(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome I « A CHI AMA la poesia rappresentativa » pp. -
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(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome I « A CHI AMA la poesia rappresentativa » pp. -

A CHI AMA la poesia rappresentativa

Discorso premesso al l’edizione Napoletana in sei volumi.

Chi può ricusare alle matematiche pure tutta la riconoscenza pel ritrovato del metodo delle flussioni, onde il grande Inglese e il di lui emolo di Lipsia renderono tanto intelligibile il gran libro dell’universo? Chi al l’astronomia contrastare il bel vanto delle maravigliose scoperte di Ticone, di Keplero, del Galilei, del Cassini? Chi negherà che oggi dietro la scorta di tali insigni corifei si penetri con agevolezza incredibile ne’ più riposti arcani della natura, e corransi con sufficiente sicurezza gli immensi spazj de’ cieli? Tutto però esser non debbe calcoloa e telescopio. Con non meno invidiabil riuscita i grandi uomini che portarono i loro sguardi su tutta la natura, seppero anche discendere alle più minute osservazioni degli esseri che la compongono. Gli animali poco al l’apparenza importanti, i polipi marini, le vipere, le tarantole, le api, gl’insetti, le farfalle, occuparono sovento ingegni sublimi; nè men degni sono de’ più distinti encomii i Redi, i Valisnieri, i Serai, i Buffon, i Rai, i Grew, i Levenoeck, i Reaumur, i Goedart, i Templey, i Bonnet, allorchè spaziano per l’ampiezza del l’universo, che quando minutamente indagano la storia particolare di esseri picciolissimi e talora co’ microscopii stessi appena percettibili.

Se tutti esser dovessero Archimedi, Bernulli, Euleri e La Grange, rimarrebbe nel proprio abisso sepolta la maggior parte delle maraviglie della natura. E che diverrebbe singolarmente delle belle arti? Raffaello, Correggio, Buonarroti, per una via totalmente aliena dal calcolo infinitesimale, divennero immortali. Omero, Virgilio, Tasso, Ariosto (e con passi ineguali ancor Milton e Camoens) senza valersi delle ali del l’analisi e senza maneggiare l’astrolabio di Urania, siedono nel tempio della gloria esposti al l’ammirazione concorde di tutti i secoli e di tutti i paesi.

L’uomo stesso, opera la più mirabile della mano del Creatore, non vuolsi considerare soltanto come una delle parti figurate e distese nello spazio, o come pianta che vegeti, o animale che senta. Dotato della ragione dono divino della, suprema sapienza, egli è dalla natura formato per la società, alla quale inevitabilmente vien tratto dal bisogno di sussistere agiatamente. Se dunque riscuotono giustamente i pubblici applausi le leggi del moto e del corso de’ pianeti, non ne meritano minori quelle che dirigono le azioni morali degli uomini divisi in tante grandi famiglie, le quali debbonsi reciprocamente molti riguardi. Scuoprono talora le scienze esatte alcune verità ingegnose che pur non recano utilità verunaa: a somiglianglianza, come altri pur disse, delle stelle chiamate nebulose, la cui esistenza è per gli ultimi telescopii inglesi ugualmente assicurata che inutile a tramandare al nostro pianeta luce maggiore. E se la geometria, più che per le utili verità che insegna, si rende commedabile per l’attitudine che somministra agl’ingegni tutti per bene e coerentemente ragionare, essa e tutte le scienze esatte contribuiranno sempre colla loro giustezza a formare grandi legislatori morali e politici tanto per ciò che l’una società debbe all’altra, quanto per quello che debbonsi mutuamente gl’individui di ciascuna: ma esse non saranno mai nè più pregevoli nè più necessarie a conoscersi delle leggi che immediatamente gli uomini governano. V’ha dunque un alto seggio ancora perchi emulando i Montesquieu, i Beccaria, i Gravina e i Filangieri, saprà attendere ad illustrare e perfezionare la preziosa importantissima scienza della legislazione.

