazione interessante. Il suo componimento Amor per amore è sul medesimo gusto alieno dal vero comico, ma più languido ancora ed a parer mio meno pregevole per aver l’autore in tal favola voluto valersi delle fate e delle trasformazioni.

Francesca di Graffigny nata in Nansi nel 1695 e morta in Parigi nel 1758 diede al pubblico Cenia sotto il titolo di pièce nouvelle, nella quale imitò la Donna di governo di m. de la Chaussèe senza uguagliare l’originale. Non mancando d’interesse ed essendo stata rappresentata assai bene nel 1750, malgrado di essere sfornita di veri colori comici, riuscì mirabilmente e si è anche recitata e tradotta altrove. In seguito l’autrice diede al teatro la Figlia di Aristide del medesimo genere, la quale non ebbe ugual successo felice, perchè, disse Palissot, il tempo dell’indulgenza era passato .

La Pamela del Goldoni tratta dal celebre romanzo di Richardson mosse verisimilmente Voltaire a comporre la sua Nanina commedia tenera in tre atti. Essa si rappresentò nel 1748 la prima volta a Versailles; ma secondo il Giornale straniero del 1755, quando si replicò in Parigi, non si accolse troppo favorevolmente. L’azione è più semplice di quella della Pamela; ha di più il merito di essere bene scritta in versi; i costumi vi sono toccati con franchezza e le passioni dipinte delicatamente; lo scioglimento avviene senza la grande rivoluzione della condizione della fanciulla; perchè Nanina al più vien riconosciuta per figliuola di un soldato nato in una onesta famiglia, là dove il padre di Pamela nella commedia italiana si scopre un Signore Scozzese. Contuttociò le passioni hanno maggior forza nella Pamela: il contrasto nel cuore di Milord dell’amore e della nobiltà più vivace e teatrale: i costumi inglesi più atti a tener svegliata l’attenzione, specialmente col contrasto del Cavaliere viaggiatore pieno di leggerezze. In fatti la Pamela non invecchiò per lunga serie di anni finchè non si alterò il gusto comico italiano coll’imitazione de i drammi lugubri stranieri; e la Nanina non pare che torni spesso sulle scene francesi.

Carlo Collèt segretario e lettore del duca d’Orleans nato in Parigi nel 1709 è uno de’ Francesi che conservarono la giusta idea della comica giovialità, resistendo alla seduzione del cattivo esempio de’ comici lagrimanti. Nel di lui Teatro di società si osservano varie scene eccellenti. Senza soscrivere a tutte le lodi date dal Palissot alla commedia Dupuis et des Ronais rappresentata nel 1763, possiamo noverarla tralle commedie tenere non infelici. Benchè desti (dice il nominato critico) talvolta la tenerezza e le lagrime, per la verità de’ caratteri, e per la semplicità degli evenimenti è questa favola ben lontana da que’ drammi così poco degni di stima che vanno sotto il nome di tragedie cittadinesche e di commedie lagrimanti, pel cui cattivo genere il sig. Collè ha non di rado manifestato disprezzo».«Questa favola è nel gusto delle commedie di Terenzio, i sentimenti sono veri, i caratteri ben sostenuti, il dialogo è naturale». Da questo passo si scorge che il Palissot e il Collè compresero la differenza che passa tralla commedia tenera e la lagrimante. La comprese il Voltaire che compose la Nanina e il Figliuol prodigo, ed affermava che la commedia può appassionarsi, adirarsi, intenerire, purchè non trascuri poi di far ridere la gente onesta. Comprese questa medesima differenza fin anche Chassiron tesoriere di Francia, il più severo valoroso ed ingegnoso oppugnatore della tragedia cittadina e della commedia piangente. Nella sua dissertazione inserita nel tomo III della Raccolta della sua Accademia della Roccella conchiude dicendo, che» se in una commedia l’intenerirsi può talvolta giugnere sino alle lagrime, appartiene unicamente alla passione di amore di farle spandere». Al contrario non la comprese l’autore de’ Tre Secoli della Letteratura francese, che non ammette altra specie di commedia se non quella di Moliere, la quale è veramente ottima, ma non la sola pregevole. Sabatier des Castres pone nella classe riprovata delle commedie dolorose la Caccia di Errico IV del medesimo Collè. E perchè mai? Che ci presenta di lugubre? Forse le lagrime liete e gentili che versa Errico a i discorsi naturali e candidi del contadino? Ma passiamo alle commedie piacevoli prodotte in Francia.

II.

Commedia piacevole.

Dopo i felici seguaci di Moliere del XVII secolo Regnard, Brueys, Dancourt, troviamo tra’ buoni comici ne’ primi lustri del XVIII Du Fresny nato nel 1648 e morto nel 1724, il quale dopo di aver lavorato per l’antico teatro Italiano di Parigi insieme con Regnard, diede al Francese diciotto buone commedie. Nello Spirito di Contraddizione, che può passare per una delle migliori, e nella Riconciliazione Normanda, ed in qualche altra, il sagace osservatore scorgerà maneggiata con arte certa specie di ridicolo sfuggito al pennello di Moliere. Palissot mostra dispiacere di non vedersi più sulle scene di Parigi il di lui Falso sincero, ed il Geloso vergognoso di esserlo, a cui il prelodato Collè fece alcune felici correzioni. Quest’ultima commedia è tratta dalla commedia italiana il Geloso non geloso del Brignole Sale. I versi del Du Fresny (dice l’istesso Palissot) cedono in facilità a quelli di Regnard; ma il di lui stile è più puro. Io noto nelle sue espressioni certo studio non molto occulto di mostrarsi spiritoso.» Un personaggio comico (ben diceva il sign. di Voltaire) non dee studiarsi di mostrarsi spiritoso; e bisogna che sia piacevole a suo dispetto, e senza avvedersi di esserlo». Quindi avviene che la maniera del Du Fresny alcuna volta degenera in affettazione, e fa perder di vista i personaggi imitati palesando il poeta.

Filippo Nericault des Touches nato in Tours nel 1680 e morto nel 1754 le cui commedie cominciarono a rappresentarsi nel 1710, possiede arte e giudizio, ed anche spirito comico, benchè non possa sostenere il confronto della piacevolezza di Regnard, e molto meno dello stile e delle grazie di Moliere. Istruttiva è la commedia del Dissipatore e di sicura riuscita, e i caratteri vi sono assai ben dipinti: ma si vorrebbe che la di lui ruina venisse affrettata per altri mezzi, e sempre per le sue inconsiderate prodigalità, anzi che per un giuoco precipitoso di dubbio evento, che poteva eludere i disegni dell’innamorata divenuta scrocca all’apparenza. Il Vanaglorioso tradotta in toscano dal Crudeli e lodata con distinzione dal Voltaire, è l’altra commedia del Des Touches universalmente approvata. Non pertanto non a torto forse il Palissot desiderava che il protagonista avesse un tono più proprio della gente nobile. Il Filosofo maritato presso il medesimo critico passa per un capo d’opera; ma per meritare il nome di filosofo che ha vergogna di far sapere che sia maritato, non si doveano far contrastare un poco meglio i lumi suoi colla forza del pregiudizio, e dal non saperlo vincere trarne un ridicolo più vivace? L’Irresoluto per mio avviso è un carattere errato, equivocandosi talvolta l’irrisoluzione colla pazzia. Moliere avrebbe forse meglio scelti i lineamenti speciali e proprii dell’irrisoluzione, onde la pittura riuscisse vera, naturale e chiara, e per conseguenza piacevole. Nell’Uomo singolare egli ne prende le tinte dalla propria fantasia, o da qualche originale particolare da non poter riuscire importante pel pubblico che nulla in esso impara per correggersi, nè prende diletto di un ridicolo non manifesto. Le stravaganze solo potrebbero produrre qualche diletto, qualora quest’uomo singolare non fosse freddo. Egli scrisse ancora l’Agnese, i Nipoti ed altre commedie d’intrigo, ed il Tamburro notturno che viene da una favola inglese. In generale Des Touches è uno de’ buoni comici della Francia, e qualche sua favola riesce dilettevole, e molte interessanti; ma la piacevolezza non è il pregio caratteristico di questo commediografo pregevole.

