(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome II « CONTINUAZIONE DEL TEATRO GRECO E DEL LIBRO I — CAPO XVII ultimo. Teatro Materiale, ove de’ più rinomati Teatri, e della condizione degli Attori Greci. » pp. 213-238
/ 1560
(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome II « CONTINUAZIONE DEL TEATRO GRECO E DEL LIBRO I — CAPO XVII ultimo. Teatro Materiale, ove de’ più rinomati Teatri, e della condizione degli Attori Greci. » pp. 213-238

CAPO XVII ultimo.

Teatro Materiale, ove de’ più rinomati Teatri, e della condizione degli Attori Greci.

Poichè sul teatro Greco οιδικῶ, formale, preso come spettacolo abbiamo in grazia della gioventù ragionato a sufficienza, non increscerà per diletto ed erudizione, quando per altro non fosse, formarsi di esso una meno confusa idea, considerandone la struttura ιλικην, materiale.

Copiose ricerche intorno al teatro materiale degli antichi trova nsi sparse nelle opere degli eruditia. Tuttavolta recheremo quì alcune delle notizie più curiose e necessarie all’intelligenza degli scrittori.

Riguardando all’origine degli spettacoli, il nome di Teatro che da τεαομαι, intueor, ebbe l’edifizio ove si rappresentavano, e che da Cassiodoro nell’epistola scritta dal re Teodorico a Simmaco (lib. IV, ep. 51 Variarum) fu tradotto Visorium, è più moderno di quello di Scena che si diede al luogo delle prime rappresentazioni. È noto che scena deriva da Σκεας umbra, per quell’ombra che formavano i rami e le fronde soprapposte ai tabernacoli, o alle tende fatte di tela, di lana, o di pelli per difendere gli attori dal Sole e dalle piogge prima che essi fossero ammessi a rappresentare in città. I noti carri di Tespi menati d’uno in altro luogo dovettero essere una specie di tenda portatile che prontamente si rassettava alle occorrenze ad imitazione del primo semplice apparato campestre.

Passato lo spettacolo tragico in Atene a’ tempi di Frinico e de’ suoi coetanei, si eresse estemporaneamente nelle grandi piazze un tavolato con scene formate degli alberi; nè si pensò a migliorarle se non dopo che in tempo del tragico Pratina quelle male accozzate tavole cedendo al peso, forse con danno degli attori e spettatori, convenne inalzare un edifizio più solido. Agatarco celebre architetto da noi altrove mentovato, colla direzione di Eschiloa, costruì in Atene il primo teatro. Un altro più famoso tutto di marmo dedicato a Bacco se ne alzò dal chiaro architetto Filone 330 anni prima dell’era Cristiana, del quale insino ad oggi veggonsi gli avanzia. Vastissimo secondo Pausania fu il teatro edificato dagli Arcadi in Megalopoli. Policleto ne architettò uno in Epidauro, che sorpassò in vaghezza e in proporzione gli altri teatri Greci. Delo presenta a’ nostri giorni ancora nel pendio di una collina a cui si appoggia, e intorno a trecento passi lontano dal mare, che riguarda la punta del gran Rematiari, qualche reliquia di un bel teatro di marmo, il cui diametro preso con tutta la profondità degli scaglioni, è di 250 piedi, e la periferia di 500b. Oggi pure si osserva in Samo lo spazio che occupava il suo teatro, i cui marmi si trasportarono per edificarne Coraa. Uno de’ più magnifici teatri di marmo dell’Asia Minore era quello di Smirne, il quale probabilmente fu il luogo dove bruciarono vivo san Policarpo primo vescovo di quella città in età di anni 96 sotto Marco Aurelio o Antonino Pio. I Turchi hanno interamente demolito questo teatro, e de’ marmi ritrattine costruito un bellissimo Basar o Bezestein, ossia mercato, e un gran Caravanserai, ovvero alloggio per le Caravaneb. Perinto città della Tracia poscia conosciuta sotto il nome di Eraclea in modo a Bizanzio vicina che si reputarono entrambe come una città sola, a’ tempi di Filippo il Macedone ebbe un teatro di marmo di tale magnificenza che passava per una delle maraviglie del mondo. Argo, Tebe, Corinto, Creta, ed altre illustri città Greche vantarono famosi teatri.

