CAPO VI
Stato della Commedia Francese prima e dopo di
Moliere.
Pietro Cornelio che portò la tragedia alla virilità, lasciò in Francia la commedia quasi nella fanciullezza. Le prime sue sette commedie poco interessanti e difettose ebbero qualche merito in confronto de’ poeti contemporanei. II Bugiardo tratto dalla Verdad sospechosa e dal Mentiroso en la Corte degli Spagnuoli, si rappresentò dopo che avea Cornelio illustrate le scene con gli Orazii, col Cinna e col Poliuto, cioè nel 1641 e 1642. Questa commedia assai piacevole di carattere e d’intrigo, al dir del Voltaire, fu la prima ricchezza del comico teatro francese; ma secondo il signor di Fontenelle nella Vita di Pietro Cornelio, essa non bastò per istabilirvi la vera commedia. Non era al fine questo dramma se non una traduzione in parte corretta nella quale si cercava il ridicolo negli eventi immaginati con arte anzi che nel cuore umano che ne abbonda. Boisrobert, Scarron, Desmaret, Tommaso Cornelio seguendo l’esempio di Pietro trasportarono, come dicemmo, diverse favole spagnuole al lor teatro, purgandole per lo più dalle principali irregolarità, ma sovente sfigurandole e convertendo in bassezze scurrili le grazie originalia.
Da ciò si vede che dominava allora in Francia la commedia d’intrigo senza essere pervenuta al punto ove l’aveva portata in Italia il celebre Giambatista della Porta. Ma la dipintura delicata de’ costumi attendeva l’inimitabile Moliere, cui i posteri diedero e conservano il meritato titolo di padre della commedia francese.
Dopo le guerre civili che durarono sino al 1625 cominciò Giambatista Poquelin detto Moliere a girar colla sua comitiva per le provincie, e nel 1653 rappresentò in Lione, indi in Besiers, in Grenoble, in Roano sino alla state del 1658 con general plauso alcune farse piacevoli benchè irregolari, delle quali rimangono i soli nomi. Le prime sue commedie che più tirarono l’attenzione del pubblico, furono lo Stordito ed il Dispetto amoroso. L’una e l’altra appartengono al teatro italiano. I medesimi Francesi non ignorarono che l’azione ed i principali colpi di teatro della prima si tolsero da una commedia italianaa. Arlecchino servo balordo si rappresentava in Francia a soggetto da’ commedianti Italiani; e Niccolò Barbieri detto Beltrame nel 1629 diede alla luce per le stampe la sua commedia l’Inavvertito b, la quale servi di modello prima alla commedia di Quinault l’Amante Indiscreto, ossia il Padrone Stordito rappresentata nel 1654, indi allo Stordito di Moliere incomparabilmente migliore di quella di Quinault. La commedia di Niccolò Secchi milanese forni al Moliere la sua del Dispetto amoroso; ma l’italiana termina assai meglio della francese, il cui quinto atto mal congegnato raffredda tutta la favola. Dall’altra parte non vedesi nell’italiana vestigio della bella scena del Dispetto di Lucilla ed Erasto, in cui essi lacerano vicendevolmente i biglietti che conservavano e restituiscono i doni, rompono ogni corrispondenza, e finiscono con andarsene uniti. Il Riccoboni però ci assicura che Moliere nel Dispetto imitò anche un’altra commedia italiana detta Gli sdegni amorosi, e questo titolo ben può indicare che da tal commedia egli trasse probabilmente quella scena. Comunque sia la storia dimostra che siccome Guillên de Castro servi di scorta al gran Cornelio nella tragica carriera, così nella comica il gran Moliere ebbe per guida gl’Italiani, benchè senza tradirne l’interesse seppe dar loro un colorito nazionale.
Le Preziose ridicole si rappresentarono prima del 1658 in
Beziers con molto applauso. Questa favola ha una tinta di farsa, ma vi si
motteggia lo stile affettato romanzesco che le donne stesse prendevano nelle
conversazioni. Allorchè poi si ripetè in Parigi, dove il ridicolo che vi si
satireggia esser dovea più generale, si accolse così favorevolmente che se
ne
continuarono le rappresentazioni per quattro
mesi, raddoppiandosi fin dalla seconda recita il prezzo ordinario
dell’entrata. È ben noto che in una di queste un vecchio rapito dal piacere
gridò dalla platea,
coraggio, Moliere, questa questa è la buona
commedia
, voce della natura onde siamo avvertiti, che il pubblico
polito, se la pedanteria non lo corrompe, sa giudicar dritto de’
componimenti teatrali.
