Bianchi (De) Ludovico. È quel famoso Lodovico da Bologna (V. Andreini Francesco) che recitava le parti di dottore in quella Compagnia de’Gelosi, di cui tutte le parti erano singolari, col nome di Dottor Gratiano Partesana da Francolino, a differenza del Bagliani che aveva preso quello di Forbizone da Francolino, sotto il qual nome G. C. Croce pubblicò la sua Libraria (V. Fargnoccola). Del Bianchi sono lettere nell’Archivio di Stato di Firenze (Cart. Univ.) dirette a Ferdinando I de’Medici, già pubblicate da A. Bartoli nell’introduzione a’suoi Scenarj, dalle quali si può vedere con quanta dimestichezza solesse usar col Granduca. Ne riporto la prima, assai notevole per le sciocchezze dottorali di cui è piena, e per la traduzione che lo stesso Bianchi ne dà.

Dal Gratiano Innamorato del Codice Corsiniano :
« Raccolta di Scenarj più acelti d’Istrioni. »
Pe recar denari a V. A. S. la prima messa a me fritta a fiore di lorenza alla tavella regulare di V. A. S. di forarmi appresso a uno staro delle primicie cuccie dal peggio che se avemia da falare gli mondo ceste porche regole a trento che gli riferiscono la marmoria di merendarmela al secondo del organo e costì acorrere vi do argumentando caricresendo querela ch’io Sansone orbo ligado per mia panirola dappresso un staro a V. A. S. la quila partorirà quarto primiere semino appresso a terra l’oca in un cassone et con sequestro un milion di monte et un miglio in cane le vinte mane agli impegolando ogni facilità e continento.
Per ricordare a V. A. S. la promessa a me fatta a Fiorenza alla tavola regale di V. A. S. di farmi apresentare delle prime caccie dal Poggio che se haveano da fare, gli mando queste poche righe attento che gli rinfreschino la memoria di mandarmela secondo l’ordine, et così ancor io vado agumentando et crescendo quello ch’io sono obligato per mia parola d’appresentare a V. A. S. la quale portarò quanto prima se mi appresenterà l’occasione ; et con questo humilmente me gli inchino, baciandole le invitte mani, pregandoli dal Cielo ogni felicità e contento.
Altra lettera del Bianchi fu pubblicata dal D’Ancona. In questa (Cart. Univ. G. D. F.co), con data di Venezia 1587, annunzia l’invio di qualche sua opera, che il D’Ancona ritien probabile fosser le Conclusioni, di cui parlo più innanzi, stampate appunto in quell’anno.
Come le Compagnie drammatiche dipendevan, si può dire, assolutamente dalla Corte di Mantova, così era frequente negli attori il balzar di compagnia in compagnia per soddisfare al voler del Padrone. Ora è Pedrolino che si vuol togliere alla Vittoria, ora è il Gratiano che si vuol togliere ai Gelosi. Talvolta i comici accettavano a occhi chiusi, talvolta il capocomico si raccomandava affinchè non fosse privato del tale attore o della tale attrice, talvolta anche i comici si rifiutavan di andare, o dando garbatamente le ragioni del rifiuto, come abbiam visto per Francesco Andreini, o mettendo condizione come vediamo pel Bianchi ; il quale, fatto invitare dall’ambasciator del duca in Milano il 20 luglio del 1585 di recarsi a recitare a Mantova nella Compagnia della Diana, rispondeva che avrebbe servito S. A. ogniqualvolta Ella avesse fatto andare con lui Giulio da Padova (il Pantalone Pasquati, pur de’Gelosi) perchè – faceva sapere il Bianchi – senza di lui non era possibile far cosa per bene. (V. D’Ancona, op. cit.).

