Modena Giacomo. Attore insigne in ogni genere di parti, ma più specialmente in quelle di padre nobile e tiranno tragico per le quali si aggiungevano all’intelligenza superiore la imponente e proporzionata persona, la robusta e pieghevole voce, nacque a Mori nel Tirolo italiano da poveri montanari il 1773. Si recò a quindici anni a Verona, per impararvi il mestiere di sartore ; ma innamoratosi del teatro, entrò in una piccola compagnia, in cui dalle ultime parti potè salir ben presto a quelle di prima importanza, quali di padre e di tiranno ; e con tal successo, che in capo a pochi anni lo vediam già nello stesso ruolo in Compagnia del vecchio Zanerini, di cui potè seguire, senza servilità, la vecchia scuola, e di Maddalena Battaglia (1795-96), destando a Venezia, al San Gio. Grisostomo, coll’ Ubaldo nel Galeotto Manfredi di Vincenzo Monti, specie nella scena del quarto atto con Zambrino e Manfredi, siffatto entusiasmo, che se ne volle la stessa sera la replica. E « il Carlo XII nel Carlo XII a Bender del Federici, e l’ Enrico Traslow nel Federico II, mostrarono – dice il Teatro mod. app. (vol. III, XXI) – quanto egli fosse capace di sostenere i più sublimi caratteri e di esprimere le più veementi passioni. » Grande nella parte di Macmut nella trilogia Goldoniana La sposa persiana, Ircana in Iulfa e Ircana in Ispaan, fu grandissimo in quelle del Sacerdote ne' Baccanali e del Padre nell’Elena e Gerardo di Pindemonte. Nè le tragedie di Alfieri, Saul, Agamennone, Oreste, Virginia, Polinice, Antigone, Ottavia, nè i drammi del Metastasio, Attilio Regolo, Temistocle, Catone in Utica, ebbero più forti interpreti di lui. A questi si univan l’Abate de l’ Epée, il Cugino di Lisbona, il Ministro d’onore, il Medico olandese, che accrebber nuova fama all’artista già famoso. La robustezza del suo petto era tale, ch'egli potè a sessantacinque anni replicar più sere il Saul e l’Aristodemo ; quel Saul, nel quale egli fu sommo, e pel quale vuol la leggenda di palcoscenico ch'egli si mostrasse geloso del figlio Gustavo. Ma è da credersi, che la frase a lui detta, se pure fu detta, quando salì sul palco, dopo ascoltato il Saul :« no g' avè rispeto gnanca de vostro pare » ebbe più un tuono di amorosa compiacenza, che di sciocco risentimento ; dacchè pare irrefragabilmente provato da chi lo avvicinò, che egli fosse d’indole buona e avesse un amore sviscerato per la famiglia (sposò il 1801 la valorosa attrice Luigia Bernaroli (V.), vedova Lancetti, da cui ebbe due figliuoli) ; e che la serenità dell’uomo e la coscienza dell’artista non mai venissero meno in lui, mostrandosi in ognun de'casi (o attore stipendiato, o socio, o capocomico solo), direttore eccellente e galantuomo rarissimo. Nei sette anni di esilio di Gustavo, egli, con sacrifici di ogni maniera, privandosi quasi del pane per sè e i suoi, gli fu largo di soccorsi in Francia e in Isvizzera, sopportando sempre con rassegnazione i molti dolori che per tristizia di tempi ebbe a patire nel corso non breve della sua vita. Sazio d’encomi, e ben fornito di danaro, pensò di lasciar le scene per darsi alla vita tranquilla della famiglia. Ma il suo riposo non durò che sei anni. Costretto dalla sorte a riprender la via dell’arte, entrò nella Compagnia Internari (1823), ove stette più anni, festeggiato e acclamato. Morì a Treviso fra le braccia del figlio e della moglie, in tardissima età.

