(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome V « STORIA DE’ TEATRI. LIBRO IV. — CAPO V. Produzioni comiche di Commediani di mestiere nel secolo XVI. » pp. 256-264
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(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome V « STORIA DE’ TEATRI. LIBRO IV. — CAPO V. Produzioni comiche di Commediani di mestiere nel secolo XVI. » pp. 256-264

CAPO V.

Produzioni comiche di Commediani di mestiere nel secolo XVI.

Un secolo dotto fa risplendere di riverbero ancor quelli che non lo sono. Erano in tal tempo cresciuti gli attori di mestiere, benchè tante accademie insieme colla poesia teatrale coltivassero ancora il talento difficilissimo di ben recitare. Si trovò allora tra essi più di un commediografo ingegnoso. Andrea Calmo veneziano morto l’anno 1571 fu attore ed autore molto esperto, ed applaudito, come sappiamo da una lettera del Parabosco. Egli scrisse alcune commedie in prosa nel suo grazioso dialetto nativo mescolato talvolta col bergamasco, col greco moderno e coll’idioma schiavone italianizzato; ed è probabile che a simili farse istrioniche avesse la mira il prelodato Marmontel col suo copiatore Milizia. Le commedie del Calmo sono: la Spagnolas, il Saltuzza, la Pozione, la Rodiana e il Travaglia, pubblicate dal 1549 al 1556. Il Lombardo altro attore di professione diede alla luce nel 1583 l’Alchimista sua commedia lodata. Fabrizio Fornari napoletano detto il Capitan Coccodrillo comico Confidente, pubblicò in Parigi per l’Angelier nel 1585 la commedia intitolata l’Angelica, che si ristampò poi in Venezia nel 1607 pel Bariletto. Il famoso attore padovano Angelo Beolco chiamato il Ruzzante scrisse alcune commedie che s’impressero nel 1598, cioè lo Fiorina, l’Anconitana e la Piovana, le quali dal Varchi nell’Ercolano furono anteposte alle antiche Atellane. Francesco Andreini pistojese marito della celebre attrice Isabella Andreini, ed attore anch’egli che rappresentava da innamorato, e dopo la morte della moglie da tagliacamtone col nome di Capitano Spavento da Vallinferna, volle ancora distinguersi come autore scrivendo più dialoghi, farse e commedie ove acciabattò quanto aveva in iscena recitato come attore, cioè le rodomontate.

Generalmente i pubblici commedianti andavano per l’Italia rappresentando certe commedie chiamate dell’Arte per distinguerle dalle erudite recitate nelle accademie e case particolari da attori nobili civili istruiti per proprio diletto ed esercizio. Si notava, come dicono i commedianti, a soggetto, il piano della favola e la distribuzione e sostanza dell’azione di ogni scena, e se ne lasciava il dialogo ad arbitrio de’ rappresentatori. Queste farse istrioniche aveano per oggetto primario l’eccitare il riso con ogni sorte di buffoneria, e vi si faceva uso di maschere diverse, colle quali nel vestito, nelle caricature e nel linguaggio si esagerava la ridicolezza caratteristica di qualche città. Pantalone era per lo più un mercatante veneziano d’ordinario dedito alla spilorceria; il Dottore un curiale bolognese cicalone; Spaviento un millantatore poltrone; Coviello un furbo, Pascariello un vechio goffo che non conchiudeva un discorso incominciato con grande apparato, tutti e tre napoletani; Pulcinella un villano buffone dell’Acerra; Giangurgolo un goffo calabrese; Don-Gelsomino un lezioso insipido roma no o uno Zima fiorentino; Beltramo un o milanese semplice; Brighella un ferrarese raggiratore; Arlecchino uno sciocco malizioso da Bergamo. Ma vedasi in margine ciò che di questi e di altri simili personaggi comici ridicoli scrisse il Gimma nell’Italia letterata a. Il volgo Italiano sene compiacque per la novità e per quello spirito di satira scambievole che serpeggia tra’ varii popoli di una medesima nazione, siccome avviene in Francia ancora tra’ Provenzali, Normanni e Gasconi, e nelle Spagne tra’ Portoghesi e Castigliani e Galiziani, Valenziani, Catalani, Andaluzzi, le cui ridicolezze e maniere di dire e di pronunziare rilevansi con irrisione vicendevole. In queste farse dell’arte, nelle quali erroneamente varii oltramontani male istruiti sogliono far consistere la commedia Italiana, possiamo ravvisare qualche reliquia degli antichi mimi, la cui indole libera e buffonesca è stata sempre d’introdurre prima certo rincrescimento della buona e bella poesia scenica, indi di cagionarne la decadenza.