Considerando, come praticammo nel teatro formale, la Sicilia come diramazione della nazione Greca, si vogliono quì rammemorare le reliquie de’ teatri di quell’ isola. Pregevoli singolarmente si reputano i ruderi esistenti del teatro di Siracusa chiamato massimo da Cicerone contra Verre, cui a giudizio di Diodoro Siculo cedeva anche il teatro di Agira sua patria, che egli appellò il più bello della Siciliaa. Leandro Alberti vide nel sito, ove era Acradina e Tica, alcuni pochi rottami di tal superbo teatro tagliato nel sassob. Il Conte della Torre Cesare Gaetani ne distingue con esattezza maggiore le parti che ne sopravvanzano ed il sito. Vedevasi (dicec) posto in parte eminente, donde si scoprivano le città di Napoli, Ortigia ed Acradina bassa, i due porti, i fiumi, i sonti, i laghi, le campagne adjacenti, ed era lavorato e incavato nel macigno naturale. Di figura semicircolare arriva il suo diametro a 40 canne siciliane, e dagli avanzi chiaramente si scorge che era diviso in tre ordini tagliati da otto cunei equidistanti. Nè della scena nè delle colonne e de’ fregi che l’adornavano, rimane alcun vestigio. Merita tra le reliquie di questo teatro particolare attenzione il più basso scalino della gradinata di mezzo. Vi si erano osservate queste lettere greche ΚΛΕΟΣ - ΠΑΤ - ΦΡΟΝ, logore e guaste in modo che non si curarono mai. Riescì al lodato Conte Gaetani nel 1756 di scoprire nella parte opposta in faccia al levante quest’altre lettere belle ed intere ΒΑΣΙΛΙΣΣΑΣ ΦΙΛΙΣΤΙΔΟΣ, Reginae Philistidis , che non improbabilmente potrebbe credersi una regina che dominò in Siracusa al cui tempo forse potè edificarsi il teatroa. L’esistenza di tal regina de’ Siracusani si compruova con un gran numero di medaglie registrate nell’edizioni della Sicilia Numismatica fatte dall’Agostino, dal Mayer, dall’ Avercampio. Il Gaetani molte ne vide di argento, e qualcheduna di rame. Il Torremuzzab altre ne reca tutte di argento, che rappresentano Filistide in varie età, giovanetta, matura, vicino alla vecchiaja, vecchia affatto e rugosa.

Oltre de’ teatri di Siracusa e di Agira, abbiamo con qualche particolarità rammentato altrovec quelli di Palermo, di Agrigento, di Catania, di Messina, di Segesta, di Taormina.

Similmente degni sono di rammentarsi i teatri di Taranto, di Crotone, di Reggio, e di altre città della Magna Grecia. Memorabili sopra tutti sono gli antichi teatri di Capua, di Nola di Pozzuoli, di Minturno, di Pesto, di Pompei, di Ercolano, di Napoli. Si è pure nella nostra citata opera della Coltura delle Sicilie fatta parola del teatro di Venosa sacro ad Imeneo secondo l’Antonini, di quello de’ Marsi in Alba Fucense, e di quelli di Baja, di Alife e di Sessa.

Vuolsi dagli eruditi Lancianesi che in Ansano, oggi Lanciano, si eresse un teatro su di un colle all’occidente in un trivio non lontano dal tempio di Apollo, che poi verso il 1227 si convertì in una chiesa dedicata a Maria Vergine sotto il titolo dell’Assunta. Essi ci attestano che in una orazione di mons. Sebastiano Rinaldi, e nelle opere inedite di Giacomo Fella e di Pietro Polidoro se ne fa menzione; aggiungendo che anche nel secolo XVI n’esistevano varii rottami. Tralle ruine di un tempio dedicato, come si crede a Bacco, il medesimo Polidoro assicura di aver trovata la seguente iscrizione:

Q. Aurelius Mitranus C.F.P.N.

Porticum restituit Gradus fecit.

la qual lapida verisimilmente appartenne ad Ansano.

