Del Buono Luigi. Artista celebre nella maschera dello Stenterello, ch’egli creò, nacque a Firenze (fuori di Porta a Prato a San Stefano in Pane) il 13 agosto del 1751 da Filippo Del Buono, possidente. Visse e morì in Via Borgognissanti nella casa segnata allora col N.°3930, oggi col 66 ; e prima di darsi all’arte fu orologiajo, ed ebbe bottega in Piazza del Duomo. Come egli risolvesse di calcar le scene non sappiamo : ma è certo che non vi apparve la prima volta sotto le spoglie di Stenterello. Dell’ingresso in arte di lui discorre il Paese di Pistoia del 15 ottobre 1887 in un articolo firmato X, nel quale è detto ch’egli cominciò a fare il commediante in una compagnia comica che recitava al Teatro del Cocomero (oggi Niccolini) di Firenze. Recatosi a Napoli e divenuto frequentatore assiduo e ammiratore profondo del Pulcinella……
pensò di creare lui stesso una maschera che stesse di fronte a quella milanese del Meneghino e a quella torinese del Gianduja, ed avesse un carattere suo speciale e tutto fiorentino. E ad un fiorentinissimo com’era Luigi Del Buono non poteva non riuscire. Ideò subito la sua maschera che altro non doveva essere che il popolano fiorentino di tutti i tempi ; si vesti il cappello a tre punte, colla giacca colorita, coi calzoni corti, colle calze di colore, colle scarpe colla fibbia, e cosi truccato sali sulla scena. Il Del Buono viaggiò colla compagnia e fe’fortuna……
A qual fonte sia▶ stata attinta la interessante notizia dell’anonimo articolista non saprei dire. Secondo la tradizione, il Del Buono avrebbe accolto l’idea della sua maschera dalla viva voce del basso popolo fiorentino, chiassoso, arguto, spensierato nella sua miseria, rigido conservatore del vernacolo, dacchè la sua casa situata in faccia alla via di Merignano, che sboccava allora in via Gora, mettevalo con lui in immediato contatto.
Anche sulla origine del nome di Stenterello varj sono i pareri. Il Landini, ultimo degli Stenterelli celebri, raccontava di avere udito (e le parole sue furon riferite nella Nazione del 31 marzo ’91 da Giulio Piccini (Jarro), a cui debbo gran parte di queste notizie, e di cui uscirà presto, editore Bemporad, una particolareggiata e documentata vita del nostro artista)
che il nome venisse da un faceto garzone di parrucchiere, o da un gaissimo mendicante, il quale se ne stava sugli scalini d’un portone, chiedendo l’elemosina, e attirando la gente co’suoi lazzi, destando la pietà pel suo vestito, tutto toppe e brandelli, per la sua persona, scarna, allampanata, stentata : da ciò il nome di stento o stenterello, che si dà tuttora a un mingherlino e sparuto.
Ma dopo il ritratto che di Luigi Del Buono ci lasciò il Morrocchesi nelle sue memorie tuttavia inedite, pubblicato per la prima volta dallo stesso Jarro insieme ad altre molte notizie concernenti la maschera e l’artista (ivi, 13 e 20 aprile ’91), io credo che il nome di Stenterello egli prendesse da sè stesso, essendo piccolo di statura, magro, sparuto, di carnagione giallastra, ma non difettoso della persona.
Giacchè sono sulla citazione del Morrocchesi, continuo.
Avea la fronte spaziosa e una facile rallegratura. Le doti del suo bell’animo, non alterando di un atomo la verità, furono rare. Buon cristiano, buon amico, buon prossimo : sovventore dei poveri, ed abile artista comico in generale : in particolare poi, sommo nel così detto carattere di Stenterello, che egli stesso inventò, ed inimitabilmente e gustosamente sostenne fino alla decrepitezza……
E il Morrocchesi poteva discorrerne con ragione, poichè fu con lui scritturato per tutto il 1800, che egli passò, dice,
in un batter d’occhio, perchè fu del continuo accompagnato da quiete d’animo, da perfetta salute, da ogni possibile soddisfazione nell’arte, e con sopra a 400 zecchini d’avanzo, dopo essersi mantenuto gajamente in tutto e per tutto.