Ed in fatti se a conservar la tranquillità di ogni stato bastar potesse il gastigare o prevenire i delitti che lo sconcertano, l’armata sapienza delle leggi è quella che presta alle società l’opportuno soccorso per atterrire o distruggere i colpevoli e per minorar la somma dei delitti, a quali trascorrono gli uomini abbandonati a’ proprii appetiti e alle passioni eccessive. Ma sventuratamente sono i delitti posteriori a’ vizii, e questi menano graduatamente agli eccessi dopo di aver corrotto il costume. Or quale antidoto forniscono le stesse leggi contro questo lento veleno che serpeggia per le nazioni e le infetta? Esse leggi contente di recidere ad ogni bisogno i rami che lussureggiano, non cercano di correggere le radici viziate e le cagioni che le viziano ed affrettano la morte della pianta. Ma il mal costume invecchiato nè anche, al dir di Orazio, colla forca giugne a sterminarsi; ed ossserviamo che da per tutto quasi sempre i costumi col tempo sogliono diventar leggi, e ben di rado le leggi si convertono in costumi. Fa dunque mestieri di un altro ramo della sapienza che sappia correggere i costumi; e non essendo essi altro che abiti contratti per opinioni vere o false, nostre o straniere, a purificare i costumi bisogna raddrizzare le opinionia. La sapienza adunque precettiva che si occupa a far la guerra agli errori naturali ed a correggere le opinioni per inspirar costumi confacenti al disegno del legislatore, non merita al pari delle altre scienze la pubblica gratitudine? E non ebbero ragione gli antichi, che a questa scienza che migliora l’intendimento e rettifica la stessa volontà, e che Socrate trasse dal cielo, diedero per eccellenza il nome dì filosofia? Dietro adunque a Socrate, a Platone, ad Aristotile, a Cicerone, a Seneca, non meritano lode e rispetto i Muratori, gli Stellini, i Genovesi e simili insigni filosofi morali?

Pure sono mai moltissimi quelli che svolgono i libri de’ filosofi morali? Tutto il popolo abbisogna di essere educato perchè possa concordemente serbar gli statuti prescritti dal pubblico bene; corre perciò tutto il popolo alle biblioteche de’ filosofi? L’educazione domestica è forse una fiaccola chiara a sufficienza e durevole per tutto il cammino della vita? Il mondo ideale che si contempla nelle proprie case e ne’ collegj, è lo stesso che ci si presenta quando da questi usciamo? Qual discordanza tra l’uno e l’altro! Ciocchè nel mondo esterno si apprende (diceva l’autore dello Spirito delle leggi a) sconvolge tutte le idee del mondo immaginato. Pugnano i doveri della religione e delle leggi con molte opinioni adottate dagli uomini, ed in tal contrasto, quando più ci farebbe d’uopo al fianco una Minerva sotto forma di un Mentore, ci troviamo abbandonati a noi stessi, alla nostra scelta, al nostro discorso. E quando pure gl’insegnamenti domestici potessero in ogni occorrenza soccorrerci posti nel gran mondo, quanta parte di essi si apprende nel l’età prima? quanta se ne ritiene? quanta non ne cancellano gli anni e la novità di tante forme esterne? quanta ne rimane al l’uomo per norma delle sue passioni, allorchè crescono coll’età e diventano più robuste e imperiose?

Adunque principalmente in tal tempo abbisogniamo di un saggio educatore che alla giornata ci ammonisca e ci mostri passo passo fedelmente il mondo civile e quale egli è in fatti e quale esser dovrebbe. E perchè egli potesse produrre un pieno effetto generale, dovrebbe esser publico, per insegnare a tutti, come da una scuola commune, sotto l’occhio del governo. Vorrebbe sopratutto essere spoglio di ogni aria magistrale che riesce sempre nojosa, ed allettare il popolo che cerca ristoro dopo della fatiga. Ora se v’ha tra lumi somministrati dalla ragione rischiarata (oltre delle scienze esatte e delle leggi e della stessa moral filosofia) un educatore di simili circostanze rivestito, non merita egli al pari delle scientifiche cognizioni gli applausi degli amici dell’uomo?

E chi non ravvisa in un buon teatro siffatto educatore pubblico, saggio, retto, geniale, all’ombra del governo? Chi al pari dì esso accoppia il diletto del passatempo all’utile del l’insegnamento? il dolor della correzione al piacer dello spettacolo? Qual genere poetico ha saputo meglio deporre il portamento dottrinale e mascherarsi di piacevolezza? Ben possiamo dire, che a somiglianza de’ numi della mitologia che cinti di umane spoglie viaggiarono e conversarono con gli uomini per arricchirli di sapienza, la poesia drammatica si trasforma negli uomini stessi che prende ad ammaestrare. Può aggiugnersi che essa al pari dello scudo di Ubaldo ci dipigne e rappresenta quali veramente siamo, per avvertirci delle discordanze de’ nostri ritratti dalle bellezze della sapienza e della virtù. La morale è la maestra de’ costumi, e la poesia drammatica è la stessa morale posta in azione: quella si trasmette per l’udito, questa si presenta alla vista: quella sa supporre un rigido precettore che gravemente ammonisce, questa affabile e popolare in aria gaja e gioconda non mostra all’uomo che l’uomo stesso: quella parla nudamente al l’intendimento, questa l’intendimento stesso illustra commovendo gentilmente il cuore: quella è un farmaco salutevole ma amaro, questa una bevanda vitale insieme e grata al palato. La ragione umana che sugerì sì vaga ed utile morale rappresentativa, quanto vide profondamente nella natura dell’uomo!

