(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 420-431
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 420-431

Rossi Mario Eugenio. Nato il 22 maggio 1826 a Vercelli da Bernardo Rossi, ex-tenente d’artiglieria e da Teresa Monticelli, fu, morto il padre nel '34, condotto a Torino, dove conobbe il Gottardi, primo attore della R. Compagnia Sarda, stretto parente di sua madre. Conosciuti col suo mezzo la Robotti, Tessero, Bucciotti, doventò in poco tempo creatura del palcoscenico ; e tanto lo prese amor dell’arte, che una bella notte, di nascosto della madre e del fratello maggiore, fuggì di casa per andare ad aggregarsi a una compagnia, che recitava a Dronero in una sala dell’ospedale ; e colla quale frequentò per oltre un anno teatri talvolta di quello assai peggiori. Voltasi la madre alla polizia, egli dovette un po' colle buone, un po' colle minaccie, tornarsene a Torino, ove, stretta amicizia dopo molto tempo con Giacomo Brizzi, tornò più acceso di prima agli antichi amori ; e nel '52 fu iscritto fra i giovani volenterosi che Gustavo Modena riunì a Savigliano per un giro artistico nel Piemonte. Passò da Savigliano a Nizza, poi ad Alba, poi, per mancanza di pubblico, la Compagnia si sciolse. Formò allora Società con Toselli per assai breve tempo ; indi si scritturò con Lorenzo Marazzi, di cui sposò la figlia. Fu socio, in vario tempo, di Pascali, Cardarelli, Bovi, Papadopoli, Piccinini, Ferrante, Andreani : poi pensò di fare da sè ; e scioltasi la Compagnia Monti e Preda, egli subentrò al Santa Radegonda con un contratto che durò otto anni, e fu la sua risorsa. Mise, primo, in iscena i Vaudevilles col soccorso del maestro Casiraghi, si unì allo Scalvini per la Rivista Se sa minga, e spese diciotto mila lire per l’allestimento scenico a Milano della Creazione d’Eva di Castelvecchio, la quale cadde per non rialzarsi mai più. S'unì allora a Pratesi e formò compagnia di Prosa e Ballo per un quadriennio. L'operosità, oserei dir mostruosa, di Rossi Mario arrivò a questo : egli ebbe in un’epoca a Genova quattro teatri : Le Peschiere, il Politeama, l’Apollo, e il Teatro di Sestri Ponente. Bene : con lo stesso personale, senza segretarj, nè amministratori, faceva quattro recite al giorno. S'unì poi a una Eccentricità Fenomenale per desiderio di veder l’Europa ; e fu in Francia, nel Belgio, in Olanda, in Austria, in Germania, in Inghilterra, in Russia. Ritiratosi finalmente a Genova, per godervi in pace il frutto de' suoi guadagni, fu vittima della sua buona fede, e dovette recarsi in Grecia, dov'egli aveva una figlia maritata, e dove sperò inutilmente scovare colui che l’aveva rovinato. Da dodici anni egli vive a Zante, mantenuto da'suoi figli, alimentato dalla speranza di venire a morir nella terra, che lo vide nascere.

Rossi Ernesto. Non so se a me, che non ebbi la sorte di sentirlo nella sua grande opera d’interpretazione e di riproduzione al culmine della gloria, sarà dato tracciar la figura grande, geniale, e nella genialità disordinata, dell’artista, che nell’ultimo cinquantennio, con Adelaide Ristori e Tommaso Salvini, tenne lo scettro dell’arte in Italia e a traverso il mondo intero. E per noi, e per gli ascoltatori di tutto il mondo, fu gran ventura ch'egli tanto si staccasse nel sistema e nell’indole dal suo gloriosissimo collega, da formare un tutto a sè. Non molto puro di linee, fu molto vario e spontaneo ; ma nella spontaneità talvolta esuberante con islanci geniali e inattesi, che, presi fuor di misura, oltrepassavano il confine. Se mi fosse lecita una comparazione, direi che Ernesto Rossi, romantico per eccellenza, fu nell’arte dell’attore quel che fu Vittore Hugo nell’arte dello scrittore : ebbe forza e bellezza grandissime, ma, più volte, di seicento.

Anima ribelle se ce ne fu mai, aveva la ribellione acquistata in una sicurezza piena e recisa di sè. Amava svisceratamente l’arte e sè stesso…. E non sappiamo quale dei due più : forse sè stesso ! Certo egli credette che l’arte dovesse molto a lui, non ch'egli dovesse molto all’arte…. Di tal guisa egli si mostrò nella vita un po' sempre personaggio di commedia, e nelle sue grandi interpretazioni un po'sempre Ernesto Rossi. Qualunque opera da lui architettata doveva essere legge per tutti. Da niuno avversata era forse lasciata a mezzo ; ma se taluno avesse osato esser pietra d’inciampo al suo cammino, egli, solennemente e paternamente mite coi devoti, sarebbe stato per quello capace di odio vatiniano.

