Beolci, o Beolco Angelo, detto il Ruzzante, nacque a Padova nel 1502. Lo Scardeone (de antiquitate urbis Patavii) lo chiama il Plauto e il Roscio dell’ età sua. Scrisse commedie, orazioni e dialoghi in lingua rustica, che pubblicò prima a parte a parte, poi raccolti in un sol volume. Le commedie sono : la Rhodiana, l’Anconitana, la Piovana, la Vaccaria, la Moschetta e la Fiorina ; se bene il Calmo nella dedica della Rodiana che fa al Conte Ottaviano Vimercati, affermi questa commedia esser sua, così dicendo : e dia la colpa a’ maligni, che mi rubarono la Commedia Rhodiana, la quale fu recitata in Vinezia del 1540, e poi nella Città di Trevigi sotto il felice Reggimento del clarissimo M. Giovan Lipomani, facendola stampare sotto il nome di Ruzzante, credendo forse col mezzo di tante mie Vigilie aggiungerli gloria. Fu poi ristampata sotto il proprio nome del Calmo in Venezia per Domenico Farri, 1561, in-8, e 1584, in-12, e in Vicenza presso gli eredi di Perin libraro, 1598, in-8 (V. Quadrio, Della Storia e della Ragione d’ogni poesia, vol. III, P. II). Comunque sia, la Rodiana figura prima tra le commedie del Ruzzante (Vicenza, Giorgio Greco, 1584), e senza di essa non sarebbe la fama di lui attenuata, tanti sono i pregi onde abbondano le altre cinque, e le orazioni e i dialoghi rusticani. A lui dobbiamo forse la prima apparizione dei dialetti nella commedia regolare. Nel 1528 diede la sua prima commedia in cui ciascun personaggio parlava un differente linguaggio : la qual cosa dovette recar molto piacere agli ascoltatori delle varie regioni che voller d’allora in poi – scrive il Sand – rappresentato sulla scena il proprio tipo…. Di qui ebber vita nuova i buffoni delle antiche commedie, trasformati in Pulcinella, Brighella, Arlecchino, Capitano, Pantalone, Dottore : di qui, si può dire, ebbe vita nuova e rigogliosa il teatro popolare d’Italia. E che modelli di verità e di vitalità quei personaggi !… quelle Bette, quei Tonin, quei Truffi, quelle Fiorinette ! Che vivezza di dialogo, che realismo sincero, non accattato, non forzato !… Mai una sconcezza per la sconcezza !… Le cose accadono perchè debbono accadere, le parole si dicono perchè debbono esser dette : nulla di quella ipocrisia voluta che fa i personaggi tisici del corpo e dell’anima ! Il personaggio di Ruzzante non ha carattere speciale : egli è quello che capita : talora soldato pauroso arieggia il Capitano ; talora servo, talora innamorato, talora marito…. E questa varietà di caratteri il Beolco dava forse a bella posta al suo personaggio, a meglio mostrare agli spettatori ammirati la versatilità e proteiformità del suo ingegno. Quand’egli era in iscena, scrive Scardeone, il pubblico non s’occupava che di lui : leggendo le opere sue non si è alieni dal crederlo ; specie la Moschetta, di cui abbiam dato un breve saggio al nome di Alvarotto, e che mi par tutta un piccolo capolavoro del genere. Nella scena del primo atto di dichiarazione amorosa fra Bettia e Tonino, e nella quarta degli atti secondo e terzo fra Bettia e Ruzzante, il Beolco ha raggiunto il colmo della dolcezza e della forza, della comicità e dell’ effetto. Qui davvero non mi pare esagerazione dir collo Scardeone e col Sand che contenda con Plauto. È peccato che io non possa trascriver siffatte scene. Nell’originale troppo affatican per la difficoltà de’ dialetti, e in una traduzione scemerebber della loro freschezza e spontaneità. Trascriverò piuttosto il discorso che è nel primo atto dell’Anconitana col quale Isotta in veste d’uomo sotto nome di Gismondo, raccontando le buone qualità ond’è ornata, cerca di persuadere Doralice a riscattarla con danaro.