E aggiunge che pur troppo non potè godersi a lungo tale papato, a cagione della prima attrice della compagnia, certa Faustina Zandonati, cagliaritana, la quale viveva col Del Buono, e glie ne faceva passare di tutti i colori, maltrattandolo sovente a parole, talora picchiandolo, e facendolo fin anco girandolar di notte dopo la recita, in traccia di un suo cane maltese, chiamato Maschero, che spesso e volentieri le scappava di casa.
Fu in processo di tempo il Del Buono preso da tal manìa religiosa, che datosi tutto a Dio, fece solenne promessa di abbandonare il teatro, scuola, diceva lui a’compagni, di turpitudini, al quale non sarebbe certo tornato mai più, se un’opera di carità, sciolto dal voto per intercessione di un alto sacerdote, non ve lo avesse ricondotto. E ciò fu nel 1830 all’età di ottant’anni : e si racconta, che dovendo egli salire sur una tavola, e non riuscendovi, a uno del pubblico che gli disse forte esser quella troppo alta per lui, rispondeva : « no, sono le quattro ventine che mi pesano. »
Nell’andito della casa di lui fu collocata nel ’91 la seguente lapide :
Luigi Del Buono – nato a Rifredi presso Firenze – scrittore castigato elegante – autore di operette e commedie popolari – comico corretto e pregiato – nella satira arguta educativa – maestro – della maschera fiorentina – inventore
In questa casa che fu di sua proprietà – morì ottantenne – il 19 ottobre 1832.
E nel chiostro della chiesa di Ognissanti ov’egli è sepolto, si legge su di una parete il seguente epitaffio, fatto da lui stesso incidere in marmo fin dal 1826 :
Luigi Del Buono fui – che da vivente destinavo questo marmo – per soprapporsi alla mia fredda salma – presso quest’ara sacra alla gran vergine – in carità prego di recitare – il De Profundis e la seguente giaculatoria – in lode della nostra avvocata – Maria Santissima – che ciò sarà di sollievo all’anima mia – e di merito a quel devoto che la suffragherà.
Sia benedetta – la Santa ed immacolata Concezione – della Beata Vergine Maria.
Toltosi dal teatro, a continuar l’opera sua scelse Lorenzo Cannelli, del quale fu maestro appassionato, ma che poi dovette abbandonare per la troppa scurrilità di cui si piaceva rivestire ogni sua frase ; giacchè il Del Buono, che il Morrocchesi dice Angelo umanato, volle ritrarre il popolo fiorentino in genere, nella vivezza del linguaggio, purgato da ogni parola men che conveniente.

Stenterello non ha carattere spiccato : esso può esser tal volta amante fortunato, tal altra marito ingannato ; ora servo sciocco spaventato dai morti, ora arguto dispensator di morale ; ma sempre, nelle quistioni più vive politiche o sociali, de’grandi e piccoli errori satirico flagellatore. Un po’alla volta, pur troppo, la maschera perdè la sua prima fisionomia, terminando col trasformarsi in un semplice personaggio da pochade e magari da operetta, oggi Stenterello in mare, domani organista nella Santarellina, e via discorrendo. Si è detto e si è scritto che le maschere in genere oggi non han più ragione di essere. Io credo che se invece di invadere un campo non loro, si fossero contentate di quello naturale cioè a dire di satira in azione, non mai com’oggi avrebber potuto essere salutari al popolo di su la scena.
Fu anche Luigi Del Buono, come dice la lapide commemorativa, egregio scrittore di commedie e di operette, tra le quali, una delle più note e più lodevoli, la Villana di Lamporecchio, la cui protagonista fu studiata sul vero nella persona di Virginia Venturini di Lamporecchio, che viveva al servizio di lui, e lo pettinava ogni mattina, acconciandogli il codino stenterellesco che egli non abbandonò mai. Trascrivo il dialogo della sfida tra Scivoli e Bisticcio, pretendente della Villana, uno de’più ingegnosi ch’io mi conosca :
Bisticcio. Se tento intanto, un tantin tutto il vostro cor, tutt’atto a tor da tutti, gli atti di timore ho più a temere, perchè se qui a me non diè quel labbro un si e leta, a lete o a dite, date in dote i dati dubbi, io debbo se tacete, veder che dite ai moti muti, che mi amate mite ; e se non muta, immoto resto, e muto senza metà.