Lauro Corniani d’ Algarotti gli dedicò il seguente
SONETTO
Ai prischi di della Superba RomaRoscio dal palco gli animi volgea,e dai signori della terra domaalta mèsse di plausi allor cogliea.De'più gravi pensier posta la somal’Anglo al teatro cupido movea,e or lieto, or irto per terror la chioma,dal multiforme Garrico pendea.Modena, e tu così se il sire argivomicidïal del proprio sangue additiagli atti, al viso d’ogni pace schivo.E pur cosi quando del Norte ai litiin te lo Sveco eroe par redivivo,e le sue gesta e sua fierezza imiti.

Modena Gustavo. Figlio del precedente ; il più grande, il più completo, per comune consentimento, degli attori del nostro secolo, nacque a Venezia il 13 febbraio del 1803. Iniziato alle lettere nel liceo di Verona sotto le discipline di Ilario Casarotti, passò poi a studiar legge nell’ Università di Padova. Apertosi il 1820, quel teatro, restaurato, colla Fedra dell’Orlando, di cui eran parti principali la celebre Grassini, la Pasta e Debegnis basso, egli fu dopo reciproche provocazioni generate dal divieto agli studenti di partecipare alle prove degli spettacoli, ferito a un braccio la notte del 25 giugno così gravemente, che i dottori Fabris e Ruggeri nel lor rapporto lo dichiararono in pericolo di vita. Dopo un mese di malattia, « espulso, – dice il Leoni (Dell’ Arte e del Teatro di Padova. Ivi '73) – per la colpa d’essere stato ferito dai manigoldi austriaci, » riparò a Bologna, ove si laureò avvocato, recitando talvolta co' filodrammatici le parti di primo attore, nelle quali mostrava di riuscir sommo. Morto Alessandro Lombardi, Salvator Fabbrichesi pensò di sostituirlo col giovane Gustavo, il quale, chiamato a Venezia (1824), esordì colla parte di David nel Saul di Alfieri ; e s’andò man mano acquistando tal fama, che poco dopo entrò nella Compagnia di Antonio Raftopulo come primo attore.
Formò dopo un anno, e per un triennio, una fortunata società col padre e la celebre Carlotta Polvaro ; e abbiam d’allora, al Giglio di Lucca (15 maggio 1830), un programma particolareggiato di una rappresentazione straordinaria di spettacolo straordinario con colpi di scena e scenari straordinari del solito pittore della compagnia sig. Pietro Venier, ecc. Si trattava della Scimia liberatrice ossia Il naufragio del capitano La Peyrouse. Il protagonista era Gustavo Modena, Comandante la flotta francese il padre Giacomo, e la Scimia Welenfeldt.
Oltre ad essi, la Compagnia contava allora tra' suoi principali artisti : Andrea Vitalliani, Angelo Venier, Angelo Pisenti, Carlotta Polvaro, Adelaide Vitalliani, Caterina Venier, ecc., ecc.