Nell’autunno del medesimo annovenne Moliere co’ suoi nella capitale della Francia. Cominciò le rappresentazioni colla tragedia del Nicomede di P. Cornelio, e con una delle sue farse il Dottore innamorato; ed il modo di rappresentare di questa comitiva piacque alla corte, e Moliere ottenne dal re di stabilirsi in Parigi, e di alternare sul teatro del Picciolo-Borbone colla comitiva Italiana.
La dimora che Moliere fece in corte contribuì all’aumento de’ lumi di lui intorno al cuore umano e a’ costumi nazionali, e disviluppò sempre più il suo discernimento e buon gusto, e ne migliorò lo stile. Tutto ciò si conobbe nella recita del Cocu immaginario scritto più correttamente delle prime favole. Il carattere di questa parimente ricavata dagl’Italiani non è de’ più delicati, ma per la piacevolezza e per l’interesse che vi si sostiene, si rappresentò quaranta volte.
Sino alla state del 1662 diede Moliere al teatro il Principe geloso, in cui riuscì male come attore e come poeta; la Scuola de’ mariti tratta principalmente da Giovanni Boccaccio, la cui riuscita consolò l’autore, e cancellò la svantaggiosa impressione della favola precedente; e gl’Importuni commedia in cui non trovasi altra connessione se non quella che si vede in una galleria di bei ritratti; ma pure si accolse con indulgenza per essere stata composta, studiata e rappresentata in quindici giorni.
Intanto il graziosissimo attore comico conosciuto col nome di Scaramuccia, il quale nel mese di giugno del 1662 prese congedo dal pubblico per venire in Italia, tornò dopo quattro mesi di assenza, ed al suo arrivo i Parigini accorsero con tale affluenza e transporto ad ascoltarlo, che il teatro di Moliere, malgrado del credito acquistato, rimase per tutto il mese di novembre desolatoa. Nè vi ritornò il concorso se non colla comparsa della Scuola delle Donne rappresentata nel dicembre, che Moliere ricavò da una novelletta delle Notti facete di Straparolab.
Essendo stata questa piacevole commedia criticata da certi smilzi letterati pieni d’invidia, più che di gusto e d’intelligenza, Moliere nel seguente anno se ne vendicò comicamente facendo ridere il pubblico a spese de’ suoi censori, e pubblicò la Critica della Scuola delle Donne, in cui dipinse vagamente i ridevoli critici colla grazia comica a lui naturale. Volle indi scagionarsi di un sospetto insorto che poteva nuocergli, cioè che nelle imitazioni ridicole avesse satireggiato alcuni ragguardevoli cortigiani; e se ne giustificò alla presenza del re coll’Improvvisata di Versailles recitata nell’ottobre del 1663, e poi in Parigi nel seguente mese. Derise in essa gajamente il modo di rappresentare de’ commedianti dell’Hôtel di Borgogna, contraffacendoli, e segnatamente pose alla berlina Boursault comico scrittore dozzinale, il quale aveva indegnamente ferito Moliere, motteggiandolo sulla condotta della moglie col Ritratto del Pittore.
Ma dopo che nel 1664 ebbe egli dato al teatro la Princesse d’Elide, il Matrimonio a forza intitolato Ballo del Re perchè vi danzò Luigi XIV, il Convitato di pietra che scrisse in prosa in cinque atti nel 1665 d’infelice riuscitaa, e la farsa dell’Amor Medico in tre atti, produsse nel 1666 il Misantropo che fu il primo capo d’opera della commedia francese.
