(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 142-145
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 142-145

Moncalvo Giuseppe. Artista celebre nella maschera milanese del Meneghino, giudicato dal Vestri la verità personificata ; ammirato e stimato da Gustavo Modena (V.) che gli diresse lettere su argomenti d’arte, capocomico famoso, a cui fecer capo nel loro inizio artisti sommi ed egregi, quali la Ristori, la Sadowski, la Robotti, la Lipparini, Bellotti-Bon, Gaspare Pieri, Ernesto Rossi, Carlo Lollio ed altri, nacque a Reggio d’Emilia il 4 luglio del 1781 da Carlo, dentista chirurgo milanese, e da Antonia Cianici. Fuggì a diciotto anni dalla casa paterna, ed esordì ad Abbiategrasso. Nel 1804 recitò al Teatro Gottardi di Vercelli, poi, l’autunno, a Magenta, formando l’anno dopo una compagnia regolare in società con G. B. Pucci e Carlo Dondini, della quale era anche primo attore. Richiamato dal padre a Milano, ove gli fu permesso di alternar l’arte della scena con la professione paterna, istituì filodrammatiche società, di cui egli era esperto direttore, recitandovi con successo parti di tragedie alfieriane, quali di Filippo, di Agamennone, di Egisto, ecc. Fattosi capocomico nel '19, trovò la maschera del Meneghino, resa popolare da Gaetano Piomarta, che il Moncalvo in breve emulò e superò, più commerciale della tragedia ; e se ne servì, nobilitandola a segno da sostituirla alle parti caratteristiche delle opere classiche, come ad esempio del Curioso accidente, del Burbero benefico, del Filosofo celibe, degl’Innamorati, ecc. Diventò direttore della Compagnia Guarna, poi di quella Ciarli, passando dal Carcano al Lentasio, e da questo alla Stadera, per metter finalmente il piede sulle scene dell’aristocratico Teatro Re, ove fu, come dovunque, acclamatissimo. Quindi i trionfi del Moncalvo non ebber più tregua. Fu in Piemonte, nel Genovesato, negli Stati Estensi, nelle Romagne, e la stampa d’allora lo chiamava la delizia universale. Naturalmente egli ebbe comuni coi grandi stenterelli le scurrilità, le bottate al governo, e le prigionìe. Ma queste diventavan quasi una celia, confortate dall’ammirazione sconfinata per l’incomparabile artista, la quale su tutti gli profuse in privato epistolario e su per le gazzette Angelo Brofferio, di cui, metto qui il brano seguente :

Ti ringrazio, o mio buon Moncalvo, lume e splendore dei Meneghini, ti ringrazio dell’oblio che spargi sulle mie pene, del sorriso che chiami sulle mie labbra, della serenità che trasfondi nel mio cuore. O sia che servitore in Venezia tu ti accinga al servizio di due padroni, o sia che barbiere in Gheldria, tu abbia la lingua più affilata del rasoio, o sia che scudiere in Benevento tu t’involga nel concistoro delle streghe, sempre spontaneo, sempre spiritoso, sempre giocondo, tu semini la gioia, tu ecciti gli applausi, tu desti l’ammirazione. O quanti attori che calzan coturno e veston manto, debbono umiliarsi dinanzi alla tua modesta livrea ! O quanti Edipi, quanti Eteocli, quanti Filippi, quanti Agamennoni si terrebbero fortunati di essere Meneghini ! Nè fu colpa del destino, ma fu tua scelta, se tu ti aggiri nei trivii di Milano, anzi che aggirarti nella Reggia di Tebe, o sotto le mura di Troia. Tu potevi avere un trono e scegliesti un pagliaio. Fatevi innanzi, o filosofia, ed ammirate ! Ma se la tua parte non è quella d’un eroe, consolati, o Moncalvo, pensando al fato degli Eroi. Eteocle fu ucciso dal fratello, Agamennone fu ucciso dalla consorte, Edipo ha ucciso il padre, Filippo ha ucciso il figlio, e Meneghino non ebbe mai altro nemico che la mestizia de'suoi uditori. Ah ! tu eri il mio Eroe : tu sei la gemma degli Eroi.

