Capo VI
Teatro inglese, alemano, e spagnuolo del medesimo nostro
secolo.
Inglese
L’entusiasmo per la libertà, l’orgoglio e la malinconia britannica, l’energia delle passioni e della lingua, e ’l gusto pel suicidio, influiscono mirabilmente nella tragedia inglese, e le danno tanta forza e vivacità, che al di lei confronto la francese par che languisca come un dilicato color di rosa presso a una porpora vivace. E se la regolarità, il buon gusto, la verisimiglianza, l’interesse, e l’unità di disegno, che trionfano in quell’ultima, accompagnassero la robustezza e l’attività della prima oggi che ne son bandite le antiche buffonerie, la lite della preferenza sarebbe decisa a favor dell’inglese. Ma gli affetti universali dell’uomo trovandosi variamente in ciascuna nazione modificati, la drammatica, quanto al gusto, dovrà sempre soggettarsi a certe regole relative, e particolari, e dipendenti dal tempo, dal costume, e dal clima. Nonpertanto il celebre Addison si é ingegnato di unire alla forza la regolarità nel suo Catone, e vari altri eruditi l’hanno secondato. Edoardo Young autore delle Notti, amico e socio ne’ travagli letterari di Swift, Pope, Richardson etc., morto nel 1765, ha scritte tre buone tragedie, il Busiri, (tradotto in Francia da M. de la Place) rappresentata con applauso sul teatro di DruryLane nel 1719, la Vendetta uscita nel 1721 e i Fratelli tragedia rappresentata nel 1753, la quale si tiene per inferiore alla Vendetta, quanto allo stile, ma merita indulgenza per esser uscita da un uomo di sessantanove anni. Quest’insigne poeta é morto nel 1765. Un’altra tragedia ha data alle scene inglesi il sig. Savage troppo infelice figlio dell’inumana contessa di Macelesfield, la cui memoria, eccita il fremito dell’umanità. Egli nacque da questo mostro nel 1698, e morì in prigione nel 1743. La sua tragedia di Tommaso Overbury fu da lui composta nelle taverne e per le strade nella maggiore indigenza. D’età di 18 e 19 anni già aveasi acquistato qualche nome con due commedie, la Danna é un enigma, e l’Amor mascherato. Dal 1745 fino agli ultimi giorni si é sempre rappresentata con sommo applauso Sigismonda e Tancredi, bellissima tragedia di Thompson, il cui argomento, tratto da una novella inserita nel pregiatissimo romanzo di Gil Blàs del sig. le Sage, é stato anche bene maneggiato in Francia da M. Saurin nella tragedia di Blanche et Guiscard, e in Italia dal conte Calini nella Zelinda, dal conte Manzoli in Bianca ed Errico, e da don Ignazio Gajone nell’Arsinoe. Il sig. Thompson, nato nel 1700 e morto nel 1748, autore del poema delle Quattro Stagioni, avea già arricchito il teatro con Sofonisba, Agamennone, e Alfredo, tragedie ricevute con sommo gradimento; ma la nazione malcontenta di lui per altro motivo, non volle ascoltare Edoardo ed Eleonora pubblicata nel 1739.
Dennis, il famoso censore e nemico di Alessandro Pope, compose una tragedia condotta con ingegno e scritta in buono stile, intitolata Appio e Virginia, soggetto così spesso trattato in molte lingue moderne, ma con successo non troppo felice, per essere assai scarso d’incidenti e poco favorevole da potere per cinque atti tener attenti e sospesi gli animi degli spettatori.
Rowe, il poeta tragico più pregiato in Inghilterra dopo Shakespear e Otwai, ha data nel 1755 la Suocera ambiziosa, stimata una delle sue migliori tragedie secondo il gusto degl’inglesi246. Giorgio Lillo, onorato gioielliere di Londra, morto nel 1739, quantunque posseduto avesse un carattere dolce, e costumi semplici, é autore di due atroci tragedie cittadinesche, l’una intitolata Barnwell 247, o il Mercante di Londra, e l’altra la Fatale Curiosità, fatali veramente e contagiose composizioni che hanno comunicata alle scene francesi e alemane la propria tristizia le dipinture delle scelleraggini più esecrande e vergognose per l’umanità.
Ma ad onta di tante morti, tanto sangue, e tanti delitti enormi esposti sul teatro inglese, vi si osserva, che ogni dramma é preceduto da un prologo rare volte serio, e seguito da un epilogo ordinariamente comico, anche dopo i più malinconici argomenti, e vi si vede sovente l’istessa attrice, che sarà morta nella tragedia, venir fuori co’ medesimi abiti a far ridere gli spettatori. Un critico inglese censura seriamente questo costume degli epiloghi nazionali, pretendendo ch’esso distrugge per mezzo del ridicolo il fatto che potrebbe ricavarsi dalla morale del teatro. E perché? Che connessione ha l’una cosa coll’altra? La tetra sua morale quanto tempo dopo la rappresentazione tragica permette che si possa ridere?
