(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome I « LIBRO PRIMO — CAPO III. Teatri Orientali. » pp. 23-39
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(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome I « LIBRO PRIMO — CAPO III. Teatri Orientali. » pp. 23-39

CAPO III.

Teatri Orientali.

I Precedenti fatti principali variamente modificati dalla diversità de’ costumi, de’ tempi e de’ gradi di coltura compongono la storia de’ teatri di tutta la terra. Ma quali sono queste modificazioni? a qual punto di eccellenza essi pervennero? come caddero e dove? quando risorsero? sotto qual cielo acquistarono la forma più perfetta, cioè più dilettevole e più istruttiva? Tutto ciò si deduce agevolmente dalle storie particolari di ogni teatro. Cominciamo dagli Orientali.

Prima che altrove gli spettacoli scenici inventaronsi nel vasto antichissimo imperio della China. Sembra che non interrottamente abbia in essi dominato lo spirito religioso primitivo, da che fino a questi tempi la commedia si considera da alcuni Cinesi come antico rito del patrio culto. In Bantàm che è la capitale dell’isola di Giava, ed è divisa in due grandi parti, delle quali una è abitata da’ Cinesi che le danno il nome, qualunque sacrificio si faccia nelle pubbliche calamità o allegrezze, è costantemente accompagnato da un dramma, il quale si riguarda come rito insieme e festa pubblica. Nel Tunkin si rappresentano ne’ templi azioni teatrali, che formano una parte del culto di que’ popoli verso i loro idolia.

Verun teatro pubblico e fisso non si trova nella China, ma sonovi assai frequenti le rappresentazioni, dovendo formare una parte indispensabile di ogni festa e convito scambievole de’ Mandarinib. Girano perciò continuamente i commedianti Cinesi di casa in casa, innalzano in un attimo i loro teatri portatili, e recitano ne’ cortili o nelle piazze.

Parimente di città in città scorrono nel Giappone alcune compagnie comiche composte quasi interamente di donne schiave di un Archimimo, a conto del quale rappresentano. Donne tali schiave, abjette ed infami si prostituiscono ai nobili Giapponesi, i quali le sprezzano é le incensano, le arricchiscono vive, e soffrono che appena morte vengano strascinate per le vie con una fune al collo, e lasciate insepolte in preda ai cania. Nella stessa abjezione vivono le commedianti della China, avveguachè non manchino ne’ fasti di quella nazione esempli di regnanti, che vinti dai vezzi delle sirene teatrali giunsero al l’eccesso di prenderle per consorti, come fece l’imperadore Kingn che regnò quaranta anni in circa prima del l’era Cristianab.

Ma se la prostituzione, la dissolutezza de’ costumi, e la schiavitù rendono infami i commedianti del l’Oriente, non si lascia di ammirare la loro abilità di rappresentare, e sono in pregio gli attori eccellenti, e sopra tutti si encomiano quei del Tunkinoa. Vedesi ancora comunemente in alcune corti orientali un sovrano rappresentar sulla scena. Nel reame di Firando appartenente al Giappone si è veduto più di una fiata comparire in teatro il re colla real famiglia, e co’ suoi ministri politici e militarib. Ed è tale l’esattezza che si esige nel l’imitazione de’ caratteri, ovvero il timore di avvilirsi rappresentando una parte inferiore, che ciascuno sostiene nella favola il medesimo carattere, che lo distingue nello stato. Il re rappresenta da re, i suoi nipoti o figliuoli da principi, da capitani o consiglieri i veri consiglieri o capitani, da servi i servi. Quindi è che, siasene qualunque la cagione, essi in tal modo avvivano la finzione co’ veri colori del costume, che ne risulta la tanto desiderata incantatrice illusione che tiene sospesi ed attaccati alla favola gli ascoltatori.

I Cinesi non distruggono questa bella imitazione colle maschere sempre nemiche della vera rappresentazione. Essi le usano soltanto ne’ balli come i Francesi, e ne’ travestimenti di ladro. Gl’interlocutori delle favole Cinesi sogliono essere otto o nove; ma i commedianti non sono più di quattro o cinque, e ciascuno di loro rappresenta due o tre parti. Ed affinchè lo spettatore non confonda i varii personaggi che sostiene, lo stesso attore, nel presentarsi in teatro, dice alla bella prima il nome che porta in quella scena. Ecco come si dà a conoscere il protagonista del dramma intitolato Tchao-Chi-Cu-Ell, o sia l’Orfano della famiglia Tchao, tradotto dal p. Prèmare e tratto da una collezione di un centinajo di drammi scritti nella dinastìa di Yuen: «Io sono Tching-poei, mio padre naturale è Tun-gan-cu; io soglio la mattina esercitarmi nelle armi, e la sera nelle lettere; ora vengo dal campo per veder mio padre naturale.»