Tutti i comici antichi e moderni hanno motteggiata e dipinta la civetteria, la maldicenza, l’ingiustizia, la vanità ed ogni specie di ridicolezza umana. Ma niuno ch’io sappia trovò mai il ridicolo di una virtù feroce ed austera. Un carattere virtuoso ma intollerante, che si meraviglia di tutto e tutto condanna: che per non tradire il vero, a costo della politezza e senza necessità, si pregia di dire ad un cavaliere, il quale ha la debolezza di voler esser poeta, che i suoi versi sono cattivi: che in vece di compatire gli errori umani vuol perdere la rendita di quarantamila lire, per lasciare a’ posteri nel suo processo un testimonio di una sentenza ingiusta; un carattere, dico, siffatto, sebbene amabile e caro a’ buoni per la virtù che ne fa il fondo, ha pure il proprio ridicolo degno di esser corretto; ed il genio di Moliere seppe seguirlo alla pesta e riprenderlo comicamente. Non mai Talia si elevò a così alto segno; e poche altre ridicolezze importanti come questa rimangono da esporsi allo scherno scenico. Il carattere di Alceste contrasta egregiamente con quello di Filinto, e dà movimento a tutti gli altri che lo circondano. L’intreccio veramente manca di vivacità, e i colori assai delicati non possono recarpieno diletto a chi è avvezzo alle tinte risentite che diconsi zingaresche. Ad onta della grazia de’ caratteri, della felice arditezza dell’idea, dell’eleganza e purezza dello stile, questo bel componimento non piacque la prima volta che si rappresentò; e Moliere scaltramente si avvisò di accompagnarlo colla farsa piacevole del Medico a forza; e con tal mezzo il Misantropo si riprodusse e piacque.
Una pastorale eroica, un’altra comica cantata nel medesimo anno 1666, ed il Siciliano commedia-ballo a rappresentato nel 1667 precederono un altro capo d’opera, il famoso Tartuffo.
I tre primi atti di questo componimento si rappresentarono sin dal 1664, e se n’era sospesa la rappresentazione, Compiuta, corretta, riveduta e approvata, sulla permissione verbale ottenutane dal sovrano. Moliere la rimise cul teatro l’anno 1667, ma gridarono gl’ippocriti, e la commedia assai bene accolta dal pubblico fu di bel nuovo proibita. Il re assediava Lilla, e due attori spediti da Moliere gli presentarono un memoriale di tal divieto; pure non prima del 1669 si ottenne la permissione autentica di riprodursi il Tartuffo. Come esso si comprese, caddero le macchine dell’impostura, la quale temendo di essere smascherata voleva farlo passare per una satira della vera pietà e religionea, Mille pregi rendono questo dramma l’ornamento più bello della comica poesia e delle scene francesi. L’interesse che si desiderava nel Misantropo, comincia nel Tartuffo a sentirsi sin dalla prima scena della vecchia Pernelle. La vivacità ch’è l’anima delle scene aumenta per gradi col comparire nell’atto III il personaggio di Tartuffo, e col disinganno di Orgone nel IV.
Nel 1668 comparvero l’Anfitrione e l’Avaro, commedie tratte da Plauto e accomodate ottimamente a’ costumi più moderni, e Giorgio Dandino piacevolissima farsa, il cui soggetto non è de’ più innocenti, e che col sale comico scema in parte la riprensione meritata per la leggerezza di Angelica. Nel 1669 quando tornò sul teatro il Tartuffo, usci ancora la farsa di Monsieur de Pourceaugnac, in cui un avvocato di provincia viene aggirato da Sbrigani personaggio modellato su i servi della commedia greca ed italiana antica e moderna.
Gli Amanti magnifici altra commedia-ballo, in cui Moliere raccolse tutti i divertimenti introdotti nella scena, uscì nel 1670. La varietà degli oggetti che appagavano i sensi, fe mirare con indulgenza questo spettacolo, di cui avea suggerito il piano l’istesso Luigi XIV, il quale nel primo tramezzo ballò da Nettuno, e di poi da Apollo; ma fu l’ultima volta che questo monarca che si trovava nel trentesimosecondo anno della sua età, comparve in teatro a ballare, scosso da’ versi del Britannico:
Pour merite prèmier, pour vertu singuliere,Il excelle à trainer un char dans la carriere,A disputer des prix indignes de ses mains,A se donner lui-même en spectate aux Romains.
La corte nel medesimo anno che applaudi gli Amanti magnifici, fu poco sensibile all’altra commedia-balletto le Bourgeois Gentilhomme che valeva assai più. Il solo Luigi XVI ne giudicò in Versailles più favorevolmente de’ suoi cortigiani, la qual cosa manifesta il buon gusto di questo monarca e la stima che faceva di Moliere. Parigi meglio della corte sentì la verità della comica dipintura di Monsieur Giordano, in cui si ridicolizza vagamente la comune vanità di parere quel che non si è. Tuttavolta vi si trovano molti colpi di teatro proprii della farsa; benchè gli uomini di gusto non pedantesco sanno bene che per rendere notabili certe utili dipinture conviene adoperar qualche volta un colorito risentito alla maniera del Caravagio.
