CAPO II.
Tragedia Cittadina, e Commedia Lagrimante.
Sulle tracce segnate dagl’Inglesi, come vedremo appresso, cominciò a comparire sulle scene Europee una picciola tragedia che non si eleva agl’interessi delle intere nazioni e de’ personaggi eroici, ma si spazia entro le famiglie private; ed è chiamata Cittadina. Non è questo un dramma da gareggiar punto colla grande e vera tragedia reale da Platone tenuta per più malagevole della stessa epopea, e fatta per ammaestrare ugualmente i principi e i privati. Essa però può anche ammettersi in grazia della varietà, e per servire al diletto e all’istruzione della parte più numerosa della società; specialmente quando non distragga lo spettatore con tratti troppo famigliari ed atti ad alienarlo dall’impressione del dolore e della pietà. I Francesi in questi ultimi tempi hanno avuto varii scrittori di tragedie cittadine ora più ora meno ingegnose e composte più spesso in prosa che in versi.
Francesco Maria d’Arnaud de Baculard nato nel 1709 si esercitò in simil genere. Il suo Fajele contiene l’argomento stesso della Gabriela di Vergy del Belloy, cui il marito dà a mangiare il cuore dell’amante, trattato colle medesime molle, ed atto come quella a partorir piuttosto orrore che terrore tragico. Più lugubri, benchè meno sanguinose, sono il Conte di Cominge e l’Eufemia. Nell’uno si rappresentano le avventure del Conte divenuto religioso della Trappa che geme tra’ cimiterii e le teste de’ morti; nell’altro una religiosa disperata, la quale nel proprio confessore ravvisa l’antico suo amante che vuole obbligarla a seguirlo fuori del convento. Più interessante è il Cominge, più nojosa l’Eufemia. Nell’una e nell’altra favola si tesse una serie di evenimenti romanzeschi che si narrano come preceduti all’azione. Il Merinval è pure un’azione tragica del medesimo scrittore avvenuta tra persone private, in cui si scorge la medesima energia nella passione e la medesima tinta lugubre e cupa. Un’altra religiosa disperata che si avvelena per essere stata dal padre astretta a monacarsi, dipinse il prenominato La Harpe nella sua Melania. Manca ancora a’ Francesi l’arte d’inseguire col sale comico e colla sferza del ridicolo questa vanità ed ingordigia de’ capi di famiglie che astringono le donzelle a seppellirsi per conservare a’ maschi intere le patrie ricchezze. Bernardo Giuseppe Saurin parigino nato nel maggio del 1706 morto nel novembre del 1781, oltre alle tragedie riferite tradusse quasi tutto dall’inglese il Beverley di Odoardo Moore che altri attribuisce a Lillo, altri a Tompson. Poche cose vi alterò il Saurin ne’ primi quattro atti, contento soltanto di toglierne le irregolarità. Ne cangiò lo scioglimento aggiungendovi il fanciullo Tomi figlio del giocatore, che occupa la maggior parte dell’atto V. Piacquero universalmente i primi quattro atti, e con ispecialità il quarto. Mirabile effetto partorì il quinto sugli animi degli spettatori. Parve però a molti che l’orrore giungesse a lacerare oltremodo il cuore, che dal compiangere uno sventurato è costretto a passare ad inorridire al furioso attentato di Beverlei, che in considerare a quale stato di miseria ha egli ridotto il figlio, per liberarnelo se gli avventa con un pugnale. Questo fanciullo non appartiene all’originale, che si recitò la prima volta in Londra nel 1653. L’ab. Prêvot lo tradusse in francese intitolandolo le Joueur che si stampò in Parigi nel 1762.