Le Cento | e quindici | conclusioni | in ottava rima | del Plusquamperfetto | Dottor Gratiano Partesana da | Francolin Comico Geloso, | & altre manifatture, & Compositioni | nella sua buona lingua (s. d. nè l.), comprendono : una ottava alli lettori sotto il presente ritratto ; una lettera dedicatoria all’illustrissimo, et eccellentiss. signor Don Virginio Orsino Duca di Bracciano, ecc., e 23 ottave di conclusioni : a queste si aggiungono 10 ottave per gli Utroni, e le Quattro Stagioni. La stessa operetta è citata dal Guerrini al N.°58 del suo saggio bibliografico (op. cit.) come opera di Giulio Cesare Croce ; ma è un errore evidente ; poichè la lettera dedicatoria in data del 1587 è sottoscritta da Lodouico Bianchi da Bologna. Alias Dottor Gratian partesana della vera Compagnia delli Comici Gelosi. Le conclusioni son tutte una insulsaggine ancor più insulsa di quelle usate nella lingua graziana : eccone un saggio :
3. Vn che sempre habbia stort, mai ha rason.
4. La nav ch’è in alto mar è via dal port.
9. Vn stort e un gob non sarà mai drit.
13. Vn Ferrares non sarà Mantoan.
22. Vn che sia▶ adormentà non è svegiad.
24. Vn infermo se può dir amalad.
30. Vn fiol che ◀sia▶ nassù, vist al present,
ha manco tempo, che non ha so par.
E via di questo tenore.
La maschera del Dottore come quella del Capitano, mutava il paese e il nome senza mutarne l’essenza : e mentre quella del Capitano anche poteva mutar foggia di vestire ad libitum degli attori, la maschera del Dottore, sotto qualsiasi nome fosse rappresentata, manteneva invariato il suo costume professorale, togato, nero da capo a piedi, con modificazione lievissima dall’antico al moderno. (V. Materazzi). Si chiami egli Partesana come il Bianchi, o Forbizon come il Bagliani, o Baloardo come il Lolli, o Spaccastrummolo come il Soldano, o Balanzoni come il Lombardi, o Grazian de’ Violoni come il Chiesa, o Scatolone come il Francesconi, o Campanaccio (le nuove Pazzie del Dottore), o Hippocrasso (l’Erofilomachia), o altro ancora, il Dottore è sempre il solito ignorantone, saccentone, che sputa sentenze, con mescolanza inevitabile di latino maccheronico, di citazioni spropositate, di etimologie bislacche.
Secondo il Riccoboni, a dir vero (op. cit.), piacque a taluno rappresentar la maschera del Dottore con serietà ; ma di tal maniera non ci resta esempio scritto, fuorchè sotto il nome di Pedante, nelle rappresentazioni più o meno classiche : segno evidente che il tipo vero del Graziano ebbe al cospetto del pubblico per base unica la saccenteria ignorante, la etimologia insulsa, la storpiatura grottesca de’vocaboli, la buffoneria delle citazioni latine.

Ecco quel che il Riccoboni dice in proposito :
La Città di Bologna, in Italia, che è il centro delle scienze e delle belle lettere, e dove sono una così celebre Università e tanti collegi di paesi stranieri, ci ha sempre fornito un gran numero di scienziati, e sopratutto di dottori, che avean le cattedre pubbliche di quella Università. – Essi vestivan la toga e in iscuola e per via ; e saggiamente si pensò di far del dottore bolognese un altro vecchio che potesse figurare al fianco di Pantalone, e i loro due costumi divenner, l’uno accanto all’altro, di una irresistibile comicità.
Il Dottore è un eterno cicalone che non saprebbe aprir bocca senza metter fuori una sentenza o una citazione latina. Non è fuor del possibile che ◀sia▶ preso questo carattere dal vero. Noi vediamo oggi ancora e medici e pedanti far lo stesso. Vi son stati de’ Commedianti che sul carattere del Dottore la pensaron in modo diverso. Gli uni impresero a parlar come si conviene, a declamar tirate scientifiche ed eruditissime, ornate di citazioni latine tratte da’ più gravi autori. Gli altri volsero il carattere più al comico, facendo del Dottore più che un sapiente, un ignorante, che parlava il latino maccheronico di Merlin Coccajo, o di quella specie al meno. I primi era giuocoforza sapessero qualcosa, per non lasciarsi sfuggir di bocca in buona fede qualche solecismo. I secondi, oltre a codesto saper qualcosa, dovevano anche aver del genio ; però ch’io son persuaso volerci assai più di mente per adattare a storto una sentenza, che per ispacciarla nel suo giusto senso.