Cristofaro Bartolommeo Fagan nato in Parigi nel 1702 e morto nel 1755 dotato di facilità e di naturalezza nel genere comico, ma dalle strettezze obligato a scriver troppo, mostra nelle sue favole l’effetto della precipitazione. Non si dovea stampare tutto ciò che produsse pel teatro. Bastava solo per suo onore d’imprimere la Pupilla, la Stolidità, l’Appuntamento, l’Inquieto, gli Originali, nelle quali commedie si dipingono con grazia e naturalezza i costumi, e vi si ammira molta piacevolezza comica.

Piron di cui si è parlato fra gli scrittori tragici, forse dovrà alla Metromania commedia ingegnosa, piacevole, spiritosa e scritta con regolarità in ottimo stile, la sua riputazione maggiore. Avea però nel 1728 prodotta la commedia i Figliuoli ingrati che poi intitolò la Scuola de’ Padri, ma non ebbe quel felice successo che prometteva l’ingegno dell’autore atto a rilevare acconciamente il ridicolo, e a dipingere i costumi correnti. Produsse in seguito l’Amante misterioso che cadde affatto, ed appena potè il poeta consolarsi coll’applauso che ottenne la sua pastorale le Corse di Tempe. Ma la sua gloria comica si assicurò colla Metromania. Il piano è ideato con pratica e scorgimento; l’azione semplice diletta ed interessa; i caratteri sono bene e vivacemente dipinti; i sali spirano urbanità e piacevolezza; lo stile spiritoso e proprio senza sforzo e senza pregiudizio della naturalezza è animato da una versificazione armonica per quanto può comportare la natural monotonia del verso alessandrino. L’argomento consiste in un giovane ben nato che sacrifica la propria fortuna alla smania di poetare. Giudiziosamente viene egli nella favola enunciato prima di comparire. La serva domanda notizie distinte di lui ad un servo, che risponde così dipingendolo bellamente:

Oh! c’est ce qui n’est pas facile à peindre. Non.
Car selon la pensèe où son esprit se plonge,
Sa face à chaque instant s’èlargi ou s’allonge.
Il se neglige trop, ou se pare à l’exces.
D’ètat il n’en a point, ni n’en aura jamais.
C’est un homme isolè qui vit en volontaire.
Qui n’est bourgeois, abbè, robin, ni militaire.
Qui va, vient, veille, sue, et se tourmentant bien,
Travaille nuit et jour, et jamais ne fait rien.

Tralle scene dell’atto primo graziosa e caratteristica è la quarta, in cui Dami si trattiene col servo su i proprii amori per una pretesa letterata di provincia ch’egli non conosce se non per le di lei poesie recate nel Mercurio. Egli prevede che da questo matrimonio nasceranno

Des pièces de thèatre et des rares enfans.

Ei già conta almeno tre sigliuoli, e destina al primo la poesia comica, al secondo la tragica, all’ultimo la lirica, riserbando per se il pubblicare ogni anno un mezzo poema, e per la moglie un mezzo romanzo; tratti individuali del carattere che subito danno al ritratto la vera fisonomia. La Dulcinea di tale Don Chisciotte poetico allude all’avvenimento di m. Maillard poeta brettone, il quale avendo pubblicate alcune poesie mediocri sotto il nome di Mademoiselle de Malcrais, ne ricevè gli elogii de’ più noti poeti della Francia, e varie dichiarazioni di amore in versi, ma gli elogii e gli amori si convertirono in dispregi tosto che l’autore ebbe l’imprudenza di smascherarsi. Traspare nella scena sesta dell’atto terzo la grazia comica di Moliere oggidì perduta totalmente in Francia. L’incontro di Arpagone col-figliuolo nell’Avaro si è rinnovato in certo modo in quello di Balivò con Dami suo nipote, al cui vero stupore creduto effetto dell’arte da essi posta in rappresentare una scena, Francaleu grida attonito:

Comment diable! à merveille! à miracle! courage;
On ne sçauroit jouer mieux que vous de visage.

Sommamente comica è ancora la scena quarta dell’atto IV, nella quale Francaleu che ha data la sua parola a Balivò di far carcerare il di lui nipote, prega l’istesso Dami di cui si tratta, a prendere sopra di se tal carcerazione. Dami se n’era scusato sulla difficoltà che incontra un poeta a farsi luogo nella corte dove al suo dire,

Nous sommes eclipsès par le moindre minois,
Et la, comme autre part, les sens entrainent l’homme,
Minerve est èconduite, et Venus a la pomme.

Ma intendendo poi che si tratta di lui stesso, finge di addossarsene l’impegno, e dice.

Oh! je le servirai, si ce n’est que cela.

Francaleu allora ricusa, avendo pensato di valersi di un altro; Dami insiste, e le sue premure riescono piacevoli. Lepida è pure la sesta scena di Lisetta che scaltramente sa confessare a Dami di esser egli l’autore anonimo di una commedia che poi si sa di essere stata fischiata nella rappresentazione. La settima è ancora più vivace e piena di sale comico. In essa Durante ingannato dagli abiti di Lisetta la prende per Lucilla, e la rimprovera per averla sorpresa nell’atto che Dami le bacia la mano. Lo scioglimento corrisponde alle grazie di questa eccellente commedia, nella quale colla sferza comica ottimamente si flagella una ridicolezza comune a tutte le nazioni culte di far versi a dispetto della natura, il quale argomento su poco felicemente trattato in Italia da Carlo Goldoni nella commedia intitolata i Poeti.