Il Socrate dramma in prosa che Voltaire pubblicò nel 1755 come una traduzione di quello di Tompson alunno di Adisson, dee collocarsi nella classe delle tragedie cittadine per la mescolanza del patetico e del famigliare. Senza qualche tratto troppo comico e malizioso ne’ caratteri di Anito, Melito e Drixa, e de’ pedanti Grafio, Como e Bertillo giornalista, sarebbe questo dramma il modello di tale specie di tragedia. Sotto i tre Consoli della Repubblica francese comparve un’altra tragedia cittadina intitolata Camilla, la quale cadde perfettamente nella rappresentazione, e si obbliò. Il prenominato Lemercier pubblicò in questo genere varii drammi che la Francia ha chiamati pessimi. Pinto è un suo dramma istorico rappresentato nel teatro Francese della Republica nel febbrajo del 1800, e si eseguì malissimo. L’autore gli diede il titolo di comedie-tragedie, vale a dire (si disse nell’Anno teatrale) composto bizarro e mostruoso di tutte le parti che costituiscono questi generi diversi. Ophis, Meleagro, Clarissa, la Prude sono drammi del medesimo autore riprovati da’ nazionali. Despazes autore delle quattro Satire, gli dice drammi senza piani, senza caratteri, senza correzione di stile. Piniere, autore dalla satira intitolata le Siècle, non ne parla diversamente, e si scaglia in ispecie contro la Prude, Ophis e Pinto, mostruosità, aggiugne, che fanno la vergogna del teatro francese.
Questi ed altri simili drammi sono discesi dalla tragedia cittadina, la quale, ove si preservi da colori comici, e si contenti di cedere i primi onori al sublime continuato della tragedia grande, potrebbe tollerarsi anche in un teatro che non ignori il buon sentiero. Ma le indicate mostruosità degenerarono enormemente, e ne venne un dramma senza contrasto riprensibile, la commedia lagrimamente, nella quale con pennellate ridicole si deforma un quadro tragico. Sedaine, Falbaire, Mercier (diverso da Lemercier) coltivarono questo genere comico lugubre con felicità in alcuni componimenti, cioè il primo nel Disertore che si è ripetuto in Francia ed altrove. Gli scherzi comici dell’uffizialetto in tal componimento non eccedono la natura, ma non si accordano colle situazioni patetiche del rimanente. Sedaine non riescì ugualmente in altri drammi, cioè nel Filosofo senza saperlo, nella Scommessa, come ancora nel Maillard, o Parigi salvato. Diede anche l’istesso autore le Roi et le Fermier che dee collocarsi in una classe men tetra della commedia piangente. Falbaire si applaudì nell’Umanità. Commuove certamente l’angustia cui vedesi ridotto un padre di famiglia che esce in piazza a rubare per sostentare i suoi, ed è condannato alla morte. Ma una ipotesi troppo rara scopre lo studio dell’autore di mettere in tali circostanze un uomo virtuoso che a stento si rinvengono ne’ processi criminali più famosi. Or qual pro dal rappresentare queste atrocità non comuni? L’esperienza ne convince che il patetico può risvegliarsi per lo più con un tratto semplice ma vero ricavato dal fondo del cuore umano; a che dunque caricar le tinte a sì alto segno? Il signor Mercier nell’Indigente confuse le tinte de’ caratteri comici colle tragiche, dando al suo dramma un portanento di somma tristezza senza bisogno. Spogliandolo dell’affettazione pantomimica e delle azioni scimiesche e della lugubre dettatura del testamento, l’azione e il carattere dell’Indigente acquisterebbe l’aria piacevole di una delicata tenerezza che meglio si adatterebbe col comico utile disviluppo dell’azione, e col cangiamento di m. de Lys affrettato bellamente dal Notajo. Il Mercier sembra di aver poi degenerato di molto nell’Abitante della Guadalupa. In quello che intitolò Natalia, rappresentato la prima volta in Parigi nel 1787, si notarono molti difetti ad onta dell’interesse che non lascia di trovarvisi.
Altri drammi piangolosi si erano presentali sulle scene francesi alcuni anni indietro non molto riusciti nella rappresentazione e meno nella lettura, riprovati da chi non ama la confusione de’ generi. Il sig. Louvais nel 1773 publicò l’Adone scritto in prosa, e l’Orfano Inglese ancor prima si era recitato nel 1769 anche in prosa e riprovato. Il sig. Fenouillot dal 1767 al 1775 diede al pubblico il Delinquente onorato in versi, il Fabbricante di Londra in prosa, ed il Beverley in versi. Il sig. Dudoyer è autore del Vendicativo in versi.