Sparta medesima, l’austera Sparta, ebbe un teatro assai magnifico, della cui bellezza favellano Pausania e Plutarco nella Vita di Agesilao. In fattinulla parmi che si possa aggiungere a ciò che adduce m. Guillet aper confutare l’errore del Cragio, il quale ha creduto che gli Spartani mancassero di spettacoli scenici, ed ha indotti nel medesimo errore altri scrittori nè volgari. Quel teatro i cui vecchi fondamenti si additano presso la tomba di Pausania vincitore de’ Persiani nella battaglia di Platea, era veramente fatto per gli esercizii ginnici; ma vi si facevano anche pubbliche rappresentazioni delle ridicole farse de’ nominati Dicelisti spezialmente al secondo giorno delle feste Giacintie, che celebravansi ogni anno nel mese di agosto in Laconia ad onor di Apollo e del fanciullo Giacinto da lui amato e per disgrazia ucciso. In Suida troviamo ancora che il gramatico Sosibio Spartano compose un trattato sul genere di commedia usato dalla sua nazione. Cornelio Nipote nel proemio del suo libro degli Uomini insigni riferisce una cosa assai più notabile, cioè che in Isparta ogni vedova quanto si voglia nobile compariva sulle scene prezzolata. Il dotto marchese Maffei nel trattato scritto contro le stravaganze del p. Concina si maraviglia di ciò che asserì Cornelio, non parendogli probabile che Plutarco nel parlare degl’Istituti Laconici avesse tralasciata tale particolarità se fosse stata vera. Ma poteva bene esser vera dopo che si rallentò quel rigore degli statuti di Licurgo, il quale non permise agli Spartani di essere nè anche spettatori delle rappresentazioni sceniche. Certo è che a poco a poco s’introdusse in Isparta una riforma delle cose stabilite da quel severo legislatore. Certo è pure che dopo dell’introduzione del denajo fattovi da Lisandro, insensibilmente gli Spartani e le loro donne in particolare si avvezzarono al lusso e a’ piaceri del resto della Grecia. Cornelio Nipote afferma con tal franchezza il fatto riferito, scevro di ogni timore di essere smentito da’ contemporanei, che sembra escludere ogni sospetto suscitato dal Maffei di essersi lasciato ingannare da qualche falsa relazione. Da questo medesimo fatto possiamo eziandio rilevare che le rappresentazioni Spartane altro non fossero che burlette o mimi; non essendovi esempio in Grecia che le donne rappresentassero nelle tragedie e commedie. Le parti femminili, come bene osserva il medesimo Maffei, si rappresentavano solamente dagli uomini; e viene ciò con ispezialità assicurato da Platone, cui rincresceva appunto che gli uomini comparissero sulla scena da donnea Plutarco nella Vita di Focione racconta ancora di un tragedo che nell’uscire sul pulpito richiese una maschera degna di una regina e un corteggio proporzionato. E nella Vita di Silla mentova pure un certo Metrobio attore Lisiodo cioè che rappresentava parti di donne, a differenza de’ Magodi che rappresentavano quelle dell’uno e dell’altro sesso. È notissimo poi il passo di Aulo Gelliob intorno all’attore Polo, il quale sostenendo la parte di Elettra nella tragedia di Sofocle, in vece delle ceneri di Oreste pose nell’urna quelle di un suo figliuolo, ed espresse vivamente il proprio dolore in quello di Elettra. Quanto poi alla condizione nobile delle Spartane che rappresentavano per prezzo, non è da stupirsene; e Cornelio l’adduce appunto per uno degli esempj nella diversità de’ costumi de’ Greci e de’ Romani. La musica era uno de’ pregi di Epaminonda e di altri uomini grandi della Grecia, e la declamazione teatrale vi si esercitava come nobile e degna di ogni distinto personaggio. Quasi tutti i poeti scenici erano attori, quando non gli teneva lentani dal rappresentare l’età, o alcun difetto personale o la mancanza della voce, come avvenne a Sofocle. Frinico era rappresentatore e fu, come vedemmo, creato capitano dagli Ateniesi in grazia de’ suoi versi che mostravano la di lui perizia nelle çose belliche. Eschilo musico attore e saltatore non meno che poeta, era uno de’ valorosi capitani del suo tempo, e sotto di lui godeva la pubblica stima il saltatore Teleste che si segnalò nella rappresentazione de’ Sette a Tebe. Si è già riferito a qual segno godesse il favore del re Archelao e dell’amicizia di Socrate il celebre Euripide. L’attore Cefisonte che recitava nelle di lui tragedie, era rispettato in Atene e sommamente caro allo stesso tragico, nei cui drammi correva romore di avere anche lavorato alcun poco come scrittore. Si è veduto similmente quanto fosse pregiato e rispettato Egemone parodo. Eschine celebre oratore fu prima attore teatrale, e si distinse nel rappresentare il personaggio di Enomao, benchè non facesse che le terze parti, siccome gli fu rimproverato dal suo gran competitore Demostene nell’aringa per la Corona. Aristodemo ambasciadore al re Filippo, e Neottolemo tanto da questo principe favorito erano poeti ed attori sommamente stimati in Atene, î quali mirabilmente influivano nelle politiche deliberazioni, e attraversarono le mire di Demostene. Neottolemo stabilito in Macedonia, mentre Filippo si accingeva alla spedizione meditata contro la Persia, e celebrava le nozze di Cleopatra di lui figliuola con Alessandro re de’ Molossi, rappresentò un suo componimento intitolato Cinira, di cui Diodoro Siculo ci ha conservato un frammento notabile, tradotto o imitato dal chiarissimo Cesarottia E per finirla in grande stima era Satiro celebre attore al quale secondo il racconto di Plutarco dovè Demostene tutto il vantaggio che ricavò dalle sue aringhe, avendo da lui appreso ad animarle con azione vivace e con tuono decente e alle cose accomodato. Ma veniamo alla struttura del teatro Greco.

