(1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Enea in Troia »
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(1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Enea in Troia »

Enea in Troia

… quaeque ipse miserrima vidi,
Et quorum pars magna fui62

Virg., Æneid., Lib. II.

I personaggi sono Enea, Priamo, Paride, Anchise, Iulo, Sinone, Pirro, Calcante, Cassandra, Ecuba, Creusa; e i cori sono di uomini e donne troiane, di Greci, di dei, altri amici ed altri nimici di Troia.

La scena dell’Atto primo rappresenta la campagna dintorno a Troia, col cavallo da un lato. Esce Priamo dalla città alla testa de’ principali Troiani, e celebra la fuga dei Greci e la liberazione della patria. Trionfa il vecchio in vedere il lido sgombrato di nemici e di navi. Qui era il campo de’ Dolopi, dic’egli, qui si facean le zuffe.

… hic saevus tendebat Achilles.

A queste parole Ecuba si rammenta di Ettore ucciso e da’ cavalli di Achille strascinato dintorno alle patrie mura. Il coro la consola celebrando insieme con Priamo la fuga de’ Greci; dell’onta de’ quali sarà un perpetuo monumento il cavallo consecrato a Minerva.

In mezzo ai cantici del coro e alle danze giulive esce Cassandra,

verace sempre e non creduta mai,

la quale profetizza come quel giorno è l’ultimo giorno di Troia, e consiglia di gittare in fondo del mare il cavallo:

… timeo Danaos et dona ferentes.

Enea si accosta a lei, perché almeno si esplori se dentro al cavallo vi fosse qualche agguato dei Greci. Il partito viene contrariato da alcuni. Priamo prega gli dei tutelari di Troia d’inspirargli quello che sia per lo migliore; e intanto sacrificano al Xanto e alle Ninfe dell’Ida, invitandole a scendere dalla montagna per unirsi con Venere, la quale fra giubilo di suoni e cantici è per guidare le festevoli sue danze là dove prima, tra gli urli e i gridi, Marte guidava la fiera sua tresca.

Nell’Atto secondo Sinone è condotto prigioniero dinanzi al re, e vi tiene quel discorso dove Virgilio ha cosi bene espresso in versi latini la greca eloquenza. In vano si oppone Enea al dovere introdursi il cavallo dentro a Troia: l’arte di Sinone vince finalmente coloro,

Quos neque Tydides, nec Larissaeus Achilles
Non anni domuere decem, non mille carinae.

Paride colla cetera in mano intuona un inno a Minerva e a Venere riconciliatesi già insieme; intanto che si abbatte parte del muro della città per introdurvi il cavallo; ed esso ne vien dipoi tirato dentro in mezzo ai balli e ai canti degli Troiani:

… circum pueri innuptaeque puellae
Sacra canunt, funemque manu contingere gaudent.

L’Atto terzo incomincia da Enea, il quale in sulle prime vigilie della notte destato dalla terribile visione che ha avuto di Ettore, viene alla tomba di lui, vi reca doni ed offerte, commisera il destino della patria, attesta gli dei di aver fatto quanto era in lui perché non venisse condotto dentro di Troia il cavallo fatale, e domanda agli medesimi dei la forza di cui era dotato Ettore, quando arse le navi dei Greci, perché la Patria, se ha da cadere, non cada invendicata. Indi corre al palagio di Priamo. La scena cangia, rappresentando una piazza dinanzi al tempio di Pallade, nella quale è collocato il cavallo. Sinone racconta a Calcante e a Pirro, sortiti dal cavallo, come l’arti sue riuscirono quasi a vuoto per la opposizione di Enea; mostrando quanto sia necessario, innanzi ad ogni altra cosa, spegner costui, come il più forte guerriero che, dopo la morte di Ettore, vanti Troia. Si vedono intanto alcuni Greci uscire tuttavia fuor del cavallo. Calcante con brevi parole gli anima all’eccidio della città nemica, e sotto voce intuona un cantico al quale pur sotto voce rispondono i Greci. Verso la fine del coro incomincia un combattimento nel fondo del teatro tra le guardie della rocca e alcuni Greci usciti fuor del cavallo, i quali vorrebbono impadronirsi di essa rocca. Cresce il tumulto arrivando di fuori l’oste greca. Calcante e Sinone sul dinanzi del teatro pregano ad alta voce la dea; e al loro canto concertano a luogo a luogo strida e lamenti di gente ferita e presso a morire.