Nè cotal senso di sovranità baldanzosa era difficile perdonargli, siccome quello derivato in lui dal piedistallo di gloria, in cui lo avevan posto per trenta e più anni monarchi e principi e uomini prestantissimi nelle arti, nelle scienze, nelle lettere, di ogni paese. E ne parlava sovente : troppo forse ; ma ne'suoi racconti di confidenze sovrane, di accoglienze incredibili, che gli piaceva tenere con tuono magniloquente, era la vera verità…. E i piccoli che mal patiscono l’altrui grandezza, se ne vendicavan chiamandola millanteria. Talvolta il fumo dell’incenso l’acciecò, e allora egli pensò di essere un po'di tutto : maestro di musica, scrittore drammatico, letterato, scienziato, riformatore di scuole, politico sopr' a tutto : sedere in Parlamento fu un de'sogni più grandi che non potè tradurre in fatto. Serbò fin all’ultimo forza ferrea di volontà e fibra giovanissima. Vagheggiò la morte su la scena fra lo splendore dei lumi, il fragor degli applausi, come quella d’un generale sul campo di battaglia : il fato che gli fu prodigo di tante dolcezze, gli serbò la più amara delle delusioni : su la grande arte sua, in mezzo agli urli della folla esaltata, al teatro di Odessa, calò il sipario per sempre ; e abbandonato, forse già dimenticato, il grand’uomo nella piccola Pescara esalò l’ultimo respiro alle 11,45 del 4 giugno 1896.

Era nato a Livorno il 27 marzo del 1827 da Giuseppe Rossi, già ufficiale di Napoleone, poi negoziante in legname, e da Teresa Tellini.

Il padre voleva farne un avvocato, ma egli, che già da bimbo aveva mostrato un amor grande al teatro, a una recita dell’Oreste di V. Alfieri data da G. Modena tanto s’infiammò, che risolse di abbracciar l’arte del comico. In una assenza del padre da Livorno, potè sostituir senza infamia nel Ventaglio di Goldoni (Barone) e nella Francesca da Rimini di Silvio Pellico (Paolo) un attore della Compagnia Calloud…. Ma il padre, saputa la cosa, per poco non maledì il figliuolo, che vinto dall’autorità paterna, piegò il capo, con promessa di riprender gli studj. Ohimè ! L'amor della scena fu più forte di ogni contrario proponimento ; e un bel giorno, poco avanti il carnovale del 1846, di nascosto del babbo, ma col tacito consenso del nonno e della mamma, partì da Livorno per andare a raggiungere a Foiano una compagnietta delle infime, alle cui recite si soleva dare come biglietto d’ingresso frutta, salsiccie, e vino ; e in cui la paga degli attori variava dalle due alle quattro crazie al giorno. Per fortuna la quaresima veniente, egli entrò in Compagnia Calloud, Fusarini e Marchi ed esordì al Pantera di Lucca con la Fedeltà alla prova, facendosi notare subito per la dizione garbata e spontanea, non che per una papera colossale. Il settembre di quell’anno s’unì alla Compagnia nel Teatro Sant’Agostino di Genova G. Modena, che fu pel Rossi una grande rivelazione d’arte. Passò a mezzo il '48 col Meneghino Moncalvo, e il '49 formò Compagnia con Giovanni Leigheb. Il '52 sposò la signorina Pellegrini di Mantova, ed entrò nella Compagnia Reale Sarda.

Qui bisogna io mi fermi alquanto per l’importanza della scrittura e degli avvenimenti.

Egli fu scritturato per un anno, primo attore a vicenda con Giuseppe Peracchi (V.), con l’annua paga di lire 5500, più tre mezze serate. A evitare conflitti o semplici malumori fra' due artisti, fu convenuta la seguente divisione di repertorio, da loro e dal direttore Domenico Righetti accettata e sottoscritta :