Adunque senza tener conto veruno della rigidezza affettata di alcuni sedicenti coltivatori de’ severi studii, i quali sdegnano tutto ciò che non è algebra, nè delle meschine rimostranze di qualche bonzo o fachiro, nè delle insolenze di alcuni immaginarii ministri di non so qual filosofia arcana, e molto meno apprezzando le ciance insidiose smaltite fra i bicchieri delle tavole grandi da certi ridevoli pedantacci che ostentano per unico lor vanto l’essersi procacciati varii diplomi accademici, noi avremo sempre in pregio così amena filosofia in azione, di cui gli additati impostori ignorano il valore e la prestanza. Noi siamo persuasi più dall’esempio di tanti e tanti veri filosofi, e valent’ uomini che ne ragionano consommo vantaggioa che dagli schiamazzi delle cicale letterarie che declamano contro di essa senza aver mai saputo che cosa è l’uomo, che società, e che coltura generale delle nazioni. Niuno screditerà mai gli spettacoli teatrali o chi gli coltiva con felicità, se non colui che ne paventa la censura. Dà del bastone sullo specchio chi teme di arrossire della propria deformità. Catone pretese in Roma la censura, e i nobili corrotti formarono un partito per contrastargliela.

Se io abbondassi di ozio e di talenti (posso aggiungere) e fossi più verde, occupar mi vorrei da buon senno in sì utile poesia, e con novelle invenzioni vivacemente colorite destar sulle moderne scene quando il riso e quando la compassione. Ma per sì bella impresa oltre di un raro ingegno affinato dal senno e dal gusto, vi bisognerebbe quel lieto nido, quell’esca dolce, quelle aure soavi che bramano i cigni per elevarsi al Parnaso, ed a me di ciò in vece sovrabbondarono lungo tempo solo cure mordaci che me ne respinsero, ed oggi è tempo che i ruscelli io chiuda,

Poichè di bere omai son sazii i prati.

Mi contenterò intanto di narrare più pienamente di quel che altra volta non feci, gli sforzi fatti sino a questi tempi ne’ paesi conosciuti per dipignere sui teatri ora grandi sconcerti ora picciole ridevoli avventure. E giacchè con non isperata benignità accolse il pubblico il saggio che ne diedi l’anno 1777 nella Storia critica de’ teatri in un sol volume in ottavo, ho voluto, in vece di riprodurla quale la prima volta la pubblicai (siccome diverse volte ne venni gentilmente invitato dalla società tipografica di Nizza e da alcuni libraj Veneziani e Napoletani) disonderla ed ampliarla in più volumia. Non è adunque l’opera presente una semplice nuova impressione della mia storia teatrale, ma sì bene un nuovo libro che con nuova sospensione d’animo presento al pubblico. E chi sa se egli accorderà a queste ultime cure il benigno accoglimento che concesse alle primiere?