Nè di grazia nè di arte scarseggia la commedia delle Furberie di Scapino recitata nel 1671, sebbene il sacco in cui si avvolge Scapino, e la scena della galera appartengano a un genere comico più basso. Psiche tragedia-ballo che si era rappresentata nel carnevale del 1670, si ripetè nel 1671. Essa fu notabile pel concorso degli autoriche vi lavorarono nel medesimo tempo per eseguir con prontezza gli ordini reali. Il piano ed i versi del prologo, dell’atto I e delle due scene prime del II e del III, sono di Moliere; il rimanente si verseggiò da Pietro Cornelio, ad eccezione delle parole italiane e dei versi francesi da cantarsi che si scrissero da Quinault, e si posero in musica da Lulli. Moliere, Lulli, Cornelio, Quinault lavorano ad un sol componimento, destinato al piacere di Luigi XIV. Bel regno! illustri nomi!
Le Donne Letterate altro capo d’opera venne alla luce nel 1672. Si dipinge in tal commedia il falso bell’ingegno e la superficiale pedantesca erudizione; ma da un soggetto così arido Moliere seppe trarne partito per la scena comica colla caparbieria di Filaminta preoccupata del merito ideale di Trissottino. Dietro a questa commedia nell’anno stesso venne la farsa della Contessa d’Escarbagnas, una pastorale comica di cui rimasero soltanto i nomi de’ personaggi, e la commedia-ballo l’Ammalato immaginario recitata nel 1673, ultimo frutto di questo raro ingegno. Alla quarta rappresentazione che se ne fece il di 17 di febbrajo, morì in sua casa questo principe della commedia francese, essendovi stato trasportato dal teatro moribondo.
Moliere nato nel 1628 con disposizioni naturali alla poesia comica più che alla seria, appena ebbe veduto il teatro di Borgogna che manifestò la sua inclinazione verso la scena. Coltivò i suoi talenti colle lettere studiando per cinque anni nel Collegio di Clermont, ed ascoltò le lezioni filosofiche di Pietro Gassendo, onde trasse l’abito di ben ragionare ed analizzare, che si vede trionfar nella maggior parte delle sue opere. E chi gli negherà il talento filosofico ove ponga mente a quella sagacità che lo scorge ad entrar da maestro nel mecanismo delle umane passioni? Ma la filosofia di Moliere non fu quella orgogliosa e vana che sdegna di piegarsi al calore della passione, o ignora l’arte sagace di mostrar di perdersi in esso per celare i suoi ordigni e le sue forze; non fu quella filosofia che fa pompa del suo compasso, de’ suoi calcoli e dell’austerità della sua dottrina. La filosofia di Moliere e di ogni uomo che pensa e medita per giovare, è quel fuoco secreto, benefico, necessario che tutto penetra, tutto avviva e tutto purifica per l’altrui ammaestramento. Or questa filosofia da quanti filosofi e matematici di ostentazione è conosciuta?
Scorrendo per le provincie egli giva studiando l’uomo e la propria nazione. Se imbatteva in qualche personaggio originale degno di ritrarsi sulla scena, nol perdeva di vista prima di averlo pienamente studiato. Riferisce m. Arnaud che avendo egli trovato un dì uno di tali uomini originali segnato con tratti caricati, gli si attaccò, e postosi seco lui in un carrozzino l’accompagnò sino a Lione e non l’abbandonò finchè non l’ebbe studiato in tutte le gradazioni di ridicolo che ne formavano il carattere. In Versailles ebbe saggio di osservare i costumi de’ cortigiani e di dipingerli al vivo; e si sa che essi stessi contribuirono talora talora colle loro notizie ad arricchire il suo tesoro comico.
Intorno a’ caratteri diversi delle sue favole, è da avvertirsi che egli da prima accomodò i suoi lavori al gusto dominante per le commedie d’intrigo; ma poichè ebbe acquistato maggior credito, si rivolse da buon senno a rinvenire il ridicolo ne’ costumi correnti. Dipinse a meraviglia i petits-maitres francesi divenuti ognora più ridicoli con passarne la caricatura alle altre nazioni. Espose graziosamente alla derisione il pedantismo, l’impostura de’ medici, la ciarlataneria de’ falsi eruditi, l’affettazione delle donne preziose, e delle pretese letterate, ed il difetto di una virtù troppo fiera ed intollerante.
