(1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Dei balli »
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(1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Dei balli »

Dei balli

[4.1] Ma che cosa è finalmente questo nostro ballo, dietro al quale va così perduta la gente? Parte del dramma esso non fece mai; è sempre forestiero nell’azione e il più delle volte ad essa ripugnante. Finito un atto, saltano fuori tutto a un tratto dei ballerini, che per nulla non hanno che fare con l’argomento dell’opera. Se l’azione è in Roma, il ballo è in Cusco o in Pecchino; seria è l’opera? e il ballo è buffo. Niente vi ha di meno degradato e connesso, che proceda più per salti, se in tale occasione è lecito il dirlo, che sia più contrario alla legge della continuità legge inviolabile della natura e che l’arte, di lei imitatrice, dee fare in ogni cosa di non trasgredire. Ma lasciando star questo, che nella odierna licenza potrà parere una troppo grande sofisticheria, cotesto ballo, che tanto pur diletta, non è poi altro, a considerarlo in sé medesimo, che un capriolare sino all’ultimo sfinimento, un saltar disonesto che non dovrebbe mai aver l’applauso delle persone gentili, una monotonia perpetua di pochissimi passi e di pochissime figure. Dopo un assai sgarbato concerto, ecco che si distacca dalla truppa un paio di ragazzi. Non falla mai che l’uno non incominci dal rubare all’altro un mazzetto di fiori, o dal fargli altro simile scherzo; vanno in collera, si rappattumano poco stante insieme; l’uno invita l’altro a ballare, e si mettono su per il palco a saltellare senza modo; appresso i ragazzi entrano i più grandicelli; succedono dipoi i coriferi a fare anch’essi un simile balletto a due; e si conchiude finalmente con un altro concerto, che è di un pelo e di una buccia col primo. Conoscine uno e gli conosci tutti; si cambiano gli abiti dei ballerini, il carattere dei balli non mai.

[4.2] Chiunque, in ciò che si spetta alla danza, se ne sta alle valentìe di cotesta nostra e non va col pensiero più là, ha da tenere senz’altro per fole di romanzi molte cose che pur sono fondate in sul vero: quei racconti, per esempio, che si leggono appresso gli scrittori, degli tragicissimi effetti che operò in Atene il ballo delle Eumenidi, di ciò che operava l’arte di Pilade e di Batillo, l’uno de’ quali moveva col ballo a misericordia e a terrore, l’altro a giocondità e a riso, e che a’ tempi di Augusto divisero in parti una Roma. Egli avviene ben di rado che ne’ nostri ballerini si trovi congiunta con la grazia la forza della persona, la mollezza delle braccia con l’agilità de’ piedi, ed apparisca quella facilità nei movimenti senza la quale il ballo è di fatica a quelli ancora che stanno a vedere. [Sebbene questi non sono che i rudimenti della danza, o piuttosto la parte materiale, a volersi più propriamente esprimere. Il compimento o la forma di essa è tutt’altra cosa. La danza deve essere una imitazione che, per via de’ movimenti musicali del corpo, si fa delle qualità e degli affetti dell’animo; ella ha da parlare continuamente agli occhi, ha da dipingere col gesto. E un ballo ha da avere anch’esso la sua esposizione, il suo nodo, il suo scioglimento: ha da essere un compendio sugosissimo di un’azione.

[4.3] Su questo andare è per esempio il ballo del giocatore composto sopra una bellissima aria del Iomelli; nel quale vengono mirabilmente espressi gli avvenimenti tutti del grazioso intermezzo che porta quel nome. E veramente nel comico, o sia grottesco, sonosi veduti tra noi dei balli degni di applauso ed anche dei ballerini che aveano, come disse colui, le mani e i piedi eloquenti, e non erano forse tanto lontani da Batillo. Ma nelle danze serie o eroiche, è pur forza confessare che i Francesi vincono e noi e tutt’altre nazioni. E quale tra le moderne ha posto tanto studio quant’essi nella scienza del ballo, a cui hanno da natura tale attitudine, quale abbiamo noi altri Italiani alla musica? L’arte della coregrafia nacque già tra loro alla fine del Cinquecento, e tra loro apparirono in questi ultimi tempi i balletti della Rosa, di Arianna, di Pigmalione e parecchi altri, i quali si avvicinano di molto all’arte di Pilade e dei più nobili antichi pantomimi. In questa scuola sono essi veramente i maestri, né dovrà niuna nazione recarsi ad onta di studiare da essi anche in tal genere di gentilezza. E noi singolarmente non ci dovremmo mostrar ritrosi di prendere dai Francesi con che perfezionare la nostra opera; da quella nazione cioè che ha preso da esso noi la opera medesima.