Le cose procedevano floridamente, quando le agitazioni politiche del’ 31 nello Stato della Chiesa, e la rivoluzione di Bologna, ove Modena trovavasi la quaresima con la Compagnia, lo fecero risolvere ad abbandonar questa per correre a difender sui campi di Rimini la libertà d’ Italia contro gli austriaci. Vinti i liberali, ei dovè riparare in Francia. Tornò il '32 a Bologna, ma i fatti di Cesena lo ricacciarono in esilio : e fu a Brusselle correttore di stampe, maestro di scuola e commerciante di maccheroni e di cacio lodigiano ; poi in Isvizzera, poi di nuovo in Francia, d’onde tornò, dopo sette anni di esilio, a riveder la patria e i parenti, per amnistia del nuovo imperatore austriaco Ferdinando I. Comparve allora sulle scene del Teatro Carcano di Milano sotto le spoglie del divino Alighieri, declamandone, sviscerandone alcuni canti, fra cui di Ugolino e di Francesca, che suscitaron l’entusiasmo. Si unì poi a varie compagnie, colle quali dava or qui or là poche recite, maturando il disegno di formare e condurre una Compagnia propria di giovani forze da avviare, da ammaestrare, da guidare : e la Compagnia fu fatta, e alcuno de' nuovi accolti riuscirono attori splendidi. Ammirato e amato come artista e come patriota, percorse il Veneto e la Lombardia, ove potè mettere assieme una mediocre fortuna ; ma quando la rivoluzione di Milano preluse a quella del '48, egli, chiamato a soccorrer la patria del suo braccio e del suo nome, tutto abbandonò e sacrificò, come nel '31 ; e fu il primo a entrare in Palmanova con in mano spiegata la bandiera d’ Italia. Ma rientrati gli austriaci vittoriosi e trionfanti nel Veneto, si vendicaron tristamente di lui, atterrando e distruggendo la casa e la terra ch'egli aveva in Treviso, frutto del suo ingegno e delle sue fatiche. Esiliato dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Toscana, dallo Stato Pontificio, dal Napoletano e dalla Sicilia, dovè rifugiarsi nel Piemonte, ove fino al '61 restò, percorrendone le varie città or con compagnie rilevate, or con formate di nuovo. Lo vediamo alla fine del '58 all’ Apollo di Genova, ove diede il mercoledì 22 dicembre un’ultima rappresentazione compresa nell’ abbonamento del carnevale col dramma di Delavigne, Luigi XI. Cacciati i borboni da Napoli, deliberò di presentarsi colà come artista ; ma côlto da un malessere generale dovè tornare a Torino, ove, sviluppatosi il male, cessò di vivere a soli cinquantott’anni, il 21 febbraio del 1861.

Molte cose abbiamo a stampa di lui, o che discorron di lui, uomo politico ed artista ; e principali fra esse :
I. L' Istruzione al popolo italiano e l’Insegnamento popolare di Gustavo Modena« scrittura – dice il Martini (Giusti studente in Simpatie. Firenze, Bemporad, 1900) – a cui l’enfasi dello stile guerrazzeggiante non scema vigore e non toglie efficacia. » Dell’ Insegnamento popolare egli riferisce il sunto che ne fece il Lami al Presidente del Buon Governo e ch'egli dice fedele ; e quella parte del dialogo riguardante il Canosa, a proposito della quale egli sarebbe incline a credere che lo spiedo immaginato dal Modena generasse la Ghigliottina descritta dal Giusti (Ivi, 112, 113).

II. Tutta l’opera sua nella stampa della Giovine Italia.
III. L' Epistolario, che doveva essere raccolto da Mauro Macchi, secondo afferma il Ricciardi, e pubblicato con prefazione di Giuseppe Mazzini, ma che vide soltanto la luce nel 1888 per opera della Commissione editrice degli scritti di G. Mazzini, col quale egli eresse a sè l’oraziano monumento più durevole del bronzo, e nel quale è un’ampia e bella biografia dettata amorosamente da Ettore Socci, rilevante in ogni sua parte la grandezza dell’affetto che a lui legava la incomparabile compagna Giulia Calame di Berna, che lo aveva sposato fuggiasco, e che fu – dice il Mazzini – donna mirabile, come per bellezza, per sentir profondo, per devozione e costanza d’affetti e per amore alla sua seconda patria ; corse più tardi ogni pericolo di guerra accanto al marito nel Veneto……
IV. Una lettera al celebre attor dialettale Giuseppe Moncalvo, meneghino, nella quale sono espressi i suoi intendimenti d’arte, e le vie da seguirsi ad arrestarne il precipitoso decadimento, riprodotta poi dal Bertolotti nel suo studio sul Moncalvo.
V. Gustavo Modena e l’arte sua di Luigi Bonazzi, che ha data un’idea abbastanza chiara, a noi che non avemmo la sorte di sentirlo, della sua artistica grandezza.