Contro di questa verità par che abbia l’erudito abate Carlo Denina opinato, allorchè affermò a, che dalla schiera de’ commedianti sogliono per l’ordinario uscir fuori i migliori poeti drammatici . E ciò vero? Si è verificato questo suo avviso in alcun paese? Lasciamo stare i Greci, de’ quali non avrà egli certamente preteso parlare; perchè tra questi non vi fu schiera di commedianti, nella quale non entrassero gli stessi poeti, confondendosi gli uni negli altri nel libero popolo Ateniese sempre che gli autori non mancavano, come Sofocle, di voce e di disposizioni naturali proprie per comparire sul pulpito. L’asserzione del Denina non si verifica nè anche ne’ Latini. Si ha memoria per ventura che i comedi e tragedi Roscio, Esopo, Ambivione ecc. avessero sulla scena latina prodotte commedie e tragedie eccellenti, superando nelle prime Cecilio, Lucilio, Nevio, Plauto, Afranio Terenzio, e nelle seconde Ennio, Pacuvio, Accio, Varo, Mecenate, Germanico, Ovidio, Stazio, Seneca? Quanto a’ moderni molto lontana dal vero parrà la di lui opinione. Qual commediante in Francia (ove se n’accettui il solo La-Nue che compose il Maometto II) ha composte tragedie passabili, non che pregevoli? Quale che meriti di porsi in confronto de’ due Corneille, di Racine, del Piron, del Crebillon, del Voltaire? Per le commedie non v’ha tra tanti e tanti commedianti chi uscisse dalla mediocrità, ove se n’accettui il solo Moliere, che colse le palme prime, ed il Dancourt assai debole attore, che pur dee contarsi tra’ buoni autori; là dove contansi fuori della classe de’ commedianti di mestiere tanti stimabili scrittori comici, come Des Touches, Regnard, Du-Freny, Saint-Foi, Piron, Gresset e cento altri Qual commediante nelle Spagne (senza eccettuarne Lope de Rueda, che fu il Livio, Andronico di quella penisola) si è talmente accreditato che contar si possa tra’ migliori scrittori al pari del Vega, del Calderòn, del Moreto, del Solis, del Roxas, di Leandro, de Moratin? Nella Gran Brettagna si ammirano i due pregevoli autori Shakespear e Otwai, che tra gli attori si segnalarono ancor componendo; ma le loro favole piene di bellezze e di mostruosità, non trovano competitori nell’Adisson, nel Van-Broug, nel Wicherley, in Gai, in Stèele? Garrick che fu l’Esopo dell’Inghilterra, può come autore gareggiare co’ nominati valenti scrittori non commedianti? Certo è poi che fra gl’Italiani la decisione del Deoina, che sì franco decreta in tutto quel suo Discorso, è molto più manifestamente opposta alla verità. La storia che abbiamo tessuta degli autori tragici e comici del XVI secolo, e de’ due seguenti, dimostra l’immenso spazio che separa Ariosto, Bentivoglio, Machiavelli, Caro, Oddi, Porta, Goldoni, e molti altri, e Trissino, Rucellai, Tasso, Manfredi, Bonarelli, Dottori, Maffei, Varano, Alfieri, da commedianti di mestieri Calmo, Ruzzante, Capitan Coccodrillo, Lombardo, Scala, i quali o non mai osarono porre il piede ne’ sacri penetrali di Melpomene, o vi entrarono strisciandosi pel suolo a guisa di bisce, come l’Andreini, e nella stessa commedia consultarono più la pratica scenica, e i sali istrionici e i lazzi, che l’arte ingenua di Talia, e i passi di Menandro e di Terenzio, contenti del volgare onore di appressarsi al più alle farse Atellane.