E il Perrucci, che colla sua arte rappresentativa ha gettato veri sprazzi di luce in mezzo al bujo che avvolge le nostre scene ne’secoli xvi e xvii, dice :
La parte del Dottore non ha da esser tanto grave, servendo per le seconde parti di Padre, ma per la vivacità dell’ingegno, per la soverchia loquela può darsele qualche licenza d’uscire dalla gravità ; ma non tanto che si abbassi al secondo Zanni, perchè allora sarebbe un vizio da non perdonarsele ; il suo linguaggio ha da esser perfetto Bolognese, ma in Napoli, Palermo ad altre città lontane da Bologna, non deve essere tanto strigato, perchè non se ne sentirebbe parola, onde bisogna moderarlo qualche poco, che s’accosti al Toscano, appunto come parla la nobiltà di quell’inclita Città, e non la Plebe, di cui appena si sente la favella : onde allora ch’ebbi la fortuna di esservi, al mio Compagno sembrava d’esser fra tanti Barbari, non intendendo punto quella lingua. Ha da esser erudito per dir a tempo e luogo qualche sentenza latina, qualche testo, o qualche autorità di Dottore.
Ancora :
Molti anni sono s’introdusse un modo di recitar da Dottore, che stravolgea i vocaboli, v. g. Terribil orinal, per Tribunale, Amerigo frega la groppa all’Asino, per dir : l’America, l’Africa, l’Europa e l’Asia, e così si cavava la risata dal nome storpio, che da’ Greci si chiama paranomasia : ma perchè si conobbe far il Dottore da troppo semplice e balordo, si è disusato, restando questi scherzi al servo sciocco, di cui possono esser più proprj, lasciando al Dottor Graziano la Dottrina soda ed erudita, ma accompagnata dalle dicerie lunghissime.
E qui il Perrucci dà al solito esempi di Consiglio, di Tirate, di Persuasione allo studio, di Consiglio Generale. Scelgo il terzo, quello della
persuasiva allo studio
L’è l’hom al mond senz’al saver, sicut asinus sine capistro, perchè se non ha el cavezon, ch’el mena per la strada de la virtù, el va a scavezacol al prezipiz. Le appunt sicut Porcus in luto ; chè se non s’ingrassa col beveron de la dutrina, al resterà sempr’ secc, e magr com stornel, el no sarà bon per ingrassar la minestra de la conversazion ; al è un Papagal int’al Bosc’ ch’al non articulat verba, de mod che se dal maester non l’è post int la gabbia, e vien ammaistrà ad articolar i azzient, non l’è pericol che sepa na gotta. A l’è al Boja mal pratic, che no savend struzer la ignuranza, al s’espon al pericol d’ì sassà del popol. A voi mi pertant che ti set l’Asen, ma col cavezon meæ disciplinæ. El porc, ma col beveron de me document. El Papagal, ma ch’el sapia reddere voces. El Boja, ma pratic, che te possa jugulare ignorantiam. Perchè de ti non se possa dir : Asinus ad liram, Porcus ad glandes, Psittacus in Nemore et Carnifex in Furcis ; ma Asen cargà de sapienza per andar al mulin del Tribunal a smasenar el frument de le ciàciare ; Porc gras de Dutreina per ingrassar le Pentole dell’ Accademie ; Papagal int la gabbia de la Cort par saver adular el prossim, e Boja nel pubblic par struzer l’ignuranza, avend’i applaus d’i ragazz : e così ti sarat l’Asen d’or d’Apulei, ch’ l’era Asen, ma filosof ; el Porc d’ Enea, ch’al fu prognostic del Regn ; el Papagal ch’el dsè ad ottavian : Ave Caesar Imperator, e al Boja di Tedesc, che avend tajà più melone, al divien cavalier. In sto mod, ti t’ sarà l’Asen, al Porc, al Papagal, al Boja, e mi al Cavezon, al Beveron, al Maester, e la forca par fet pratic int ’al mstiir.