La sua figura era rettangola dalla parte che serviva alla rappresentazione, e circolare da quella dell’uditorio. Della prima porzione il luogo più elevato e visibilè e quasi la fronte dell’edifizio, era la Scena, la quale veniva coperta da un tetto, e presentava agli spettatori tre porte, delle quali quella del mezzo dicevasi Βασιλειον, reale, e l’una e l’altra de’ lati Ξενοδοκειον, ospitale a Questa scena, a seconda de i drammi che vi si esponevano, diveniva tragica mostrando statue colonne e ornati nobili, comica imitando piazze e finestre di edifizii particolari, e satirica presentando rupi caverne boscaglie. Le decorazioni accennate proprie di ciascun genere comparivano al bisogno per mezzo di macchine, le quali secondo Serviob cangiavano l’aspetto della scena o col volgere velocemente i tavolati o col ritirarli per togliere dalla vista una dipintura e farne comparire un’altra. Nell’alto della scena era ancor situata la macchina versatile, dalla quale Giove lanciava i suoi fulmini, come dinota la voce Κεραυνοσκοπειον che le diederoc Dietro della scena era il Βροντειον, il luogo, in cui con otri ripieni di selci che si agitavano, imitavasi lo strepito de’ tuoni. Anche al di dietro era il Coragio che oggi si direbbe la guardarobe del coro, serbandovisi quanto faceva d’uopo alla rappresentazione. Il luogo spazioso e libero posto innanzi alle porte della scena, secondo Isidoro e Diomede, chiamavasi Proscenio, nel cui mezzo benchè alquanto più basso alzavasi il Pulpito che dicevasi Λογειον, dove recitavano gli attori tragici e comici e i planipedi, ovvero mimi che non usavano nè coturni nè socchi. Al di sotto del pulpito e nel bel mezzo del teatro era l’orchestra destinata al canto e ai movimenti compassati del Coro, la quale cosi chiamavasi dal saltare, dal verbo ορχεομαι, salto. Vedevasi in essa un luogo particolare chiamato Θυμελη che secondo Polluce, non era già il pulpito descritto, come scrisse Calliachio, ma sì bene una specie di ara o tribunale che si occupava da’ musici e da’ ballerini.

