CAPO IV.
Memorie drammatiche d’oltramonti nel medesimo secolo XIV.
Mentre l’Italia già aveva Ezzelino e
l’Achilleide tragedie, e la Filologia ed il Paolo commedie; al di là delle
Alpi i soli Provenzali scrissero componimenti rassomiglianti ai teatrali,
benchè lontani assai in qualunque modo dall’imitar gli antichi. Non
trovavasi tra’ Provenzali nè un Mussato nè un Petrarca, nè un Vergerio, nè
un Salutato. Essi ignoravano, dice m. de Fontenelle, che
hanno esistiti al mondo Greci e Latini. I loro pezzi chiamati drammatici
nudi di azione, erano anzi
dialoghi che drammi
, dicesi
nell’introduzione alla Biblioteca Poetica Francese. Batista
Parasols Limosino morto nel 1383 compose cinque dialoghi chiamati
tragedie contro Giovanna I contessa di Provenza e
regina di
Napoli ancor vivente. Luca
de Grimaud Genovese satireggiò ne’ suoi drammi o dialoghi che
scrisse in volgar provenzale, il pontefice Bonifacio VIII.
Non entro io quì di proposito ad esaminare se i Provenzali abbiano a dirsi
piuttosto Spagnuoli che Francesi, perchè i conti di Barcellona dominarono
alcuni anni in Provenza, e perchè la lingua catalana e la provenzale si
rassomigliarono molto. Dico solo di passagio quanto alla prima parte, che
siccome i Napoletani, i Toscani, i Parmigiani, i Milanesi, i Corsi, per
essere sottoposti al dominio spagnuolo, alemanno e francese, non si
chiamarono mai spagnuoli, Alemanni, o Francesi; così i conti di Barcellona
non faranno che i Provenzali chiaminsi spagnuoli. Quanto alla seconda parte
io credo che nell’origine degl’informi dialetti moderni, e specialmente nel
fermento del X e XI secolo, fuvvi per necessità molta somiglianza ne’
parlari, più sensibili tralle provincie confinanti
che tralle lontane. Ma come dedurre da ciò che la lingua provenzale derivi
dalla catalana? L’amor del dialetto nativo fe dire all’abate Lampillas
a che
sin dal nono secolo i
conti di Barcellona introdussero in quella provincia di Francia, in cui
dominarono col titolo di duchi di Septimania, il loro nativo
idioma
; e crede ciò provato a meraviglia coll’epitafio del conte
Bernardo avvelenato nell’anno 844. Questo epitafio prova bene la
somiglianza della lingua catalana colla provenzale; ma in niun conto può
provare che la catalana fu da’ conti di Barcellona introdotta in Provenza.
Laonde noi quì distingueremo sempre i Provenzali dagli Spagnuoli; tanto più
che ci sembra ingiusta e sconvenevol cosa il distendere il giudizio del Fontenelle, intorno all’ignoranza de’ Trovatori
Provenzali, anche alle provincie Spagnuole.
Parlando adunque delle regioni che portano incontrastabilmente il nome onorevole di spagnuole, noi troviamo nella Catalogna prima in Barcellona, indi in Tortosa l’accademia della Gaya Ciencia, e parimenti tra gli Aragonesi alcuni poeti degni di mentovarsi. Vi troviamo ancora i Giullari, e nel 1328, celebrandosi la festa per la coronazione del re di Aragona, i Giullari Ramaset e Novellet cantarono molti versi composti dal re. Tuttavolta insino a questo giorno con molta diligenza (anche dopo le ciance apologetiche e le bravate e i lampi e i tuoni strepitosi ed innocui de’ Lampillas, dell’Arteaga, de’ Garcia de la Huerta, ed altri simili trasoni, sofisti e declamatori) a me non è riuscito raccorre nè dalla storia nè da’ romanzi apologetici stessi cosa veruna teatrale di questo secolo, siccome nè anche riuscì al dotto bibliotecario don Blàs de Nasarre nè all’abate Andres.
Si avvicinano bensì alle teatrali alcune farse sacre de’ primi anni di questo
secolo che si trovano mentovate nella
storia di
Francia, ma che si sono ignorate dall’anonimo Francese, che nel 1780
cominciò a pubblicare in Lione una collezione del Teatro
Francese. Quando il re Filippo detto il Bello morto nel 1314 armò
cavalieri i suoi figliuoli, trovasi in una antica cronacaa
che si diede una festa, in cui
si vide la persona di N. S.
mangiar de’ pomi ridendo con sua Madre, dire de’ paternostri cogli
apostoli, e risuscitare e giudicare i morti: vi si udirono i beati
cantare in paradiso in compagnia di circa novanta angeli, e i dannati
piangere in un inferno nero e puzzolente in mezzo a più di cento diavoli
che ridevano del loro supplizio: vi si vide ancora una volpe prima
semplice clerico, indi di mano in mano vescovo, arcivescovo e papa,
sempre cibandosi di polli e pulcini
. Per questi passi si venne in
Francia ad introdurre l’uso di rappresentare
i Misteri che nel 1380 si stabilì sul teatro per mezzo del Canto Reale. Esso consisteva in versi in lode della Vergine e de’
Santi, cantati a competenza da varii branchi di pellegrini venuti da’
Santuariia. Fermavansi
da principio a cantar nelle piazze, facendo come uno steccato co’ loro
bordoni, ed appresso montarono sudi un rustico palco in una casa comprata
espressamente da alcuni per trarre profitto dalla folla che concorreva a tal
nuovo devoto divertimento.
Trovansi pure in questo secolo i Misteri teatrali in Inghilterra, dove fiorivano due poeti Giovanni Gover e Gualfrido Chaucer di lui migliore. N’erano attori gli ecclesiastici e scolari, i quali andavano talmente altieri dell’usanza privativa di rappresentarli, che non soffrivano che altri se ne ingerisse. Gli studenti di san Paolo nel 1378 presentarono una supplica a Riccardo II, affinchè vietasse a certi ignoranti di rappresentar le storie del Vecchio Testamento in pregiudizio del Cleroa.
Senza contrasto dal principio del secolo XIV furono in Alemagna alcune rappresentazioni sacre. Varie cronache addotte dal Menkenio b recano che Federigo margravio di Misnia, e langravio di Turingia assistette a una rappresentazione delle dieci Vergini del Vangelo eseguita pubblicamente in un giuoco piacevole da’ preti della città di Eisenach nel 1322 quindici giorni dopo Pasqua destinata al pubblico divertimentoa.