(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [E-F]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 933-934
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [E-F]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 933-934

Florindo dei maccheroni. Chi si nascondesse sotto questo nome non sappiamo. Dalle notiziole del Bartoli fornitegli da Agostino Fiorilli, sappiamo ch’egli « era un comico, che unir sapeva alla prontezza delle parole l’argutezza de’sali ; e giocava meravigliosamente delle scene insieme col Pulcinella. Aveva egli una veemente passione pe’maccheroni : e però Florindo de’ maccheroni fu comunemente appellato, e si venne quindi a perdere la memoria del suo vero nome. In alcune commedie ridicole, e dove la mensa avea luogo, voleva che fossero apparecchiati i maccheroni, che venivano da lui divorati, non che mangiati. Nella tragicommedia del Gran Convitato di Pietra portavali ben conditi nelle saccoccie dell’abito, e mangiavali senza soggezione alcuna in mezzo alla scena. »

E Goldoni, nel Cap. VI delle sue Memorie, riferendo un dialogo col padre, così precisa l’origine di quel soprannome : « Come sei qui venuto ? – Per mare. – Con chi ? – Con una Compagnia di Comici. – Di Comici ! – Son genti oneste, padre. – Come si chiama il Direttore ? – Sulla scena lo dicon Florindo, e lo chiamano Florindo dei Maccaroni. – Ah ! ah ! lo conosco ; è un brav’uomo : faceva la parte di Don Giovanni nel Convitato di Pietra ; si pensò di mangiarsi i maccheroni d’Arlecchino, e da ciò gli diedero questo soprannome….. »

La Compagnia di Florindo fu quella con cui viaggiò Carlo Goldoni il 1720 da Rimini a Chioggia. Val ben la pena che io qui ne riferisca la descrizione che ispirò al De Rossi Brugnone il quadro che è alla Galleria moderna di Firenze, e che qui riproduco.

I miei Comici non erano quelli di Scaron ; ma l’unione però di questa truppa imbarcata presentava un colpo d’occhio piacevole.

Dodici persone fra Attrici ed Attori, un suggeritore, un macchinista, un guardacassoni, otto servitori, quattro cameriere, due nutrici, figliuoli d’ogni età, cani, gatti, scimie, pappagalli, uccelli, piccioni, un agnello ; quest’ era l’immagine dell’arca di Noè.

La barca essendo molto vasta, era divisa in più compartimenti. Ciascuna donna aveva il suo nicchio separato da coltrine. Avevano fatto un buon letto per me a fianco del Direttore, e tutti stavamo bene.

L’Intendente general del viaggio, ch’era Cuoco e Cantiniere nel tempo stesso, suonò una piccola campanella, ch’ era il segnale della merenda. Tutti si unirono in una specie di sala in mezzo alla barca, fatta e disposta sopra casse, baulli, e balle. Colà eravi sopra una tavola ovale caffè, thè, latte, fette abbrustolate di pane, acqua e vino.

La prima donna domandò un poco di brodo, e non essendovene, andò in furore. Si fecero le più grandi fatiche a quietarla con una buona chicchera di cioccalata. Essa era la più brutta e la più schizzinosa.

Dopo la merenda, si propose la partita fino all’ora del pranzo. Io giocava passabilmente bene al tressette, giuoco favorito di mia Madre, che me lo insegnò.

Stavasi per cominciare un tressette, ed un picchetto ; ma una tavola di faraone che avevano piantata sul cassero, tirò tutti a sè. Il banco indicava piuttosto il divertimento, che l’interesse, poichè il Direttore non l’avrebbe sofferto altrimenti. Si giuocava, si rideva, si scherzava, si facevano burle : quando la campanella ne chiama a pranzo, e tutti vi corrono.

Ci portano un’abbondante minestra di maccheroni, sopra i quali ci gettammo tutti d’accordo, e ne divorammo tre grandi piatti ; carne di manzo alla moda, pollame freddo, una lombata di vitello, frutti, e vino eccellente : oh, che buon pranzo ! non vi è vivanda che non sia saporita.

Noi stettimo a tavola quattr’ore buone ; intanto si suonano diversi istrumenti, e si canta molto. La cameriera confidente rapivami col suo canto, e guardandola attentamente, facevami una sensazion singolare : ma, oimè ! accadde un’avventura che interruppe tutto il diletto della società. Un gatto sprigionossi dalla sua gabbia, ed era appunto il gattino della prima Amorosa. Chiama ella in ajuto tutta la gente, e tutti gli corron dietro. Il gatto ch’era feroce come la sua padrona, correva, saltava, si nascondeva per tutto ; ma vedendosi perseguitato per ogni parte, arrampicossi sull’albero. Madama Clarice ne stette male : un marinajo montandovi per ghermirlo, il gatto si slancia in mare, e vi rimane annegato. Ecco disperata la sua padrona ; ella vuol uccidere tutti gli animali che se le presentano, e vuol gettare la cameriera nella tomba del suo caro gattino. Tutti prendono la parte della cameriera, e la querela divien generale. Arriva intanto il Direttore, ne ride, scherza, fa carezze all’afflitta Signora. Si mette a ridere ella medesima, ed ecco il gatto dimenticato.

Veramente il Goldoni non accenna in alcun modo a’vestiti teatrali de’comici, che sono, nel quadro, una licenza ingiustificabile.

Florindo recitava dunque le parti di primo innamorato, ed era napolitano. Probabilmente egli assunse il nome di Florindo, lasciato dal suo concittadino, Domenico Antonio Parrino, innamorato anch’egli de’più egregi al servizio del Duca di Modena, che fu sui teatri oltre un trentennio, e lasciò alcune opere pregiate, fra cui, prima, l’Istoria dei Vicerè del Regno di Napoli.