Capo IX.
Stato presente degli spettacoli teatrali.
Il nostro secolo filosofico e calcolatore non permette che s’ignorino in verun angolo dell’Europa le principali regole del verisimile drammatico. Chi in tanta luce mostrerebbe nell’atto I un eroe giovane in Bisnagar, e nel III canuto nel Senegal? Ma questa filososia, questo spirito giusto, accurato, esatto, basta a produrre grandi opere d’ingegno nella poesia, nell’eloquenza, nella pittura, nella musica? Al contrario, ov’esso riempia tutta l’estensione della mente per modo, che paga unicamente del metodo e dell’analisi, nulla si curi d’arricchir la fantasia e fomentar il fuoco poetico che si nutrisce d’immagini, questo spirito compassato serve per agghiacciar l’entusiasmo, snervar le passioni, e irrigidire il gusto. Non so se quindi derivi quella spezie di decadenza che si osserva nelle belle arti; ma egli é manifesto, che oggi abbondano più i pretesi calcolatori, i pseudoletterati, i sofisti, i gazzettieri, che i grandi artisti263.
Nel settentrione son frequenti gli spettacoli, si aprono nuovi teatri, come in Stokolm,
si riforma
il teatro nazionale da per tutto, e vi si procura
di osservar le regole, e correggere la buffoneria grossolana; ma Klopstock, Lessing e
Weiss non sono ancora seguitati da’ nuovi poeti drammatici degni di nominarsi.
Una manifesta decadenza osservava, pochi anni sono, nel teatro
di Londra l’autor francese della Gazzetta letteraria dell’Europa.
«Non vi si rappresentano (diceva) se non le antiche
favole, alcune insipide imitazioni delle commedie e
novelle francesi, scritte senza ingegno e senza spirito, e un gran numero di farse
satiriche»
264 La
satira sotto quel cielo nata dal potente entusiasmo di libertà che vi predomina, non
rispetta né particolari, né ministri, né il governo, e non poche volte porta il suo
fiele fin sulle scene. Sotto Giorgio II fu denunziata alla camera de’ comuni una farsa
contro il ministero, e si propose un bill per soggettare gli scrittori
drammatici all’ispezione del ciambellano, senza la cui licenza non potessero far
rappresentare verun componimento. Il conte di Chesterfield fece in quest’occasione un
discorso notabile, sostenendo che bisognava governare il teatro colle leggi stabilite,
senza metter nuove catene alla libertà. Il discorso fu ammirato; ma il bill
degli spettacoli passò in legge. Nonpertanto ultimamente sul
teatro di Foote, e poi su quello di Drury-Lane, si é
rappresentata una farsa o commedia col titolo di Escrocs, nella quale
vengono motteggiati i metodisti, setta novella fondata da Withefield
che vive ancora.
In Ispagna veggonsi con piacere le sole commedie del secolo passato, e quella di carattere vi é sconosciuta. Delle pochissime tragedie di autori moderni o viventi che han cercato di osservar le regole, non vi ho veduto rappresentare se non l’Ormesinda e ’l Sancio proscritte per sempre dopo la prima rappresentazione. Alcune traduzioni di qualche commedia del Goldoni, come della Sposa Persiana e del Bourru Bienfaisant son piaciute moltissimo al popolo, e dovea esserne lodato (fuorché in alcune alterazioni fatte senza gusto agli originali) qualunque egli siasi chi ha impreso a mostrare sulle scene spagnuole queste commedie; ma sul medesimo teatro sono state motteggiate da soliti piccioli compositori di saynetes, e ricevute con freddezza da alcuni pochi, che invecchiati in un certo lor sistema di letteratura, sdegnano di approvar dopo il popolo ciò che lor giugne nuovo,
Vel quia nil rectum, nisi quod placuit sibi, ducunt,Vel quia turpe putant parere minoribus, et quaeImberbes didicere, senes perdenda fateri.
Ma ciò, a dirla ingenuamente, é una spezie di tradimento fatto alla nazione, il quale presso di essa ritarda l’avanzamento delle arti.
Oggi in Francia si produce ancora alcun componimento applaudito in teatro e letto senza noia; e benché non vi sia chi possa degnamente compararsi con veruno de’ quattro gran tragici di questo e del passato secolo, pure oltre alle poche di sopra già mentovate tragedie, merita distinta lode la Didone del signor le Franc marchese di Pompignan265.
Avvegnaché poi alcuni scrittori comici non abbiano composto in quel genere di commedia che Molière portò a sì alto punto, e che Goldoni avea cominciato a risuscitar sulla Senna col mentovato Stravagante Benefico, pure i signori Palissot, Collé, e Beaumarchais han mostrato sufficienti talenti comici, e l’ultimo di essi é riuscito in un genere che ha degenerato in vizioso nelle mani di Falbaire, Mercier, Sedaine, e di altri, i quali erano nati per maneggiar maravigliosamente le passioni, se non si fossero fatti trasportar dalla corrente delle commedie piagnevoli e delle tragedie urbane difettose, cioé di quelle che accoppiano a’ fatti tragici qualche carattere comico266. Egli era oltracciò riserbato a’ nostri giorni l’insinuarsi che si scrivano tragedie in prosa, come fa M. Diderot267; e non senza ragione M. de Voltaire si lagna nella lettera all’imperador della China, che oggi in Francia
Le tragique étonné de sa metamorphose,Fatigué de rimer, ne va parler qu’en prose.