Parti di spettanza del signor Rossi Parti di spettanza del signor Peracchi
Caterina Howard Avviso alle mogli
Cittadino di Gand Arturo
Cola di Rienzo Bruno filatore
Calunnia Bastardo di Carlo V
Conte Hermann Battaglia di donne
Clotilde di Valery Don Cesare di Bazan
Duello al tempo di Richelieu Duchessa e Paggio
È pazza Dramma in famiglia
Francesca da Rimini (Lanciotto) Elemosina d’un napoleon d’oro
Fornaretto Guanto e Ventaglio
Foscari Innamorati
Luisa Strozzi Mac Allan
Maria Stuarda Maria Giovanna
Marchese Ciabattino Presto o tardi
Proscritto Ricco e povero
Riccardo D'Harlington Ruy Blas
Segreto Fortuna in prigione
Signora di S.t Tropez Tutrice
Stifelius
Sorella del Cieco
Tre passioni

Mentre il Peracchi, come s’è visto al suo nome, scongiurava il Righetti perchè lo sciogliesse dal contratto, per non trovarsi con Ernesto Rossi che gli aveva mancato di fede, il Rossi in data 17 settembre 1851, scongiurava il Righetti allo stesso intento :

….. io ora vengo quasi ginocchioni a pregarti, a supplicarti per quanto hai di più sacro e caro su questa Terra, tanto pel mio interesse e per la mia quiete, quanto pel tuo riposo, a volere presentare questa lettera alla nobile Direzione, fare conoscere l’immensi danni che potrebbero avvenire tenendo due primi attori, non più amici fra loro, ma bensì accaniti nemici, il poco studio delle parti, le continue dispute, l’odio implacabile nel piacere più l’uno che l’altro, e forse, forse tante e tante altre dimostrazioni, che arrecherebbero anche l’intiero disgusto del Pubblico….

Dopo le quali ragioni, egli si crede in diritto o meglio in dovere, di passare alle minaccie, in caso di risposta negativa :

….. Se poi tu mi avessi a rispondere un No, assicurati che ne sarei così colpito ed irritato, che adesso non so spiegarti a che potrei giungere per non venire ad adempiere il mio contratto ; e ne avverrebbe allora, che tu maggiormente irritato mi obbligheresti con forza armata a venire a Torino, e là incominciare una guerra, una guerra implacabile !…

Ma pare che il Righetti gli scrivesse al proposito di tali minaccie una lettera di buon inchiostro, perchè Rossi, il 12 ottobre '51, da Mantova, venuto a più miti consigli, gli dichiara che la loro amicizia non deve venir meno per sì piccola bazzecola, e, naturalmente, non si parla mai più di scioglimento. Ma il Righetti non se ne contenta troppo, e torna all’assalto con una fiera lettera, che suggerisce al Rossi uno squarcio da personaggio di dramma lagrimoso :

….. Io sarò intrepido, sarò forte contro all’invidia e alla tua inimicizia, e mi lagnerò sol quando mi farai vedere che questa sia cessata ; sono avvezzo a vedermi trattar male, e sconoscere gli affetti del mio cuore, ma ho tanta superbia, tanto orgoglio, e forza per calpestare la serpe che mi morde.

E più giù :

Sarò docile, mansueto, e piuttosto che venir teco un’ altra volta in parole mi assoggetterò anche quando tu il credessi a fare il Trovarobe ; non posso più continuare, sono talmente arrabbiato, che mi trema la mano, la bile si converte in pianto, in pianto perchè non posso ora sfogarmi quanto desidera lo sdegno. Addio, che il Cielo non ti dia mai una giornata simile a questa che mi fai passare. Ancora una cosa io voleva dirti : Se credi che la mia abilità non sia tale da meritarmi la paga che tu mi hai accordata, fai pure quelle restrizioni che vuoi : riducila a quella del tuo Macchinista : mi sarà più di contento che il sentirmela a rimproverare….

E il Rossi andò in compagnia, e mali umori certo ce ne furono, e invidie, e armeggii nascosti, come si può vedere da questo bigliettino anonimo del 5 maggio 1852 :

Egregio Signore,

Si esorta il signor Direttore della Real Compagnia a non voler più oltre defraudar le parti dovute all’ Esimio attore Giuseppe Peracchi col sostituirle all’attore Ernesto Rossi ; onde evitare qualsiasi disordine che in Teatro ne potrebbe nascere.

Parecchi abbonati.

Da qual parte fosse maggior lealtà di combattimento non saprei dire ; forse uguale in entrambi ; ma il Peracchi uscì di compagnia l’anno veniente, e il Rossi vi fu riconfermato per un triennio, assoluto e solo, con cento lire di aumento pel primo anno, e 1400 e una mezza serata per ciascheduno degli altri due, più un regalo di lire mille per una sol volta.

