CAPO I.
Stato della poesia scenica in Francia.
L’Italia ne’ primi lustri del secolo rappresentava Sofonisba e Rosmunda, ed in Parigi nel carnovale del 1511 sotto Luigi XII si vedeva sulle scene il Giuoco del Principe degli sciocchi e della Madre sciocca a, componimento di Pietro Gringore detto Vaudemont, in cui con amaro sale si motteggiavano i monaci e i prelati e la corte papale rappresentata allegoricamente da un personaggio chiamato la Mere-Sotte. Menestrier ne loda un trio cantato da Mere-Sotte e da due giovani sciocchi, e le parole erano:
Tout par raison,Raison par tout,Par tout raison.
Assai più notabile fu una scena, in cui Mere-Sotte manifesta i suoi disegni di voler comandare nel temporale e nello spirituale. I principi si opporranno riguardo al temporale (rispondono la signora Sotte-Fiance e la signora Sotte-Ocasion). Non importa, dice Mere-Sotte,
Veueillent ou non, ils le feront,Ou grande guerre à moi auront.
Replica un altro,
Mais gardons le spirituel,Du temporel ne nous mêlons.
Canzoni! ripiglia risoluta Mere-Sotte,
Du temporel jouir voulons.
Allora regnava in Roma Giulio II, la cui ambizione volle pungersi.
Anche i Confratelli detti della Passione continuavano a pascere delle loro grossolane farse la nazione. I Misteri degli Atti degli Apostoli, e l’Apocalisse di Luigi Chocquet si rappresentavano in Parigi à l’Hôtel de Flandres con gran concorso, e vi furono impressi in tre volumi nel 1541. Varie combriccole di demonii ne formavano le principali invenzioni, ed erano i buffoni del drammaa.
Altre farse di quel tempo chiamaronsi Momerie o Mascherate, nelle quali eccedeva la satira e la buffoneria. Può vedersene un esempio ne’ motteggi lanciati in una di esse quando cadde dalla grazia di Luigi XII il maresciallo de Gie perseguitato da Anna di Brettagna regina-duchessa. Facendosi allusione al nome di Anna della regina ed al grado di Maresciallo del favorito, dicevasi nella farsa, che un mariscalco (che in Francia pur si chiama marèchal) avea voluto ferrare un asino, ( in Francia ane ) e ne avea ricevuto un calcio così gagliardo che n’era stato rovesciato al suoloa. Il re medesimo non era risparmiato nelle momerie, ed egli ne tollerava le punture, contentandosi soltanto di prescrivere agli attori di rispettar la regina, altrimenti gli avrebbe fatti impiccare.
Erano i Giuochi de’ piselli pesti un altro genere di farsa per avventura più delle momerie ridicola e meno ardita. Una delle più famose di tal genere fu L’Avvocato Patelin che piacque di tal modo che la voce patelin di nome proprio di uomo divenne indi appellativo per significare adulatore, e produsse le voci patelinage, pateliner ec. L’argomento e qualche scena di questa farsa piena di sale e di piacevolezza comica leggesi nella Storia del teatro Francese del signor de Fontenelle. Fu essa poi più tardi da un altro Francese rimpastata e riprodotta sulle scene, come diremo a suo tempoa,
Quanto dunque comparve sulle scene francesi anche sotto Francesco I, era una mescolanza grossolana di satira, di religione e di scurrilità, che cominciò a scandolezzare e ristuccare il pubblico, e fece sì che i Confratelli perdessero il teatro, che tornò a convertirsi in ospedale.
Se però gli sforzi di quel re amante del sapere e fautore degli uomini di lettere non giunsero a dissipare la nebbia della barbarie che ricopriva la Franciab, vi apportarono almeno qualche barlume che diede a conoscere l’insipidezza e gl’inconvenienti di quella rozza mescolanza. Vero è che il parlamento consentì alle istanze de’ medesimi Confratelli che vollero comprar le ruine del palazzo del duca di Borgogna per fabbricarvi un altro teatro; ma nel decreto stesso del 1548, con cui si permisero le loro rappresentazioni nel nuovo teatro, si prescrisse che esser dovessero puramente profane, e che non mai più vi si mescolassero le sacre cose. Fe la legge ciò che ormai era tempo che facesse il gusto. I Confratelli vi si sottomisero, ma non istimando di poter continuare a montar sul palco con loro decoro, cessato l’oggetto della loro confraternità, si diedero ad ammaestrare alcuni nuovi attori che rappresentarono sino al 1588 quando il loro teatro si cedette ad un’altra compagnia di attori formata in Parigi con real permissione.
La regina di Navarra Margherita di Valois sorella di Francesco I nata in Angouleme nel 1492, contribuì a spargere qualche gusto per le lettere in quella corte. Ella stessa compose varie poesie pubblicate in Lione nel 1547, e dieci anni dopo s’impresse in Parigi il suo Eptamerone, cioè sette giornate giocose ma soverchio libere. Compose eziandio alcune di quelle farse chiamate Moralità che portarono il titolo di pastorali fatte da lei rappresentare alle damigelle della sua cortea. Ella invitò altresì in Francia gli strioni Italiani per recitare altri suoi drammi composti nella nostra linguab. Sotto il regno del medesimo Francesco I vissero Antonio Forestier e Giacomo Bourgeois autori di alcune favole comiche già perdute; nè di essi altro ci rimane che il nome.