In alcuni drammi del Diderot e del Beaumarchais e di qualche altro dee riconoscersi una specie di rappresentazione men lamentevole e perciò men difettosa della pretta lagrimante, benchè ben lontana dal pregio della nobile commedia tenera. Nel Padre di famiglia del primo, nell’Eugenia del secondo, nel Figliuol prodigo del Voltaire non si vedono moribondi per mancanza di pane, testamenti, sentenze di morte, esecuzioni di disertori, non un padre che si getta a rubare sulla pubblica via vicino ad essere impiccato. Le passioni vi sono vive ma meno tragiche e più proprie della commedia nobile, o come dicono i Francesi, du haut comique, sebbene se ne vorrebbero correggere diversi eccessi. Osserviamone qualche particolarità.
Dionigi Diderot filosofo di
molto nome morto nel 1787, vide il suo Padre di famiglia
nel 1761 rappresentato in Parigi con felice successo, ed applaudito eziandio
su’ teatri stranieri, principalmente perchè sin dalla prima scena il
pubblico s’interessa per Sofia, e per Saint-Albin, la cui passione è
ritratta con ottimi colori. Ecco come questo innamorato si esprime con
naturalezza e calore:
Elle pleure, elle soupire, elle songe à
s’èloigner, et si elle s’èloigne, je suis perdu.
È ben vago questo
pronome elle posto prima di nominar Sofia ad imitazione di
Terenzio. Delicato è pure ciò che dice nell’atto II;
Si on me
la rèfuse, qu’on m’apprenne à l’oublier… l’oublier? Qui? Elle? Moi? je
le pourrois? je le voudrois? que la malediction de mon père
s’accomplisse sur moi, si jamais j’en ai la pensèe.
Ed allorchè il
Commendatore vuole atterrirlo, dicendo, che se il padre l’abbandona, gli
rimarranno appena per vivere 1500 lire di entrata, l’innamorato
vivacemente ne deduce una conseguenza contraria, e dal
suo zio non attesa.
J’ai
, dice,
quinzecent
livres de rente? Ah Sophie, vous n’habiterez plus sous un toit; vous ne
sentirez plus les atteintes de la misere.
Sono assai vaghi questi
tratti, e lo studioso giovane gli osserverà, gl’imiterà, se ne abbellirà
alle occorrenze; ma si terrà lontano da’ difetti del dramma. La dipintura del
carattere del Padre di famiglia non corrisponde alle accennate bellezze.
Egli altro non sa fare che piangere a tutte le ore, e filosofare cicalando y
mentre è tempo d’operare. Non manca nè di buon cuore nè di tenerezza
pe’ figli, ma di prudenza e di attività nelle circostanze scabrose; è ricco
ed indipendente, e pure si contenta di rappresentare in sua casa il secondo
personaggio dopo del Commendatore suo fratello, che colle sue maniere e
stravaganze mette tutto in iscompiglio. L’invenzione di questa favola
appartiene al nostro Carlo Goldoni, il quale scrisse in Italia il
Padre di famiglia, commedia per
altro non poco difettosa. Diderot la volle imitare e
correggere, e ne snaturò il genere formandone una favola tetra, poco men che
lugubre quanto una commedia larmoyante. Tolse egli ancora
dal medesimo Goldoni la sostanza del suo Figlio naturale,
dramma serio privo di ogni carattere comico. Questa favola
discende dal Vero Amico dell’italiano, il quale mal grado
di varii difetti, vale assai più del Figlio naturale,
benchè Diderot nel tempo che si valeva della favola
italiana, volle chiamarla farsa senza che ne avesse veruna
caratteristica. Non si vedono nel Figlio naturale se non
che situazioni semitragiche prese in prestito altronde, ed appiccate al
piano del Vero Amico; e vi regna tale affettata nojosa
saviezza in tutti i personaggi, e specialmente nel Figlio naturale, ed in
Costanza, che farà sempre sbadigliare sulla scena.
Il disprezzo che aveva Beaumarchais per l’eccellente comico
maneggiato da Moliere,
congiunto alle minutezze su gli abiti, e all’affettata descrizione
pantomimica de’ personaggi muti, poco danno indizio di un ingegno
investigatore de’ grandi lineamenti della natura, e ricco di vero gusto.