La scena dell’Atto quarto è nel cortile del palagio di Priamo:

Aedibus in mediis nudoque sub aetheris axe
Ingens ara fuit, iuxtaque veterrima laurus
Incumbens arae atque umbra complexa Penates

Quivi trovasi Ecuba con alcune Troiane, le quali tutte paurose e supplichevoli abbracciano le statue degli dei. Vedesi da un lato entrare il vecchio Priamo che mal si regge su’ piedi, oppresso dalle armi di cui s’è voluto rivestire; e appena egli è scoperto da Ecuba, che da essa vien collocato nella sacra sedia presso all’ara col dirgli:

... quae mens tam dira, miserrime coniux,
Impulit bis cingi telis, aut quo ruis?…
Non tali auxilio, nec defensoribus istis,
Tempus eget etc.

Se alcuno può difender Troia, Enea sarà quel desso, che è ora alla guardia della torre del palagio e con la uccisione di tanti Greci ha già in parte vendicato la patria. Una delle principali donne rammenta come miglior partito sarebbe stato quello di prestar fede al consiglio di Enea e ai vaticini di Cassandra. In questa si ode un rumor grandissimo della torre che rovina. Ecuba incomincia una preghiera agli dei, che lei, moglie di Priamo e regina, vogliano campare da schiavitù. Ripigliano appena il canto le altre donne, che ecco Pirro che entra cacciandosi innanzi Polite, che cade morto a’ piè del padre. Segue la parlata di Priamo a Pirro, tutta strumentata; indi Priamo

… telum imbelle sine ictu
Coniicit etc.

A cui Pirro risponde con le parole di Virgilio e l’uccide. Le donne mettono grandissime stride; egli le fa condurre alle navi, ed esce per cercar Enea. Enea entra dall’altro lato. Visto Priamo ucciso e fattovi sopra un breve lamento,

Hic finis fatorum Priami etc.

si sovviene del vecchio Anchise e del picciolo Iulo. Pure, preso il partito di perire insieme con la patria e di prender qualche vendetta o sopra Elena o sopra Sinone, gli comparisce Venere e gli mostra nel fondo del teatro gli dei inimici di Troia, tutti congiurati a sovvertirla. Partito Enea, seguita un coro degli medesimi dei e un ballo di Furie.

Nell’Atto quinto nasce nella casa di Enea la bella contenzione che è espressa in Virgilio, tra Anchise che vuol rimanersi e morire ed Enea medesimo che vuol salvare il padre dalle mani dei Greci; né potendolo persuadere a fuggirsi, riprese le armi, vuol di nuovo uscire tra’ Greci, mentre Creusa e Iula ne lo trattengono. Quand’ecco il prodigio della fiamma che di cielo discende sulla testa di Iulo senza offenderlo: tuona da sinistra, e il padre Anchise consente finalmente alla fuga. La scena cangia e rappresenta l’orrido d’una città smantellata e mezzo involta nelle fiamme,

… fumat humo Neptunia Troia.

Coro di Troiani che deplorano le calamità loro, e di Greci che nella marcia gl’insultano; dei quali il corifeo è Calcante. Partiti questi, entra Enea cercando e chiamando Creusa, che nella fuga si è smarrita. Ella gli apparisce e gli fa il vaticinio prima de’ suoi errori, poscia della fondazione di un nuovo imperio: e in questo mezzo tra il fumo di Troia si vede nel fondo del teatro risplendere l’aureo Campidoglio; e seguita un coro degli dei e un ballo degli geni protettori di Roma.