Prosegui animosamente nella lieta palestra. Ti sorrida costante la fortuna, come fai costantemente sorridere la platea ; e se avverrà (ah ! mai non avvenga !) che l’oro ti dichiari la guerra, tu allora, novello stoico, appagati degli applausi…. ma tu sogghigni, e mi dici che gli applausi sono una moneta in commercio non ricevuta…. ebbene recita allora le trentatrè disgrasie di Meneghino…. e non sia il mio articolo la trentesima quarta.

E mi par dovrebbero bastare queste parole a dar l’idea esatta dell’arte del Moncalvo e del fascino ch' egli esercitava sul pubblico. Quanto al Meneghino, egli s’adontava ogni qualvolta gli si desse il nome di maschera…. e lo si mettesse in mazzo con Arlecchino, Brighella e Pantalone. « Meneghino – egli diceva – è carattere e non maschera, » e Ambrogio Curti, da cui tolgo le presenti parole, aggiunge : « ed io credo fosse proprio nel vero, perocchè egli fosse la sintesi fedele del carattere milanese o piuttosto ambrosiano, che, per il confluire nella mia città di tanti diversi elementi d’ogni popolazione d’Italia, si va ogni dì più perdendo. »

Alcuni fecer derivare il nome di Meneghino da Domenico, altri da omeneghino, piccolo uomo : altri ancora da Menechino, come s’usò per erronea lettura chiamare I Menechini, facendo risalire il nostro tipo, non so con quali argomenti, alla Commedia plautina.

Nel Mattino di Napoli dell’ 11 agosto '97 un abbonato milanese dice che

Meneghino trae la sua origine da Domenica, essendochè era uso in Milano, nei secoli passati, di chiamare in servizio, per tutta la giornata di Domenica, un uomo del popolo, il quale si prestava al disimpegno di molteplici faccende, acconciandosi anche a fungere da servo straordinario. E poichè quell’ uomo del popolo era di solito sollazzevole e burlone, ed era al fatto di tutti gl’intrighi e degli avvenimenti del quartiere, intorno ai quali emetteva giudizî pieni di acume e di sale ; così si affibbiò il nomignolo di Meneghino alla maschera del popolo milanese, nella stessa guisa che si battezzò col nome di Pulcinella, la maschera del popolo napoletano.

Comunque sia, il Meneghino personaggio comico, ed esclusivamente milanese, apparve la prima volta su le scene in compagnia di Donna Quinzia, Beltramina e Taresca, per opera di Carlo Maria Maggi, al cader del secolo xviii.

Giuseppe Moncalvo ebbe due mogli : Maria Bonetti, la prima, figlia di Francesco e di Teresa Proverbio, nata a Milano nel 1785, e quivi morta nel 1843, con cui condusse vita tormentosa ; e Giovanna Roveda di Carlo e Maddalena Rossetti, nata a Torino nel 1805, con cui visse amorosamente, e che a lui sopravvisse.

Troppo ci vorrebbe a metter qui le testimonianze della grandezza e bontà del Moncalvo. Scrisser di lui distesamente il Ghislanzoni, il Regli, il Brofferio….. abbiam lettere di Adelaide Ristori, di Ernesto Rossi, di Alamanno Morelli….. e poesie di ogni specie, fra di cui una Cantata di addio del '33 a Torino, dalla quale apprendiamo com’egli recitasse in italiano il D. Ippolito nel Filosofo celibe del Nota, riscuotendovi gli universali applausi. Ma, pur troppo, l’oro, come accennava il Brofferio, gli mosse la guerra. Aveva preso in affitto il Teatro della Commenda, e restauratolo ed abbellitolo, lo andava cedendo alle varie compagnie, mettendo per condizione di contratto una recita a suo beneficio, alla quale egli avesse preso parte. Per tal modo egli vide la luce della ribalta a poco men che ottant’anni ; e, se non miseramente per merito della seconda moglie che mise un freno alle inconsulte dissipazioni, non certo quale avrebbe potuto, morì in Milano il 29 di agosto 1859.

Di lui si hanno alcune notiziole biografiche, pubblicate nel '58, delle quali principalmente si servì il Bertolotti nel distender la vita dell’ artista (Milano, Ricordi).