Mentre Talia cangiava in Francia l’abito gentile che la rendette un tempo vezzosa, produssero alcune commedie pregevoli, a dispetto della moda lugubre, i seguenti scrittori. Giovanni Campistron diede fuori la buona commedia il Geloso disingannato rimasto al teatro. Le Sage nato a Ruys in Brettagna nel 1677 e morto nel 1747 scrisse la graziosa commedia Turcaret, e la piacevole Crispino rivale del padrone. Giambatista Rousseau nato in Parigi nel 1669 e morto nel 1740 pubblicò l’Adulatore ed il Capriccioso, commedie non esenti da difetti, ma pregevoli pe’ caratteri felicemente espressi. Giambatista Luigi Gresset nato in Amiens nel 1709, e quivi morto a’ 16 di giugno del 1777 autore della graziosa novelletta le Vert-vert (dopo aver dato al teatro Sidney scritto con eleganza ma che non ebbe compiuta riuscita, per esserne il soggetto lontano dal tempo presente e dal costume francese) pubblicò il Mechant buona commedia rappresentata nel 1740 con molto applauso. Vi si dipinge un Malvagio pieno di spirito, di cui veggonsi nelle società culte molti originali, che sotto di un esteriore polito nascondono un cuore il più nero e la più raffinata empietà. Il Voltaire nel Pauvre Diable poco bene affetto a Gresset pretende che alle di lui commedie manchi azione, interesse, piacevolezza e la necessaria dipintura de’ costumi correnti. Convenendo col sommo critico per la mancanza di piacevolezza ed in certo modo anche di azione, parmi di non potersi negare alla commedia del Mechant il merito di un vivace colorito ne’ caratteri, della buona versificazione e di uno stile elegante e salso. Ecco il carattere del protagonista preventivamente da Lisetta a gran tratti enunciato:

S’il n’avoit de mauvais que le fiel qu’il distile,
Ce seroit peu de chose, et tous les medisans
Ne nuisent pas beaucoup chez les honnètes-gens;
Je parle de ce goût de troubler, de detruire,
Du talent de brouiller, et du plaisir de nuire,
Semer l’aigreur, la haine, et la division,
Faire du mal enfin; voila votre Cleon.

Degne di essere singolarmente notate mi sembrano le seguenti scene: la terza dell’atto II piena di pitture naturali del gran mondo di Parigi; la settima dell’abboccamento di Valerio con Cleone; la nona dell’atto III che contiene un giuoco di teatro, in cui Cleone sottovoce ora anima Valerio a farsi credere uno stordito, ora fa notare a Geronte le di lui sciocchezze ed impertinenze; mentre che Valerio adopra tutta l’industria per riuscire a screditar se stesso; e Geronte s’impazienta, freme, si pente e risolve di rompere ogni trattato. Tralle scene bene scritte dee contarsi la quarta dell’atto IV in cui Aristo (personaggio virtuoso copiato dal Cleante del Tartuffo) volendo distaccar Valerio dall’amicizia di Cleone entra a dipingere i malvagi culti che si arrogano il diritto di dare il tono negli spettacoli, e quei che prendono l’aria beffarda, e quelli che affettano di parer gravi e laconici. Questa scena termina con una osservazione vera e gloriosa per l’umanità. Valerio temendo di comparir singolare per troppa bontà asserisce che tutti sono malvagi sulla terra ; e Aristo distrugge questa opinione ingiuriosa al generè umano con una risposta notabile, la quale soffriranno di veder quì tradotta certi meschini ingegni non meno di Valerio ridicoli, i quali volendo passar per uomini di mondo escludono ogni probità dalla terra:

Sono tutti malvagi? È ver son tali
Certi perversi cuor che ognun detesta:
Tale è la calca, è ver, d’uomini falsi,
Di spregevoli donne, di buffoni,
Spiriti bassi, spiriti gelosi,
Senza onestà, senza principi, senza
Costume meritevole di stima;
Gente infingevol che a se stessa rende
Giustizia disprezzandosi a vicenda.
Ma questa detestabile genìa
Priva d’onor, di scrupolo e di freno
Ricoprir di ridicolo e di scorno
Procura invan l’altrui boutà di cuore.
Per dissipar tal nebbia, e mostrar chiaro
Che per natura non è l’uom proclive
Alla malvagità, prender potete
Per giudice e ascoltar come un oracolo
Il popolo raccolto in un teatro.
Quivi quando alcun tratto si dipigne
Di candor, di bontà, dove trionfi
E del proprio splendor tutta sfavilli
L’umanità benefica e gentile,
Di pura voluttà s’empie ogni cuore,
Quivi s’intende di natura il grido.

L’ultima scena dell’atto IV contiene lo stesso artifizio usato da Elmira nel Tartuffo, benchè la copia venga dall’originale sorpassata per vivacità e maestria. Lo scioglimento del Mèchant avviene senza sforzo per mezzo di una lettera del medesimo Cleone. Dee però notarsi in questa bella dipintura che il malvagio è troppo abbellito dallo spirito che gli presta il poeta per renderlo simile agli originali francesi e a’ malvagi che brillano nelle società polite. Forse non inutilmente, perchè divenga più comico e più spregevole, poteva sulla malvagità caricarsi la tinta dando a Cleone un poco più di ridicolo e meno di politezza e d’ingegno. Ardisco dir ciò a mezza bocca, perchè rifletto dall’altro canto che con maggior buffoneria il carattere potrebbe guastarsi. In fatti il Mèchant com’è dipinto in tal commedia, trova in quella nazione ed in altre ancora una folla di malvagi di società che gli rassomigliano. E che sia ciò vero, odasi ciò che disse di tal commedia colla solita ingenuità l’eloquente filosofo Gian Giacomo Rousseau. Quando si rappresentò la commedia del Malvagio, non parve che il principal personaggio corrispondesse al titolo. Cleone sembrò un uomo ordinario; egli era, dicevasi, come tutti gli altri. Questo abominevole scellerato, il cui carattere cosi bene espresso avrebbe dovuto far fremere sopra loro stessi tutti quelli che hanno la disgrazia di rassomigliargli, si credette un carattere mal colpito, e le sue nere perfidie passarono per galanterie, imperciocchè tale che tenevasi per molto onesto uomo, vi si riconosceva tratto per tratto.

Allorchè venne alla luce si disse, che’ il Mèchant conteneva eccellenti versi di satira più che di commedia; ma la satira è tanto aliena dalla commedia? Più giustamente s’imputa all’autore l’aver dato a’ personaggi il proprio spirito in vece di farli parlare giusta i costumi e le condizioni, nel che segnalaronsi Moliere e Machiavelli. Scrisse parimenti il Gresset altre due commedie inedite perdute, o dall’autore stesso soppresse, cioè il Secreto della commedia da lui letta a’ suoi amici, ed il Mondo com’è, di cui solo si conosce il titolo.

Il sig. di Voltaire oltre alle riferite commedie tenere, altre ne produsse nel genere puramente comico. Compose in versi alessandrini l’Indiscreto commedia più dilicata del Chiacchierone del Goldoni, ma priva di azione. Scrisse ne’ medesimi versi la Donna ragionevole uscita nel 1758, la quale può dirsi una galleria di bei ritratti; ma v’introdusse m. Durn che poco verisimilmente si trattiene molto tempo sconosciuto nella propria casa. Pubblicò nel 1762 in versi di dieci sillabe ottimi per la commedia il Dritto del Barone interessante pel carattere di Acanta, ma tessuta di avventure romanzesche-sforzate. La Bacchettona ovvero la Conservatrice della Cassetta tratta da una favola inglese è parimente scritta in versi di dieci sillabe. Si vede in essa dipinta una falsa virtuosa contrapposta ad una sua cugina amante de’ piaceri, ma ingenua e di buon cuore, come anche ad un uomo candido, il quale giudica bene della prima, e male della seconda per prevenzione fondata sulle apparenze, che però al fine si disinganna a stento per opera di una fanciulla che si occulta sotto spoglie virili. L’istesso illustre scrittore compose eziandio la Contessa di Gibri, e la Principessa di Navarra commedia balletto ec.