La gloria della commedia inglese é cresciuta per le favole del signor Congrève, morto
di cinquantasette anni nel 1729. Egli ne ha composte varie, esatte e spiritosa, e
piene di caratteri assai di moda nel gran mondo, avendo coloriti con somma vivacità
gli uomini ben nati, falsi, doppi, e furbi infatti, e nobili, onesti, e virtuosi in
parole. La sua Sposa in luto é stata molto applaudita. Riccardo Stéele
membro del parlamento e compagno di Addison nell’opera dello Spettatore
Inglese, compose alcune commedie. Era sua massima che i componimenti
teatrali, doveano giudicarsi sulla scena, e non impressi. Certamente acquistano fama
agli autori, quando piacciono in teatro pel maneggio
felice
degli affetti e de’ costumi, e per la vivacità dell’azione; ma se dopo che sono stati
stampati e letti con diligenza, non vi si rinviene una bellezza di stilo
corrispondente, essi goderanno di una gloria passeggiera, che pure avran comune con
alcuni componimenti mostruosi. E la massima di Stéele presa per traverso può favorire
le farse spropositate in pregiudizio de’ Torrismondi, delle Atalie, e de’ Catoni. Il
signor di Voltaire confessa che la sua Scozzese è traduzione di una
commedia del ministro anglicano Hume per errore creduto fratello del celebre istorico,
filosofo e politico dell’istesso cognome. Nel 1755 si rappresentò nel teatro di
Drury-Lane la Figlia ritrovata, commedia del sig. Edoardo Moore, nel di
cui scioglimento, comune per altro e mille volte usato, avvenuto per lo rimorso d’una
nutrice, non lascia di trovarsi qualche interesse; ma tutto il resto é una filza di
scene leggiermente accozzate, più che un’azione ben graduata248. Soprattutto il personaggio di
Faddle basso, triviale, poltrone, infame, introdotto in
casa di una dama, la quale ne riceve anche lettere amorose, preferito talvolta a un
colonnello che la pretende in moglie, e frattanto, come un Coviello o Brighella, preso
pel collo, scosso, minacciato, cacciato or da questo, e or da quello, dispiacque con
tutta ragione al pubblico, che astrinse il sig. Moore a togliere da tal personaggio
tutto ciò ch’era episodico. Egli poi coll’istruirci di tal ordine del pubblico, e col
rimettervi nell’impressione quello che ne avea tolto per obedire, diede una pruova
della perizia di esso pubblico e della propria indocilità. Miglior pennello comico é
senza dubbio quello di M. Murphy autore della commedia intitolata la Maniera di
fissarlo, rappresentata nel 1761. Egli l’ha composta sui materiali di due
commedie francesi, il Pregiudizio alla moda, e la Nuova Scuola
delle Donne. L’azione forse ne diviene troppo complicata. Il leggitore si
dispone agli eventi di Lovemore, a quelli di sir Constant, a quelli di madama Belmour;
ma pur ne risulta uno scioglimento non infelice, benché non sia della natura di quelli
che mettono con un sol colpo tutte le cose nella necessaria chiarezza. Il ridicolo
d’un marito amante della propria moglie senza aver coraggio di manifestarlo, é più
marcato che non é nella commedia di M. de la Chaussée. Constant diviene totalmente
piacevole quando parla con dolcezza alla moglie essendo soli, e quando affetta
asprezza ed umore al comparir de’ servi. Egli nella scena II dell’atto II fa nella
propria persona una dipintura curiosa di quelli che aspirano ad entrar nel parlamento.
«Che non ho io fatto per voi? (dic’egli alla
moglie).
Non sono divenuto membro del parlamento
per darvi gusto? Non mi son fatto per un mese veder più ubbriaco del mio cocchiere
per esser eletto? Non ho tollerate tutte l’insolenze d’un popolaccio abominevole per
soddisfare la vostra vanità? Non metto poi a conto quella maladetta cicalata che mi
convenne fare. Dio sa come io la pronunziai, e come la camera l’ascoltò! Io non
sapeva dove m’avessi la testa. E che diavolo avea io a fare del
Parlamento?».
La lezione che prende Constant da Lovemore, attaccato del
medesimo suo morbo, sul modo di contenerli colla moglie, é ben graziosa nella scena
II. La prima dell’atto III di Lovemore a tavola colla moglie, quella di madama Belmour
con madama Lovemore, e l’accidente di M. Lovemore trasformato in un milord in casa
della Belmour, danno all’azione un movimento e una vivacità considerabile. Piacevole e
ben condotto é il colpo di teatro dell’atto IV della lettera di Constant cambiata da
Lovemore, e ne risulta l’equivoco grazioso della VII scena.
La Moglie Gelosa, commedia del signor Giorgio Calman traduttor di Terenzio, si é rappresentata in Drury-Lane nel 1763, ed é una di quelle che più sovente comparisce sulle scene inglesi. Vi é calore, estro, vivacità. Il carattere della gelosa é vero, naturale, ben collorito. Quello di sir Henns, d’un rustico occupato sempre de’ suoi cavalli, é ben espresso. Graziosa nella I scena dell’atto II é la genealogia di una giumenta, la quale rileva il ridicolo della soverchia passione degl’inglesi per gli loro cavalli. L’azione non ha luogo di languire per gli accidenti accumulati l’un sopra l’altro, tratti in parte dal romanzo M. Fielding. Si richiedeva però maggior destrezza nel prepararli, acciocché mostrassero di avvenire naturalmente, non perché il poeta ne abbisogna. Quando l’arte si mostra più della natura, lo spettatore si sovviene dell’autore, lo vede passeggiar tra gli attori, riflette alla realità, e svanisce ogni illusione.