Non si conosce nella China, nel Tunkino e nel Giappone la divisione Europea delle favole teatrali tragiche e comiche. Si cerca solo di copiare in un dramma le azioni umane col sine d’insinuar la morale, e vi si adopera indistintamente il ridicolo e il terore. I casi più terribili, le riflessioni più sagge, le circostanze più serie, le situazioni più patetiche, rare volte vengono scompagnate da bassezze e motteggi buffoneschi. Ogni favola è divisa in più atti senza numero determinato, e il primo di essi, che equivale a un prologo, chiamasi Sie-Tse, e tutti gli altri Tche.

Quanto alla musica trovasi da tempo remotissimo nella China introdotta, essendo stata inventata da Hoang-ty, e coltivata dallo stesso Fo-hi inventore del Kin dolcissimo stromento di trentasei corde, o, secondo altri, di ventisette. In sì vasto impero essa avea luogo iu tutte le occasioni più sollenni. Se Pitagora co’ suoi discepoli disponeasi alla contemplazione e al l’esercizio colla musiea, anche Chun uno de’ più celebri imperadori Cinesi, che secondo gli storici della nazione regnava intorno a 22771 anni prima del l’era Cristiana, col suono del Kin si accingeva a trattar gli affari del l’impero. E perchè ogni dinastia ebbe una musica particolare, quella di Chun si chiamò Chao-yo e si usava principalmente ne’ sacrifizj, e nella venuta di ambasciadori stranieri. Nel primo e nell’ultimo giorno del l’anno, quando l’imperadore presedeva al l’amministrazione della giustizia, si eseguiva una musiea chiamata Tchoung-hochan-yo, cioè che ispira concordia verace. Nel leggerglisi qualche elogio a lui indirizzato usavasi la musica detta Tao-yng, cesitatrice. Festeggiavasi colla musica più solenne la celebre cerimonia o festa di primavera del lavoro della terra fatto pubblicamente dal l’imperadore. I varii strumenti della coltivazione sostenevansi allora de venti musici, ed altri cinquanta rimanevano in guardia degli stendardi di cinque colori. L’imperadore forma col l’aratro un solco, ed è imitato da’ regoli e mandarini, indi monta in sedia per ritornare al real palazzo, ed allora incomincia la gran musica, la quale poi cessa nè si ripiglia se non giunto che egli sia presso a un grande altare nel l’interiore della reggia, e di bel nuovo assiso che sia nella sala del trono. Oltre a ciò vengono dalla musica accompagnate tutte le cerimonie fatte negli appartamenti delle imperatrici. Eseguivasi da prima in tali luoghi la musica da 24 donne sotto la direzione de’ maestri della campana e del tamburo, ma ne furono dopo alcuni anni escluse, e sottentrarono 48 eunuchi, e benchè passati altri venti anni fossero le donne richiamate, al fine sessanta anni dopo si decise che quivi più non si ammettessero se non che musici eunuchi. Si fanno ancora nella China alcuni concerti di musica, e quando si presenta al l’imperadore un libro novellamente impresso, e quando i mandarini d’armi e di lettere si uniscono per gli esami, e quando il capo de’ discendenti di Confucio ed il generale de’ bonzi vengono alla corte, e quando si costruisce qualche nuovo edifizioa.

Ora se tali cerimonie, solennità e affari venivano quivi dalla musica accompagnati, non doveva essa entrare negli spettacoli teatrali? Non solo ha fatto parte del dramma cinese, ma essendo negli ultimi tempi caduta in disistimab (siasi ciò avvenuto per l’introduzione della musica europea fatta in que’ paesi dal l’imperadore Kamhi per mezzo del portoghese Pereira e del p. Pedrini, siasi per qualunque altra cagione) in appresso appena nella sola scena fu da’ nobili tollerata. Ma in qual modo vi ha luogo? Parte del dramma si recita semplicemente, e parte si canta, e quella parte se ne canta, in cui le passioni si trovano nel maggior calore e trasporto. Si annuncia ad un personaggio la notizia di essere stato condannato a morte? medita egli qualche grande impresa? si sdegna? minaccia? si dispera? Tutte queste passioni vivaci si esprimono cantando, il rimanente si recita senza musica.