Contento di aver quì accennato succintamente l’eccellenza e l’utilità della poesia rappresentativa, stimo inutile per chi ha da leggere l’opera il prevenirlo delle moltissime cose che la rendono del tutto nuova. Dirò solo quanto allo stile che dopo l’autorevole approvazione dell’elegantissimo scrittore Bettinelli a, non avrei osato di partirmi da quella energica facile schiettezza che invita a leggere un libro istorico. Ho cercato anche di conservare la purezza del linguaggio evitando ugualmente la studiata fiorentineria che la dispotica libertà di alterarne l’indole. Quindi vedendo che il Cotta, il Salvini, il Conti, il Maffei, l’Algarotti, il Cesarotti, ed il Bettinelli stesso, non hanno avuto ritegno di adottare le voci analizzare, interessare nel senso che le si dà in Francia, e personificare, benchè non si trovassero registrate nel vocabolario della Crusca, le ho anche io usate senza dar retta a’ rigidi puristi, colla sicurezza di svegliare le idee che io vò manifestare, e colla probabilità che simili verbi transalpini non tarderanno a ricevere la cittadinanza italiana da chi pensa di aver dritto a torla o a donarla. Egli è vero che io usai ancora nella prima edizione e ritengo in questa, forse senza esempio, il termine tecnico della danza piroettare tratto del francese, che mi fu notato dal medesimo purissimo Bettinelli come vocabolo inusitato fra’ Toscani; ma io il seci senza pentirmene (peccatore ostinato!) perchè quell’istantaneo girare su di un piede che sa il ballerino, è così detto in Francia qui tanto debbe la danza moderna, e s’intende in Italia, dove la cosa è trasportata senza che abbiavi sinora un vocabolo patrio equivalente.

Nè anche ho del tutto bandito il latinismo interloquire che tecnico può dirsi della drammatica, sembrandomi chiaro, intelligibile, sonoro e di bella origine. I Toscani in ogni tempo dissero eloquio, eloquenza, loquela, loquace, loquacità, interlocutori; or perchè per acconcia analogia non dirassi anche interloquire ammesso in Lombardia, in Roma, ed in Napoli, se non nella Toscana? Non usò pure il purissimo Bettinellli non pochi latinismi non usitati fra’ Toscani? Nell’Entusiasmo usò impertito: nel poemetto al Benaglio la voce turbinando dandole di più un senso differente dal latino turbinare che equivale all’aguzzare de’ Toscani: nel poema delle Raccolte disse trica, eliconide sostantivo, prosatori ed altri vocaboli che gli furono vigorosamente notati dagli Amici del Friuli e di Venezia come difettosi e ignoti a buoni e a tutta l’Italia ecc.

La parola gergone mi su parimente dal medesimo letterato ripresa, che oggi ancora a me sembra pura italiana. Dessa è mai altro che un aumentativo di gergo che in Toscana favella significa un parlare oscuro di convenzione? Parlar gergone è frase toscana inserita nel vocabolario della Crusca col l’esempio di Franco Sacchetti. Che se gergone rassomiglia anche al jargon de’ Francesi, quale in ciò è la mia colpa? Sono forse poche le parole comuni a queste due belle lingue sorelle? Vi ha qualche regola che prescriva che debbono fuggirsi le parole domestiche quando rassomigliano alle stranierea? Dal l’altra parte Saverio Bettinelli gentile sempre e sempre puro scrittore italiano si diede ben poca cura di schivare diversi gallicismib, e talvolta a qualche voce toscana diede il significato francesea, o ne diede uno tutto nuovob, e si valse di voci ch’egli chiama inusitate e strane c. O dunque debbesi moderatamente fare uso della severità de’ puristi’ intorno alle parole di straniera origine, o riceverne e concederne a vicenda il perdono, giacchè

Iliacos intra muros peccatur, et extra.

Passando ad altro ho cercato esaminare con nuova diligenza le favole antiche e moderne, per presentare a’ giovani studiosi con sempre più accurata scelta le drammatiche bellezze da tenersi per esemplari. E giudicando degli autori secondo il mio criterio senza spirito di partito o di sistema, con moderazione insieme e con libertà, ho procurato conservare quella imparzialità che non può dall’onesto scrittore andar disgiuntaa. Io ragiono senza la folle pretensione di certuni di proporre il proprio avviso per norma del l’altrui pensare. Io m’ingannero talvolta (e chi non s’inganna!) ma al mio inganno non avrà mai parte il cuore, imperocchè,

                             non che farmi
Cieco su’ miei stessi capricci, ardisco
Contro de’ vizii miei darmi battaglia,

per valermi del concetto di Pope e delle parole del Gozzi che tradusse il di lui Saggio di Critica.

Ecco quanto io ho fatto in quest’opera per diletto ed istruzione della gioventù che ama la poesia rappresentativa. Avrò colpito nel segno? Deciderà il pubblico illuminato e imparziale. A me basterebbe che le mie vigilie o almeno i principii additati in questi primi fogli intorno al l’utilità e al l’eccellenza della drammatica ottenessero il frutto d’insinuare la necessità che hanno le società colte di preparare agli stranieri un Buon Teatro, che, in vece di essere un seminario di schifezze e di basse buffonerie, presenti una dilettevole polita scuola di educazione.