Il Matrimonio Clandestino é un’altra commedia inglese rappresentata nel 1766 con molto applauso249. Ella é parto del nominato signor Colman e del Roscio dell’Inghilterra Davide Garrick, i quali sono ancora autori di alcune altre commedie scritte con molta pratica e intelligenza di teatro.
Una fredda regolarità per quanto comportano tre intrighi amorosi avvenuti in una casa, un fiacco interesse, alquanti difetti, poche grazie, e non poca noia caratterizzano La Falsa Delicatezza, commedia di M. Kelly rappresentata nel 1768, e dedicata al nominato famoso attore Garrick. Terenzio e Molière si leggono e si encomiano da per tutto: perché da per tutto s’imitano sì poco250?
Sin dal secolo precedente si trova introdotta in Inghilterra l’opera italiana eroica, e comica, ma é la meno frequentata di tutti gli spettacoli teatrali. Si spende nelle voci prodigamente, e ben poco nelle decorazioni e ne’ balli. I drammi colla musica si fanno venir d’Italia. Sino al regno di Riccardo soprannomato Cuor di leone era la musica in Inghilterra pressoché interamente selvaggia. Questo principe la coltivò con qualche felicità sotto Blondel suo maestro. La regina Elisabetta che l’amava, e che volle fin anche spirare con un concerto di musica, fece fare a quell’arte qualche progresso maggiore, prendendone in parte il gusto dall’Italia, dove fioriva. Nel presente secolo il famoso tedesco Hendel ha cagionato in Inghilterra la rivoluzione che nel passato il Fiorentino Lulli cagionò in Francia.
Oggi gl’inglesi vantano una musica nazionale discendente dalla tedesca, la quale é figlia legittima dell’Italiana. I concerti del Fax-Hall e del Renelag, quelli che si danno nella famosa chiesa di San Paolo, e i particolari di tutta Londra, sono composizioni Inglesi.
Alemano
La turgidezza, i frizzi, e le metafore stravaganti di Lohenstein, non meno che le bassezze di Cristiano Weisse andavano di giorno in giorno fin dal principio di questo secolo cadendo nel meritato dispregio, e già l’aggiustatezza e la verità de’ pensieri, e la purità e correzione dell’espressioni trionfava nelle opere di vari chiari prosatori e poeti, in quelle di Wolf, di Canitz, di Breitinger, Neukirck, Haller, Hagedorn, Mosheim, Bodmer, Gottsched. Il solo teatro era tuttavia fino alla fine del 1730 in preda all’Arlecchino, e ai gran drammi politici ed eroici. Il signor Gottsched fu quello che pieno della lettura de’ francesi pensò a riformarlo, inducendo una compagnia comica, che solea rappresentare ora in Lipsia ed ora in Brunswick, a sostituire alle buffonerie i componimenti francesi. Oltre a varie traduzioni fatte da lui e da’ suoi partigiani, Gottsched scelse ancora tralle tragedie inglesi la più regolare e vicina al gusto francese, il Catone di Addison, e compose su di esso la sua tragedia che porta il medesimo titolo. Fé comporre ancora Dario, Banisa, il Bello-Spirito, l’Ipocondrico, ed altre tragedie e commedie modellate alla francese251.
Parve nonpertanto a qualche nazionale, che Gottsched con
poco avvedimento avesse tolti ad imitar i francesi, i quali molto poco si confanno al
gusto tedesco. «Il nostro gusto e i nostri costumi (osserva
l’autore delle
Lettere sulla Letteratura moderna
pubblicate dal 1759 fino al 1763) si rassomigliano più al
gusto e ai costumi degl’inglesi che de’ francesi: nelle nostre tragedie amiamo di
vedere e pensare più che non si pensa e non si vede nella timida tragedia francese:
il grande, il terribile, il malinconico fanno sopra di noi maggiore impressione che
non il tenero e l’appassionato; e in generale noi diamo la preferenza alle cose
difficili e complicate sopra quelle che si veggono con un solo colpo
d’occhio»
. Simili riflessioni diffuse per la nazione, mentre i seguaci di
Gottsched ne seminavano delle opposte, fecero nascere in Germania due spezie di
partiti tra’ coltivatori della poesia drammatica, gl’imitatori di Corneille e Racine
scrupolosi osservatori della regolarità, e quelli di Shakespear e Otwai sino ne’
difetti e nelle mostruosità. Gli applaudiva il popolo ugualmente, e la sua
approvazione data a due gusti contrari pruovava contro ad ambedue i partiti, che l’uno
e l’altro cammino corso con prudenza e ingegno poteva menar la nazione all’istesso
scopo252.
Da trent’anni in circa quest’emulazione ha purgato in gran parte il teatro tedesco delle passate stravaganze, e l’Alemagna che già cultiva con felice successo ogni genere di letteratura, conta vari drammatici degni di lode. Tali sono M. Schlegel che sarebbe stato il Corneille della Germania, se la morte non l’avesse arrestato nel più bello della carriera, il barone di Cronegk che ne sarebbe stato il Racine, ma che cessò di vivere nell’anno suo ventesimosesto253, il robusto signor Weiss autore di Giulia e Romeo 254, e i signori de Brave, Krüger255, Gaertner, Bodmer, Wieland, e ’l valoroso maggiore Kleist morto in guerra nel 1758 in servizio di S. M. Prussiana, che ultimamente ha onorata la di lui memoria con una statua.