Ecco per quel che concerne la maschera del Dottore le parole di Pier Maria Cecchini, il famoso Fritellino :
La parte del Dottor Gratiano tanto grato à chi l’ascolta (quando vien fatta da chi l’intende) vien hoggi dal poco conoscimento d’alcuni adulterata in guisa, che non gli vien lasciato altro, che ’l semplice nome.
Ditemi, e chi è quello il quale possa trattare senza sdegno, con uno, che essendo tu Pantalone ti dica. Piantalimon, Petulon, Pultrunzon, e peggio ? & poi nel fine dopo mille ingiurie ti convenga darli tua figliuola per moglie ?
Vn’altra spetie Gratianatoria si è ritrouata, ed è che pensando questa di correggere l’vso del parlar rouerscio, si è posta à dir latini, & sentenze, con tirate, & ponga di memoria in guisa, che non lasciando mai parlare chi seco tratta, confonde, & snerva il filo della Fauola, & la mente di chi ascolta, che non riman campo per intendere, & molto meno per capire l’orditura de’ negotij ; e chi è poi colui, che voglia far credere agli Scolari di questa Scuola, che faccino, & dichino male, se ogni giorno cento beuanti gli fanno fede, che sono i primi huomini del Mondo ?
Per rappresentare adunque (secondo il mio senso) questo così gratioso personaggio direi che quello il qual si dispone di portarlo in iscena, si formasse ben prima nell’ idea un tal huomo il quale voglia esser moderno al dispetto dell’antichitá, & che a tempo isguainasse fuori sentenze propositate quanto alla materia ; ma sgangherate quanto all’espressura, il condimento delle quali fosse vna lingua Bolognese in quella forma, ch’ella viene essercitata da chi si crede, che non si possa dir meglio, & poi di quando in quando lasciarsi (con qualche sobrietà) vscir di bocca di quelle parole secondo loro più scielte ; ma secondo il vero le più ridicole, che si ascoltino ; come sarebbe a dire. Interpretare, per impetrare, vrore, per errore. Secolari (credendosi di parlar Toscano) per Scolari, & altre simili, che non vituperano la patria & il personaggio.
Bisognarebbe anche tal volta dar di piglio a qualche materia sciocca, treuiale, & molto ben conosciuta, & quiui mostrare, o finger di credere, ch’ella ◀sia▶ la più curiosa, la più noua, & la più incognita cosa del mondo ; onde senza dar punto segno di ridere darsi a credere di hauer fatto stupire.
Questo personaggio malamente descritto dalla mia penna, vorrebb’esser maneggiato da chi hauesse pensiero di accender un gran doppiere al picciol lume di questa fiaccola da me solo allumata per iscorta, & non permeta, poich’io mi rendo sicuro, che il fine di colui, che vorrà far da Gratiano, sarà di voler far a suo modo.

MARCHE COMIQUE.
Voyez-vous ce Docteur sur sa digne monture,Qu’accampagnont Pierrot suivie d’autre bonfons,Et qui pour annoncer sa grotesque figure,Remplit l’air de ses mauvais sons ?à Londres du Major.Il est bien des Docteurs de pareil caractere,Qui sont de leur mérite eux mêmes les hérauts,Et dont tout le talent ne consiste qu’à faireBeaucoup de bruit devant les sots.
Anche Domenico Bruni detto Fulvio, comico confidente, ha fra gli altri un prologo da Pantalone (V. Pasquati) e uno da Graziano, che è un rincorrersi di citazioni latine, di nomi e di aggettivi da far venir la pelle d’oca all’attore e all’ascoltatore. È probabile che col proferir speditamente e tutte d’un fiato quelle parole, traendo all’ultima un grande sospiro, si ottenesse allora, come s’è visto accadere oggidì con qualche comico dialettale, un clamoroso effetto d’ilarità.