Tralascio poi le tirate, gli epigrammi, le definizioni metafisiche, la smania di mostrar in tutto dello spirito senza studiare il linguaggio della natura; delle quali cose introdotte a sazietà nelle commedie moderne si querelano concordemente molti critici francesi268; ond’é che l’anzinominato poeta osserva la decadenza della commedia francese in quella specie d’obblio, in cui é caduto Molière, dicendo:
De Molière oublié le sel est affadi.
Tutta volta presso di una nazione per tante vie incoraggiata e premiata (fortuna invidiabile) e che abbonda di tanti modelli eccellenti, i quali non lascia di veder rappresentar di quando in quando, questa decadenza sarà sempre passeggiera e ’l gusto adulterato non debbe tardar molto a rinvenir dallo stordimento269. Essa scorgerà il proprio inganno al riflettere che mentre gl’inglesi s’ingegnano d’introdurre nelle proprie scene il brio e la giovialità francese, il teatro di Francia per una mal intesa imitazione inglese si riempie d’orrore e di tristezza oltraggiosa all’umanità; e così ogni genere rientrerà dentro i confini prescritti dall’invariabile ragion poetica.
Non v’ha dubbio che dopò l’incoraggiamento del sovrano di Parma si é veduta coltivar in Italia con fervore la tragedia da Magnocavallo, Calini, Perabò, Campi, e la commedia, oltre del Goldoni, si vanta di Albergati. Pur quando avremo un gran tragico e un gran comico? Nel cinquecento imitammo i greci, e fu ben fatto: imitiamo oggi i francesi, e si fa senno: aspettiamo però il tempo, in cui avremo acquistata la destrezza di saper da noi stessi imitar la natura, e allora sorgeranno tra noi gl’ingegni creatori, e si perfezionerà al sommo la drammatica. Egli é vero che possiam gloriarci di un Metastasio, nel quale abbiamo, non che un Racine e un Corneille, ma un Euripide: i di lui trionfi però non sono stati seguiti da altri, e l’opera, che tanto si appressa alla greca tragedia, par che declini. Migliavacca autore della Tetide e dell’Armida, Coltellini dell’Almeria e dell’Antigona (che io non ho ancor veduta), e Vittorio Amedeo Cigna di più d’un dramma tollerabile, non hanno la delicatezza, il sublime, il patetico, la maestà, l’eleganza, il calore dello stile di Metastasio; i loro disegni non sono sì ricchi e giudiziosi, le loro invenzioni non sono originali, o da passar come tali, i loro colpi di teatro, i loro quadri spariscono a fronte del colorito vigoroso di Apostolo Zeno, e di Pietro Metastasio270. V’é di peggio. Si dispera di pervenire all’altezza del drammatico romano, perché s’ignorano le cose che meritano riforma nell’ottima sua carriera; e che si é pensato? Di cambiar con pravo consiglio il sistema dell’opera italiana per quello della francese, mentre che i francesi alquanto spregiudicati si studiano d’imitar la nostra; di maniera che noi siamo in procinto di cader nelle miracolose stravaganze del teatro lirico francese, ed essi in caso di cagionare in questo una crisi favorevole, e convertir l’opera loro in tragedia confinata all’imitazione della natura, com’é la nostra. Qualche poetastro povero di principi, d’ingegno, e di fantasia, il quale nella mollezza corrente non ha passate le notti d’inverno e i giorni d’està a formarsi uno stile, col solo torre qualche canavaccio lirico francese e porlo in cattivi versi italiani, favorito da una musica eccellente, come quella del celebre signor Gluck nell’Alceste, ha creduto di pareggiar di gloria Pietro Metastasio, ed ha aperto questo cammino tortuoso, che invece di menarci avanti, ci fa rinculare almeno d’un secolo. In oltre la necessità di soddisfar l’occhio, e l’amor natural del maraviglioso introdusse ne’ teatri e fa sussistere le decorazioni; ma un ingegno illuminato dal Dio del buon gusto, qual’é il Metastasio, ha saputo profonderle nella Nitteti, destinata pel teatro del ritiro di Madrid, ricorrendo al tesoro della natura, doveché i poeti musicali francesi le hanno cercate nel miracoloso e nelle trasformazioni istrioniche; e i nostri poetastri incapaci di vagliar il grano e separarne le paglie, di distinguer un francese dall’altro, e l’Ifigenia dai Silfi e dalle Barbe turchine, van dietro ai loro errori. Osserviamo ancora, che la maggior gloria di Tespi, Eschilo, e Sofocle si fu di minorare il coro Greco, e a misura che ne scemavano i personaggi, la tragedia cresceva di bellezza, interese, e attività. I moderni, e specialmente i francesi, ne secondarono molto bene l’ottimo disegno nella tragedia. Ma quelli poi nel teatro lirico, senza pensarvi, son ritornati alla pristina confusione del coro, e i nostri uranghi si pregiano d’imitarne il mal gusto. Noi adunque retrocediamo nell’opera ancor sotto gli occhi di Metastasio. Io aspetto e invito un qualche altero ed elevato ingegno che imitando nobilmente, e non da servo, il nostro gran poeta imperiale, e migliorando, ove ne bisogni, il giudizioso sistema dell’opera italiana, dissipi questo nembo apportatore di manifesta decadenza.