Allo studio dell’uomo e della propria nazione Moliere
accoppiò quello degli scrittori teatrali, e seppe approfittarsi delle loro
invenzioni, non da plagiario meschino, ma da artefice sagace che abbellisce
imitando. È incerto che in qualche scena del Borghigiano
Gentiluomo e del Tartuffo
avesse avuto la mira alle Nuvole ed al Pluto di Aristofane, come pretese
Pietro Brumoy; benchè alcuna remota rassomiglianza si
scorga delle nominate favole greche con qualche tratto di quelle di Moliere. Certo è però che sono imitazioni di Plauto l’Anfitrione e l’Avaro, e che i fratelli
della Scuola de’ mariti sono modellati sugli Adelfi di Terenzio. Gli accidenti del velo della medesima favola,
e nel Siciliano, il Convitato di pietra,
la Principessa d’Elide, ed una parte della Scuola delle donne, si ricavarono dal teatro spagnuolo. Prese
assai più dagl’Italiani. Da Straparola trasse l’argomento ed alcune grazie
della stessa Scuola delle donne. Varie scene ed astuzie di
Scapino e di Sbrigani si trovano nelle commedie del Porta; Giorgio Dandino deriva da una novella del Boccaccio già dallo
stesso Porta trasportata sulla scena. Il Dispetto amoroso
è del Secchi. Lo Stordito e il Servo
balordo de’ commedianti Italiani e l’Inavvertito
del
Barbieri. Il Cornuto
immaginario viene dalla favola italiana intitolata il Ritratto. Il Tartuffo stesso fu preceduto dal
Bernagasso degl’Italiani. Di ciò convengono il Baile
a, il Leris
nel Dizionario de’ Teatri di Parigi, e l’abate Dubos mentovato dal sig. Bret nella sua
edizione delle Opere di Moliere. Diceva Dubos che si ricordava di aver letto che Moliere
doveva al teatro italiano il suo Tartuffo
b. Si vuol notare però che il Bernagasso
mentovato ed il Tartuffo vennero dopo di due altri
componimenti italiani, ne’ quali si dipinse il carattere di un falso divoto,
cioè dalla commedia latina di Mercurio Ronzio vercellese De
falso hypocrita et tristi, e dall’Ipocrita di
Pietro Aretino, in cui nulla
si desidererebbe per
raffigurarvi il Tartuffo, se l’autore non avesse voluto
nella sua favola aggruppare gli eventi che nascono da una somiglianza, e
quelli di cinque coppie d’innamorati, le quali cose gl’impedirono il rilevar
tutti i tratti piû vivaci di tal secondo detestabile carattere che sempre
con utilità e diletto sarà esposto alla pubblica derisione. Ora se
gl’Italiani ebbero il Bernagasso che rappresentarono anche
in Francia; se ebbero altresì l’Ipocrita del Ronzio e
dell’Aretino, non comprendo come il sig, Palissot potè
affermare nelle Memoriè Letterariè che il
Tartuffo non aveva avuto modello in veruna nazione
. È se tanti è
tanti altri materiali e favole italiane Moliere imitò o
tradusse con felice riuscita, ebbe torto manifesto Giambatista
Rousseau, quando scrisse che
Moliere nulla dovea agli
Italiani, a riserba del modo di rappresentare pantomimico di
Scaramuccia, e della commedia del Secchi e del Cornuto immaginario
.
Questo è
confessare un debito per negarne uno
maggiore. Da ciò si vede la difficoltà di esser critico e pensatore senza
cognizione della storia.