Luigi di Boussy nato nel 1694 e morto nel 1758 compose intorno a trenta commedie fredde per lo più, ed inferiori a quelle del suo contemporaneo Des Touches, benchè l’autore abbondasse di talento. «Mancavagli (dice Palissot) la profonda conoscenza del cuore umano, quella del mondo, e dell’arte comica… Mai non possedè (soggiugne) il talento del buon dialogo drammatico fondato nell’imitazione fedele del miglior genere di conversazione.» Delle commedie del Boussy sono rimaste al teatro le Apparenze ingannevoli, il Chiacchierone, ed il Francese a Londra, le quali hanno un merito superiore alle altre, e si sono per lungo tempo ripetute con certo applauso.

Pietro Marivaux nato in Parigi nel 1688 e morto nel 1765 scrisse romanzi e commedie. Egli non pareggiò i contemporanei, ma ebbe certo modo di ridicolizzare a lui proprio, che gli fe un nome. Dotato di spirito e d’ingegno mancava di naturalezza nello stile, e gli noceva singolarmente certo parlar gergone a se particolare. Voltaire diceva di lui che conosceva tutte le vie del cuore, fuorchè la via reale, o maestra . Le sue opere sono state tradotte in Allemagna. Qualcheduna meritava che si conoscesse. Del resto senza pregiudizio di qualche merito del Marivaux, nulla prova, una traduzione di un’ opera infelice fuori del paese nativo, se non che l’analogia di meschinità tra l’autore, ed il traduttore. Possiamo chiamare il capo d’opera di questo autore la commedia les Fausses Confidences, che ha un piano romanzesco, ma un colorito pieno d’arte. Il dialogo contro il solito delle altre sue commedie è naturale, e la piacevolezza si trova in essa congiunta all’interesse. Questa commedia si è di nuovo rappresentata in Parigi nel 1793.

Antonio Bret nato nel 1717 scrittore della Vita di Ninon l’Enclos si esercitò pure nel genere comico. La Doppia stravaganza sua commedia d’intrigo è rimasta al teatro francese. Tratto poi dall’esempio abbandonò il sentiero della commedia piacevole, e si rivolse al genere serioso, e tutto di lui si dimenticò ben presto, fuorchè il Falso Generoso, in cui mostrò di saper maneggiare questo genere difettoso senza cadere ne’ soliti eccessi. La sua versificazione però richiedeva maggior diligenza.

Claudio Errico Voisenon scrittore ingegnoso che vedeva con pena il teatro francese allontanato dalle tracce di Moliere, compose il Ritorno dell’ombra di Moliere buona commedia recitata con ottima riuscita, indi i Matrimoni uguali, e la Civettuola (coquette) fissata lodate da’ nazionali, e dagli esteri ragionevoli. La dipintura di una cochetta esige sagacità per ricavare dal fondo del cuore umano, e da’ costumi correnti, e dalla conversazione i veri tratti comici che ad essa appartengono; pregi che non si negano al Voisenon. Anche il commediante la Noue autore del Maometto II riuscì in tal carattere nella sua Cochetta corretta. Spiritoso e giudizioso è l’avviso che in essa si dà a chi crede aver motivo di querelarsi della leggerezza donnesca:

Le bruit est pour le fat, la plainte pour le sot,
L’honnéte homme trompè s’èloigne et ne dit mot.

Il parigino Saurin che si esercitò in diverso specie di poesia scenica, che riuscì competentemente con Spartaco, e più con Beverlei, compose anche alcune commedie. I Rivali, e l’Orfana lasciata in legato non riscossero applauso. Il Matrimonio di Giulia non si recitò, perchè i commedianti la ricusarono, forse più per capriccio, o per piccioli interessi a noi ignoti, che per debolezza del componimento, e per mancanza di piacevolezza. L’Anglomano ritratto bene espresso si accolse con applauso. Singolarmente la picciola commedia in prosa i Costumi correnti piacque e riscosse gli encomii del Voltaire.

Appartiene l’Addio del Gusto commedia molto applaudita dal pubblico al parigino Claudio Pietro Patu nato nel 1726, e morto immaturamente nel 1757. Egli tradusse ancora alcune farse del teatro inglese, e le pubblicò in Parigi in due volumetti colla data di Londra del 1756. Non è priva di piacevolezza nè di brio l’Impertinente di Desmahys nato nel 1761. La Madre gelosa commedia in tre atti, ed in versi di m. Barthe dell’Accademia di Marsiglia, si rappresentò nel 1771, e s’impresse l’anno seguente. Vi si disviluppa bellamente il carattere delle madri che vedono con gelosia il merito nascente delle figliuole, e si studiano di tenerle lontane dalla conversazione, temendo che ne rimanga la loro vanità ecclissata. L’Inglese a Bordò di m. Favart si compose dopo la guerra della Francia coll’ Inghilterra, che fu la penultima del XVIII prima delle novità della prima, e riuscì sulla scena.

Per varii spettacoli scenici lavorò Germano Francesco Saint-Foix, scrivendo in prosa alcune picciole farse graziose in un atto notabili per la gentilezza che vi regna. Di questo genere sono le seguenti: l’Oracolo impressa nel 1740, in cui intervengono tre personaggi, cioè una Fata, Alcindoro di lei figlio e Lucinda, il cui carattere è un tessuto leggiadro di vezzi: le Grazie rappresentata nel 1744, ed impressa nel seguente anno, il cui soggetto si trasse dall’ode III di Anacreonte di Amore immollato dalla pioggia, e dalla XXX dell’istesso. Amore annodato con una catena di fiori dalle Muse secondo l’istesso Greco, o dalle Grazie secondo la vaga cantata del Metastasio recitata in Vienna nel 1735: gli Uomini vivace azione drammatica allegorica rappresentata nel 1753, in cui intervengono Mercurio, Prometeo, la Follia e le Statue animate dal fuoco celeste, le quali formano alcuni pantomimi allusivi ai caratteri, e alle passioni degli uomini. In questa favoletta si accenna, che il modo di rendere gli uomini meno colpevoli, non è già la sterile uguaglianza de’ beni che gli addormenterebbe, ma l’attività dell’amor proprio che rende operose e vivaci le loro passioni, e fa nascere tutto il mondo civile, leggi, onori, divisioni d’ordini, povertà, ricchezza. De l’indigence (vi si dice) naîtra l’industrie; l’industrie sera la mère des arts, des Sciences, du commerce; on batira des villes, dans des villes de’ superbes palais; la mere se couvrira des vaisseaux ec. , le quali sagge idee di Aristofane ebbero luogo in una delle sue commedie, e furono quindi nobilitate dalla natural grazia e leggiadria del gran Metastasio nell’Astrea placata.

