(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome II « CONTINUAZIONE DEL TEATRO GRECO E DEL LIBRO I — CAPO XIII. Commedia Mezzana. » pp. 141-150
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(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome II « CONTINUAZIONE DEL TEATRO GRECO E DEL LIBRO I — CAPO XIII. Commedia Mezzana. » pp. 141-150

CAPO XIII.

Commedia Mezzana.

Alterossi indi in Atene il Governo, e nell’oligarchia cangiò la commedia di portamento. Que’ pochi cittadini, tra’ quali tutta si concentrò la pubblica autorità, posero freno alla licenza di tal dramma, e più non soffrirono di essere impunitamente sulla scena nominati e motteggiati. Eupoli che fiorì nell’olimpiade LXXXVIII, fu la vittima della loro potenza, essendo stato gettato in mare, secondo che ci attesta Platone, per ordine di Alcibiade allora prefetto della flotta Ateniesea. E quantunque da alcuni si pretenda che dopo quel tempo Eupoli avesse altre favole composte, e che egli non morisse in mare ma in Egina; pure è sempre certo, che per un editto de’ Quattrocento sotto Alcibiadeb, o de’ Trenta Tiranni nell’olimpiade XCIII o XCIVc, non si potè più nominare in teatro verun personaggio vivente; e così cessò la commedia greca chiamata antica.

Da questo editto nacque la Mezzana. I poeti doveano obedire, ma volevano conservar la satira. Cercando adunque di conseguir coll’industria L’effetto stesso che produceva il nominare i cittadini, gli dipinsero sotto finti nomi con tale artificio che il popolo non s’ingannava nell’indovinarli, e con diletto maggiore gli ravvisava. In questa specie di commedia per la legge divenuta più ingegnosa e dilettevole, il Coro, nel quale più che in altra parte soleva senza ritegni spaziare l’acerbità e l’acrimonia, fu tuttavia satirico e pungente. Ma non tollerando il Governo di veder delusa la sua speranza di correggere la mordacità de’ poeti, vietò il far uso in qualunque modo di soggetti veri, ed impose silenzio al Coro incapace di cambiar naturaa. Ciò che soltanto venne permesso ai comici, fu di mordere i detti e gli scritti di altri poeti trapassati, e di riderne senza che loro s’impulasse a delitto, e senza soggiacere a pena verunaa.

Platone poeta comico contemporaneo di Aristofane è tenuto pel primo tra quelli che si distinsero nella commedia mezzana. Compose intorno a trenta commedie, delle quali a noi sono soltanto pervenuti pochi frammenti.

Assai di lui più chiaro in tal commedia fu Alesside di Turio zio o patrocinatore di Menandro, potendosi interpretare dell’una e dell’altra guisa la voce πατρος presso Suida. Meursio raccolse delle favole di Alesside intorno a centotredici titoli, che però ne scrisse dugentoquarantacinque, i cui frammenti leggonsi sparsi nelle opere di Ateneo, Polluce, Stobeo, Laerzio ed Aulo Gellio, e raccolti nelle compilazioni dello Stefano, del Morello, dell’Ertelio e del Grozio. La grazia e la vivacità della di lui satira non veniva amareggiata dalla soverchia malignità come in Aristofane. Pungeva vagamente co’ motteggi gli uomini in generale ed alcuni ceti come le scuole Pitagoriche, e spiccava nelle dipinture naturali de’ costumi e delle nazioni. Ciò rilevasi da’ frammenti che se ne sono conservati, de’ quali alcuni ne riferii con mia traduzione nel tomo I delle Vicende della Coltura delle Sicilie. Nelle Cene di Ateneo leggesi un bel passo di Alesside, in cui si esprime il lusso de’ Sibariti, de’ Siciliani e de’ Tarentini. Un altro ne adduce lo stesso Ateneo della favola Mandragorizomena, ossia lo Stupido per l’uso della soporifera pianta Mandragora. Vi si deridono le contraddizioni de i desiderii umani:

Strana oltremodo a voi la razza umana
Forse non sembra che di opposti voti
Solo si pasce? I forestieri acclama,
E i patriotti poi sprezza e i congiunti;
Fasto e ricchezza in povertade ostenta:
Con scarsa mano o con maligno oggetto,
Spinto da vanità, non da virtude,
I suoi doni dispensa. In quanto al cibo
Nel medesimo dì bianchi i brodetti,
Indi neri gli vuol: se l’acqua è fredda,
Tempesta e grida, poi vuol ber gelato,
E che apprestin la neve a’ servi impone:
Il vin raspante d’avidetto gusto
Co’ primi labbri ei delibar disdegna,
Poi mattamente barbare bevande
Acetose fumose agre putenti,
Birra cervogia e ponce e rac tracanna a
Ah non senza ragion dissero i saggi,
Bello è non esser nato, o tosto almeno
Uscir d’impacci e abbadonar la vita.

Sozione Alessandrino ne reca un altro pur trascritto da Ateneo della favola Ασωτιδασκαλος, ossia Magister Lussuriae, che può in certo modo equivalere al Mechant del Gresset e all’Homme dangereux del Palissot? Eccone la nostra traduzione:

Non lasci tu di rompermi la testa
Col nominar sì spesso Odeo, Liceo,
Congressi di Termopile, e cotali
Filosofiche ciance, ove di bello
Nulla si scerne e d’increscevol molto?
Beviam, torniamo a bere, e infin che lice
Senza noja viviam: d’inutil cure
Non si opprima la mente. Ah non vi è cosa
Più del ventre gioconda. Ei sol ci è padre,
Ei madre, ei tutto. La virtù, il dovere,
Eccelsi gradi, ambascerie, comandi
Di eserciti, vocaboli pomposi,
Vanità, fasto, nulla han di reale,
E dopo un velocissimo romore
Passano, al par de’ sogni, in sen del nulla.
L’ora fatal sopravverrà ben tosto,
E tavvedrai che, del mangiare e bere
Tranne il diletto, nulla al fin rimane.
Cimon, Pericle, Codro oggi son polve.

Secondo Plutarco l’eccellente comico Alesside finì di vivere sulla scena in mezzo agli applausi essendo stato coronato per una delle sue favole. Stefano di lui figliuolo, secondo Suida, seguì le orme del padre coltivando anch’egli con applauso la commedia mezzana, ed Ateneo cita un frammento del di lui Filolacone, ossia fautore degli Spartani.

Appartiene a questa commedia ancora Antifane che fiorì al tempo di Filippo il Macedone, e tralle sue commedie tutle perdute si mentova particolarmente L’Auleto, ovvero il Flautista, in cui per ischerno introdusse Beralo sonatore di flauto inesperto nel suo mestiere, di che vedi Plutarco nella Vita di Demostene.

Fiorirono parimente nella commedia mezzana Sofilo, Sotade, Esippo, Mnesimaco, Filippide, Stratone, Anaspila, Epicrate, ed Anassandride. Nacque quest’ultimo comico in Camira nell’isola di Rodi, e fiorì particolarmente verso l’olimpiade CI. Ma se Eupoli fu la vittima del risentimento del Governo nel tempo della commedia antica, Anassandride lo fu nella mezzana, perchè avendo osato motteggiare del Governo contro i divieti, gli Ateniesi lo condannarono a morir di fame. Suida ci dice che questo comico portò la prima volta sulle scene le avventure amorose e le vergini deflorate, le qu ali cose si rappresentarono con frequenza nella commedia nuova da cui passarono alla latinaa. Si trovano citate dagli antichi venti delle favole di Anassandride, benchè ne avesse composte intorno a sessantacinque, per le quali dieci volte soltanto riportò la corona teatrale. Questo poeta di vantaggiosa statura amico di vestire pomposamente e di cavalcare, fu così altiero, che soffriva con impazienza che le sue favole rimanessero superate nel certame, e tal dispetto ne concepiva che incontinente le lacerava. Dal conoscersene però più delle dieci coronate, sembra verisimile quel che col l’autorità di Camaleone asserisce Ateneo nel libro IX, cioè che non prima che pervenisse alla vecchiaja, avesse cominciato ad aver tanto a sdegno l’esser vinto.