Bisogna però mostrare ingenuità maggiore di codesti Francesi eruditi, e confessare che Moliere abbelliva le altrui invenzioni, accomodandole così acconciamente al suo tempo ed alla propria nazione, che, quando non lavorava con fretta, gli originali sparivano sempre a fronte delle sue copie. Niuno al pari di lui possedeva l’arte di scoprire il ridicolo di ogni oggetto: niuno mosse con più fortuna e destrezza la guerra agl’impostori: niuno innalzò la poesia comica sino al Misantropo: niuno copiò più al vivo la natura seguendola dapertutto senza lasciarla se non dopo di averne raccolti i tratti più rassomiglianti. Da ciò venne quella verità di carattere che costituisce il talento maggiore di quell’ingegno grande, e che lo rende superiore a tutti gli altri comici. La poca felicità notata da’ critici nello scioglimento delle sue favole; qualche passo dato talvolta oltre del verisimile per far ridere; alcuna espressione barbara, forzata o nuova nella lingua, di che fu ripreso da Fenèlon, la Bruyere e Baile; molte composizioni scritte per necessità con soverchia fretta; la mancanza di vivacità che pretesero osservarvi alcuni Inglesi che ne copiarono qualche favola alterandola e guastandola a lor modo; tutte queste cose, quando anche gli venisseso con ogni giustizia imputate, dimostrerebbero in lui l’uomo. Ma i sommi suoi pregi sino a quest’ora trovati coll’esperienza inimitabili, lo manifestano grande a tal segno, che al suo cospetto diventano piccioli tutti i contemporanei e i successori. Videsi allora al maggior Cornelio succedere l’immortal Racine, ed all’uno e all’altro qualche tragico del XVIII secolo; ma dove è il degno successore di Moliere? Egli è ancor solo.
Mentre egli fioriva altri scrissero ancora farse e commedie; ma noi non ci arresteremo su quelle di Poysson, Montfleury, Boursault, Hauteroche, Champmelè, Vizè, Baron ed altri commedianti, i quali o ne composero in effetto o prestarono il nome a chi le scrisse e non vole comparire. Trarremo solo da questa folla di poca importanza il Pedana burlato piacevole commedia di Cirano di Bergerac, i Visionarii di Desmaret morto nel 1676 commedia in quel tempo stimata inimitabile, benchè non sia se non una filza di scene di tratti immaginarii cattiva e maltessuta, e i Litiganti di Racine imitazione delle Vespe di Aristofane uscita nel 1667, cui credesi di avere in qualche nodo contribuito e Desprèaux e Furetiere ed altri chiari letteratia.
Dicasi pur anche alcuna cosa delle commedie di Quinault scritte nel fiorir di Moliere. Cortando egli nel 1653 il diciottesimo anno di sua età diede al teatro le Rivali favola tessuta alla spagnuola su di una deflorazione, sulla fuga di due donne rivali, e sul loro travestimento da nono, senza arte, senza regolarità e senza piacevolezza. Nel 1654 produsse l’Amante indiscreto, ovvero il Padrone stordito, tratto, come dicemmo, dagl’Italiani, commedia però difettosa per condotta, per economia e per arte di dipingere, e di molto inferiore all’Inavvertito del Barbieri, ed assai più allo Stordito di Moliere. Riconobbero i Francesi nella di lui Commedia senza commedia recitata nel 1655 gran fertilità d’ingegno. Vi si figura che alcuni commedianti per mostrare i loro talenti rappresentino nel secondo atto una pastorale, nel terzo una commedia, nel quarto una tragedia de la morte di Clorinda, nel quinto una tragicommedia decorata sull’innamoramento di Armida. La Mère coquette rappresentata con gran concorso nel 1664 è la migliore delle sue commedie, ma lontana dal sostenere il confronto di quelle di Moliere. La dipintura di une madre che si enuncia per civetta, mal corrisponde all’idea vera di tal carattere. Ella è una donna attempata che si belletta e vuol passare alle seconde nozze; ma basta ciò per caratterizzarla per coquette? L’autore ebbe principalmente in mira di tessere la sua favola sul disgusto di due amanti procurato per furberia di una serva. Vi si vede, è vero, abbozzato il ritratto di un Marchese stordito e imprudente, come accennò Voltaire; ma non vi si trova la verità e la vivacità comica che acquistò poi tal carattere per mezzo di Moliere. Voltaire stesso avendo riguardo a questa Mère coquette diceva che Moliere non trovò il teatro Francese totalmente sfornito di buone commedie; e che quando questa si rappresentò, non avea Moliere prodotto i suoi capi d’opera. Egli in ciò s’ingannò, come anche nel credere sì buona tal favola. Non era uscito nel 1664 il Misantropo; ma le Preziose ridicole, la Scuola delle donne, la Critica di questa, e l’Improvisata di Versailles, ed assai più i tre primi atti del Tartuffo preceduti alla Mère coquette, aveano già ben degnamente enunciato Moliere e la buona commedia.
