(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome VII « STORIA CRITICA DE’ TEATRI. LIBRO VII. Teatri Oltramontani del XVII secolo. — CAPO II. Tragedie latine d’oltramonti, Tragici Olandesi, e Teatro Alemanno. » pp. 135-142
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(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome VII « STORIA CRITICA DE’ TEATRI. LIBRO VII. Teatri Oltramontani del XVII secolo. — CAPO II. Tragedie latine d’oltramonti, Tragici Olandesi, e Teatro Alemanno. » pp. 135-142

CAPO II.

Tragedie latine d’oltramonti, Tragici Olandesi, e Teatro Alemanno.

Prima di accennar qual fosse lo stato degli spettacoli scenici del secolo XVII in Alemagna, si vuol mentovare qualche sacra tragedia latina di alcun letterato di nome sparsa quà e là oltre le Alpi e i Pirenei. Giorgio Bucanano compose il Jefte ed il Batista impresse in Londra l’anno 1628, nelle quali sostenne i personaggi principali con molta dignità nel Collegio di Guyenne il celebre Michele Montagna. Daniele Einsio pubblicò la tragedia degl’Innocenti. Ugone Grozio, cui si dee una dotta collezione di frammenti di antichi tragici, scrisse il Giuseppe, o Sofamponea, ed il Cristo paziente stampate nel 1648 in Amsterdam.

Quanto ai componimenti nel nativo idioma, benchè in Olanda altro non sia stata la commedia che una farsa grossolana piena di stranezze e scurrilità indecenti, pur si trova qualche tragedia da mentovarsi. Vondel si distinse fra’ suoi con alcune tragedie al pari di Corneille e Shakespear, benchè a questi di molto inferiore. La lunghezza delle scene, le stravaganze e le irregolarità che vi si osservano, non lasciano risplendere abbastanza qualche pensiero nobile che in esse si rinviene. Il suo Palamede ebbe molta voga, perchè la morte di questo Greco si applicava a quella di Olden-Barnevelt gran Pensionario della Repubblica. I Fratelli o i Gabaoniti riscosse maggiore applauso, e si tradusse anche in tedesco. Antonide Van del Does scrisse pure una tragedia sulla Conquista della Cina, benchè di poco felice riuscita. Venghiamo al Teatro Alemanno.

A quel tempo comparve in Alemagna un ingegno elevato che sulle orme del Petrarca mostrò a’ suoi la buona poesia, e traducendo alcun dramma greco, latino ed italiano aprì il sentiero della vera drammatica sino a lui colà sconosciuta. Fu questi Martino Opitz di Boberfeld nato nel 1597 e morto nel 1639. Mentre nel 1625 Pietro Corneille produceva in Francia il suo primo componimento scenico, Opitz trasportò in tedesco le Troadi di Seneca. Tradusse poi nel 1627 la Dafne del Rinuccini, nel 1633 imitò un’ altra opera italiana intitolata Giuditta, e nel 1636 tradusse l’Antigone di Sofocle corredandola di dotte note. I signori Juncker e Lieubault nella dissertazione premessa al Teatro Alemanno uscito in Parigi nel 1772, affermarono parimente che Opitz imitò la sua Giuditta da un’ opera italiana. Anche l’abate Arnaud nel Giornale Straniero parlando di un dramma di Weiss nel 1760 asserì che Opitz non scrisse componimento veruno scenico tratto dal proprio fondo. Intanto l’abate Aurelio Giorgi-Bertòla es-olivetano nel capo III dell’Idea della Poesia Alemanna sostenne che nella Giuditta Opitz mostrò di saper caminare con egregia riuscita anche fuori delle tracce altrui . Egli però non ne addusse documento veruno, e non si diede la pena di rilevare la differenza della Giuditta alemanna dall’italiana. Così la sua fu semplice gratuita asserzione, che ci lasciò nella nostra opinione sostenuta da’ signori Juncker, Lieubault ed Arnaud. Certo è non pertanto che i mentovati componimenti di Opitz scritti con eleganza superiore a quanto erasi in quelle contrade prima di lui prodotto, bastarono ad additar la via, ma non a perfezionar la bell’opera di stabilirvi il vero gusto, e forse la morte che lo rapì di soli quarantadue anni del suo vivere, ne impedi il pieno trionfo.

