(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome VI « STORIA DE’ TEATRI. CONTINUAZIONE del Teatro Italiano del secolo XVI. e del Libro IV. — CAPO VIII ultimo. Primi passi del Dramma Musicale. » pp. 42-62
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(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome VI « STORIA DE’ TEATRI. CONTINUAZIONE del Teatro Italiano del secolo XVI. e del Libro IV. — CAPO VIII ultimo. Primi passi del Dramma Musicale. » pp. 42-62

CAPO VIII ultimo.

Primi passi del Dramma Musicale.

Siamo pur giunti all’epoca vera, in cui la musica e la danza (che tanto diletto recavano ne’ cori teatrali ed in altre feste) congiunte alla poesia svegliarono il desiderio di un nuovo spettacolo scenico dopo il risorgimento delle lettere. La musica costante amica de’ versi a ancor fra selvaggi, la quale in oriente si frammischia nelle rappresentazioni senza norma fissa, ed in Atene ed in Roma avea accompagnata la poesia rappresentativa ora più canoramente come ne’ cori, ora meno come negli episodii, nelle grandi rivoluzioni dell’Europa se ne trovò disgiunta. Abbandonato il teatro alla poesia e alla rappresentazione, la musica si conservava nelle chiese, ed accompagnava la danza e i versi che ne’ caroselli solevano cantarsi su’ carri ed altre macchine a Cominciò poi a richiamarsi sulle scene in qualche passo delle sacre rappresentazioni. Quindi s’introdusse nella profana, cantandosi i cori delle tragedie e delle pastorali, ed anche i tramezzi delle commedie non meno in versi che in prosa.

Il favorevole accoglimento fatto alla musica richiamata sulle scene, menò assai naturalmente gl’Italiani ad accoppiarla a tutte le parti del componimento per convertirlo in opera musicale. E perchè tale divenisse, convenne immaginarsi una nuova specie di poesia rappresentativa, la quale avesse certe e proprie leggi che in varie cose la rendessero differente dalla tragedia e dalla commedia. Dovè dunque concepirsi di tal modo, che le macchine per appagare la vista, l’armonia per dilettar l’udito, il ballo per destare quella grata ammirazione che ci tiene piacevolmente sospesi, e gli armonici, graziosi, agili e leggiadri movimenti di un bel corpo, cospirassero concordemente colla poesia anima del tutto, non già qualunque o simile a quella che si adopera in alcune feste, ma bensì drammatica e attiva , ad oggetto di formare un tutto e un’azione bene ordinata e cantata dal principio sino al fine , e (per dirlo colle parole del più erudito filosofo e dell’uomo di gusto più squisito che abbia a’ nostri giorni ragionato dell’opera in musica, dico del conte Algarotti) di rimettere sul teatro moderno Melpomene accompagnata da tutta quella pompa che a’ tempi di Sofocle e di Euripide solea farle corteggio . Or questa è l’opera musicale, a giudizio di tutta l’Europa; e questo lavoro nella nostra lingua non s’inventò prima degli ultimi tre anni del Cinquecento. Fu di questo parere ancora il dottissimo prelodato Algarotti nel Saggio sopra l’opera in musica. Egli de i drammi del Rinuccini dice che furono i primi che circa il principio della trascorsa età sieno stati rappresentati in musica ; ed al pari di noi altro egli non vide nell’Orfeo del Poliziano, nella Festa del Betta, e nella rappresentazione posta in musica dallo Zarlino per Errico III in Venezia, che uno sbozzo e quasi un preludio dell’Opera .

Non si sarebbero mai immaginato i moderni Anfioni teatrali, che i primi Cantanti, ovvero istrioni musicali, sieno stati l’Arlecchino, il Pantalone, il Dottore ed altre maschere comiche; e pure con questi personaggi appunto cominciò l’opera. Orazio Vecchi modanese verseggiatore e maestro di cappella, animato dalla felice unione della musica e della poesia che osservò in tante feste e cantate e ne’ cori delle tragedie e delle pastorali, volle il primo sperimentare l’effetto di tale unione in tutto un dramma a; e nel 1597 fece rappresentare alle nominate maschere il suo Anfiparnaso, stampato nell’anno stesso in Venezia appresso Angelo Gardano in quarto, e di note musicali corredato dal medesimo autore.