Tre altri comici rinomati si vogliono mentovar con onore dopo Moliere, cioè Regnard, Brueys e Dancourt. Giovanni Francesco Regnard nato in Parigi nel 1674, secondo Voltaire, mori di anni cinquantadue, ma l’autore del Calendario degli spettacoli vuole che sia mancato di vivere nel 1710, e Palissot reca la di lui morte seguita nel 1709. Di genio allegro, giocondo, comico, meritò, per altro dopo lungo intervallo, di occupare il secondo posto appresso Moliere. Il suo Giocatore si avvicina molto al gusto di quel gran comico. I Menecmi tratta da Plauto viene pregiata dagl’intelligenti; ed è da notarsi che l’autore la dedicò a Boileau Desprèaux contro di cui poi acrisse una satira, parendogli di non essergli stata dall’Orazio della Francia renduta tutta la giustizia. Il Legatario universale buona commedia d’intrigo si distingue pel dialogo vivo e naturale. Il Distratto è piacevole per la bizzaria del carattere, ma il colore che l’avviva a me sembra soverchio risentito, e le distrazioni vi si ammassano in tanta copia che si rende poco credibile. Carlo Goldoni introdusse questo carattere in una sua favola, facendolo comparire pochissime volte come personaggio episodico, e le distrazioni non eccedettero nè in numero nè in istranezze, e la dipintura riuscì dilettevole e verisimile.
Davide Agostino Brueys, benchè morto nel 1723, passò la
maggior parte della sua età nel secolo XVII, essendo nato in Aix nel 1640.
Da teologo controversista divenne poeta comico non ispregevole, e conservò
tra’ Francesi il gusto della vera commedia. Le Grondeur
gli acquistò molto credito. Egli convisse con Palaprat per
alcun tempo con molta intimità e da lui fu ajutato nel comporre la nominata
commedia. Diceva però con la maggior
naturalezza del mondo, che il
primo atto era tutto suo ed era
eccellente, il secondo in cui Palaprat avea inscrite alcune scene
burlesche, era mediocre, il terzo che tutto apparteneva all’amico, era
detestabile
. Di lui è pure rimasta al teatro una imitazione
dell’Eunuco di Terenzio intitolata il Mutolo. Egli abbelli ancora l’antica farsa dell’Avvocato Patelin
a.
Florent Carton Dancourt nato nel 1661 o 1662 e morto nel 1725 o 1726 fu un commediante di mediocre abilità. ed uno de’ buoni autori comici. Dialogizza con felicità e piacevolezza, se non che talvolta diventa affettato per voler esser concettoso. Riusciva principalmente nel dipingere le donne intriganti e i cavalieri d’industria, caratteri copiosi nelle nazioni numerose ed opulente, i quali sanno così ben coprirsi di politezza e di onestà, che merita ogni applauso il delicato comico che sappia smascherarli e denunciarli graziosamente al pubblico. Il Cavaliere alla moda, il Cittadino di qualità, il Giardiniere galante, sono le sue commedie più pregevoli. Tutte le sue favole vanno impresse in dieci volumetti; ma si crede che alcune sieno state pubblicate da autori anonimi sotto il di lui nome. Verseggiava languidamente, ma scriveva con vivacità in prosa.
Quanto alla Commedia Italiana di Parigi fu sostenuta, dopo i Comici Gelosi, prima da una comitiva che rimase in quella capitale sino al 1662 senza stabilimento fisso, poi da un’ altra più fortunata che alternava colla Compagnia Francese or nel teatro di Borgogna or nel Picciolo-Borbone or nel Palazzo-Reale. Sette anni dopo la morte di Moliere si unirono le due compagnie Francesi nel Palazzo di Guenègaud, ed il teatro di Borgogna rimase alla sola Compagnia Italiana sino al 1697, quando d’ordine sovrano rimase chiuso. Per lo più essa rappresentava commedie dell’arte ripiene sovente di apparenze e trasformazioni per dar luogo alle facezie e balordaggini dell’Arlecchino. Nondimeno il teatro Francese conserverà sempre grata memoria di Scaramuccia e della commedia Italiana frequentata da Moliere per istudiar l’arte di rappresentar con grazia nelle situazioni ridicole.