Lo secondarono con debolezza alcuni scrittori; ma in vece di tener dietro alla luce permanente de’ buoni esemplari imitati da Opitz, essi corsero appresso ad uno splendore efimero che gli abbacinò e fè loro perdere le tracce del buon sentiero. Andrea Grifio corrotto dallo spirito secentista dal 1650 al 1665 pubblicò l’Arminio, Cardenio e Celinda, Caterina di Georgia, la Morte di Papiniano, e Carlo Stuardo, tragedie, di più Santa Felicità tratta da una tragedia latina di Niccolò Causin, i Gabaoniti tradotta dalla tragedia indicata del Vondel, la Balia versione della commedia italiana di Girolamo Razzi, il Pastore stravagante trasportata da un’ altra commedia francese di Giovanni de la Lande; e finalmente due proprie commedie gli Assurdi Comici, e l’Uffiziale tagliacantone, come ancora due opere Piasto e Majuma.

Daniele Gasparo di Lohenstein giunse all’accesso del mal gusto imitando con maggior caricatura il Marini. Compose cinque tragedie, Epicari, ed Agrippa pubblicate nel 1665, Ibraim nel 1673, Sofonisba e Cleopatra nel 1682, le quali presentano di quando in quando in mezzo alle mostruosità qualche lampo d’ingegno.

Uno de’ più noti imitatori di Lohenstein fu Giovanni Hallemann, il quale dal 1660 al 1763 compose sei tragedie, Marianna, l’Amor celeste, il Teatro della Fortuna, la Tenerezza paterna, la Vendetta divina, la Vendetta astuta; in oltre la Virtù trionfante commedia, l’Amore ingegnoso pastorale e l’Innocenza moribonda opera. Ma Hallemann con pari gonfiezza, e co’ medesimi difetti del suo modello vide i proprii drammi più lungo tempo applauditi e rappresentati.

Per far argine alle stravaganze de’ nominati scrittori, Cristiano Weisse rettore del Collegio di Zittau precipitò nel basso e nel triviale. Le sue favole comiche e tragiche si rappresentarono da’ collegiali dal 1677 in poi. Tutto congiurava a tener lontano dall’Alemagna il buon gusto teatrale. Quindi avvenne che i commedianti per mendicare ascoltatori ricorsero a i Gran Drammi Politici ed Eroici tragedie grossolane condite dalle buffonerie di Han Wourst, che vuol dire Giovanni Bodino o Salciccia, e corrisponde all’Arlecchino italiano e al Grazioso spagnuolo.

Adunque con giusta ragione il coronato filosofo di Sans-souci parlando dello stato delle arti del Brandeburgo al finir del secolo XVII ed al cominciar del XVIII ebbe a direa: «Gli spettacoli alemanni erano allora poco degni d’esser veduti. Ciò che da noi chiamasi tragedia, era un misto mostruoso di gonfiezze insieme e di bassezze buffonesche ignorando i nostri autori le più comunali regole del teatro. La commedia era ancor più deplorabile, altro non essendo che una farsa grossolana ristucchevole per chiunque abbia fior di gusto, di buon costume e di politezza. La regina Sofia Carlotta tratteneva in Berlino l’opera italiana, il cui compositore era il celebre Bononcini; e da quel tempo cominciammo a contare qualche buon musico nazionale. Erasi in corte introdotta una compagnia comica francese che rappresentava i componimenti di Moliere, di Cornelio ecc.»

Ed in fatti dopo la Dafne di Opitz, e l’Elena e Paride rappresentata in Dresda nel 1650, s’itrodusse fra’ Tedeschi il gusto dell’opera, ed ogni principe dell’Imperio Germanico volle avere una sala d’opera musicale. Una se n’eresse anche in Amburgo. Pensarono poi a formarsi un’opera nazionale, ma sia per debolezza di coloro che l’intrapresero, ovvero sia per l’indole dell’idioma, essi riuscirono così infelicemente, che atterriti dalle critiche tralasciarono di più comporre opere in lingua tedesca. Così l’opera italiana e la commedia francese furono i soli spettacoli ammessi nelle corti de’ principi Alemanni.