Non posso, gentilissima Madonna, fare ch’io in quello che servirò quella Magnifica Madonna per la cui generosità sarò riscattato non dica che il padre mio doi figliuoli ebbe senza più, ed egli è il vero che la madre noi d’un medesimo parto avendo partorito passò di questa vita ; per il che dall’avo materno nostro, fummo fino alli sette anni allevati, di poi, per odio di nostri parenti a noi portato, e per fuggire le insidie loro a noi nella vita tese, fummo disgiunti : quello che di mio fratello avvenisse non potei mai risapere ; io in abito di donna fino alli diciotto anni stei rinchiuso in un monasterio di monache, ove, in cambio delle lettere, allo ago, alla rocca ed al fuso diedi opera, e prima imparai a tirar in filo il lino e la lana, di poi a comporre e tessere le tele, e di poi con l’ago di seta di varj colori trapungerle e ricamarle d’oro e d’argento, ed in quelle dipingere e colorire figure di uomini, di animali, di arbori, di paesi, di fontane, di boschi…. ed in breve, quello che faria con un pennello un dotto dipintore, io con l’ago, con la seta tinta di varj colori farò. E ciò che per me si dipinge, e con atti, movenze, congerature con panni ignudi in maestà, in profilo, in iscorcio, adombrati e coloriti con riflessi, con ombre morte ; e se di dieci mila figure le più belle parti scegliessi, quelle so benissimo accompagnare ; il che in pochi si ritrova : e di poi colorire di azzurro, di giallo, di perso, di vermiglio, e più e meno, come richiede lo effetto della figura. I lavori di camice e di gorgiere di trapunti aurati e serici benissimo li so fare. Oltre di ciò ho perfettissimo judicio e intiera cognizione di adornare una donna di vestimenti, di scuffie, di balzi, di treccie e di gorgiere. E quali colori di drappi siano più confacevoli alla donna bianca, e quali alla bruna ; e quali panni meglio si accompagnano alle divise e alle nove livree d’imprese. Come significano o amore, o speranza, o gelosia ed altre simili cose. Come si devono portare le faldigie, come la scuffia in balzo riesca meglio, o coprendo tutti li capegli, o lasciandone vedere un dito o due. A quali donne riescono le orecchie forate, e come meglio se gli confaccino o le perle, o le fila d’oro, ed in anella rivolte. Le guise di cassi come vogliano essere a far parere il petto morbido e far mostrar le mammelle o poco o meno. Gli monili, le catene d’oro, le perle ordinate in filza come faccino parere più altera la donna. Delle anella ancora quali dita si debbano ornare ; come deve muovere il passo la donna, come deve ridere, come volger gli occhi, come far riverenza ; e in quali atti più di grazia e più d’onestà si trova. Come si deve fregiare una vesta, e nuove guise di aggiungere diversi colori di panni che più leggiadri pajono. Ed in vero ho veduto in questa città molte madonne, tanto inordinatamente acconcie ed ornate, che se a loro stesse fossero così note come a chi le mira, si andariano tutte a riporre. Elle nello specchio colli propri occhi si rimirano, o al judicio cieco delle fantesche si riportano, le quali più presto di una scanciera di scudelle che di adornamenti di donna saperiano judicare. Alcune donne ordinano li capelli egualmente castigati, e tutti ad uno ordine posti, che uno l’altro non passi ; alcune lasciandoli così inordinati hanno accrescimento di grazia e di beltà tanto che non si potria con mille lingue raccontare. Con sofferenza vostra, madonna, tirate un dito quella scuffia innanzi, che non si veggiano tanto i capegli. Oh, vedete che più di grazia avete, perchè il viso vostro è alquanto iscarno. Sicchè alla donna che mi riscuoterà sarò servo e fante, e uomo e femmina. Piacendovi adunque uno di noi, piglierete quello che più vi piace, ch’ io non ho a dire altro, alli effetti rimettendomi.
