Monti Pietro. Nato a Roma il 1799, vi perdè, bambino, la madre, e dovè, giovinetto appena, seguire il padre in Sicilia, che era maestro di casa di una famiglia d’inglesi. Nei moti popolari di Palermo, gli fu assassinato il padre, e la famiglia inglese prese la fuga su di una nave mercantile. Solo, caduto nella più squallida miseria, il giovinetto Pietro si offerì ai trionfatori in qualità di tamburino, per fuggir poi anch'egli alla prima occasione su di una nave che lo portò a Civitavecchia, d’onde recossi pedestre a Roma. Si conta, che privo di mezzi per pagarsi il più misero alloggio, dormisse il più delle volte accovacciato in qualche nicchia di chiesa, mancante della statua. Venuta in Torino la Real Compagnia Sarda, il giovinetto, che alla mancanza assoluta dell’istruzione sopperiva colla svegliatezza della mente e colla fierezza dei propositi, si presentò al primo attore, Camillo Ferri, offrendosegli come servitore. Fu accettato ; e tanta misericordia destò in lui coi racconti delle sue avventure, e tanta stima si procacciò coll’obbedienza e col lavoro, che il Ferri lo condusse nell’ altre città, avendoselo più amico, che servo. L'amore pe'l teatro gli si andò sviluppando a grado a grado, e, quando il suo ufficio gliel comportava, stava inchiodato alle quinte, pendendo dalle labbra degli artisti, e specialmente del suo padrone. Ora accadde che una sera il Ferri, a ora tarda, scrisse non potere in alcun modo recitare per sopravvenuta indisposizione : la qual cosa mise in impiccio non lieve il capocomico Bazzi che non avrebbe voluto mutar lo spettacolo, nè sapeva a quell’ora in qual modo rimediare. S'offrì il Monti di sostituire il Ferri : e alle meraviglie e obbiezioni degli artisti rispose con tal sicurezza, che ne fu fatto l’ardimentoso esperimento, con riuscita abbastanza buona. La commedia recitata fu Paolo e Virginia, e dice la cronaca che il servo si mostrasse assai più in carattere del suo padrone. Da quella sera cominciò la vita artistica di Pietro Monti. Gli si affidaron parti di generico e di secondo amoroso ; e si notaron subito le sue attitudini spiccate alla scena. Da'secondi amorosi passò ai primi, finchè, nel 1835, sposata Giulietta Alberti, sorella del brillante Adamo (V.), entrò con lei e col cognato nella Compagnia dei Fiorentini, per sostituirvi l’egregio amoroso Giovan Battista Gottardi (V.), di cui non potè sì facilmente cancellar la memoria, a cagione, in ispecie, della voce aspra e nasale. E si narra che una sera, non dandogli più l’animo di sopportare la manifesta avversione del pubblico, fattosi alla ribalta, invocò pietà e misericordia ; e lo fece con tal garbo e con tal commozione, che l’avversione si mutò di subito in indulgenza, e d’allora Pietro Monti diventò il beniamino del pubblico. Toltosi dalla società il Tessari, colpito d’apoplessia il Visetti, l’impresa venne assunta da Prepiani, Monti e Alberti, assumendo il nostro artista per la prima volta il ruolo di primo attore assoluto, che sostenne con clamorosi successi fino al '49, nel quale anno fu colto da alienazione mentale, che lo condusse in breve tempo a morte. Di lui scrisse Michele Cuciniello, uno de'fortunati autori che l’ebber felice interprete delle loro opere.