VI. Un capitolo nelle memorie di Tommaso Salvini, intitolato : Come G. Modena istruiva.
VII. Una conferenza di Adriano Palombi (Roma, '99).
VIII. Una conferenza di Edmondo De Amicis (Speranze e Glorie. Milano, Treves, 1900), alta, appassionata, piena di fervore patriotico.
IX. Una conferenza di Carlo Zangarini (Bologna, Zanichelli, 1900), ov'è tutto l’entusiasmo della sua gagliarda giovinezza.

E alle cose già edite e citate aggiungo oggi due lettere inedite che riferisco intere : la prima del 15 aprile 1845 da Bergamo a Mariano Somigli impresario del Cocomero, oggi Teatro Niccolini, a Firenze ; la seconda del 1° febbraio 1848 da Venezia all’abate Iacopo Ferrazzi a Bassano.
I.
Mascherpa ha ragione di mettersi in collera con Montazio. Quando un giornalista vuol gridare contro la meschinità della mise en scène, deve anche dire al pubblico : « tu pubblico asino e spilorcio, che dài tanti paoli all’ opera ; e voi accademie orecchiute che per l’opera date migliaja di scudi, date anche alla commedia i mezzi di decorare la scena. » Ma egli, il giornalista, comincia dall’ abonarsi con due crazie per recita, tante quante ne dà al decrotteur per pulirgli gli stivali ; e poi grida : arte, arte ! – arte un cazzo : poveri saltimbanchi che vi facciamo i buffoni per strappar la vita ; ecco cosa sono i comici. – Mi fa da ridere quando parla dei Faigny e dei Doligny, e altri francesi : quei poveri infelici, dopo d’aver divertito il colto pubblico italiano, han dovuto far delle collette per tornare in Francia ; e qui si son mangiati gli abiti, i bijoux, le camicie, e fin le unghie. Io ho seguitato fino a pochi mesi addietro a spendere e spandere per decorare le produzioni con una esattezza di costumi e con uno sfarzo ignoto fino ai nostri giorni ; e qual è la città che me ne ha tenuto conto ? La sola Milano : senza Milano, io fallivo. Qui, a Bergamo, perchè ho messo il biglietto a una lira, m’avean minacciato di fischiarmi nei pubblici caffè. E a questo proposito il pubblico di Firenze è forse più indietro di quel di Bergamo. Imparo da te che Taddei è vivo : non ne sapevo nulla da lui. Che non piaccia a Civitavecchia è possibile : perchè il pubblico di Civitavecchia non avrebbe da esser asino ? Lo son tutti.
Il Battaglia vuol fare una compagnia per il suo teatro Re ; ma in questa io non entro per nulla. M'ero obbligato a far tre recite per settimana in Milano colla detta sua compagnia, se egli avesse trovato i duecento sovventori che chiedeva nel suo prospetto stampato ; non li ha trovati ; ed io mi son chiamato sciolto. – Ho già licenziata la mia compagnia, ed ho messa in libertà la quaresima di Padova, e coll’ultimo di carnovalone 45 in 46 finisce il mio capocomicato. Probabilmente verrò a passar l’anno venturo in un villaggio di Toscana, alla campagna. Battaglia è in trattato con alcuni de' miei artisti : colle Botteghini madre e figlia, colla Sadowski, con Bellotti-Bon, col ragazzo Vestri Angelo, e con Lancetti. So che ha scritto alla Santoni, alla Fusarini, perchè vorrebbe riunire molte brave donne e farle lavorare a vicenda, ma a questo non riuscirà : le conveniense ! ! – In fin dei conti io credo che la Compagnia del Battaglia finirà prima di cominciare come quella di Alì impresario per le Smirne. Addio. Saluta tutti. Il tuo
Dammi notizie della Internari.
II.
