CAPO VIII ultimo.
Primi passi del Dramma Musicale.
Siamo pur giunti all’epoca vera, in cui la musica e la danza (che tanto diletto recavano ne’ cori teatrali ed in altre feste) congiunte alla poesia svegliarono il desiderio di un nuovo spettacolo scenico dopo il risorgimento delle lettere. La musica costante amica de’ versi a ancor fra selvaggi, la quale in oriente si frammischia nelle rappresentazioni senza norma fissa, ed in Atene ed in Roma avea accompagnata la poesia rappresentativa ora più canoramente come ne’ cori, ora meno come negli episodii, nelle grandi rivoluzioni dell’Europa se ne trovò disgiunta. Abbandonato il teatro alla poesia e alla rappresentazione, la musica si conservava nelle chiese, ed accompagnava la danza e i versi che ne’ caroselli solevano cantarsi su’ carri ed altre macchine a Cominciò poi a richiamarsi sulle scene in qualche passo delle sacre rappresentazioni. Quindi s’introdusse nella profana, cantandosi i cori delle tragedie e delle pastorali, ed anche i tramezzi delle commedie non meno in versi che in prosa.
Il favorevole accoglimento fatto alla musica richiamata sulle scene, menò
assai naturalmente gl’Italiani ad accoppiarla a tutte le parti del
componimento per convertirlo in opera musicale. E perchè tale divenisse,
convenne immaginarsi una nuova specie di poesia rappresentativa, la quale
avesse certe e proprie leggi che in varie cose la rendessero differente
dalla tragedia e dalla commedia. Dovè dunque concepirsi di tal modo, che le
macchine per appagare la vista, l’armonia per dilettar l’udito, il ballo per
destare quella grata ammirazione che ci tiene piacevolmente sospesi, e gli
armonici, graziosi, agili e leggiadri movimenti di un bel corpo,
cospirassero concordemente colla poesia anima del tutto, non già qualunque o
simile a quella che si adopera in alcune feste, ma bensì
drammatica e attiva
, ad oggetto di formare un tutto e
un’azione bene ordinata e
cantata dal principio sino al
fine
, e
(per dirlo colle
parole del più erudito filosofo e dell’uomo di gusto più squisito che abbia
a’ nostri giorni ragionato dell’opera in musica, dico del conte Algarotti)
di rimettere sul teatro moderno Melpomene
accompagnata da tutta quella pompa che a’ tempi di Sofocle e di
Euripide solea farle corteggio
. Or questa è l’opera
musicale, a giudizio di tutta l’Europa; e questo lavoro nella nostra lingua
non s’inventò prima degli ultimi tre anni del Cinquecento. Fu di questo
parere ancora il dottissimo prelodato Algarotti nel Saggio
sopra l’opera in musica. Egli de i drammi del Rinuccini dice che
furono i primi che circa il principio della
trascorsa età sieno stati rappresentati in musica
; ed
al pari di noi altro egli non vide nell’Orfeo del
Poliziano, nella Festa del Betta, e nella rappresentazione posta in musica
dallo Zarlino per Errico III in Venezia, che
uno sbozzo
e quasi un preludio dell’Opera
.
Non si sarebbero mai immaginato i moderni Anfioni teatrali, che i primi Cantanti, ovvero istrioni musicali, sieno stati l’Arlecchino, il Pantalone, il Dottore ed altre maschere comiche; e pure con questi personaggi appunto cominciò l’opera. Orazio Vecchi modanese verseggiatore e maestro di cappella, animato dalla felice unione della musica e della poesia che osservò in tante feste e cantate e ne’ cori delle tragedie e delle pastorali, volle il primo sperimentare l’effetto di tale unione in tutto un dramma a; e nel 1597 fece rappresentare alle nominate maschere il suo Anfiparnaso, stampato nell’anno stesso in Venezia appresso Angelo Gardano in quarto, e di note musicali corredato dal medesimo autore.