Scivoli. Frenar più l’irascibile non posso a tali termini ! Per Dorotea tu spasimi ? Sei forsennato o semplice ?
Bisticcio. Non forsennato, ma forte nato per assennarti od assonnarti se tu non parti.
Scivoli. Son io forse un papavero, del sonno autore e simbolo ? Son sveglio, e niente trepido di una mal fatta virgola l’alte minacce e i crociti….
Bisticcio. Tu ti picchi ? Anch’io mi picco alla tua picca, se hai la pecca di aver pacche, non t’appicco, ma non pecco, se ti spicco e spacco il capo cupo, e dò alla parca un parco porco.
Scivoli. Non mi conosci, o misero ; se contro te mi adopero, quant’ossa porti io spezzoti.
Bisticcio. Se la rabbia, fa ch’io rebbi, ti do un rubbio di rebbiate, ma se busso prendo un bosso, e t’abbasso nell’ abisso a suon di basso e busse. Io non beffo, goffo, buffo, se ti azzuffo per il ciuffo presso al baffo, quel tuo ceffo t’abbaruffo, e per caffo nel rabbuffo ti do il tuffo.
Scivoli. Ebben, finiamla e subito ; entrambi provvediamoci d’un biforbito e lucido acciar di tempra ruvida e andiam fuori a combattere in fier duello orribile.
Bisticcio. Accetto il patto ; di citto o putto, non cito il petto. Eccetto il ratto mi accingo a tutto. Io mi batto fuor nell’atto fino all’otto ; mi ci metto come un matto nè vo in letto finchè a lutto non fai motto ; tu mi batti, io ti ribatto, e in baratto di tua botta, io ti butto giù in un botto ; se sei dotto, io sono addatto ; niuno editto
nè altro detto che ◀sia indotto non adotto. Mi porta a sparte, e parto in parte aperta. Ho detto netto ; il patto è fatto. T’aspetto in ghetto.
Scivoli. Non temo e vengo subito.
Il Giornaletto dei teatri di Venezia del 1821 cita un Vincenzo Fracanzani il quale partito da Firenze sua patria, immaginò in Lombardia un nuovo ridicolo personaggio, cui diede il nome di Stenterello, che quantunque in lui non male accolto dal pubblico, tuttavia non fu da altri poi ricopiato.
C’è qui dell’inesattezza, avendo nel ’21 il Del Buono già da quarant’anni creato la sua maschera ? o forse il Fracanzani, caratterista allora al fianco di Luigi Vestri, aveva, quarant’anni prima accennato con insuccesso a quella maschera, affermata poi nel suo maggiore sviluppo dal nostro Del Buono ? O non piuttosto, come giustamente osserva Jarro, si tratta dell’ignoranza dell’articolista che per la difficoltà allora di comunicazioni, non sapeva a Venezia quel che il Del Buono aveva fatto in Toscana ? E l’incisione che io riproduco (V. pag. 747), a qual tempo appartiene ? Tranne la lucerna che è dello stenterello più moderno, corrisponderebbe al ritratto che di Del Buono ci ha dato l’articolista pistoïese. Ma la lucerna specialmente di questa forma, è anche anteriore al tempo in cui il Del Buono vestì la sua maschera, come anche anteriore mi sembra la giubba a vita abbottonata e fermata da cintura. A ogni modo è certo che nè lo schizzo del Cannelli fatto dal vero dal De Goncourt, nè le intestature delle rappresentazioni alla Piazza Vecchia, stenterello il grande Amato Ricci (V.), nè lo stesso ritratto autentico di Luigi Del Buono, che l’Jarro pubblicherà quanto prima ci dànno un abbigliamento simile a questo.