Capo VIII
Commedia turca.
Un pregiudizio volgare va impiccolendo sempre più in noi l’idea della
coltura delle altre nazioni a proporzione della loro lontananza. Tutto ciò che non ci
rassomiglia, sembraci indegno della nostra stima e incapace di buon senso, di spirito, e
di gusto. Questo pregiudizio rinfacciato da Saint-Evremond e da Montesquieu alla nazione
francese, trovasi presso tutte le altre ancora, senza eccettuarne la greca e la romana;
e soltanto alcuni pochi fra esse a forza di osservare e riflettere se ne sottraggono.
Generalmente i turchi, malgrado della loro comunicazione con alcune corti europee che
potrebbero darne un’idea diversa, son reputati affatto barbari e rozzi. Coloro che
dimorano fra di essi, e che leggono con sano criterio i libri che ne parlano, si
disingannano ben presto. Questa nazione guerriera che da 314 anni occupa il trono
imperiale di Costantino, vanta molti principi illustri e abili nella pace e nella
guerra. Orcano stabilì vari collegi per fare studiar la gioventù. Amurat I creò e
disciplinò la temuta milizia de’ giannizzeri. Amurat II si contraddistinse come
guerriero e come monarca, contra i greci e gli ungheri: conchiuse una tregua col re di
Polonia
ch’egli osservò fedelmente, e che i cristiani
violarono ad onta de’ giuramenti; ed ebbe il cuore così nobile e superiore al trono, che
l’abdicò in favore del figliuolo, né ripigliò lo scettro se non per assicurarglielo col
suo valore e colla disfatta di Ladislao in Bulgaria, e per rinunziarlo poi la seconda
volta. Il di lui figliuolo Maometto II che suol dipingersi con nerissimi colori, é
commendabile per la rara moderazione che dimostrò nel soffrire che ’l padre riprendesse
l’imperio; e lasciando da banda le tante sue vittorie e conquiste, era dotato di
magnanimità e prudenza, e possedeva varie lingue, amava le arti, e coltivava
l’astronomia. Selim I formidabile a’ nemici, godendo nella pace di quel piacere, che,
secondo la sua massima favorita, é il maggiore che possa desiderarsi in questa vita,
«il regnare senza temer verun nemico domestico o straniero»
, coltivava
con felicità la poesia turca. Solimano di lui figliuolo ancor più poderoso, gran
conquistatore, legislatore avveduto, virtuoso ancora e illuminato forse più della
maggior parte de’ principi della sua età, si formò sulla storia che amava di studiare, e
soprattutto sui commentari di Cesare che fé tradurre in lingua turca.
Nel secolo XVI quella nazione avea una milizia la meglio disciplinata di tutta l’Europa, alla quale se si fosse rassomigliata l’odierna di Mustafà, il trionfarne avrebbe costato assai più al general Romanzow che ne ha riportata sì compiuta vittoria sotto gli auspici dell’immortal genio di Caterina II. Non si va così in alto senza una scala di cognizioni e di coltura. Infatti i turchi non abborriscono le lettere e le scienze, come si crede. Studiano l’arabo e ’l persiano, come noi il greco e ’l latino. Quei che attendono alle cose della religione e alla loro giurisprudenza, si applicano sui comenti dell’Alcorano, e sui decreti de’ gran signori e i tetfà de’ Mufti, come noi sulla Bibbia e i santi padri, e sul codice e le costituzioni de’ nostri principi. Si trovano fra loro ancora molte biblioteche. Golio famoso olandese del secolo XVI ne’ suoi viaggi in Aleppo, Arabia, Mesopotamia, e Costantinopoli, trovò molti turchi cortesi e illuminati, i quali gli permisero di andar scartabellando i codici delle loro librerie261. Hanno vari collegi in tutte le moschee considerabili, dove s’insegna a leggere, scrivere, e spiegar l’Alcorano. In generale l’istituzione de’ collegi tende principalmente a formar le genti applicate alla legge; ma vi si apprende ancora l’aritmetica, l’astrologia, e la poesia, la quale é d’indole orientale ripiena d’immagini forti e di metafore soverchio ardite. Si trovano fra’ turchi alcuni poeti che passano per eccellenti. Sadi autore del Gulistan, o dell’imperio delle rose, é in que’ paesi il principe de’ poeti turchi e persiani, come ne’ nostri Virgilio, il Tasso, e l’Ariosto degl’italiani.
La drammatica di questi moderni signori della grecia non é certamente qual era a’ tempi di Socrate. Differiscono tanto gli odierni spettacoli scenici di Costantinopoli dagli antichi e da’ nostri, quanto da Atene il borgo di Setines.
Ecco un argomento d’una commedia turca veduta rappresentare in casa dell’ambasciator di Moscovia dal marchese d’Argens262. Un padre parte da Costantinopoli per Aleppo, raccomandando al figliuolo una schiava georgiana, di cui é innamorato. In assenza del padre se n’invaghisce il figlio ancora, manifesta la sua passione, ed é ascoltato e corrisposto. Temono gli amanti del ritorno del padre; pensano di fuggirsi in Andrinopoli, ma son prevenuti dal di lui arrivo. Una gran maninconia s’impossessa del giovane, e cade infermo. Il padre tenero cerca il motivo della sua tristezza, lo trova, riflette, compatisce, si vince, e cede al figliuolo la bella georgiana. L’azione é comica, dà luogo al maneggio degli affetti, non é romanzesca, non istravagante, non ripiena di trasformazioni e magie. Essa dura tre anni, cioé a dire, incomparabilmente meno, non dico delle commedie cinesi, ma delle alemane, spagnuole, e inglesi del secolo passato. Lo stile delle commedie turche é sommamente osceno; ma abbiam veduto, che non son più decenti alcune commedie di Aristofane, le inglesi, e ’l teatro francese prima di Corneille. I commedianti turchi non hanno casa fissa, ma vanno come i cinesi rappresentando nelle case, in cui son chiamati. Per un’udienza d’uomini vi son compagnie d’uomini senza veruna donna, nelle quali giovani di vago aspetto rappresentano le parti di donne; e per un’udienza femminile vi son compagnie composte di sole femmine, tralle quali alcune rappresentano da uomini.
Le rappresentazioni de’ pupi son pure assai amate e comuni nella Turchia. In occasione di nozze si passa la giornata della cerimonia ballando o vedendo rappresentare i pupi. Le notti della quaresima della luna di Ramazan si spendono a mangiare, fumare, prender caffé e sorbetti, suonare, e veder le farse de’ pupi col soccorso delle lampadi.