Il signor Gellert ha prodotte varie commedie applaudite, la Falsa
Divota, la Donna Ammalata, il Biglietto del
Lotto, dalle quali apparisce che l’autore s’ingegna di dipingere i costumi
correnti dal naturale. Ben colorito, p.e., é nel Biglietto del Lotto il
carattere d’un sordido avaro nel signor Damone. Molti tratti felici si trovano nella
donna vana, invidiosa, ciarliera, ritratta in madama Orgone. Ma si vorrebbe l’azione
più vivace, il disegno più unito, lo sceneggiamento più
connesso, l’entrare e uscire de’ personaggi con più ragione, e soprattutto il costume
più decente. A quelli giorni il teatro italiano, il francese, e lo spagnuolo ancora
fremerebbe a una scena simile alla III dell’atto III tra madama Orgone e M. Simone.
«Un piccalo ristoro, Madama, dice Simone e la
bacia. Tristatello, risponde, Madama, chi vi
permette di prendervi questa libertà? Non temete di ammalarvi abbracciando una
povera ammalata?»
Appresso si sente soffocare, ha una difficoltà di
respirare e perché, senza accorgersene, ha tenuto il seno scoperto, allora Simone
torna a baciarla con più fervore, esclamando, «che seno alabastrino! che
vista!»
Peggio nella II scena dell’atto IV «Madama, dice Simone, egli é lunga pezza ch’io v’ho abbracciata. Ah, mio caro, ella risponde; sento venir qualcheduno: ho paura che ci
osservino, che ci ascoltino: io men vado, fingendo di essere in collera con voi, ma
non mi seguite sì presto ciocché non s’insospettiscono».
Se la modestia v’é
offesa, l’arte non v’é risparmiata. Lo scioglimento é fatto, si é ricuperato il
biglietto se n’é destinato il guadagno, lo spettatore crede di esser congedato, quando
nell’ultima scena comparisce un nuovo personaggio, un signor Antonio, un amante della
Carolina, e incominciano esami, discussioni, prosteste d’amore, di disinteresse, o
tutto così a bell’agio come si sarebbe nel bel mezzo della commedia256.
Ma il poeta che fa più onore alle scene tedesche, si é il
patetico e spiritoso M. Lessing imitatore degl’inglesi. Minna de
Barnhelm, e Miss Sara Sampson sono le di lui migliori
tragedie cittadine. Lo Spirito forte in cinque atti, e gli
Ebrei e ’l Tesoro in uno, son le commedie più
pregiate. L’invenzione, la robustezza, lo spirito, l’economia rendono i di lui
componimenti meritevoli di figurar degnamente fra i buoni italiani, inglesi, e
francesi. Sara é scritta con molta intelligenza delle passioni e de’
caratteri e vi sono alcune situazioni veramente tragiche. Eccone uno squarcio che ne
mostra lo stile e ’l patetico. «Io cominciava (dic’ella
all’amato suo rapitore Mellesont) a gustare la dolcezza del riposo, quando
tutto a un tratto mi é sembrato di trovarmi in cima ad una ripida balza. Voi mi
precedevate, ed io vi seguiva con passi timidi ed incerti; e pareva che vuoi mi
deste coraggio con qualche sguardo che di tempo in tempo rivolgendovi gittavate
verso di me. Incontinente ascolto una voce che con dolcezza mi comandada di
arrestarmi. Era la voce di mio padre… Misera me! Non so dimenticarlo! Ah, se la
rimembranza é a lui così amara e crudele, s’egli ancora non può obbliarmi… Ma no,
egli a me più non pensa… Almeno lo spero… Lo spero?
Ah,
qual consolazione, qual terribil sollievo per Sara! Nell’istante ch’io mi volgo
verso dove veniva sulla voce, il pié mi manca, vacillo, son presso a precipitar nel
fondo del abisso, ma mi sento trattenere da uno che pareva, mi rassomigliasse. Io
co’ più vivi ringraziamenti esprimeva la mia gratitudine, quando egli trattosi dal
seno un pugnale che teneva nascosto, alza il braccio, e l’immerge nel mio petto,
dicendomi: Io t’ho salvata per perderti»
etc.257 Le commedie di questo buono scrittore non
mancano di delicatezza e di spirito. Nello Spirito forte vi é ben
dipinta la malvagità ridotta a sistema dagli uomini dissoluti; e nella commediola,
il Tesoro, havvi al certo maggior interesse, minor prolissità, e un
vero comico. La generosità di Filto che vuole perdere per un tempo piuttosto la sua
riputazione, che mancare di fedeltà all’amico, é un tratto ammirabile; ma l’idea della
scena tra Raps e Anselmo é quasi degna di Molière. I drammi del signor Lessing animati
da maggior vivacità ed interesse non lascerebbero cosa da desiderare.