A un dato punto il Dottore dice :
Però essend tra un alligad e culigad la grazia, l’affabilità, la benignità, l’allegrezza, la zuvialità, l’amicizia, la carità, la furtezza, la gajardisia, la diligenzia, l’industria, la duttrina, le litter, la liberalità, la magnanimità, la mansuetuden, l’humiltà, la pase, la piasevolezza, la temperanza, la subrietà, l’hunestà, la cuntinenza, el valor, l’ardir, la virtù, la sapienza, l’humanità, la giustizia, l’equità, la libertà, la nobilità, l’hubidienza, la quiet, la prudenza, la pruvidenza, l’eloquenza, la facondia, la secretezza, la fideltà, la lealtà, la sincerità, la gratitudin, la clemenza, la magnificenza, la gloria, la fermezza, la custanza e l’esser hom da ben, chi serà quel razza de boja impastà, inzenerà e compost de maledicenza, murmurazion, accidia, busia, falsità, sfazzadazin, pigrizia, aruganza, detrazion, vanità, ambizion, negligenza, ingratitudin, lasivia, fraude, tradiment, adulazion, ipocrisia, rapina, seleragin, infelicità d corn ; per far che al sipa un hom maledich murmurador, accidios, busard, fals, sfazzà, pigr, arugant, detrador, van, ambizios, neglizent, ingrat, lassiv, fradulent, traditor, adulador, hipocrit, rapinador, scelerad, infelis e cornud, che voja dir el cuntrari ? Se al jè ch’ el parla, ch’ inanz ch’ el finissa de dir al se sintirà una tempesta de mintide zo per la gola, difficile impedire unum multos ……
E conclude :
Se, numerus ternarius ad quascunque controversias dirimendas maxime idoneus, ut qui principium medium et finem habet, segond Dionisi Alicarnaseo, notate observatio inaudita, e po stà zitt’. Tre cose hari havù da mì : el vegnir, el star, e l’andar : el star è sta quest qui, el vegnir è sta de là, e l’andar l’è per dezà.
Per quel che concerne l’origine della maschera del Dottore, dice il Sand (op. cit., II, 30) :
La maschera nera che non copre se non la fronte e il naso del Dottore, le sue guancie d’un rosso esagerato, son la satira personale d’un giureconsulto bolognese del decimosesto secolo, che avea una gran macchia di vino in tutto un lato della faccia.
E questa è l’opinione accettata dai più, i quali anche son d’accordo nell’affermare che la maschera del Dottore cominciò ad aver vita sulle scene italiane verso il 1560 per opera di Luzio Burchiella. Vediamo.
Olindo Guerrini a pag. 123 della citata opera sul Croce, dice :
Se non sotto questo nome (Grasiano da Francolino), pure la caricatura del legista cattedratico del vecchio studio bolognese deve essere, quasi quanto lo studio stesso, antichissima. Inutilmente il P. Adriano Banchieri, sotto il nome di Camillo Scaligeri della Fratta, nel suo Discorso sulla lingua bolognese, vorrebbe sostenere che il Dottor Graziano non è bolognese. Egli cita in prova della sua asserzione i seguenti versi macaronici :
Ego Gratianus sum FranculinensisFilius quondam d’ Mser Tomas ;Nobilis civis erat MutinensisOculos habens d’fora dal nas.Catlina Mater mea FerrariensisAppellabatur d’casa Bambas ;Gratianus vero addotoratus estin Bologna, dal trenta, l’ann dal bsest.Versi, secondo il Banchieri, dovuti ad un poeta comico.
Ma questa ottava prova il contrario : prova che Graziano, per quanto portasse il nome di diverse patrie, parlava pretto bolognese, era dottore bolognese, o meglio satira di dottore.
Io non vedo come da questa ottava si possa trar la prova che il Graziano parlava proprio il pretto bolognese : tanto più poi che sappiamo dal Cecchini (L’Amico Tradito. Venezia, Bona, 1633) che poteva essere il Dottor Gratiano da Bologna, o da Ferrara ; e lo vediamo nelle Favole dello Scala, talvolta di Pesaro, tal altra di Napoli, o di Venezia, o di Milano, o di Firenze.
