(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [I-H-K]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 1055-1059
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [I-H-K]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 1055-1059

Internari-Tafani Carolina. Moglie del precedente, nata il 23 maggio del 1793 a Livorno da Giovanni Tafani nobile veronese ed Anna Baldesi, comici, fu la più forte artista del suo tempo. Mortole il padre nel 1802, ella si recò di paese in paese con la madre, sinchè, giovinetta già promettente, potè aggregarsi alla filodrammatica di Verona, in cui esordì il 1° agosto del 1807 colla piccola parte di Carlotta nel Cavaliere Woender : e tanta fu l’ammirazione destata, che dopo poche sere dovè presentarsi colla parte di protagonista nella Ginevra di Scozia di Giovanni Pindemonte, dando le migliori speranze di un grande avvenire artistico. Educata poi dall’Anna Pellandi, colla quale stette dal 1807 al 1810, mostrò subito di emulare presto, e vincere anche la grande maestra. Sposatasi all’ Internari, e lasciato la Pellandi il teatro, essa fu con Luigi Vestri prima donna assoluta, affermando la sua sovranità nell’arte dell’età sua ; e mortole il marito nel ’25, si mise a capo di una compagnia che accolse in vario tempo i migliori artisti. Fu il ’30 a Parigi, e vi andò in scena il 29 giugno con la Rosmunda di Alfieri, sollevando il pubblico a tale entusiasmo, da ottener dalla Duchessa di Berry la solenne promessa di aver destinato un teatro alle recite della Compagnia italiana : promessa che non fu poi tenuta per la caduta del Borbone che obbligò i comici italiani a tornarsene in patria. Si unì l’Internari nel ’34 con Domeniconi, col quale rinnovò e confermò gli entusiasmi e la fama. Fu il ’50 con Coltellini a Trieste, e il ’52 si unì madre nobile con Adelaide Ristori, risolvendo il ’57 di abbandonare il teatro, e di cedere tutto il suo ricco patrimonio di scena al figliuolo Giovanni, capocomico e mediocre brillante (morì nel ’76 a Livorno), col quale recitò alla Stadera di Milano il 13 marzo di quell’anno il terzo atto della Medea del Ventignano, maravigliando per la potenza d’arte, e gagliardia di mezzi, tanto da far dire a un accreditato giornale, che al suo confronto le celebrità d’allora impicciolivano a vista d’occhio. Stabilitasi a Firenze, vi recitò, come addio, nel dicembre del ’58, e a fianco della Ristori, la parte di Euriclea nella Mirra dell’Alfieri, colla quale aveva iniziato la sua gloriosa carriera.

Morì la notte dal 23 al 24 marzo di quello stesso anno, improvvisamente, e s’ebbe in Santa Croce esequie solenni. La sua salma riposa nell’ esterno della chiesetta di S. Gervasio, ove una pietra bianca porta il semplice nome di Carolina Internari.

Dire di lei come artista non è difficil cosa. Fu grande nel più largo senso della parola, così nella tragedia, come nella commedia e nel dramma ; e nella sua grandezza, modestissima. A siffatta modestia il Regli dedica non poche parole di entusiasmo.

A Trieste in Compagnia Coltellini tenne fronte mirabilmente alla Rachel, recitando al Filodrammatico la Fedra di Racine, mentre la gran tragica francese la recitava al Comunale. Mario Consigli, nel compilar la biografia della sua illustre concittadina, ricorda la potenza d’arte ch’essa spiegava nel proferir quel verso della Pia di Carlo Marenco :

non temo il disonor, temo la colpa,

e un anonimo livornese in una corrispondenza del ’37 al Giornale de’ Teatri in Bologna, ricorda quella da essa spiegata il 13 marzo agli Avvalorati, rappresentando per sua beneficiata la Mirra di Alfieri. « Quando al quinto atto, Ciniro, sdegnato del lungo e ostinato silenzio della figlia, le dice :

Ma chi mai degno è del tuo cor, se averlo
non potea pur l’incomparabil, vero,
caldo amator Perèo ?……

noi la vedemmo – scrive l’anonimo – come vinta in quel punto dalla violenza della passione, inchinarsi su di lui, mentre egli si cuopre con le mani la faccia e piange, e guardarlo con tale uno sguardo…. Ma è impossible ridire, tradurre con parole quello sguardo e quell’atto : solo diremo che in quel punto l’attrice superò il poeta : la Internari fu più grande di Alfieri ! Uno scoppio spontaneo, universale di applausi mosse dal popolo maravigliato, e noi, ancora commossi, ricordiamo quel momento, e le potenti emozioni, onde fummo scossi in quella sera. »