Carlo de Montenoy Palissot nato in Nansi l’anno 1730 autore della Dunciade francese compose due drammi comici. L’avversione al mal gusto letterario gl’inspirò il nominato poema satirico ad imitazione di quello di Pope; e l’abborrimento conceputo contro i suoi compatriotti, che davano il nome di filosofia ai loro capricciosi sistemi, gli dettò le commedie les Philosophes, e l’Homme dangereux. Nella prima rappresentata nel 1760 con amarezza e libertà aristofanesca motteggiò su i moderni filosofi francesi, servendo al piano delle Letterate di Moliere. L’oggetto fu lodevole, ma non perciò questa composizione fu tenuta per una delle buone commedie. Nella satira le Russe à Paris Voltaire lanciò alcuni amari motteggi su di essa. Palissot avea introdotto insipidamente Gian Giacomo Rousseau che cammina come le bestie carpone mangiando dell’erbe. Voltaire quindi deduce la decadenza del teatro francese:

Vous parlez de Moliere? oh! son règne est passè…
Nous avons les remparts, nous avons Ramponeau,
Au lieu du Misantrope, on voit Jacques Rousseau,
Qui marcant sur ses mains, et mangeant sa laitue
Donne un plaisir bien noble au public qui le hue.

Nell’Homme dangereux impressa e non rappresentata Palissot vibrò pure contro i filosofi le più acerbe punture comiche. Il Valerio di quest’altra è una imitazione del Cleante del Tartuffo, e dell’Aristo del Mechant. Per tali favole veramente la poesia comica nulla ha guadagnato; benchè l’intenzione dell’autore fu di manifestar le conseguenze perniciose delle nuove massime de’ filosofi di ultima moda, per li quali non esiste nè legge nè virtù veruna. Serva di saggio l’ironico frammento che ne soggiungo tradotto. Il secolo (dice Dorante filosofo moderno) ha fatti tanti progressi che può oramai ridersi dell’odio e dell’invidia. Valerio risponde:

E chi può dubitarne? E quando mai
Vide la Francia tanti varii ingegni,
Opre più vaghe, più puri costumi?
La nobil gioventù fu mai più saggia?
Seppe usar meglio delle sue richezze?
Ebbe mai miglior gusto? In altri tempi
Delle belle fe mai scelta più degna?
Ma soprattutto delle nostre donne
L’onor sicuro, la non dubbia fede
Con tal ragion si può vantar, che vinto
Dal rispetto, di lor più non favello.
I nostri dotti poi stupido ammiro.
La lor filosofia di quai non sparse
Delizie e fiori il viver de’ mortali?
Grazie alle lor fatiche al fin del peso
De’ vecchi pregiudizii e de’ doveri
Scarchi respiriamo. Abbonda solo
Di giolivi pedanti ogni adunanza:
Sulle orme lor nelle festive cene
Ragionar sanno ancor gli appaltatori:
Son di decenza esempio i nostri abbati:
Di studio e di saviezza i curiali.
Non si può far di più, con voi convengo.
Meraviglioso in tutto è il secol nostro.

M. Dorat noto poeta morto nel 1780 di anni quarantasei coltivò anche la poesia drammatica per avventura poco propria de’ suoi talenti. Cominciò nel 1760 con Zulica, e Teagene tragedie di niuna riuscita. Fu un poco più felice il Regolo nel 1773, in cui imitò l’Attilio Regolo del Metastasio, e in ricompensa il censurò; al qual lavoro volendo noi mostrarci grati abbiamo mentovata la sua tragedia, perchè se ne conservi almeno il titolo. Sofferse il pubblico nel 1774 l’Adelaide. Mal ricevuto fu Pietro il Grande rappresentato nel 1779. Lasciò anche Zoramide altra sua tragedia non rappresentata. Quanto al genere comico troviamo che nel 1772 imitò il Desdèn con el desdèn di Agostino Moreto nella commedia Fingere per amore titolo infelice che non rileva pnnto lo spirito dell’argomento spagnuolo. Il Celibatario, la Rosalba, i Cavalieri Francesi, lo Sfortunato immaginario ebbero per qualche tempo felice riuscita sulle scene. L’ultima commedia che produsse fu Merlino bello spirito, nella quale punse gli autori drammatici suoi avversarii.

Monvel, Imbert, Cailhava ed altri lavorarono per la commedia per quanto poterono senza farla risorgere. Chabanon tralle sue poesie ha pubblicate due commedie lo Spirito di partito ovvero i Contrasti alla moda, ed il Falso nobile; ma neppure esse, benchè prendano a ridicolizzare certe debolezze correnti, diedero molta speranza nella decadenza che regnava. Rosalina e Floricourt, ovvero i Capricci commedia in tre atti ed in versi rappresentata in Parigi nel 1787, manifesta la mano di un giovane che potrebbe andar più oltre. La Contessa di Genlis compose due Teatri, l’uno per l’educazione della gioventù, e l’altro di società, ne’ quali si pregiano singolarmente la Buona Madre, la Rosiera, le Generose Nemiche, il Magistrato. Il sig. Pieyre colla Scuola de’ Padri in versi di cinque atti recitata in Parigi nel 1787 poteva animare la gioventù a ricalcare le orme della buona commedia e a ricondurre in Francia il socco festevole di Moliere.

Videro il ridicolo de’ semidotti che affettavano di darsi la riputazione di fisici e di chimici ignorando gli elementi primi di tali scienze, alcuni autori, e tentarono di rilevarlo comicamente. La Fisica in un atto è una imitazione debole per altro delle Letterate di Moliere. In essa una donna d’altro non vuol parlare che di magnetismo, di gas, di elettricità, di palloui volanti. Non fu migliore imitazione delle medesime Letterate la commedia intitolata le Riputazioni in versi in cinque atti rappresentata in Parigi nel 1788. Madama di Gouge scrisse in prosa una commedia enunciata da’ gazzettieri col titolo di episodica Moliere in casa di Ninon, che s’ impresse nel medesimo anno, nella quale intervengono le persone più distinte del secolo di Luigi XIV. La Giovane sposa del sig. di Cubieres in tre atti in versi si lodò per la morale e per la buona dipintura de’ caratteri nel giornale di Buglione; ma non si replicò. La Morte di Moliere anche in versi ed in tre atti altro non produsse che rinnovare il dolore della perdita di quell’ingegno raro. Il Matrimonio segreto di tre atti si tollerò in grazia de’ buoni attori.

Collin d’Harleville giovane ancora produsse ne’ tempi della Repubblica l’Ottimista, ossia l’Uomo contento di tutto, in cui prese a rilevare il ridicolo ove mena l’abuso della massima Leibniziana, tutto è bene. La migliore delle sue commedie e forse di quante se ne composero negli ultimi anni del secolo XVIII, è l’Ècole des jeunes femmes, o les Moeurs du jour. Scritta in istile puro ed elegante senza smentirsi mai, versificata felicemente, piena di tratti piccanti, fini, dilicati, riuscì compiutamente allorchè si rappresentò nel Teatro della Repubblica. Si desidera non pertanto in essa più interesse; e si osserva che il vizio fondamentale è nel carattere della giovanetta che, secondochè si espresse l’autore, servir dovea di norma e modello alle fanciulle che le rassomigliano.