Nondimeno non parmi che si debba coll’autore de’ Tre
Secoli collocare senza veruna riserba la di lui Eugenia tralle favole viziose, e contrarie alla scena di Talia.
Confesso che egli dovea meglio contenersi nel recinto prescritto alla
commedia nel toccare le passioni tenere; che nel piano si scorge qualche
difetto di verisimiglianza; che i colpi teatrali di tutto l’atto IV prodotti
dalla vendetta meditata da madama Murer, sembrano più proprii di un’ opera
musicale eroica, che di una commedia. Ma la dilicata Eugenia non merita
punto l’oltraggioso disprezzo che ne mostrarono alcuni. L’intreccio,
l’argomento, i caratteri del Barone e di Murer appartengono alla commedia.
Gli affetti di Eugenia son delicati, e sebbene eccedano alquanto passando
oltre de’ limiti concessi alla commedia
tenera, non hanno però la nota abbastanza furiosa qual si richiede nella
tragedia.
Il m’avait
(dice Eugenia nella scena seconda
dell’atto I)
cachè ces bruits dans la crainte de m’affliger.
Comme il m’a règarde en respondant! Ah ma tante que je l’aime!
Questa delicatezza che pur si rinviene nelle favole Terenziane, non
isconviene alla commedia, e nocerebbe spesso alla tragedia. La quinta e
l’ottava scena dell’atto III sono belle e teatrali. È patetica ma non
terribile la terza dell’atto IV, ed interessante la deliberazione del padre
di Eugenia, il quale si lusinga di trovare in corte giustizia e pietà.
Delicata infine è l’esclamazione di Clarendon,
Elle me
pardonne
, colla quale per trasporto di gioja egli previene le
parole di Eugenia già intenerita. Beaumarchais pubblicò
anche i Due Amici del medesimo colorito dell’Eugenia; ma si astenne di chiamarle commedie, contentandosi
d’intitolarle rappresentazioni.
Fecero lo stesso altri autori di drammi semilugubri. Con miglior consiglio
sacrificando qualche espressione o colpo teatrale troppo tetro, senza
diminuirne l’interesse, si sarebbero contenuti ne’ giusti confini, senza
bisogno di adoprar nuove voci che non possono cangiar la natura de’ generi.
Beaumarchais ha composte altre due commedie lontane
dalle tinte lugubri delle rappresentazioni, cioè il Barbiere di Siviglia, e la Giornata
pazza, ovvero il Matrimonio di Figaro. Esse sono
tratte da’ costumi spagnuoli, ed abbondano di colori teatrali, di
piacevolezze, e di tratti satirici.
Ad accreditar questo genere che si allontana da’ tristi eccessi del comico larmoyant, ma che per qualche tinta soverchio tetra si diparte dalla buona commedia tenera, ha contribuito ancora il sig. di Voltaire con due buone favole malgrado di alcun difetto, cioè col Figliuolo prodigo rappresentato nel 1736, e col Caffè, ovvero la Scozzese. Mirabile nella prima è la dipintura de’ costumi. Tratteggiati con maestria, e con pennello comico sono i caratteri di Fierenfat, Rondon, la Baronne. Solo qualche riflessione troppo seria di Eufemone il giovane sembra trascendere il confine della commedia. Nel Caffe dipingesi la natura con sagacità. Polly, Friport, Milady Alton hanno tutta la vaghezza comica. Frelon giornalista basso, venale, impudente, maledico, e malfacente, fra’ tratti ridicoli che l’avviliscono, ne ha alcuno che muove a sdegno per la troppa malvagità che manifesta senza rimorso. Fabrizio cafettiere di ottimo cuore è copiato dalla Bottega del Caffè del Goldoni. Il carattere della Scozzese è nobile, delicato, interessante. Non v’ha che Monrose, il quale pieno de’ suoi spaventi e pericoli porta nella favola la propria tristezza quasi tragica. Voltaire pubblicò di aver tradotto questa favola da una di m. Hume fratello del celebre Hume istorico, e filosofo di Scozia.