Le opere che nella non breve carriera della forte artista, si disser suoi cavalli di battaglia, furon : l’Antigone e la Rosmunda d’Alfieri, la Pia di Carlo Marenco, la Gismonda da Mendrisio, l’Ester d’Engaddi, l’Iginia d’Asti del Pellico, la Medea del Duca di Ventignano ; ma con pari ardore, e con pari successo, rappresentava le commedie del Goldoni e del Nota.

I più eletti ingegni del suo tempo l’onoraron della loro amicizia, e nell’ album di lei, ch’è oggi alla Biblioteca Nazionale di Firenze, figurano scritti di Guadagnoli, di Pellico, di Rosini, di Peretti, di Missirini, dei Perticari, di Marenco e di altri.

Il Guerrazzi e il Niccolini l’ebbero in gran considerazione. Il primo le inviava il ’38, trascritto tutto di suo pugno, il De Profundis, con queste parole : « Ecco. Tu hai quello che infiniti mi hanno chiesto e non hanno ottenuto, e l’artista ha potuto persuadermi a cosa, che rifiutai a principesse russe, che per me equivalgono a orsi con la cuffia. » Il secondo, oltre all’avere scritto per lei la Rosmunda d’Inghilterra, mantenne una viva intima corrispondenza, già pubblicata nell’ opuscolo del Consigli e ripubblicata poi ne’Carteggi italiani dell’Orlando.

Riferisco dall’album, tuttavia inedite, le parole dei nostri grandi artisti :

Carolina Internari fu una delle più splendide gemme dell’arte drammatica, e lasciò tale un vuoto di sè che mai sarà riempiuto perchè troppo racchiudeva di affetti quell’anima bollente ed eminentemente italiana.

Marzo 1874

Alamanno Morelli.

Io non rimpiango in Carolina Internari la perdita della donna, ma mi addolora la mancanza dell’ attrice tragica ! Come donna, sposa e madre, ne piansero gli amici, lo sposo, i figli ; come attrice ne piange ancora l’Italia.

20 7mbre 1873.

Tommaso Salvini.

Se l’arte che fu, gli occhi riaprisse, in vedere quali cenci indossa la sciagurata sua figlia, talchè le vergogne fan mostra, generosa addosso i suoi vecchi panni le getterebbe, e la decenza, almeno, sarebbe salva.

Livorno, 5 ottobre 1874.

Ernesto Rossi.

Invocazione !

Allo spirito elevato di Carolina Internari !

Dalle sfere ignote (ove certo signoreggi, come quaggiù nella memoria dei mortali) rivolgi a me un raggio della divina luce di tua sovrana intelligenza. Riscalda la mia povera anima d’artista…. rinvigoriscila ! Musa, sposa, madre, proteggi dal tuo soggiorno ove non si muore più, un’ artista, una sposa, una madre !

Livorno, 2 novembre 1875.

Giacinta Pezzana Gualtieri.

All’anima vigorosa d’artista ne congiungeva l’Internari una squisitissima di donna. Da una nota del figliuolo Giovanni sappiamo che mantenne per oltre dieci anni e fino alla morte di lei (’35 o ’36) una povera vecchierella per nome Annina, che le era stata raccomandata da persona di sua famiglia.

Una lettera intima della celebre Pellandi scritta all’Internari da Verona il 1° novembre del ’39, comincia così :

La sera che mandai al Bonsaver la mia per unire alla sua, ricevetti la scatola benedetta e sospirata, non posso esprimerti il contento. Dio ti benedica e ti conceda immensi beni come meriti, come brami, e come t’invoco dal cielo e come spero otterai. Dio dia bene a chi me la procurò, a chi se ne privò, cui ringrazierai per me. Non mancherò indegnamente di raccomandarvi tutti a quel degno santo che fu asperso di quel sangue prezioso dove su d’esso spirò l’adorabile nostro Redentore. Quanto è bella la reliquia che ora voglio fargli fare la bustina, quanto cara la corona con quel bel Cristino e quella medaglietta ; il pezzetto di cera e la candelina mi saranno utili nei temporali, che Iddio ci guardi ; insomma che tu sii benedetta per sempre.