Mi ascrivo ad obbligo il dare pronto riscontro al gradito di Lei foglio 28 spirato gennaio. E dopo di averle resi i più vivi ringraziamenti per le gentili espressioni che in quello Ella si compiace dirigermi, La prego di voler manifestare a cotesto illustre Ateneo i sensi della mia riconoscenza per l’onore che mi ha fatto di nominarmi suo Socio corrispondente. Mi è poi di grandissima compiacenza l’entrare seco Lei in tali rapporti, che mi procureranno il piacere di conoscer La personalmente, e di riconoscere in pari tempo il di Lei merito anche in fatto di pubblico insegnamento. Frattanto ho il vantaggio di potermeLe dichiarare
Grande e bella figura questa del Modena, di cui non sappiam bene se più e meglio valesse la modestia sincera, l’arte potente, o il patriottismo caldissimo. Leone Fortis delineò l’uomo politico nel Capitan cortese del 12 aprile '96 con queste parole :
Fu tutto di un pezzo : repubblicano sin dalla prima giovinezza, fiero nemico così dell’ oppressione straniera, come di qualunque arroganza anche tribunizia che mirasse ad imporsi, sia▶ con la dittatura della piazza, ◀sia▶ con quella della Reggia.
Mi ricordo di averlo veduto nell’Assemblea Toscana in cui era deputato, capitanare un giorno un tentativo di rivolta dell’Assemblea Toscana in cui era deputato, capitanare un giorno un tentativo di rivolta dell’ Assemblea contro la dittatura di Guerrazzi – dittatura acre, aspra, sgarbata, che non salvava nemmeno le apparenze, e che trattava la Rappresentanza del popolo a scudisciate. – Il tentativo falli. – L'Assemblea era troppo sfiaccolata per reggervi. – Il dittatore impose il voto di fiducia e l’ottenne. – Ma l’urto fra i due uomini, entrambi di ferro, fra i due caratteri irti di punte e di angoli, fu terribile. – Guerrazzi rispose alla interpellanza di Modena, secco, sdegnoso, iracondo, e chiuse dicendo : E così rispondo al discorso Recitato (e marcò sprezzante la frase) dal Deputato Modena. Modena scattò in piedi, rosso in viso contro il suo solito, tremante, schizzando fuoco dagli occhi : Comprendo l’allusione insolente e la raccolgo. Sappia il signor Guerrassi che io mi sento tanto altero di recitare la tragedia al Teatro di Borgognissanti, quanto umiliato nel prender parte a questa indegna commedia di Palazzo Vecchio.

Guerrazzi, dal suo banco ministeriale, pallido, terreo, mandando lampi di collera dai cristalli dei suoi occhiali d’oro, irruppe con brusca impazienza : Non feci allusioni : – non si accalori così. È tutto rosso.
E Modena di rimando : « Risponderò a lei come fu già risposto da un uomo libero come me ad un grande tiranno – ma ad un tiranno da tragedia, non da commedia, a Napoleone I : È il nostro destino quando si parla di libertà – per me di arrossire, per voi di impallidire. »
L'Assemblea andò sossopra – il pubblico batteva freneticamente le mani.
Era uomo di passione, ma il sentimento dell’ onestà e della rettitudine prevaleva sempre in lui alla passione politica e ai rancori personali.
………………………..
Nessuno certo potè mai più di lui nè come lui suscitar l’entusiasmo nel popolo affollato, ◀sia▶ si mostrasse sotto le spoglie di Paolo, ◀sia▶ di Luigi XI, ◀sia▶ di Saul, ◀sia di David ; o di Adelchi, o di Walenstein, o del Cittadino di Gand, o di Maometto, o d’Icilio, o di Remy, o di Raimondo, o di Dante, del quale interpretava (come abbiamo da un programma di sua beneficiata al Teatro del Giglio di Lucca, la domenica 7 giugno 1840, in Compagnia Dorati), Mino – Francesca da Rimini – Cerbero (Canti V e VI). Ladri tramutati in serpi (Canto XXV). Curio – Il Mosca – Bertram del Bornio (Canto XXVIII). Falsatori – Maestro Adamo (Canti XXIX e XXX). Lucifero – Bocca – Ugolino (Canti XXXII, XXXIII, XXXIV).