Ammalatosi il Pieri nel '53, egli dovette sostituirlo per tre mesi, recitando tragedie, drammi, commedie, e farse al fianco della Cutini, acquistando nella gran varietà de' personaggi, quella elasticità di dizione e d’interpretazione che doveva condurlo a gran passi alla celebrità. Fu a Parigi a fianco della Ristori e di Bellotti-Bon, e il '55 vi ebbe ottimo successo. Tornata la Compagnia in Italia, non ostante gli entusiasmi sollevati, non riuscì a revocar l’abolizione del regalo governativo di 25000 lire, e si sciolse ; e Rossi, dopo di aver fatto parte con alcune recite straordinarie della Compagnia Asti, pensò bene di tornare al Capocomicato, e scritturò Laura Bon, Celestina De-Martini, le Ferroni, madre e figlia, la Job, la figlia di Gaetano Gattinelli ; poi Raimondi, Benedetti, De-Martini, Cesare Rossi ; e la Compagnia, tranne pochi mutamenti d’anno in anno, andò avanti per quattro anni, recitando anche a Vienna, ove Rossi ebbe il più grande de' successi.

Tornò in Italia, festeggiatissimo ; riposò un anno, poi si scritturò attore-direttore per un biennio con Cesare Dondini ('62-'63), al fianco, prima di Anna Pedretti, poi ('63-'64) di Giacinta Pezzana ; poi formò società con Giuseppe Trivelli, nella quale percepiva una paga annua fissa, e la metà degli utili.

Le donne eran rappresentate dalle signore Matilde Pompili-Trivelli, Elvira Pasquali, Augusta Giansana, Angela Botteghini, Luigia Vestri, ecc., ecc., e gli uomini dai signori Leopoldo Orlandini, Luciano Cuniberti, Giacomo Brizzi, Giuseppe Trivelli, Leopoldo Vestri, Filippo Parducci, Carlo Perrucchetti, ecc., ecc. Morto il Trivelli, Rossi lo sostituì con Salvator Rosa ; se ne accollò i debiti, continuò l’azienda, assoluto e solo padrone.

Segretario della Compagnia fu il Brizzi che restò con Ernesto Rossi ventitrè anni, cassiere il Perrucchetti, che restò venti.

Fu il '66 in Francia e in Ispagna ; si stabilì il '67 a Napoli, ove gli affari andarono alla peggio ; e avrebbe certo dato fondo a ogni avere messo assieme con tanti sudori, se il buon genio della cassetta non gli avesse suggerito di comporre una specie di satira in tre atti con musica — Colpe e Speranze — che andò in iscena il 25 dicembre, e piacque a segno da non lasciare un sol giorno il cartellone per tutto quel carnovale. Tornò il '68 in Francia e in Ispagna, e toccò il Portogallo. Fu il '71 e '72 nell’America del Sud, il '73 e '74 in Austria, Ungheria e Germania, il '75 di bel nuovo a Parigi, poi nel Belgio e nell’Olanda, il '78-'79-'81 in Russia, in Romania, in Austria e in Egitto, quindi ancora nell’America del Sud, dove ottenne un clamoroso successo col Nerone di Pietro Cossa ; l’ '83 nell’America del Nord sino a San Francisco di California, e poi qui, e poi là, un po'dappertutto all’estero e in patria, ove dava di quando in quando recite straordinarie. Ma se il sopravvenir degli anni gli andava scemando, naturalmente, il vigore fisico (un’ affezione cardiaca lo tormentava da tempo), gli accresceva direi quasi quello morale…. sicchè a quasi settant’anni, capocomico e direttore, si mise in viaggio per la Russia, ove trovò le stesse accoglienze del tempo addietro ; e donde, nel ritorno, a Pescara, lasciò miseramente la vita, quasi d’improvviso. Trasportata la salma a Firenze, ebbe quivi funerali sovrani, e si fecer ne'principali teatri d’Italia solenni commemorazioni. A Roma, al Costanzi, a iniziativa e profitto della Società di Previdenza degli artisti drammatici, fu data una grande rappresentazione, in cui preser parte la Ristori, Salvini, la Marini, la Marchi : Enrico Panzacchi vi tenne la conferenza commemorativa.

Dire degli onori toccati a Ernesto Rossi nel corso della sua vita artistica non è possibile : basti, ad averne una pallida idea, guardare al museo magnifico dei regali, venutigli da sovrani, da artisti, da poeti.

