(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 504-506
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 504-506

Santoni Carolina. Attrice tragica di assai buon nome, nacque il 1808 in Livorno da agiata famiglia, e precisamente in quel quartiere detto Crimea, oggi Via. S. Carlo – presso la Piazza Mazzini – già Piazza di Morte. Vuolsi ch'ella avesse una voce magnifica di soprano, e che una sera di agosto del 1825, mentre ella cantava un notturno, accompagnata al piano dal maestro Vignozzi, passando di là il Guerrazzi e il Bini, il primo, colpito da tanto accento drammatico, sclamasse : « Per Iddio, quella ragazza dovrebbe far l’ attrice. » Fu profeta, perchè pochi anni dopo, Carolina Santoni fu una illustrazione dell’arte drammatica. Recatasi giovinetta alla Scuola fiorentina di declamazione diretta dal Morrocchesi, spiegò subito le più chiare attitudini alla scena, sì che a vent’anni fu scritturata prima attrice assoluta da Tommaso Zocchi, esordendo felicemente a Firenze. Dopo tre anni passò nella Compagnia Lipparini, poi, il '43, in quella primaria di Luigi Domeniconi. Ammogliatasi al marchese Zambeccari di Bologna, si ritirò dal teatro ; ma mortogli improvvisamente il marito ab intestato, ella dovè subito ritornarvi. Fu il '50 con Coltellini, e la vediamo al Teatro Re di Milano, festeggiatissima ; il '51 passò con Domeniconi a fianco di Tommaso Salvini, di Gaetano Vestri, di Amilcare Belotti ; e il '57, per un triennio, con la Compagnia Righetti, appendice alla Compagnia Reale Sarda, sotto la direzione di Gustavo Modena, « in qualità di prima attrice per quel genere di parti, che i francesi chiamano fort premier rôle, e per quella di madre tragica, con l’annuo stipendio di lire nuove di Piemonte 6300, e tre mezze serate a suo benefizio, di cui una, la quaresima, a Torino. » Il triennio '61-'63 fu nella Compagnia di Filippo Prosperi, e andò l’ultimo anno in Ispagna, ove s’ ebbe i maggiori onori. Tornata in Italia, fu a più riprese con Ernesto Rossi, poi direttrice della Filodrammatica di Terni, poi a Roma, prima attrice al Teatro Capranica, ov' ebbe a rialzar le sorti della povera Compagnia che non faceva le spese dell’illuminazione.

Tornò in Ispagna, chiamatavi dalla nipote Carolina Civili, e quivi morì, presso Madrid, il febbrajo del 1878.

Carolina Santoni ebbe figura meravigliosa. I suoi capelli corvini adornavano un’ alta fronte illuminata da due occhi nerissimi, esprimenti tutti i moti del cuore umano. Non bella veramente, esercitava sugli spettatori colla espressione della faccia un fascino irresistibile.

Il collo, le spalle, le braccia di marmo parean modellati da Fidia.

Nata per la tragedia e l’alto dramma, fu eccelsa nella Medea, nella Pia, nella Stuarda, in tutta la vasta opera alfieriana, nella Suonatrice d’arpa, nella Maria Giovanna, nella Diana di Chivry. Nè la coltura, e si potrebbe dir la grammatica, era il suo forte, come può vedersi da questo bigliettino ch'ella mandava il '37 al sig. Ferdinando Pelzette S. R. M. a Firenze :

Sti ;mo Signior Ferdinando
Eccomi di nuovo

ad’ incomodarlo con la presente, per pregarlo di mandarmi tre monete dovendo comperare della roba, che mi sarà necessarissima. Lo prego di scusare l’incomodo ; Mille è mille saluti alla gengissima Sig.ra Madalena e resto, piena di stima,

Carolina Santoni.
P. S.
La presente li servirà di ricevuta.

Gio. Batta Niccolini ha parole atroci per lei in una lettera a Maddalena Pelzet, forse più da considerarsi come sfoghi di autore contro la Compagnia Domeniconi che gli preferiva il Giacometti, e sfoghi d’autore che voleva ingrazionirsi ognor più l’interpetre e l’amica.

Di mezzo alle poesie dettate per Carolina Santoni scelgo il seguente sonetto di T. Z. S. dispensato in foglio volante al Cocomero di Firenze la sera del suo benefizio 20 febbrajo 1851 :

De' tuoi grand’ occhi nell’ alta pupilla,
rapito al Cielo e di sè stesso altero,
è un lume dentro cui puro sfavilla
il redento da te Genio del vero :
quindi affetti non ha, non ha parola
questo misero sogno della vita,
che non prenda alla tua perfetta scuola
bellezza insuperabile, infinita.
E quando più nel suo fulgor divina
l’arte trasfonde l’ immortal suo spiro
al guardo e all’atto che ti fan regina ;
negli arcani del tuo vivo sospiro
ogni cor sente la superna idea
che in un volger di ciglio anima e crea.