Un semicircolo col suo diametro comprendeva la parte del teatro occupata dagli spettatori. In essa seguendo la circonferenza si elevava dal basso all’alto una continua scalinata. Veniva questa interrotta da tre piccioli piani formati da scaglioni più spaziosi degli altri, i quali facevano la figura di fasce, e da Vitruvio chiamaronsi Precinzioni a, e da’ Greci διαζωματα. Facevansi in’queste varii aditi, entrate, o porte che dall’introdurre il popolo si dissero da’ Latini Vomitoria, o anche Vomitaria, come scrisse l’immortale Mazzocchi; e a questi aditi si ascendeva per gradi anteriori. Via, itinera, o scalaria dicevansi alcune scalinate più anguste fatte non per sedere ma per montare ai rispettivi ounei. Ogni coppia di queste picciole scalinate conteneva uno spazio, che dall’andarsi sempre ristringendo nel calar giù presentava la figura di un cuneo e secondo Giusto Lipsioa diede il nome agli spartimenti de’ sedili assegnati ai diversi ceti degli spettatori. Tutti gli spartimenti erano di modo separati, che gli apici degli angoli de’ gradini sarebbero stati toccati da una retta tirata dal primo dell’ima all’ultimo scalino della summa cavea; cosa secondo l’anzilodato architetto latino ben necessaria in un edifizio teatrale, affinchè la voce possa diffondersi senza impedimento. Osserva ancora Vitruvio non essersi senza molto senno per la scalinata da’ Greci architetti scelta la figura circolare, ed averne gradatamente innalzati e ingranditi i cerchi a misura che si allontanavano dal centro. Secondarono così la naturale espansione del suono, il quale, non come l’acqua percossa forma de’ circoli concentrici in una superficie piana, ma bensì gli forma nel mezzo dell’aria in tutti i sensi come in una superficie di una sfera, il cui centro è il corpo sonoro. A render poi sempre più chiare e soavi le voci degli attori, immaginarono i Greci certi vasi di bronzo chiamati echei artificiosamente lavorati e collocati in alcune cellette sotto gli scaglioni. Erano essi fra loro accordati con musica ragione in guisa che scossi dalla voce la rimandavano più sonora e modulata. Si collocavano a tal fine in un luogo voto rivolti verso la scena e sostenuti da cunei ad essi sottoposti perchè non toccassero le pareti. L’ultima gran curva della scalinata terminava in un portico che pareggiava l’altezza della scena ed era anche coperto da un tetto, rimanendo il resto allo scoperto. Formavano ancora una parte del teatro alcuni grandi portici edificati dopo la scena, i quali servivano al popolo per ricoverarsi quando le piogge dirotte interrompevano la rappresentazione. Adjacenti al teatro facevansi pure spaziosi passeggi, ne’ quali il popolo trattenevasi attendendo l’ora prefissa allo spettacolo.

