CONCHIUSIONE
Dell’antica storia teatrale.
Tale fu del mondo conosciuto l’antico stato degli spettacoli teatrali. L’utile curiosità congiunta al bisogno che si ha di esempli che riscaldino ed alimentino il genio, ne renderà sempre accetta la narrazione con gusto e con giudizio particolareggiata, la quale per gradi e con sicurezza ammaestra, e la preferirà a certi rapidi abbozzi poetici, pe’ quali si vanno scegliendo i colori più vivaci in detrimento della verità istorica, ed a capriccio vi si compartono le ombre ed i lumi, e dipignesi d’idea e di maniera per illudere l’occhio e far pompa di eloquenza. Eccone intanto i principali lineamenti raccolti in un sol quadro somministrati dalla storia verace che nulla vela nel suo corso con maligna reticenza.
L’uomo da pertutto imitatore da pertutto osserva e contraffà i suoi simili per natural pendio e per proprio giocondo trattenimento. I Selvaggi di Ulietea, anzi di ogni contrada e di ogni tempo, non oltrepassando i balli e i pantomimi accompagnati dal canto, danno a divedere al filosofo investigatore in qual distanza dalla coltura essi trovinsi. Con più regolate e più magnifiche danze e canzoni i Messicani, quel di Chiapa e di Tlascala mostransi più prossimi ad emergere dalle ombre, perchè non lontani dal rinvenir l’arte del dramma, indizio sempre di qualche coltura. Cinesi, Tunkinesi, Giapponesi, Giavani, culti senza raffinamento, artieri senza delicatezza, naviganti senza coraggio, filosofi quanto basta per distinguersi da’ barbari, imitano le umane vicissitudini senza sceverar ne’ loro drammi gli evenimenti ridicoli da’ compassionevoli. Più filosofi quei di Cusco giunsero a separar le azioni domestiche e le pastorali dalle guerriere ed eroiche. Tutti poi, senza che gli uni sapessero degli altri, i popoli sotto la linea o nelle opposte zone nell’incaminarsi alla coltura s’imbattono nella drammatica, la coltivano colle medesime idee generali, favoleggiano da prima in versi, ed hanno sacre rappresentazioni, e passano indi a ritrarre la vita civile, ad eccitar ne’ grandi delitti l’orrore e la compassione, a schernire e mordere i vizii de’ privati, e ad esser dalla legge richiamati a temperar l’amarezza della satira; dal che proviene la bella varietà e delicatezza delle nuove favole nate a dilettare ed istruire.
Fu la Grecia, fu Atene ne’ suoi dì luminosi che passando per tutte le solite fasi della drammatica ne fissò l’arte e la forma. Fu Eschilo che oscurando i predecessori Epigene e Tespi e Frinico, divenne il padre della tragedia, ed additò il sentiero a chi dovea su di lui stesso elevarsi. Grande robusto eroico pieno di brio e di fierezza, apparve talvolta turgido impetuoso oscuro, e nonpertanto a traverso di tanti secoli e delle vicende de’ regni, è pervenuto alla posterità che l’ammira nel Prometeo, ne’ Persi, ne’ Sette a Tebe. Sofocle su di lui si forma, rende il proprio stile più grave, più maestoso, più sublime, aggiugne alla scena tragica vivacità, decenza, verità e splendidezza, diviene modello a’ posteri più colti con Edipo, Antigone, Elettra, Filottete. Dove siffatti atleti coglievano palme sì invidiabili, si presenta Euripide, ed occupa il raro intatto pregio di parlare al cuore avvivando col più vigoroso colorito tutte le interne mozioni che alla compassione appartengono. L’eloquenza la gravità e la copia delle sentenze filosofiche caratterizzano lo stile di Euripide. Qualche negligenza nell’economia scenica, certo pendio ad apparire eloquente, manifesta che mentre attendeva a colorir con vivacità la natura, non lasciava di consigliarsi coll’arte. Ma le Ifigenie, Alcestide, le Trojane, Ippolito, Medea, s’imitano sempre e non si oscurano mai.
Questi tre rari ingegni spiegavano tutta la loro energia nel delineare con maestria singolare le umane passioni, nel dipignere con verità e naturalezza i costumi, nel trionfare per una inimitabile semplicità di azione, sapendosi per tutto ciò egregiamente prevalere della più poetica e più armoniosa delle favelle antiche e moderne, e adoperando quasi sempre una molla per la loro nazione efficacissima, cioè la forza del fato e l’infallibilità degli oracoli consacrati dalla religione. Posero essi in quel clima la meta alla gloria tragica che spirò pur con essi, ancor prima che la Grecia divenisse schiava.
Fu intanto il Siciliano Epicarmo filosofo pitagorico che diede forma alla commedia, e ne fu chiamato il principe. Frinico, Alceo, Cratino, Eupolide ed Aristofane la perfezionarono e la rendettero più caustica. La natura del governo Ateniese ispirò a siffatti Greci l’ardita commedia Antica allegorica. La poesia di Aristofane da non paragonarsi punto con chi maneggiò un’ altra specie di commediaa, e degna degli applausi di una libera fiorente democrazia appunto perchè osò intrepidamente d’innoltrarsi nel politico gabinetto, e convertir la scena comica in consiglio di stato, nulla ha di rassomigliante nè alla Nuova de’ Latini nè alla moderna commedia. Le Cereali, le Nuvole, il Pluto, la Pace leggonsi oggi ancora con ammirazione, ed incantarono un popolo principe. Di buona fede siamo noi sicuri che a’ di di Aristofane sarebbero state accolte con pari effetto da que’ repubblicani baldanzosi e pieni sotanto della loro potenza e libertà finanche le greche favole, la Perintia, l’Andria, non che le straniere posteriori, l’Euclione, l’Eunuco, gli Adelfi, il Misantropo?
Alesside illustrò la commedia Mezzana colla grazia e colla vivacità della satira senza appressarsi alla soverchia mordacità di Aristofane. Non fu tragico Anassandride, come lo reputò lo spagnuolo Andres nel parlar rapidamente di ogni letteratura, ma comico della commedia mezzana secondo Ateneo, ed in essa, e non nel teatro tragico, introdusse le deflorazioni e le avventure amorose. Egli ne fu anche la vittima; nella stessa guisa che Eupolide era stato sacrificato nell’antica al risentimento de’ potenti.
Per questi gradi passando la Grecia pervenne ad inventare la Nuova commedia sorgente della Latina e dell’Italiana del secolo XVI. Domata la greca ferocia col timore delle potenze straniere, si avvezzò ad una commedia più discreta, più delicata, la quale si circoscrisse a dilettare con ritratti generali mascherati di modo che lo stesso vizioso deriso, senza riconoscersi nel ritratto, rideva del proprio difetto. Dopo il Cocalo ed il Pluto di Aristofane, e le favole de i di lui figliuoli vennero ad illustrar questo genere gli Apollodori, i Filemoni, Difilo, Demofilo, e più di ogni altro Menandro che divenne la delizia de’ filosofi. E chi poteva dopo di lui calzar degnamente il greco borzacchino? Cadde nella Grecia stessa la sua bella commedia per rinascere indi nel Lazio mercè dell’ingegno di un Affricano.