Nella Danimarca fiorisce il famoso ministro Klopstock, il quale vi ha pubblicato due buone tragedie applaudite anche fuori della Germania, il Salomone, e la Morte di Adamo 258. La bellezza di quest’ultima é originale. L’autor filosofo, retrocedendo fino ai tempi primitivi, ha conseguito di afferrare i veri pensamenti che doveano occupar il primo uomo nella sua prossima dissoluzione; e con un fatto sì comune, com’é la morte naturale di un uomo decrepito, é pervenuto a cagionar quel terror tragico, che in vano tentano di svegliare tante favole romanzesche, tanti delitti atroci spiegati con tutta la pompa nelle odierne tragedie cittadinesche inglesi e francesi. Il re di Danimarca, che ha premiato questo buon poeta con una pensione considerabile, ha parimente istituita un’accademia in Copenaghen per esaminare e premiare i migliori drammi de’ concorrenti da far poi rappresentare nel suo teatro. Il teatro di Danimarca che per tal mezzo senza dubbio di giorno in giorno diverrà più corretto, oggi ha il solo barone Holberg che ha scritti vari volumi di commedia in prosa che non mancano di merito259.
Noti sono i progressi della musica in Alemagna dopo che vi si diffusero i capi d’opera della musica italiana. Il celebre Hendell, il chiaro sig. Hafs, detto il Sassone, il famoso sig. Gluck, che in Francia é stato ultimamente onorato d’una statua (In Italia a qual maestro di musica si é fatto altrettanto? Gran forza del genio e del clima italiano! L’arti fioriscono presso la nostra ingegnosa nazione senza veruno di que’ premi e incoraggiamenti infiniti, che trovano gli artisti in Francia e in Inghilterra), sono stati seguiti da un gran numero di ottimi maestri che illustrano oggidì il settentrione. Ma la Talestri opera scritta in italiano dall’augusta real principessa Maria Antonia Valburga di Baviera, elettrice vedova di Sassonia, merita gli elogi più distinti per essere stata messa in musica ed eseguita dalla medesima ingegnosa autrice. Ella fece parimente un dramma pastorale intitolato, Il Trionfo della Fedeltà, che ancor ella stessa pose in musica, e fu rappresentato con grande applauso.
I pantomimi non solo fioriscono oggidì ancora in Germania, ma la gloria d’aver prima di tutti risuscitata quell’arte, si attribuisce a un tedesco. Il signor Hilverding nativo di Vienna ha prodotti in quella città vari buoni balli di azioni seguite, e può vantarsi di aver avuto per seguace l’Angiolini. Nella corte del duca di Wittemberg si son veduti i più magnifici ben eseguiti balli del settentrione.
Non forniscono materia per un articolo a parte gli spettacoli scenici delle Fiandre, e perciò soggiugneremo qui, ch’essi ristringonsi colà a una compagnia francese di provincia, che va girando per le città principali, e malmenando i capi d’opera del teatro francese.
Spagnuolo
Sino alla metà del secolo non comparisce veruna tragedia spagnuola a riserba di una traduzione del Cinna fatta nel 1713 da D. Francesco Pizarro Piccolomini; perché il Paolino, goffa produzione di un ignorante stravolto, intitolata Tragedia Nuova alla moda Francese, e stampata nel 1740 con indignazione di que’ pochissimi ch’ebbero la disgrazia d’averla nelle mani, merita solo di esser ricordata per un esempio della pazzia.
Le prime tragedie adunque di questo secolo sono la Virginia pubblicata nel 1750, e l’Ataulso nel 1753. di D. Agustin de Montiano, le quali non si son mai rappresentate. L’autore cercò d’osservarvi le regole dell’unità; ma qualcheduno non le troverà contrassegnate con quell’impronta dell’ingegno che tramanda i componimenti alla posterità.
D. Nicolàs de Moratin compose dopo di Montiano due altre tragedie, la Lucrezia uscita nel 1763, e l’Ormesinda rappresentata e impressa nel 1770. Nella prima l’autore lotta coll’invincibil difficoltà di ben riuscere in siffatto argomento; vi frammischia certi amori subalterni incapaci di chiamar l’attenzione; e lo stile non si eleva abbastanza per giugnere alla sublimità tragica. Ma un autore di un foglio periodico spagnuolo intitolato Aduana Critica nel II tomo impresso nel 1763, ignorando l’indole della drammatica, ch’é di abbellire, e non di ripetere superstiziosamente la storia, pretendeva che si dovesse nella Lucrezia introdurre Bruto fìnto pazzo, senza accorgersi che un carattere siffatto con difficoltà verrebbe ammesso per tragico a’ nostri tempi. E quando ancora tal carattere fosse stato capace di trattarli oggidì tragicamente, il critico non ha dritto di mostrar un altro cammino al poeta, se non allora che gli ha provato con principi incontrastabili ch’egli é andato errato in quello che ha scelto. Ma nel presente caso é il critico, e non il poeta, che ha perduto di vista i principi della drammatica. Nell’altra tragedia del signor Moratin lo stile si vede migliorato di molto, e lo sceneggiamento é più conseguente; ma presenta un’eroina violata da un moro, la quale forse dispiacerà alla delicatezza del nostro secolo; dacché gli odierni teatri culti esigono una rigorosissima decenza. Essa é arricchita di un racconto circostanziato della battaglia di Tarif e Rodrigo, in cui si vedono diverse vaghe imitazioni virgiliane, le quali fan desiderare che tal racconto fosse con maggior necessità attaccato all’azione della sorella di Pelagio. In ogni modo l’autore meritava di essere incoraggiato dalla nazione, invece d’esser perseguitato con isciocchi libelli efimeri, e proverbiato dalle medesime scene da’ grossolani compositori d’intermezzi insipidi e villani.