Appartiene al cittadino Rigault la commedia intitolata i Due Poeti in tre atti ed in versi. Madama Armand che affetta bello spirito e letteratura, accoglie in casa varii letterati. Le sue adunanze sembrano al di lei marito ridicole. Ella s’intalenta di dare in matrimonio sua figlia ad un poetastro di madrigali sciocco e vano; mentre il marito disegna di concederla ad un altro poeta più meritevole, e dell’avviso del padre è la giovinetta contesa. I contrasti che ne risultano, determinano il sig. Armand a proporre alla moglie un partito di rimetterne la risoluzione e la scelta all’evento di due componimenti novelli appartenenti ai due rivali, e si stabilisce che l’autore di quello che sarà ben ricevuto dal pubblico, sarà lo sposo della loro figliuola. Con tal convenzione vanno al teatro. Floricourt poetastro protetto da Madama è fischiato. Dami suo rivale riscuote gli applausi degli spettatori. Con tutto ciò la donna riconvenuta di stare al patto ricusa e nega di consentire alle nozze della figliuola con Dami. Ma il marito per abbattere l’ostinazione della moglie, cava di tasca un manoscritto delle poesie di Floricourt, fralle quali si legge una satira fatta contro della stessa Madama Armand, la quale convinta della pessima sua scelta, fa scacciare il poetastro, e permette che Dami sposi la figliuola. Questo componimento manca totalmente di azione, di situazioni che chiamino l’attenzione, e di vivacità comica. In sostanza è un tessuto di tediosi dialoghi, ed un insipido riscaldamento delle Donne Letterate di Moliere, e della Metromania di Piron.

Non vogliono obbliarsi varii altri poeti comici degli ultimi anni del secolo XVIII, e de’ primi del XIX, i quali godettero, o godono tuttavia qualche nome. Fabro d’Eglantine morto nel 1800 si tenne per commediograso stimabile. Se ne commenda la commedia intitolata il Filinto di Moliere, e l’Arancio di Malta suo postumo lavoro che gli era stato involato.

J. N. Boully riuscì pienamente in Francia ed altrove colla commedia detta istorica intitolata l’Abbè de l’Epèe in cinque atti scritta in prosa. L’Abate de l’Epèe in fatti si stimò un tempo un personaggio istorico di cara memoria a’ Francesi, che istituì in Parigi un pietoso asilo per la parte più infelice degli uomini, cioè una scuola, pe’ sordi e muti. Quivi per segni convenuti si fanno rientrare ne’ diritti e nelle cognizioni del resto della società quegli sventurati privi di due sensi necessarii per comunicare gli oggetti esteriori all’immaginazione. Oggi sempre più fiorisce quella scuola dell’Abate de l’Epèe, e vi si contano molti che si sono innoltrati nelle matematiche e nelle altre scienze e nelle storie e nell’erudizione e nelle belle arti. Boully introduce nella sua favola un muto e sordo cui l’abate pone il nome di Teodoro, di cui si dice che otto anni prima era stato da un perfido suo zio e tutore trasportato in quella gran città da Tolosa, e colà vestito di rustici panni abbandonato, con far correre voce di esser morto, onde potè usurpare col braccio della magistratura i beni appartenenti al Conte di Haraucourt. Raccolto questo fanciullo che mostrava di contar nove o dieci anni di vita fu condotto alla scuola dell’Abate. Quest’uomo penetrante scorse negli sguardi di lui certa fierezza, e certa sorpresa di vedersi involto in panni rozzi; e ne argomentò di essere stato così trasformato a bella posta e smarrito. Ne diede perciò contezza ne’ pubblici fogli benchè senza riuscita. L’indole e là penetrazione che giva sviluppandosi nel fanciullo, l’affezionò a lui, e si studiò al possibile di coltivarlo talmente che a capo di tre anni aperse l’anima a varie cognizioni. Passeggiando un giorno l’istitutore della scuola e l’allievo davanti al palazzo della giustizia al vedere il fanciullo discendere dalla vettura un magistrato, mostrò grande agitazione. Domandato per segni, perchè mai si era così commosso, rispose che un uomo abbigliato in quella guisa soleva stringerlo affettuosamente fralle braccia e bagnarlo di lagrime. Trasse l’Abate da ciò indizio che potesse essere figlio o parente prossimo di qualche magistrato. Vide un altro giorno che passando l’esequie di una persona di qualità, Teodoro si alterò a misura che l’accompagnamento si avanzava; e co’ segni espresse che poco tempo prima di esser condotto a Parigi anch’egli piangendo avea seguito con simile accompagnamento in veste nera e con capegli sparsi la cassa del cadavere di quel magistrato che l’accarezzava. Ricavò quindi l’Abate che il suo allievo esser dovea orfanello erede di grandi beni probabilmente usurpati da qualche ingordo parente. Ciò che restava di più importante era l’indovinare la patria di quell’infelice. Gli domandò se si sovveniva del luogo dove la prima volta si trovò in Parigi. Egli disse di Averlo presente; e fatto con l’Abate il giro delle sbarre di Parigi, s’imbattè in quella, in cui vennero, a visitare la vettura nella quale egli sedeva con due persone che l’accompagnavano, delle quali perfettamente si ricordava. Argomentò dal luogo l’Abate che egli era venuto pel cammino di mezzogiorno, e domandando quanto tempo avea posto nel viaggio, disse Teodoro, che vi aveano spese molte notti, cambiando d’ora in ora i ’cavalli. Si assicurò con ciò che era venuto da una delle principali città della Francia. Per indovinare donde effettivamente era venuto, si determinò a caminare a piedi, e scorse diverse città, senza che Teodoro mostrasse di essere mai stato in esse, pervennero a Tolosa. Teodoro tosto la riconosce per quella donde era partito. Al ogni passo si anima, si scuote, gli occhi si riempiono di lagrime. Accenna di aver trovata la patria. Giungono in faccia al gran palazzo che è dirimpetto alla casa di un avvocato. Teodoro si abbandona sulle braccia dell’Abate, e gli addita la magione de’ suoi genitori. Dagl’informi presi ricava l’Abate esser quella la dimora de’ Conti di Haraucourt, de’ quali Teodoro è l’unico rampollo, e trovarsi oggi tutti i beni di tal famiglia in potere di un signor Darlemont zio materno, e tutore di Teodoro, il cui nome era Giulio; essendosene posto in possesso presentando un certificato della morte del legittimo erede. L’Abate ricorre al migliore avvocato di Tolosa, per cui mezzo vien confuso l’usurpatore, e costretto da più testimoni, e dal medesimo suo figlio, a cui Giulio avea salvata la vita. Giulio nobile quanto assennato divide col caro suo cugino ed amico l’eredità. Interessa quest’azione, o che istorica sia, o verisimilmente inventata; e l’evento felice la fa tuttavia conservare tralle applaudite commedie di questi ultimi tempi.

Alessandro Duval attore debolissimo ha date al teatro francese varie commedie bene accolte e ripetute. Gli appartengono: i Tutori vendicati in versi in tre atti, il Prigioniero, il Lovelace Francese, ossia la Giovanezza di Richelieu.

Tralle commedie pubblicate nel corso della Repubblica Francese, e chiamate Repubblicane, si contano le Brigand par amour, Crevecoeur, e le Mariage du Capucin di Volmerange, il quale, al dir di Piniere autore della satira le Siecle, pare che fosse tutto occupato a stomacare gli ascoltatori, e a rivoltare incessantemente la natura. Il Convalescente di qualità è una fredda dipintura delle affettate grandezze di quelli che si credono per esse farsi tener per nobili. Le Vittime claustrali mettono alla vista con tutta la mordacità ed asprezza le vere dolorose istorie de’ rigori inumani, e delle atrocità che si commettevano non di rado nell’interno delle case religiose da i despoti superiori.