La forma della commedia non si conobbe in Francia sino al regno di Errico II. Caterina Medici che v’ introdusse il gusto e la magnificenza delle feste e degli spettacoli, ne fe rappresentar diversi in Fontainebleu, e fra gli altri una commedia tratta dall’Ariosto degli Amori di Ginevra verseggiata in parte dal poeta Pietro Ronsardo. Si rappresentò da principali personaggi della corte, e madama Angouleme sostenne il personaggio di Ginevra. Vi si rappresentò parimente il Palazzo di Apollidone, e l’Arco degli amanti leali, argomento preso dagli antichi Romanzieri Francesi a.
Chechesia di tutto ciò Ronsardo attribuisce al suo amico Stefano Jodelle la gloria di aver composte le prime tragedie e commedie francesi. Secondo Pasquier questo Jodelle morto d’anni 41 nel 1573 non mancava di talento, benchè non avesse conosciuto i buoni libri. Le sue languide tragedie, per avviso de’ medesimi Francesi, sono scritte in istile assai basso ed ineguale, senza arte, senza azione, senza maneggio di teatro. L’esgesuita Saverio Bettinelli nel Discorso che premise alle proprie tragedie, affermò che Jodelle e la Peruse tradussero i nostri cinquecentisti. Il motto che siamo per farne farà vedere che essi appena ne trassero i nudi argomenti che abbigliarono alla loro foggia. Cleopatra fu una delle tragedie di Jodelle, e nell’atto III senza verun riguardo nè al decoro nè al costume questa regina alla presenza di Ottaviano prende per i capelli un suo vassallo, e lo va seguendo a calci per la scena, cosa che non tradusse certamente da veruna tragedia italiana. Con tutto ciò questa favola si rappresentò la prima volta avanti al re Errico II con indicibile applauso, e si replicò sempre con grandissimo concorso. Gli attori furono varie persone di buon nome e di talento, e tra esse, oltre al medesimo Jodelle, due altri poeti, Remigio Belleau e Giovanni de la Peruse, il quale compose ancora una Medea di assai infelice riuscita.
Jodelle pose più azione nella commedia, e dipinse i costumi di quel tempo con gran franchezza. Eugenio è il titolo di una delle sue commedie. È costui un abate che unisce in matrimonio certo Guglielmo di picciola levatura ad una giovane da lui stesso amata, cui dà il nome di sua cugina, e finalmente gli scopre il secreto:
J’aime ta femme, et avec elleJe me couche le plus souvent;Or je veux que doresnavantJ’y puisse sans souci coucher;
alla qual cosa il buon Guglielmo risponde:
Je ne vous y veux empecher.
Quel secolo (osserva su di ciò m. de Fontenelle) non era delicato su tal materia, e professava apertamente la dissolutezza che in altri tempi si cerca dissimulare. Reca solo meraviglia (ei soggiunge) come gli ecclesiastici dipinti al vivo in tal commedia non si levassero punto a romore. Intorno al medesimo tempo Baif compose il Bravo commedia tratta da Plauto.
Sotto Errico III asceso al trono nel 1574 uscirono le otto tragedie di Roberto Garnier, le quali secondo lo stesso Ronsardo, superano di molto quelle di Jodelle. S’intitolano Porzia, Cornelia, Marcantonio, Ippolito, la Troade, Antigone, i Giudei, Bradamante. Specialmente in quella de’ Giudei si notano alcuni squarci felici tratti dalla Sacra Scrittura. Meritano anche attenzione varii versi dell’Ippolito, e più quelli del racconto della di lui morte, de’ quali Racine non isdegnò di approfittarsi ed inserirli nella Fedra. Pietro de Laudun Daigaliers fece stampare una sua tragedia Les Horaces; ma non avendola io veduta dir non saprei nè quanto egli dovesse a Pietro Aretino che il precedè coll’Orazia, nè quanto a lui dovesse Pietro Corneille che venne dopo dell’uno e dell’altro.
Scrissero poi favole drammatiche Moncretien, Baro, ed Hardy, i quali, secondo il Voltaire, vendevano a’ commedianti che giravano per la Francia, le loro composizioni a dieci scudi l’una. Il fecondo Hardy ne scrisse più di seicento, schiccherandone per lo più con vergognosa fertilità una in soli otto giorni senza serbarvi nè regole nè decenza. Donne violate, cortigiane, adultere, sono le persone principali delle sue favole. Secondo l’espressione di Fontenelle, le prime tenerezze di due amanti passano sotto gli occhi dello spettatore, e se ne occulta il meno che sia possibile.
I primi commedianti Italiani che aprirono il loro teatro comico in Francia, furono i Gelosi che nel 1577 per privilegio ottenuto da Errico III rappresentarono in Parigi. Separatisi poi da questa Compagnia de’ Gelosi alcuni attori, presero il nome di Confidenti, e vi recitarono varie favole italiane, e tra queste la Fiammella pastorale, in cui si adoprò il mescolamento de’ dialetti veneziano, bolognese, bergamasco ecc., il cui autore fu Bartolommeo de Rossi veronesea.
Altro dunque in tutto il secolo non comparve in Francia di regolare e di decente che alcune deboli traduzioni delle nostre tragedie, pastorali e commedie nel precedente libro da noi riferite; ma tutte e le migliori, per le dense tenebre che vi regnavano, non poterono così presto penetrare ed apportarvi la vera luce teatrale.