Pietro Monti, completamente illetterato, chè l’avventurosa sua adolescenza gli aveva chiusa ogni via da istruirsi, fu nondimeno un artista drammatico più ancora prodigioso che egregio. Egli non era stato fatto artista dallo studio, ma creato tale da Dio ; e però di quanto il genio soprasta gl’insegnamenti delle scuole, di tanto il Monti, nel signoreggiar gli animi dei suoi spettatori, superò gli altri artisti. Regolari ed espressivi furono i lineamenti del suo volto, vivi gli occhi e nerissimi, proporzionate ed armoniche le forme della persona, e la sua voce, la quale nella conversazione comune era d’un metallo piuttosto spiacevole, nei momenti poi di passione e di concitamento di affetti acquistava tanta drammatica energia, metteva tali suoni, da scuotere prepotentemente le fibre dei suoi uditori. – Quando un carattere, un personaggio, lo avevano commosso ed interessato, Monti non temeva rivali nell’ immaginarselo col pensiero e nel dargli una forma sulla scena. Egli allora non fingeva più ; ma per uno sforzo di fantasia, di cui solo conosceva il segreto, s’immedesimava, si trasfigurava nel personaggio, che aveva preso a ritrarre, illudeva in somma sè stesso prima d’illudere gli altri ; e quindi, piangendo, tremando, rallegrandosi davvero, senza obliar mai quel bello ideale, che la mano stessa del Bello eterno gli aveva stampato nell’anima, costringeva gli spettatori a piangere, a tremare, ad allegrarsi con lui. – Era tanta la potenza del Monti nel trasfondere, dirò così, in sè stesso il soggetto da lui rappresentato, che spessissime volte, calato il sipario, egli rimaneva come stupito e fuori di sè, e visibile era il suo sforzo per passar da quella esistenza creatasi con la fantasia, nell’esistenza sua propria.
A queste parole vanno unite alcune sestine pur del Cuciniello, di cui riferisco le due ultime :
Addio, bell’alma, addio, prodigio, a cuiVolle il ciel rivelare e donar tuttoQuell’ incanto e quell’ arte, che in altruiSol di vigilie e di sudor son frutto ;Dono fatal però, che consumavaCome fiamma quel petto, che animava :La farfalla così, l’ala agitando,Spezza l’invoglio, in cui prigion giacea ;Così affilato adamantino brandoLogora la guaina, che il chiudea ;E la perla, che al genio s’assomiglia,Rode così la povera conchiglia.
E nell’ Omnibus di Napoli del 14 gennaio 1841 a proposito dell’ interpretazione dello Chatterton di M. Cuciniello, P. Vaccaro Matonti scriveva :
……all’ effetto ed al successo gran parte vi ha tenuta Monti, del quale artista sarebbe ingiustizia non promulgare soprattutto il suo ardente zelo nelle parti che esprimono affetti e sentimenti di forte esaltamento ; egli non simula per arte il carattere che sostiene, ma se ne infiamma tanto che va a discapito della propria salute : bel sacrifizio in vero che egli tributa all’ arte sua, e per la quale si fa tanto pregiare ed amare da tutti.
Un degli ultimi tratti di follia che determinaron la sua entrata nell’ ospedale de' pazzi de' Ponti Rossi, ci è raccontato dall’artista Luigi Aliprandi che del Monti fu lungo tempo collega :
…… Cominciò a dire e sostenere che il Re Ferdinando II lo aveva nominato Direttore dei due R. Teatri, San Carlo e Fondo ; e che nessun Cantante, Ballerino o Suonatore vi sarebbe scritturato senza il di lui consenso. In tale illusione si presentò una mattina al Palazzo Reale per voler parlare a Sua Maestà. Il portinajo ignorava lo stato della sua mente, e gli disse che il Re era in colloquio col ministro. Egli rispose : ebbene, lo aspetterò. Accostatosi al letto del portinajo, si tolse in un lampo le scarpe ed il vestito e si cacciò fra le lenzuola. Di tal fatto si mandò avviso al cognato Alberti, il quale si recò colà in compagnia di un medico amico, e lo fece subito rivestire dicendogli che il Re lo attendeva al R. Palazzo di Capodimonte. Lo posero in una carrozza, avviandosi per quella via, ma poi lo condussero all’ospedale dei pazzi, detto de' Ponti Rossi, mentre lo sciagurato andava ognor ripetendo di voler discorrere al Re.