Sono rimaste per qualche tempo al teatro francese le seguenti commedie: il Giudice benefico del sig. Puysegur, i Parlatori del Degligny attore ed autore imitati da una commedia di Collin d’Harleville, il Medico de’ Pazzi del sig. di Mimault, in cui si trova qualche imitazione del Ritorno inaspettato di Regnard, i Viaggiatori di Carlomagno, i Parenti di Dorvo. Contansi tra’ componimenti teatrali di Guilleman alcune commedie. Egli ne scrisse intorno a 360 per sostentare la sua famiglia. Possedendo undici lingue, e scrivendo tanto pel teatro, visse stentatamente, e morì mancando del necessario nel 1800.

Luigi Benedetto Picard nato in Parigi nel 1769, merita in preferenza di esser rammentato tra’ buoni compositori di commedie, e come attore, e capo di compagnia. In qualità di capo egli anima e governa i Societarii dell’Odeon di Parigi che prima passarono al teatro Feydeau, indi a quello di Louvois, e somministra loro tuttavia un buon numero di componimenti. Come attore nelle proprie favole rappresenta felicemente alcuni caratteri originali tratti al vivo dalla società; ma avea cominciato a rappresentar le parti de’ Crispini negli antichi repertorii. Come autore però a mio avviso egli primeggia tra gli ultimi autori comici, ed oscura i viventi. Studiando il mondo, e ritraendo la natura, egli ha appreso a ben dipingere, ed a variare gajamente i soggetti, ond’è ch’è stato denominato il Dancourt de’ giorni suoi. Varie commedie se ne applaudiscono, e si ripetono. Io ne conosco le seguenti: il Collaterale, in cui ad onta di qualche circostanza poco verisimile, da taluni si commenda quanto ogni buona commedia del mentovato Dancourt a cagione di più d’una situazione comica, della condotta facile ed ingegnosa, di alcune scene nuove e piacevoli, e del dialogo vivace e naturale; il Viaggio interrotto; il Presuntuoso; i Tre Mariti; la picciola Città; i Provinciali in Parigi; M. Musard; l’Ingresso nel Mondo da me tradotta e pubblicata l’anno 1804 in Venezia nell’Anno Teatrale; e les Tracassairies, o Monsieur et Madame de Tatillon pure da me tradotta cangiando il titolo in quest’altro I Pettegolezzi impertinenti, ovvero I Tatilloni intriganti.

III.

Commedia Italiana in Francia.

Congedata l’antica Compagnia non vi fu più commedia italiana per lo spazio di anni diciannove, cioè sino al 1716, quando il Duca d’Orleans regente v’invitò la Compagnia di Lelio e Flaminia nomi teatrali presi da Luigi Riccoboni romano, e dalla sua consorte Agata Calderini, come la chiama l’abate Quadrioa. Questi nuovi attori detti prima commedianti di S. A., e poi del Re nel 1723 ottennero una pensione di 15000 lire. Rappresentarono ne’ primi anni componimenti stravaganti e buffoneschi per servire all’Arlecchino, ed il teatro rimase ben presto spopolato. Ripeterono indi i componimenti francesi de’ loro predecessori; ma non ritornando nel lor teatro il concorso, pensarono ad abbandonar Parigi. Il pubblico però benchè non pago delle loro favole compiacevasi della buona condotta, dell’urbanità, e del rispetto che essi mostravano per la nazione, e con pena gli vedeva partire. Ciò mosse alcuni Francesi a comporre per essi qualche favola nella propria favella, in cui cercarono di unire la ragione e la novità alle grazie dell’Arlecchino; e quindi nacque un genere di commedia che partecipava. della francese, e dell’italiana istrionica. In tal genere si distinsero tra’ Francesi Autreau, le Grand, Fuselier, Boussy, Marivaux, e singolarmente Sant-Foix, e poi l’attore

Favart, e l’abate Voisenon. Tra gl’Italiani della stessa compagnia ne compose anche il lodato Riccoboni che si stimò il Roscio Italiano di que’ tempi pregiato sommamente da Pier Jacopo Martelli, dal marchese Scipione Maffei, e dall’abate Conti, non meno che da varii leterati Francesi che frequentavano la di lui casa, e scrisse della tragedia e della commedia con molta erudizione e giudizio; come pure la di lui moglie che componeva assai bene in italiano, intendeva il latino, ed alcun poco il greco, e sapeva a fondo la poesia drammatica, e tralle altre sue opere scrisse alcune commedie, ed una dissertazione sulla declamazione teatrale che ella stessa egregiamente eseguiva, e singolarmente allorchè rappresentò ne’ nostri teatri la parte di Merope nella tragedia del Maffei. Nella medesima compagnia si segnalò con qualche commedia Romagnesi, e Colato morto nel 1778 che rappresentava da pantalone, a cui appartengono il Mostro Marino, gl’Intrighi d’Arlecchino, i Tre Gemelli Veneziani, da me ascoltata nel dicembre del 1777 in Mompelier, e della celebre attrice Carolina, i quali da molti anni si erano ritirati dal teatro. Al mentovato Romagnesi, o che m’inganno, parmi che appartenga la commedia intitolata le Arti e l’Amicizia in un atto recitata nel 1788, di cui per altro qualche giornalista giudicò che non era nè naturale, nè edificante, benchè condotta con interesse e semplicità.