Nè minore entusiasmo egli suscitava in assurdità incredibili come quella famosa del pugnale infisso con gran violenza sul piano della tavola, che…. doveva essere di marmo. Ma…. altri tempi, allora. La missione del teatro non era, allora, di mostrare al vivo malattie del nostro spirito e del nostro corpo, senza ragione, senza concetto, senza ideali ; o di intrecciar pazzie e bizzarrie per ridar vita alla nostra fibra addormentata. C'era allora una patria da liberare ; c’ era un popolo da educare, da ingagliardire…. E l’artista e il patriotto insieme si servivan di ogni mezzo per riuscir nell’intento. Non occupiamoci ora di stabilire se antiartistica, o poco logica, o addirittura grottesca potesse essere l’apparizione di Modena sotto le spoglie di Dante, che i canti dell’Inferno declamava, immaginando di improvvisarli e dettarli inspirato a un giovinetto seduto a un lato della scena…. Quel che più cercasse il Modena con tali declamazioni, se, cioè, di ravvivar nelle genti l’amore pel grande volume, o non piuttosto di mostrar loro i più riposti sentimenti politici del fiero ghibellino, non sappiam precisamente. Ma sta in fatto che l’uno e l’altro scopo non ottenner dalla cattedra tutti insieme gli eruditi espositori, com’ egli dalla scena al popolo infiammato.

Dice il Leoni ch' « egli tutto possedeva tranne la perfetta voce. Studente ancora, il brutto morbo, figliastro dell’amore, corrodendogli le cartilagini nasali deformò il suo volto, ch'era nobilissimo, e alquanto fessa rese la voce che avea potente e bella, ond’era necessario abituarvisi. Le forme del corpo atletiche e ferrea tempra. »
Di tutte le parole stampate in prosa e in verso a onore del sommo italiano, scelgo la seguente ode, d’altre forse men peggiore, che il Dall’Ongaro dettava nel giorno che Gustavo Modena chiuse le sue rappresentazioni nel Teatro di Palma, intitolato poi dal suo nome.
No – non è l’oro l’idolo,a cui sacra gl’incensi, e innalza un’arala mia terra materna all’arte cara.No, della gloria il palpitonon è figlio dell’or, nè quel desioch'erge al Genio teatri e templi a Dio.Ferve nel petto agl’ Italipiù nobil foco, e ad alte opre gli appellal’amore e il culto d’ogni cosa bella.Questo t’accende, o Modena,quando rendi a Talìa l’antico impero,e mostri come il bel s’accoppi al vero.Questo dettò le semplicinorme a Colui che, del tuo plauso degno,architettò questo gentil disegno.E già sacro l’invidiade'pedanti lo fece, e lo consolal’eco possente della tua parola.Forse l’industre arteficedi questa nova gloria era presago,quando il suo circo immaginò sì vago.Or nobil premio all’operaSien del tuo labbro i non mentiti encomj,e il Teatro gentil da Te si nomi.
Invano si reclamava dalle gazzette più autorevoli un monumento al grande artista e al gran cittadino…. Invano si dettavano iscrizioni da incidere in un sasso che ne ricordasse ai posteri il nome e le virtù. Il 29 aprile del '900, Torino, rifugio dell’esule, che gli fu seconda patria, inaugurò, per l’opera costante e amorosa di Giuseppe Cauda, un giornalista, che dell’arte del teatro s’è fatto un culto, il sospirato monumento, degno lavoro di A. Bi stolfi, al quale porse il saluto della patria Enrico Panzacchi, e sul quale sono incise queste degne parole di A. Graf :
gustavo modena | per altezza d’ingegno | per carità di patria | per integrita di vita | degno di accompagnarsi coi sommi | l’arte scenica aderse | a magistero supremo | di verita di virtu di bellezza | memorabile esempio | a imitatori ed emuli | di vera gloria bramosi. | 1803-1861.