Egli é avvenuta la stessa cosa a D. Giuseppe Cadhalso y Valle, autore della tragedia intitolata D. Sancio Garzia, rappresentata e stampata nel 1771. L’argomento é tragico, trattato con giudizio e in buono stile, se non che la versificazione di due endecasillabi rimati perpetuamente per coppia ristucca alquanto. Le passioni della contessa sono bene espresse; ma sembra che avrebbe dovuta esser meglio apparecchiata e colorita la richiesta del moro che pretende da una madre per prova d’amore la morte del di lei figliuolo. Una tragedia siffatta, quantunque non irreprensibile in tutto, non dovea esser lo scopo delle satire de’ piccioli verseggiatori chiamati in castigliano copleros, e a’ comici non dovea increscere di replicarla.
D. Tommaso Sebastian y Latre ha pubblicato nel 1773 in un saggio teatrale una tragedia rappresentata nel medesimo anno, nella quale ha preteso rettificare l’antica Progne e Filomena di D. Francesco Roxas. La buona intenzione e ’l patriotismo dell’autore che aspira al miglioramento del teatro nazionale, é ben lodevole; ma il mezzo che vi adopera, gli toglie la gloria principale dell’invenzione, senza ottenerne l’affetto bramato. Come, quando si rescriveranno tante migliaia di componimenti spagnuoli per purgarli da tutti i difetti e dalle indecenze! Vi é un sentiero più breve di questo, ed é di scriverne alquanti nuovi affatto, i quali si contengano ne’ limiti del verisimile, allettino il pubblico dalla scena, e piacciano agl’intelligenti nella lettura per l’accuratezza e bellezza dello stile. Questa moderna foggia di comporre, che diverte il volgo e la gente ben nata, l’idiota e ’l savio, farà presto dimenticare gli antichi drammi spropositati, com’é avvenuto in altre colte società.
D. Tommaso Ayala, professor di poetica in Madrid, ha pubblicata nel 1775 una tragedia intitolata Numanzia Distrutta. Il soggetto storico é senza dubbio compassionevole, e appresterebbe degna materia a un poema epico; pur maneggiato drammaticamente, divide per tal modo l’interesse colla distruzione di un popolo intero per mezzo della fame, del ferro, e del fuoco, che stupidisce, e spossa il fondo della compassione senza fissarlo a un oggetto principale, e non ottiene il fine della tragedia. L’autore erudito vi ha incastrati vari squarci di poeti antichi; ma i suoi compatrioti vi scorgono un dialogo elegiaco uniforme più che un’azione tragica, e non poca durezza nello stile. Ho udito ancor annoiarsi i nazionali per un patriotismo soverchio affettato e per le frequenti declamazioni contra di Roma, cose che a tempo e parcamente usate converrebbero ai Numantini, ma con tanta frequenza e trasporto, manifestano troppo l’autore. Vi si veggono sparsi qua e là alquanti versi robusti e patetici; e l’endecasillabo coll’assonante da lui adoperato é uno de’ metri che più convengono alla poesia drammatica spagnuola.
Un rispettabilissimo personaggio che ha voluto occultare al grosso de’ lettori un nome grande, di cui andrebbe superba la poesia, come ne va la nazione spagnuola, ha proposto all’altrui imitazione un modello di tragica poesia nell’Ifigenia di Racine da lui ottimamente trasportata in versi castigliani e impressa nel 1768.
Altre tragedie inedite si trovano in Madrid applaudite da que’ pochi che l’hanno lette, come un’altra Numanzia del Cadhalso, una Rachele di Huertas, e una Zulima dell’italiano Gajone scritta in una spezie di alessandrino castigliano che parve non solo cattivo, ma nuovo a uno spagnuolo, che volle censurarla. Lasciando da parte il cattivo, confesso che mi fa meraviglia l’imputazione della novità. Il censore non ricordossi, che il monaco Gonsalvo di Berceo, di cui esistono tante poesie sacre, avea usato questo verso in Ispagna fin dal secolo XIII; che il re D. Alonso il Dotto, figlio di San Fernando, compose molti versi alessandrini, a imitazion di Berceo, nel dialetto di Galizia; che nel Cisne de Apolo, o sia arte poetica di Carvallo, impresso nel 1602, si novera questo verso di quattordici sillabe tra’ castigliani; e ultimamente che D. Nicolàs Antonio lo riconosce per tale parlando de’ versi di Berceo, e gli dà il nome di endochat dobles 260.