Sia poi che il nobile fiorentino Ottavio Rinuccini (il quale fu gentiluomo di
camera di Errico IV re di Francia, e non commediante, come
disse ne’ suoi Giudizii il Baillet
ripresone
a ragione da Pietro
Baile) s’inducesse per l’esempio del Vecchi a formar del dramma e
della musica un tutto inseparabile in un componimento eroico e meglio
ragionato, ovvero sia che le medesime idee del Vecchi a lui ed a’ suoi dotti
amici sopravvenissero, senza che essi nulla sapessero del Modanese: egli è
certo che il Rinuccini, col consiglio del signor Giacomo Corsi intelligente
di musica, mostrò all’Italia i primi veri melodrammi eroici nella Dafne, nell’Euridice e nell’Arianna, i quali per l’eleganza dello stile, per la felice novità
musicale e per la magnificenza dello scenico apparato, riscossero un plauso
universale. La Dafne rappresentata nel 1567 alla presenza
della gran duchessa di Toscana in casa del nominato Corsi grande amico del
Chiabrera, e l’Euridice in occasione del matrimonio di
Maria de’ Medici con Errico IV, furono poste in musica da Giacomo Peri, e
s’impressero in Firenze nel 1600. L’Arianna posta in
musica da Claudio
Monteverde si cantò nel
matrimonio del principe di Mantova colla infanta di Savoja e nel 1608 uscì
alla luce anche in Firenze. Oltre a questi tre drammi l’Eritreo fa menzione
dell’Aretusa altro dramma del Rinuccini. Non per tanto
osserva il Baile che Giacomo Rilli nelle Notizie intorno agli uomini illustri dell’Accademia Fiorentina,
non fa motto di questa Aretusa, tuttochè così diligente si
fusse mostrato in quanto riguarda questo scrittore. Appartiene ancora al
Rinuccini la Mascherata delle Ingrate balletto eseguito in
occasione del matrimonio del principe di Mantova, nella qual città fu
inpresso in quarto l’anno 1608. Or perchè non dobbiamo impropriamente
stendere il nome di opera sino a que’ drammi, ne’ quali soltanto i cori e
qualche altro squarcio si cantavano, e molto meno a quelle poesie cantate
che non erano drammatiche, ma unicamente attribuire il titolo di Opera que’
componimenti scenici, ne’ quali sarebbe un delitto contro il genere se
la musica si fermasse talvolta dando luogo al nudo
recitare: egli è manifesto che l’opera s’inventò nella fine del secolo XVI,
e che si dee riconoscere come inventore dell’opera buffa l’autore dell’Anfiparnaso, e come primo poeta dell’opera seria o eroica
il Rinuccini, e Giacomo Peri come primo maestro di musica che, secondochè
ben disse sin dal 1762 l’Algarotti,
con giusta ragione è
da dirsi l’inventore del Recitativo
.
I pedantini e gli scrittorelli oltramontani forestieri per avventura nelle
lettere greche latine e toscane e ne’ giusti principii di ragionare,
sogliono rimproverare all’Italia questo genere difettoso a lor parere che
manda a morir gli eroi cantando e gorgheggiando a. Bisogna dire che questi sieno
i pretti originali degli Eruditos à la
violeta dell’ingegnoso nostro amico Joseph Cadhalso y
Valle, e che appena leggono pettinandosi alcuni superficiali
dizionarii o fogli periodici che si copiano tumultuariamente d’una in altra
lingua, e che con tali preziosi materiali essi pronunziano con magistral
franchezza che il
canto rende inverisimili le favole
drammatiche
. Come
risponderemo
loro per porli nel dritto sentiero? che le antiche tragedie e commedie altro
non erano che una specie di operaa? Ma bisognerebbe prima di ogni altra cosa far loro
intendere che cosa importasse appo gli antichi orchestra,
timele, melopen, tibie uguali, disuguali, destre, sinistre, serrane, e
modo Frigio, Ipofrigio, Lidio, delle quali cose è forza che essi
non abbiano mai avuta veruna idea. Diremo che il canto è una delle molte
supposizioni ammesse in teatro come verisimili per una tacita convenzione
tra’ rappresentatori e l’uditoriob? Ma il loro svaporato
cervellino mal sosterrebbe il travaglio
di analizzar le idee che sono concorse
alla formazione degli spettacoli teatrali.
Appigliamoci al partito più proprio
per la loro capacità rimandandogli a
leggere ciò che in tal quistione scrisse
giudiziosamente il signor Diderot uno senza dubbio de’ più
rinomati
ragionatori moderni della Francia.
Pour bien
(egli disse)
juger d’une production, il
ne faut
pas la rapporter à une autre production. Ce fut ainsi qu’un de nos
premiers critiques se trompa. Il dit: les anciens n’ont point eu
d’opera; donc l’opera est un mauvais genre. Plus circonspect, ou
plus instruit, il eût dit peut être: les anciens n’avoient qu’un
opera; donc notre tragedie n’est pas bonne. Meilleur logicien il
n’eût fait ni l’un ni l’autre raisonnement.
Così terminò il secolo XVI glorioso in tante guise per l’Italia; cioè per aver fatta risorgere felicemente in aureo stile la greca tragedia, il teatro materiale degli antichi, e la commedia de’ Latini; per l’invenzione di tanti nuovi tragici argomenti nazionali, e tante nuove favole comiche ignote a’ Latini; per aver somministrati a’ Francesi tanti buoni componimenti scenici prima che conoscessero Lope de Vega, e Guillèn de Castro; pel dramma pastorale ad un tempo stesso inventato, e ridotto ad una superiorità inimitabile; finalmente per L’origine data al moderno melodramma comico ed eroico. Or che cosa fecesi in tal secolo dagli oltramontani?