Marmi, bronzi, statue, colonne ed altre preziose reliquie di tanti teatri Greci, a dispetto degli anni che gli abbatterono, ne manifestano la solidità e la magnificenza. Non è da stupirsene. Gli spettacoli come scuole di destrezza, di valore e d’ingegno formavano una delle cure predilette de’ Greci, e tralle prime di queste cure erano i teatrali. Se ne occupavano perciò con tutta l’accuratezza i Temistocli e i Pericli per cattarsi la benevolenza popolare. Il Demarca principal magistrato Ateniese prendeva a suo carico lo spettacolo; e reputavasi impiego così onorifico che Adriano stesso poscia imperadore ne fu decorato. Due splendidi campi di onore aperse agl’ingegni la Grecia, l’uno ne’ giuochi Olimpici e l’altro in Atene; e nell’uno e nell’altro si gareggiava per la palma drammatica. Quale ardore destar non doveva ne’ generosì scrittori un’ adunanza composta di quanto avea di più cospicuo la dotta Grecia destinata ad assistere al certame e pronta a coronare il vincitore! Questa onorata fiamma di gloria, questa bella utile contesa così chiamata da Esiodo perchè nulla avea di quella bassa malignità che tormenta gl’invidi impostori e gli stimola a perseguitare il merito innocente; questa, dico, regnava singolarmente in Atene. Quivi colloco il suo luminoso trono la gloria drammatica; e le sceniche contese accadute in sì celebre città vinsero di gran lunga di fama le stesse gare Olimpiche. Nelle più sodenni feste di Minerva dette Panatenee e di Bacco dette Dionisie famose pel gran concorso de’ Greci aveano luogo gli spettacoli scenici. Colui che adessi presedeva, riceveva un presente o sussidio considerabile che esauriva L’erario pubblico, e pure non bastava alle spese necessarie. Ne’ Baccanali quando, si esponevano a gara le nuove tragedie, preparavansi al popolo in teatro un gran rinfresco di vivande e di licori, e si facevano correve da più parti fontane di vinoa Ebbero anco gli Ateniesi alcune leggi intorno al danajo degli spettacoli. Il popolo che vi accorreva con estrema avidità, soleva azzuffarsi e spargere del sangue per avervi luogo. Or per moderare alquanto sì pericoloso concorso, si emanò una legge che niuno potesse sedervi, se non pagava un picciolo prezzo fisso a favore de’ fabbricatori del teatro, perchè si rimborsassero della spesa. I poveri per questa legge rimanevano esclusi e i ricchi pagando per gli poveri approfittavansi di tale occasione per comperarne i voti ed il favore. Pericle in grazia della plebe decretò che certo denaro pubblico riserbato per le occorrenze di qualche invasione straniera, si desse a’ cittadini in tempo di pace per abilitarli ad assistere agli spettacoli; ed è questo il danajo chiamato τό θεωρικὸν o sia degli spettacoli. Sul cominciar della guerra di Olinto volle Apollodoro fare un decreto che questo danajo ritornasse all’uso antico; ma egli fu per ciò accusato e punito con grossa pena pecuniaria. Laonde Eubulo cittadino potente e adulatore del popolo promulgò una strana legge, cioè che chiunque proponesse di trasportare ad uso di guerra il danajo teatrale, fosse reo di mortea Incredibili erano per conseguenza di tanto ardore e di tanta avidità per gli spettacoli, gli applausi le ricchezze, le corone e gli onori che a piena mano versavano gli Ateniesi sui poeti che n’erano l’anima e su gli attori che n’erano gli organi.

Qual magnificenza qual concorso qual lusso quali profusioni per un semplice divertimento di una repubblica sì picciola in confronto di tanti poderosi stati moderni arricchiti dalle miniere Americane, ne’ quali sono pure cosi meschini e spregevoli i teatri! Ma quella Atene che con tale ardore correva al teatro e fuggiva gli accampamenti, che profondeva in quello tanti tesori, e negavagli ai patriotici progetti di Demostene, si corruppea, rovinò per questo appunto, divenne schiava e poi barbara. Se il divertimento non occupa solo una picciola porzione del tempo lasciando il rimanente agli affari: se il piacere prende il luogo del dovere; la nazione è perduta. Non pertanto dove i costumi mancano di una pubblica scuola teatrale che ammaestri il popolo sotto gli occhi di un provvido governo: dove il teatro in cambio di essere scuola fomenta le laidezze le goffaggini le assurdità le bassezze i pregiudizii, e resta abbandonato dalla gente colta e di gusto: dove la poesia drammatica si trascura, si pospone alle farse informi, e si avvilisce per le declamazioni degl’imperiti, de’ pedanti orgogliosi e raggiratori, o de’ filosofi e matematici immaginarii: dove in somma si cade nell’eccesso contrario delle repubbliche Greche; ognuno vede che in un popolo così guasto si chiudono le cattedre di educazione e di morale che sono le ausiliatrici della legislazione. I selvaggi ignorano gli spettacoli scenici: i barbari vanno a ridere in un teatro rozzo e goffo, e ne tornano quali vi entrarono; i soli popoli illuminati, consacrando sempre le prime cure ai doveri, sanno promuovere la poesia rappresentativa e cangiarla (senza escluderne la parte che diletta) in un morale e politico sostegno. Io auguro ad ogni nazione questa bell’ epoca teatrale.