La commedia si trova pressoché interamente negletta in questo secolo. Il solo D. Joseph Cañizares ne ha composte alcune piacevoli e graziose, benché, come tutte le altre, sregolate. Non senza garbo ha dipinti alcuni caratteri di moda nel Domine Lucas, nell’Honor dà entendimiento, e nel Montañes en la Corte. Le sue commedie, e l’ultima specialmente, tengono moltissimo della farsa; ma la farsa non é, come credono gl’inesperti, opera spregevole o facile. Per mille che saran capaci di scrivere una commedia nobile, o una tragedia, che muore appena nata, a stento se ne incontrerà uno che sappia comporre una farsa piacevole e ingegnosa, atta a resistere agli insulti del tempo, come quelle d’Aristofane o di Molière. E in qual componimento drammatico si richiede tanta rapidità d’azione e conoscenza di teatro, come nella farsa? Nel saggio teatrale del mentovato Don Tommaso Sebastian uscì ancora una commedia, in cui l’autore pretese riformare il Parecido en la Corte del Moreto. Una buona traduzione del Pregiudizio alla Moda, fatta dal giudizioso Don Ignazio Luzan, fu pubblicata in Madrid nel 1751 sotto il nome del Pellegrino. Tutte le altre produzioni comiche sono stravaganti assai più di quelle del secolo passato senza averne alcuna grazia. Tali sono, p. e., il mostruoso Koulicàn di un tal Camacho, la sciocchissima quarta parte di Marta Romorandina, commedia di trasformazioni detestabile, la quale fruttifica mirabilmente per gli commedianti, benché superi in istravaganze e goffaggini qualunque altra di simil genere; e cento insulse traduzioni dell’opere drammatiche del Metastasio malmenate e guaste col frammischiarvi il buffone e in mille altre guise ancora.
Quello che mi sorprende nell’odierno teatro spagnuolo, si é, che i comici invaghiti delle antiche commedie, che non saprebbero lasciar di ripetere ogni giorno, rappresentano nonpertanto un’abbozzata immagine della buona commedia senza accorgersene. Le picciole favole spagnuole, che danno per tramezzi degli atti delle loro commedie, e chiamansi saynetes, dipingono esattamente la vita civile e i costumi correnti spagnuoli, e riprendono il vizio e ’l ridicolo dominante. Or quando i poeti apprendessero a dare a questi sainetti la propria forma, non introdurrebbero a poco a poco nel teatro castigliano la bella commedia di Menandro e Terenzio, e di Molière, Goldoni, e Albergati? Ma gli odierni scrittori di tali sainetti par che non siano per ora in istato di convertirli in vere commedie, perché 1. non istudiano per apprendere a sceglier le dipinture più generali nella società e renderle più istruttive e degne d’attenzione; 2. non sanno formare un quadro che dimostri un’azione compiuta; 3. ignorano l’arte di fissar l’attenzione su di un solo carattere principale, e farlo trionfare per bene imprimerlo nella fantasia degli spettatori, ma mettono in vista in ogni sainetto moltissimi caratteri in un mucchio con ugual quantità di lume, e come pare loro di averli fatti parlar quanto basta, conchiudono con una tonadilla, la quale suol essere qualche racconto comico in musica cantato dalle loro mime con sale e grazia nazionale. Un gran numero di tali sainetti composti da Don Ramon La Crux sono stati ricevuti con applauso, e talvolta la loro piacevolezza ha fatto passare e soffrire commedie stravagantissime. Quest’autore ha felicemente copiato al vivo il popolaccio di Lavapiés e de las Maravillas, los Arrieros, cioé i mulattieri, i furfanti usciti da’ presidi, gli ubbriachi, e simil gentame che fa stomaco anziché piacere, e che il giudizioso M. de la Bruyère volea affatto esclusa dal buon teatro. Egli ha pur flagellati meritamente gli abati impostori letterari e civili, i quali non mancano di esercitar nelle città grandi l’impiego di serventi ridicoli, di pacieri, di spioni, di bari, e. di commettimale. Egli naturalmente ha lo stile umile e dimesso, e batte lo stramazzone tosto che vuol nobilitarlo, ma ciò non gli nocerebbe gran fatto sempre che sapesse scegliere il genere di commedia conveniente alle sue forze. Non si può negare che abbia destrezza in far ritratti, principalmente bassi, ma scarseggia affatto di fantasia per inventare e disporre un piano e far quadri istoriati. Perciò si é limitato a tradurre varie farse francesi, e particolarmente di Molière, come Giorgio Dandino, il Matrimonio a forza, Pourceaugnac; ma invece d’imparare da tal maestro l’arte di formar di varie figure un quadro d’una giusta azione principale, ha rannicchiate, poste in iscorcio e troncate al meglio le favole del comico francese, a somiglianza di quel Procuste ladrone dell’Attica, il quale troncava i piedi o la testa de’ viandanti, quando non erano di giusta misura pel suo letto.