La maniera di rappresentare di quegl’Italiani diede motivo agli scrittori Francesi di rimproverare a’ commedianti nazionali l’affettazione e la durezza. «Io preferisco (dicesi nel libro l’Anno 2440) quest’Italiani a’ vostri insipidi commedianti Francesi, perchè questi stranieri rappresentano più naturalmente, e perciò con maggior grazia, e perchè servono il pubblico con più attenzione» . Diderot diceva ancora. «I nostri commedianti Italiani rappresentano con più franchezza de’ Francesi. Nel loro gestire apparisce certo non so che di originale e di facile che mi diletta, e diletterebbe ognuno se non venisse sfigurato dal loro dialogo insipido, e dall’intreccio assurdo» . Da ciò si scorge, che la bella declamazione naturale del celebre discepolo di Moliere Michele Baron nato net 1653, e morto nel 1729, e della mirabile attrice Adriana Le Couvreur, sia andata degenerando. In fatti il signor Eximeno nel suo libro Origine e progressi della Musica, afferma che i commedianti (Francesi) pajono energumeni, che ad ogni atteggiamento vogliono staccar le braccia dal corpo, ed esprimono un affetto di pena colle contorsioni, con cui potrebbe un ammalato esprimere un dolor colico . Non so se il sign. Eximeno sia stato testimonio oculare di ciò che asserisce, ma ben lo fu il nostro Pier Jacopo Martelli. Ecco come egli ne ragiona con conoscimento nel dialogo sopra la tragedia antica e moderna nella sessione VI: Osservo ne’ Francesi piuttosto un poeta il quale recita le sue poesie, che un attore che esagera le sue passioni, mentre non solamente essi alzano in armonioso tuono le voci ne’ grandi affari, ma ne’ bei passi, e nell’enfasi de’ gran sentimenti; di modo che par che non solo essi vogliano rilevare la verità dell’affetto naturalmente imitato, ma anche l’artificio e l’ingegno dello scrittore tragico. Imperdonabile è veramente tal difetto a un attore, non dovendo egli pensare nè a se stesso, nè al poeta, nè allo spettatore, ma unicamente all’affetto che esprime, e al personaggio che imita. Parlano (segue il Martelli) gli attori francesi a voce bassa borbottando quando compariscono dal fondo della scena, e declamano più sonoramente quando si accostano al proscenio. Senza tale affettazione parlando essi secondo che esige la natura del dialogo stesso, le parole profferite con vivacità conveniente giungeranno meno sonore dal fondo della scena, e più spiccate a misura che l’attore si avvicini; l’arte che non sappia combinare il comodo di chi ascolta colla verità del dialogo, è la madrigna della natura. Si situano , aggiugne l’istesso Martelli) mostrando il profilo all’uditorio, e la voce va in un angolo del teatro. È un infelice attore colui che ignora l’arte di accomodarsi alla convenienza richiesta nel favellar con gli altri, alla decenza teatrale ed al comodo di chi ascolta. Riprende in oltre il Martelli nel Bouhour il vizio frequente di voltar le spalle al compagno, e nel Quinault di lui imitatore censura il soverchio vibrar delle braccia. Si ride poscia del vestito ballerino che sogliono dare agli eroi antichi. Ecco Agamennone (ei dice) col cappello e colla parrucca francese sino al collare, dal collo poscia in giù in giubbone e in braghe dintornate di giojelli, ricamate di oro, ridevole, nè francese nè greco nè di nazione che si sappia finora scoperta nell’universo. Quando arriviamo alle gambe, eccolo divenir greco in un tratto, ecco-applicati alla calzetta di seta i tragici maestosi coturni, di modo che parmi appunto quella figura d’Orazio Humano capiti ec. a. Nonpertanto non parlano diversamente dell’affettazione degli attori i Francesi di questi tempi. «L’arte della declamazione (dice uno di essi ironicamente) si è fra noi innalzata ad un punto sublime. Una principessa irritata impiega tant’arte per esprimere il proprio furore convulsivo che lo spettatore giugne a temer per l’attrice.» «Un bel principe le risponde con un atteggiamento geometricamente misurato.» «Gli abiti, i popoli, le damigelle, le guardie e le macchine vi fanno tutta l’azione.» Il signor Clement nelle sue Osservazioni critiche sul poema della Declamazione teatrale di Dorat scrive ancora: «Io vorrei coperti di ridicolo i nostri attori ossessi, i quali caricano tutto, e non sanno parlare se non per convulsioni, e fanno patire chi gli ascolta per gli strani loro sforzi di voce e pel dilaceramento del loro petto.» Con tutto ciò la Francia ha avuti valorosi attori; e fra gli uomini si sono segnalati Du Fresne e le Kain morto in Parigi nel 1778, e tralle donne, dopo la lodata insigne Le-Couvreur, la Desaine, la Gossin, la Dumenil che tutte superava le campagne ed anche se stessa nella parte di Fedra e di Merope, e la meravigliosa Clairon, la quale trionfava singolarmente rappresentando Medea, nella cui figura volle farla dipingere la principessa d’Anhalt. Voltaire l’ha più volte encomiata, e le diresse anche un componimento poetico nel 1761. Nella mia dimora in Parigi l’anno 1800 e ne’ primi due mesi del 1801 fioriva nella declamazione l’ attuale attore tragico Talma, e dalla buona scuola di Du Gazon usciva La-Fond, che cominciò a farsi pregiare rappresentando nella Semiramide la parte d’Arsace, e nella Zaira quella d’Orosmane. La di lui riputazione è cresciuta con gli anni. Gl’intelligenti allora desideravano in lui minore azione di braccia. Il sublime non richiede veruna esagerazione della natura, e la passione perde l’effetto nell’azione caricata, e la tenerezza (ciò che in Francia si chiama sentiment) meglio si manifesta con un colorito vivace senza studio soverchio. Sovvienmi che allorchè La Fond cominciò a comparire in teatro i Francesi notarono in lui il difetto di prolongar troppo l’e muta. Io gl’intesi profferire gouufre per goufre, forse per esprimere colla pronunzia il significato di questa voce. Tralle donne che in quel tempo si ammiravano fioriva sopra tutto la Raucourt (venuta in Napoli nel luglio del 1809) nella tragedia. Nulla v’ha di più maestoso e grande allorchè rappresenta Semiramide. Il suo portamento nobile, il contegno maestoso, una declamazione grave senza esagerazione, concorrono in lei perchè rappresenti agregiamente una gran Regina. Discendendo però all’appassionato la sua voce diviene falsa e rincresce all’orecchio. Accanto a lei rappresentava la parte di Azema la Fleury che diede speranza di grandi progressi. Degli attori La Rive, Manhove ed altri simili, mi rimetto a quanto ne accennano Despazes nelle Quattro Satire, e Piniere nella sua Le Siècle. Quanto alle commedie, nella declamazione delle quali i Francesi spiccano ancor più che in quella delle tragedie, chiudono in se quanto v’è di perfetto nell’uno e nell’altro sesso, madamigella Contat ed il sig. Molè. In questo ora si osserverà la decadenza che porta una grande età, benchè non vi si Veggano tutti gli svantaggi che adducono gli anni; ed io lo vidi trionfar sulle scene rappresentando la parte del Filosofo maritato del sig. Des-Touches. Ma la valorosa attrice Contat presenta in se tutti i talenti che esige una perfetta rappresentazione. Delicatezza di espressione, sensibilità dignitosa, facilità di azione, continenza inimitabile nel presentarsi in iscena, grazia che tutte ne condisce le posizioni ed i caratteri che imita, facilità di dire, dolcezza di voce e di sguardi senza stento ed artificio ricercato; tutti in somma possiede i pregi che la rendono un’ attrice senza pari.

Per conchiudere ciò che alla commedia italiana si appartiene, uopo è accennare che ad essa verso la fine del passato secolo si trovò aggregata l’opera buffa che si cantava nella Fiera; e che sogliono rappresentarvisi opere italiane de’ nostri più celebri maestri, e pastorali, e commedie, balletti, e parodie francesi, recitate senza canto fuorchè nelle arie, e ne’ cori e finali e duetti. Azemia è una commedia romanzesca in tre atti con ariette che si recitò con applauso nel 1787. Confessano i Francesi di dovere le prime idee delle vere bellezze musicali di genere comico alla Serva Padrona dell’immortale nostro maestro napoletano Pergolese, la quale si cantò in Parigi sin dal 1753.

Alcuni scrittori francesi somministrarono eziandio opere musicali alla Compagnia comica Italiana di Parigi. Vi si segnalarono Favart, Saint-Foix, Boussy, Marivaux, Marmontel, Sedaine e Framary autore di Nannete et Lucas, e dell’Isola disabitata traduzione di quella di Metastasio che si animò colla musica dell’insigne nostro Sacchini nel 1775, come ancora della traduzione dell’Olimpiade recitata colla musica del medesimo esimio nostro maestro. Il sig. Mayeur nel 1789 diede una commedia istorica in tre atti con musica intitolata il Barone di Trenck. Ma di quanto altro concerne la musica vuolsi osservare il capitole seguente.