Degli onori ch’ebbe in vita il Ruzzante scrive largamente lo Scardeone (op. cit., 255). Io dico, riepilogando, che le sue commedie, rappresentate ne’ vari teatri d’Italia, ebber dovunque accoglienze di risa e di applausi, e ch’egli superò tutti i recitatori del suo tempo. Andava l’estate in campagna alla villa Codevigo presso Luigi Cornelio, veneto, magnifico e liberalissimo uomo suo mecenate ; e là recitava le sue commedie. Forse – accenna il Sand – l’illustre signore stesso prendeva parte alla rappresentazione sotto le spoglie del vecchio Cornelio. Quando i Cardinali Marco Cornaro e Francesco Pisano, preposti ecclesiastici di Padova, fecero il loro ingresso nella città, tutti, a qualunque classe appartenessero, mosser loro incontro con gran festa. Fu allora che, dopo la cena, il Ruzzante, secondo l’uso, a esilarar gli animi, recitò le sue tre orazioni in lingua rustica, magna cum astantium voluptate.
Morì a soli quarant’anni in Padova, con grandissimo cordoglio di tutti. Sepolto nella chiesa di S. Daniele, a Prato della Valle, gli fu, a eterna ricordanza del suo nome e della sua fama, eretta una pietra su cui sta incisa la seguente iscrizione che dettò Giovanbattista Rota profondo ammiratore di lui.
V. S.
angelo beolco rvzanti patavino nvlli in scribendis agendisq comoediis ingenio, facvndia avt arte secvndo iocis et sermonib. agrest.
applavsv omnivm facetiss.
qvi non sine amicor. moerore e vita decessit, ann. domini m. d. xlii. die xvii martii.
aetat. vero xl.
io. bapt. rota patavinvs tantae praestantiae admirat. pign. hoc sempit. in testimon. famae ac nomin.
p. c.
ann. a mvndo redempt. m. d. lx.
Beretta Federico. Recitava il 1675 le parti di Capitano Spagnuolo, come si è potuto vedere dalle lettere di Francesco Allori detto Valerio, che ne faceva richiesta a un ministro del Duca di Mantova per la compagnia, della quale egli era direttore, e sua moglie Francesca, Ortensia, prima donna. Sebbene il Beretta fosse già stato scritturato dal Duca, pare che non raggiungesse subito la compagnia, come avrebber desiderato i comici, e specialmente il Truffaldino Palma, che si raccomanda sul proposito a un ministro del Duca con la lettera seguente, tratta dagli Archivi de’ Gonzaga, e come l’altre gentilmente comunicatami dall’ egregio cav. Davari :
Ricevo stasera di V. S. Ill. con l’ordine del Passa porto, anderò inanzi doi giorni, dall’ Ill.mo S.r Residente per il passaporto, rendo infinite gratie a V. S. Ill. del favore ricevuto, spero in dio, che questa settimana che entra di essere spedito di miei interessi, e poi mettermi in viaggio a dio piacendo. Ricordo a V. S. Ill.ma di Federico Beretta, che fa da Capitanio spagnolo, essendo personaggio onestamente buono per la parte del capitano, avendone io di bisogno per molte comedie, e parte necessaria, e poi nelle opere si porta per di verità, e a buona memoria e ricorda nelle opere e scrive bene. V. S. Ill. se ne potrà informare del detto personaggio con la Sig.ra Ortensia, lei essendo buona comica ne farà fede, starò atendendo le sue gratie, pregandola di favorirmi di riverire il Ser.mo Padrone e protetore al quale inchinandomi li bacio afetuosam.te le mani.
(V. anche Turri Gio. Batta, detto Pantalone, che in una lettera allo stesso ministro tocca del Beretta ; la scrittura del quale, dice, non sa come possa conciliarsi con quella di suo figlio Virginio, che gli raccomanda vivamente. Il figlio Virginio è quegli che l’Allori chiama inetto al recitare, e di cui dice che ha tanto poca fortuna da per tutto che la compagnia patisce pur assai).