Il dramma cinese non si spazia in episodii estrinseci al l’azione, perchè tutti prende a rappresentare i fatti rilevanti di una lunga storia. Passano poche scene, in cui non si uccida alcuno. In tre ore di rappresentazione si espongono gli evenimenti di trent’anni. Più. Comparisce fanciulla, amoreggia e si marita una donna, la quale ha da partorire un bambino, che dopo quattro lustri si enuncia come il protagonista della favola. Mancano dunque i Cinesi di arte e di gusto nel dramma che pur seppero inventare sì di buon’ ora; e con tanto agio non mai appresero a scerre dalla serie degli eventi un’ azione verisimile e grande, atta a produrre l’illusione che sola può trasportare gli ascoltatori in un mondo apparente per insegnar loro a ben condursi nel veroa

L’ultima opera del riputato Guglielmo Robertson sulla Conoscenza che gli antichi ebbero del l’India, ci presenta nel l’Appendice la notizia di un altro dramma orientale scritto intoruo a cento anni prima del l’era Cristiana. S’intitola Sacontala, tradotto da Iones in inglese dalla lingua Sanskrit.

Sacontala è una principessa allevata da un Eremita in un boschetto sacro, la quale dovendo andare a nozze nella corte di un re, prende congedo dall’Eremita chiamato Cano, dalle pastorelle sue compagne, ed anche da un arbuscello, da una gazella e da un caprio. V’intervengono la Pastorella, un Coro di ninfe del bosco, Cano e Sacontala. Le Pastorelle indrizzano la porola alle piante del boschetto, mostrano l’assezione ed il rispetto che ha per esse avuto Sacontala, la quale parte per andare al palazzo dello sposo, e si congeda da Cano. Giova trascrivere uno sqarcio del loro dialogo.

«Sac.

Permettete, o Padre, che io consacri questo mudhacu, i cui fiori rosseggianti fanno comparire questi boschi tutti di fuoco»

«Can.

«O figlia già so il tuo affetto per quest’arbuscello»

«Sac.

O cara pianta, di tutte la più risplendente, ricevi i miei amplessi e dammi i tuoi, piegando le tue braccia, lontana ancora io sarò a te divota. O Padre, abbine cura come faresti di me stessa»

Sacontala continua a camminare, indi ripiglia.

«Sac.

Deh Padre mio, poichè questa cara gazella, che ora pel peso che porta nel ventre, cammina con tanta pena, avrà partorito, ti prego di mandarmene il dolce avviso, e di farmi sapere lo stato di sua salute; nol dimenticare»

«Can.

No, mia cara, nol dimenticherò»

«Sac.

Ma chi si attacca alle falde della mia veste e mi trattiene?»

«Can.

E il tuo figlio adottivo, il cavriuolo, che feritosi nella bocca colle acute punte del cusa, venne da te curato stropicciandovi l’olio salutare del l’incudi; non vuole abbandonare la sua liberatrice»

«Sac.

Perchè ti affliggi, o caro, alla mia partenza? Io ti allevai allorchè perdesti la madre poco dopo del tuo nascere, il caro padre che mi ha rilevata, prenderà di te cura nella guisa che io ho fatto, poichè ci faremo separati. Torna indietro, noi partiamo»

E qui Sacontala prorompe in un gran pianto.

Convien confessare che questo innocente, semplice, patetico congedo, desti in chi legge una tenera commozione; e pur d’altro non si tratta che di prender commiato da un cavriuolo. Deh perchè certi autori manierati, svenevoli, non apprendono l’arte di commuovere da simili semplici naturali e delicate espressioni?

Conchiudendo questo capo non vo’ tralasciare di riferire che gli Orientali hanno da gran tempo coltivati i balli pantomimici. Alcuni de’ commedianti cinesi si sono addestrati a rappresentar senza parola seguendo il tempo della cadenza musicale. In tale esercizio segnalansi singolarmente le ballerine di Surate nella penisola Guzurate posta fra l’Indo e il Malabar, chiamate da’ Portoghesi bayladeras. Vengono esse allevate in alcuni collegii e destinate a danzare ne’ pagodi ed a servire ai piaceri de’ Brami. Ma varie compagnie di codeste cortigiane consacrate girano per divertire i ricchi Mori e Gentili sotto la direzione di alcune vecchie. Un solo musico di età avanzata, e per lo più il più brutto di tutti gli uonrini, le segue e le accompagna con uno strumento di rame chiamato nell’India Tam. Mentre esse ballano, il brutto musico ripete questa parola con una vivacità continua rinsorzando per gradi la voce e stringendo il tempo del suono in maniera che egli palesa il proprio entusiasmo con visacci e strane convulsioni, e le ballerine muovonsi con una maravigliosa agilità, la quale accoppiata al desiderio di piacere e agli odori de’ quali tutte sono esse sparse e profumate, le fa grondare di sudore e rimanere dopo il ballo pressochè fuori di se. I balletti di tali donne voluttuose abbellite dal vago loro abbigliamento (descritto bellamente dal Raynal a e dal l’arte di piacere che posseggono in grado eminente, sono quasi tutti pantomimi amorosi, de’ quali il piano, il disegno, le attitudini, il tempo, il suono, le cadenze, respirano unicamente la voluttà e n’esprimono i piaceri e i trasporti.