Sia poi che il nobile fiorentino Ottavio Rinuccini (il quale fu gentiluomo di camera di Errico IV re di Francia, e non commediante, come disse ne’ suoi Giudizii il Baillet ripresone a ragione da Pietro Baile) s’inducesse per l’esempio del Vecchi a formar del dramma e della musica un tutto inseparabile in un componimento eroico e meglio ragionato, ovvero sia che le medesime idee del Vecchi a lui ed a’ suoi dotti amici sopravvenissero, senza che essi nulla sapessero del Modanese: egli è certo che il Rinuccini, col consiglio del signor Giacomo Corsi intelligente di musica, mostrò all’Italia i primi veri melodrammi eroici nella Dafne, nell’Euridice e nell’Arianna, i quali per l’eleganza dello stile, per la felice novità musicale e per la magnificenza dello scenico apparato, riscossero un plauso universale. La Dafne rappresentata nel 1567 alla presenza della gran duchessa di Toscana in casa del nominato Corsi grande amico del Chiabrera, e l’Euridice in occasione del matrimonio di Maria de’ Medici con Errico IV, furono poste in musica da Giacomo Peri, e s’impressero in Firenze nel 1600. L’Arianna posta in musica da Claudio Monteverde si cantò nel matrimonio del principe di Mantova colla infanta di Savoja e nel 1608 uscì alla luce anche in Firenze. Oltre a questi tre drammi l’Eritreo fa menzione dell’Aretusa altro dramma del Rinuccini. Non per tanto osserva il Baile che Giacomo Rilli nelle Notizie intorno agli uomini illustri dell’Accademia Fiorentina, non fa motto di questa Aretusa, tuttochè così diligente si fusse mostrato in quanto riguarda questo scrittore. Appartiene ancora al Rinuccini la Mascherata delle Ingrate balletto eseguito in occasione del matrimonio del principe di Mantova, nella qual città fu inpresso in quarto l’anno 1608. Or perchè non dobbiamo impropriamente stendere il nome di opera sino a que’ drammi, ne’ quali soltanto i cori e qualche altro squarcio si cantavano, e molto meno a quelle poesie cantate che non erano drammatiche, ma unicamente attribuire il titolo di Opera que’ componimenti scenici, ne’ quali sarebbe un delitto contro il genere se la musica si fermasse talvolta dando luogo al nudo recitare: egli è manifesto che l’opera s’inventò nella fine del secolo XVI, e che si dee riconoscere come inventore dell’opera buffa l’autore dell’Anfiparnaso, e come primo poeta dell’opera seria o eroica il Rinuccini, e Giacomo Peri come primo maestro di musica che, secondochè ben disse sin dal 1762 l’Algarotti, con giusta ragione è da dirsi l’inventore del Recitativo .

I pedantini e gli scrittorelli oltramontani forestieri per avventura nelle lettere greche latine e toscane e ne’ giusti principii di ragionare, sogliono rimproverare all’Italia questo genere difettoso a lor parere che manda a morir gli eroi cantando e gorgheggiando a. Bisogna dire che questi sieno i pretti originali degli Eruditos à la violeta dell’ingegnoso nostro amico Joseph Cadhalso y Valle, e che appena leggono pettinandosi alcuni superficiali dizionarii o fogli periodici che si copiano tumultuariamente d’una in altra lingua, e che con tali preziosi materiali essi pronunziano con magistral franchezza che il canto rende inverisimili le favole drammatiche . Come risponderemo loro per porli nel dritto sentiero? che le antiche tragedie e commedie altro non erano che una specie di operaa? Ma bisognerebbe prima di ogni altra cosa far loro intendere che cosa importasse appo gli antichi orchestra, timele, melopen, tibie uguali, disuguali, destre, sinistre, serrane, e modo Frigio, Ipofrigio, Lidio, delle quali cose è forza che essi non abbiano mai avuta veruna idea. Diremo che il canto è una delle molte supposizioni ammesse in teatro come verisimili per una tacita convenzione tra’ rappresentatori e l’uditoriob? Ma il loro svaporato cervellino mal sosterrebbe il travaglio di analizzar le idee che sono concorse alla formazione degli spettacoli teatrali. Appigliamoci al partito più proprio per la loro capacità rimandandogli a leggere ciò che in tal quistione scrisse giudiziosamente il signor Diderot uno senza dubbio de’ più rinomati ragionatori moderni della Francia. Pour bien (egli disse) juger d’une production, il ne faut pas la rapporter à une autre production. Ce fut ainsi qu’un de nos premiers critiques se trompa. Il dit: les anciens n’ont point eu d’opera; donc l’opera est un mauvais genre. Plus circonspect, ou plus instruit, il eût dit peut être: les anciens n’avoient qu’un opera; donc notre tragedie n’est pas bonne. Meilleur logicien il n’eût fait ni l’un ni l’autre raisonnement.

Così terminò il secolo XVI glorioso in tante guise per l’Italia; cioè per aver fatta risorgere felicemente in aureo stile la greca tragedia, il teatro materiale degli antichi, e la commedia de’ Latini; per l’invenzione di tanti nuovi tragici argomenti nazionali, e tante nuove favole comiche ignote a’ Latini; per aver somministrati a’ Francesi tanti buoni componimenti scenici prima che conoscessero Lope de Vega, e Guillèn de Castro; pel dramma pastorale ad un tempo stesso inventato, e ridotto ad una superiorità inimitabile; finalmente per L’origine data al moderno melodramma comico ed eroico. Or che cosa fecesi in tal secolo dagli oltramontani?