Anche dice il Guerrini, al proposito dell’autor vero di un Trattato delle virtù morali già attribuito a Roberto Re di Napoli, e riconosciuto poi per opera di Bonagrazia, Graziolo, o Graziano de’ Bambagioli, bolognese :
Resta intanto che fu dottore, letterato e mescolato alle faccende politiche del suo tempo. Se dunque l’ottava maccaronica riferita dal Banchieri ha qualche fondamento nella tradizione, se il comico che la fece, ed è quasi impossibile credere il contrario, verificò una genealogia del dottore da Francolino accettata ed ammessa nel teatro e nelle sue tradizioni, questo Graziano figlio di una Bambagi ed il dottor Graziano de’ Bambagiuoli potrebbero avere vincoli di parentela così stretta da scambiarla per identità. Così la maschera bolognese, il dottore, sarebbe ben più antica di quel che si crede e logicamente da riferirsi ai tempi più floridi dello Studio, quando Bologna forniva di dottori tutto il mondo civile.
A questo punto io richiamo l’attenzione degli eruditi sopra una strana coincidenza di nomi, fin qui, credo, non avvertita.
Graziano era dunque figlio di un Messer Tommaso e di una Caterina Ferrarese di casa Bambagi ? Bene : con questi nomi noi ci troviam di fronte a quel Tommaso Bambagi, per l’appunto Ferrarese, del quale scrive il Petrarca nella lettera a Pietro da Bologna Retore, descrivendogli le feste e gli spettacoli, ch’ ebber luogo in Venezia per la vittoria di Creta.
Mi servo della traduzione di Giuseppe Fracassetti (Firenze, Le Monnier, 1869, Vol. IV) :
…. E da Ferrara a tal uopo avevan chiamato Tommaso Bambasio, del quale voglio che tu sappia, e se la mia voce può giungere creduta ai posteri, sappiano anch’essi che in tutto lo Stato veneto egli è riguardato come un tempo Roscio fu in Roma, ed è a me caro ed amico, quanto fu questi a Cicerone.
E qui si dà a descriver con evidenza di particolari la Corsa magnifica, a diriger la quale era stato chiamato il Bambagi. Veramente non ha che veder l’arte di Roscio con una corsa di cavalieri isolati a lancia in resta : ma nulla impedisce di credere che a tale spettacolo potesse essere preposto un commediante, il quale sappiamo anche essere stato perfetto suonatore, dacchè il Petrarca a lui lasciò nel testamento il suo leuto, non perchè il suonasse per suo diletto, ma a eterna gloria di Dio. Anzi dalle parole del Petrarca il Napoli Signorelli desume anche la frequenza di rappresentazioni teatrali nel secolo xiv, chiedendo :
Se non avesse questo ferrarese dati in Italia continui saggi della sua eccellenza in tale esercizio, l’avrebbe il Petrarca paragonato a Roscio ? E che mai avrebbe egli rappresentato ? Forse i muti misteri, o le buffonerie di cantimbanchi ? Ma con simili cose avrebbe meritati e gli elogii che sogliono darsi a’ dotti artefici e l’amicizia di un Petrarca ? Dovettero dunque in quell’ età esservi favole sceniche in copia maggiore di quello che oggi possa riferirsi.
Le parole del Petrarca dicon davvero troppo poco ; e non mi pare ◀sia▶ il caso di dedurne recisamente la conseguenza del Signorelli. Possibil mai che una notizia di sì gran momento non avesse solleticato la curiosità de’ letterati che sino al secolo xvi trovaron le scene del nostro teatro di prosa ravvolte della più fitta tenebra ? Come è probabile che un commediante fosse preposto a giostre e tornei, così è anche probabile che si desse in quel tempo il nome di Roscio a chi si mostrasse espertissimo di cose teatrali in genere, quali la musica, le giostre, i tornei, la declamazione, il canto…. Comunque ◀sia : il nome di Roscio c’ è, e le conseguenze del Signorelli, come semplice ipotesi, non sono da escludersi.