I più grandi pittori e scultori francesi di oggidì hanno schizzi e firme e indirizzi in un album donatogli quand’eran scolari dell’Accademia di Belle Arti…. Dettaron biografie fra gli altri Enrico Brizio e Pier Ambrogio Curti…. Edmondo De Amicis gli dedicò un magnifico studio per la recitazione del Canto de' Serpenti di Dante, e Sully Prudhomme gli dedicò il seguente sonetto :

A ERNESTO ROSSI

Quand le monde réel m’est un trop lourd fardeau,
Je voudrais bien m’en faire un autre à mon usage ;
Et, comme toi, muant mon âme et mon visage,
Devenir un autre homme au lever du rideau ;
Agiter, tout un soir, plus fort, plus grand, plus beau,
Le fantôme évoqué d’un héros et d’un âge,
Dussé-je, aveuglement fidèle au personnage,
Le rideau descendu, le suivre en son tombeau.
Je ne le puis. Jamais le rôle que je rêve,
Dans l’espace où l’on marche et parle, ne s’achève,
Et l’espace où l’on rêve est si près du néant !
Par tes créations, tu vis plus d’une vie,
Mais moi je n’en ai qu’une et l’epuise en créant.
C'est pourquoi le poète, en t’admirant, t’envie.
Sully Prudhomme.

Non ho, come ho detto da principio, avuto la sorte di sentire Ernesto Rossi al culmine della sua gloria : l’ho sentito quando io era troppo giovine per poter giudicare dell’ opera sua, e quando egli era troppo vecchio, perchè potessi farmi un’idea chiara della grandezza passata : certo l’una volta e l’altra ebbi nell’animo impressione profonda. Allora, al Comunale di Ravenna (primavera del '64), recitava Le gelosie di Lindoro ; e mi par di vederlo ancora lasciarsi mettere un gran mantellone dalla moglie, prima di partire, e minacciarla dietro le spalle col pugno serrato, mentre in faccia si sforzava di sorriderle. Che vena di comicità !…

L'udii vecchio, a Firenze, nell’Amleto : un colosso ! Shakspeare mi apparve in tutta la sua grandezza : Amleto con Ernesto Rossi era un poema vasto, smisurato, quale non aveva mai visto, nè vidi poi.

L'analisi ch'egli fa in un suo studio della tragedia shakspeariana, è minuta e acuta, e dà prove non dubbie dell’amore e della tenacia con cui s’era venuto facendo il suo personaggio, carne della sua carne, anima dell’anima sua. Ma non poteva tale studio bastare a far di lui un grande e celebrato artista. Il buon predicatore, com’ è avvenuto in ogni epoca d’arte, avrebbe potuto razzolar male. Invece egli la profondità dell’analisi a tavolino, teorica, sposò con una siffatta grandezza pratica di commediante, da riuscire artista gigantesco nel vero senso della parola.

Una delle scene che più mi ferì fu quella del teatro, quando il Re, veduto versar nell’orecchio del Re del dramma il veleno, alle parole di Amleto : Lo avvelena per carpirgli lo Stato. Vedremo come l’assassino si cattiva l’amore della moglie dell’ ucciso, si alza turbatissimo e si avvia frettoloso alla porta d’uscita. Mi par di vederlo, Ernesto Rossi, come inchiodato davanti al Re, indietreggiare, man mano ch'egli avanza, fissandolo negli occhi, scrutando quel suo turbamento…. Grande, colossale, geniale trovata, resa dall’artista in maniera ineffabile !…

Anche ebbi campo di ammirare profondamente la grandezza di Rossi come direttore sia nel Giulio Cesare, pur di Shakspeare, da lui novamente tradotto, in cui una sera fu Antonio, un’altra Bruto, sia nella Mandragola del Machiavelli, nella quale trovò effetti inattesi, meravigliosi, presentando in modo più che degno, attori men che mediocri.

Ernesto Rossi, come altri grandi artisti, fu solleticato dalla vanità di scrittore, e oltre alla traduzione del Giulio Cesare e agli studi shakspeariani (Firenze, Le Monnier, 1885), e a varie commedie, tra cui, non delle peggio, Adele, pubblicò un’operone di ricordi in tre volumi : Quarant’anni di Vita Artistica (Firenze, Niccolai, 1887), che la critica in genere condannò, e il pubblico dimenticò per le troppe inutili cose discorse concernenti più l’autore che l’arte. Io, schiettamente, passato sopra alla sciattezza della lingua e dello stile, e alla piccola vanagloria che emergon da tutta l’opera, ho trovato e trovo codeste pagine (del primo volume specialmente) un preziosissimo contributo alla storia del nostro teatro del secolo xix, specie per la dovizia degli aneddoti di ogni genere e pei giudizi chiari e precisi di tutti gli artisti, e non furon pochi, i quali militaron con lui.