Non increscerà a qualche lettore, che si aggiunga qui un’idea dell’edificio e struttura di questi teatri diversi da’ nostrali. Corràl, che significa propriamente un cortile comune a varie famiglie plebee che vi hanno le loro picciole case, é il nome dato anche oggigiorno all’edificio, in cui rappresentano gli spettacoli scenici. Corràl de la Crux, Corràl del Principe, Corràl de los Caños del Peral, chiamansi i teatri pubblici di Madrid, de’ quali l’ultimo chiuso da molti anni, fu rifatto nel 1767 in nuova forma senza tavolato per la scena, essendo destinato ai balli in maschera, oggi pur anco aboliti. Dalle finestre delle case rinchiuse ne’ cennati cortili le famiglie che le abitavano, aveano anticamente il dritto di affaccirsi per goder dello spettacolo, e quelle servivano, di palchi. Al presente i teatri, ritengono il nome di corràles, tutto che siano edifici chiusi, e appartengono al corpo politico che rappresenta la villa. Sino a dieci anni sono, il palco destinato agli attori consisteva in un proscenio accompagnato da due scene, o quinte laterali, e da un prospetto con due portiere, dette cortinas, donde entravano e uscivano i persopaggi, soggette a tutti gl’inconvenienti che nuocono al verisimile, e guastano l’illusione. L’orchestra si restringeva a un sonator di chitarra, il quale alle occorrenze compariva sulla scena stessa e accompagnava le donne che cantavano. Oggi las cortinas han ceduto a varie vedute ben dipinte proporzionate all’azione; e alla chitarra sparita affatto é succeduta un’orchestra competente posta nell’istesso piano dell’uditorio. I più distinti o ricchi spettatori seggono in quattro file dette lunetas, divise in molti comodi sedili. Altri occupano alcuni scaglioni posti in giro l’un sopra l’altro a foggia di anfiteatro, chiamati la grada; e intorno al circolo superiore di quella scalinata trovasi un corredor oscuro che pur si riempie di spettatori, e a livello del primo scaglione inferiore vi ha un’altro corridoio, nel quale vedesi pur la gente in parte seduta in una fila di panche chiamata barandilla, e in parte all’in piedi affollata. Il rimanente assisite all’erta nel piano dopo la lunetta chiamato patio, cortile. Le donne di ogni ceto divise dagli uomini, coperte delle loro mantillas, seggono, tutte unite in un gran palchetto dirimpetto alla scena, il qual si chiama cazuella e congiunge i due archi della sopranominata grada. Havvi poi in ciascun teatro tre ordini, di palchetti simili ai nostri per le dame e altra gente agiata, l’ultimo de’ quali é interrotto nel mezzo da un gran palco chiamato tertulla, posto, come la cazuela in faccia alla scena di là gode lo spettacelo la gente, più seria e qualche ecclesiastico.
La capa parda e ’l sombrero chambergo, cioé senza allacciare, ancor di cara memoria ai madrilenghi, un uditorio con tante specie di ritirate di certa oscurità visibile e un abuso di malintesa libertà, facilitava l’insolenze di due partiti teatrali denominati Chorizos y Polacos, simili ai verdi e ai turchini dell’antico teatro di Costantinopoli. Los Chorizos eran i partigiani del teatro de la Crux; los Polacos quei del teatro del Principe; ma di tali nomi non ho potuto rintracciar l’origine. V’é chi vuole che quello di polacchi venne da un intermezzo, o tonadilla di polacchi rappresentata con applauso da una delle due compagnie. Vivendo la famosa Maria o Mariquita Ladvenant, morta da nove o dieci anni, degna di mentovarsi tralle più sensibili e vivaci attrici antiche e moderne, rappresentava nel teatro della Croce, e los Chorizos suoi fautori furono da lei distinti con un nastro di color di solfo nel cappello, mentre los Polacos ne presero uno di color celeste. Qualche sconcerto nato tralle due fazioni e l’animosità che ne risultava, determinò chi governava a troncar questa rivalità teatrale, formando delle due compagnie un sol corpo, una sola cassa, e un solo interesse. Rimane oggi di cotali partiti appena una fredda e serena parzialità, che ad altro non serve se non che a sostenere un momento di conversazione ne’ caffé senza veruna conseguenza.
Nel teatro de los Caños del Peràl, molti anni sono, si rappresentò l’opera buffa italiana; ma oggi é chiuso, né serve ad altro che a qualche concerto, od opera passeggiera che vi si rappresenti in alcune sere. Nel teatro del ritiro, cui qui si dà il nome di Coliseo, sotto Ferdinando VI si rappresentò la nostra opera eroica con intermezzi buffi con sorprendente magnificenza. Sino a quest’anno 1776 l’opera italiana si é cantata ne’ siti reali, ed ha alternato con una compagnia comica andaluzza che si vale del teatro francese tradotto in castigliano; ma da un sovrano divieto oggi ne sono state sospese le rappresentazioni. In Madrid sogliono cantarsi nell’està alcune nostre opere buffe tradotte, come la Buona Figliuola, il Filosofo di Campagna, il Tamburro notturno ec. e alcune originali di parole e di musica nazionale, chiamate zarzuelas, come las Segadoras de Vallegas, las Foncarraleras etc., e nell’une e nell’altre i recitativi si parlano, e si cantano le sole arie e finali. Un’opera eroica spagnuola compose, anni sono, il soprannominato La-Crux, intitolata Briseida, la quale fu assai mal ricevuta e derisa, spezialmente in alcune lettere molto lepide e graziose scritte da Don Miguél Higueras mascherato sotto il nome di un Barbero de Foncarràl. Fu la prima e l’ultima opera seria spagnuola, perché l’autore non si ricordò del precetto oraziano:
Sumite materiam vestris qui scribitis aequamViribus, et versate diu quid ferre recusent,Quid valeant humeri.
In Cadice si trova oggi la commedia francese e l’opera italiana. In Barcellona, in Cartagena, nel Ferol si rappresenta ancora l’opera italiana; e in Bilbao suole anche talvolta cantarsi qualche nostra opera tradotta in castigliano.