(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome I « LIBRO PRIMO — CAPO VI. Teatro Greco. » pp. 66-74
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(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome I « LIBRO PRIMO — CAPO VI. Teatro Greco. » pp. 66-74

CAPO VI.

Teatro Greco.

Prima epoca sino a Frinico.

Quante novità forse un dì apporteranno i più communi oggetti che ora ci veggiamo intorno senza prenderne alcuna cura! Da fonti lontani e quasi impercettibili scaturiscono spesso i più notabili evenimenti. Quel chimico che vide la prima accidentale esplosione del nitro, imprigionò Motezuma, strangolò Guatemazin, giustiziò Atabualpa, tradì e condannò l’innocente cazica Anacoana, spopolò tutta l’America. Ma bisogna che un interesse personale determini il primo osservatore a fissarvi lo sguardo: che la sua osservazione per un interesse più generale si communichi a’ circostanti: e che vada così di mano in mano continuando a prender forma, finchè pervenga a costituire un’epoca notabile. Quanti capri avranno rose e guaste tante volte le viti delle montagne dell’Attica senza produrre veruna novità! Ma quell’abitatore d’Icaria, che ne sorprese uno nel suo podere, fu per sicurezza della sua vigna consigliato dal proprio interesse a sacrificarlo a Bacco, e quei paesani che ciò videro, ricordandosi delle proprie vigne per somigliante interesse applaudirono al colpo, si rallegrarono, e saltarono cantando in onor del nume. Quindi nacque una festa, un sacrifizio e un convito rinnovato ogni anno in tempo di vendemmia, nel quale la licenza del tripudio e l’ubbriachezza svegliarono quella satirica derisione scambievole che piacque tanto e che perpetuò la festa. Quel motteggiarsi a vicenda, e quegl’inni sacri cantati ballando formarono a poco a poco un tutto piacevole, che da τρυγη, vendemmia, si chiamò trigodia a, e fu come il germe che in se conteneva la gran pianta della poesia drammatica, la quale vedremo da quì a poco ingombrar tant’aria, e spandere per tutto verdi e robusti i suoi rami.

Continuando in tal guisa lungo tempo questi Cori pastorali, ed inni Dionisiaci doveano naturalmente partorir sazietà, e svegliare in alcuno un desiderio di rianimargli con qualche novità. Così in fatti avvenne. Vi è chi attribuisce ad Epigene di Sicione il pensamento d’interporvi altri racconti chiamati Episodii per rendere la festa più varia, o per dar tempo a’ saltatori e cantori di prender fiatoa I primi cori contenevano le sole lodi di Bacco, e gli episodii parlavano di tutt’altro. Il popolo se ne avvide, e mormorò della novitàb, ma continuò ad ascoltarli, e la novità parve felice e dilettevole. Questa istoria ci si presenta ad ogni passo nelle opere de’ più veridici scrittori dell’antichità, e punto non ripugna al l’ordinata serie delle umane idee, le quali vanno destandosi a proporzione che si maneggia l’arte, e che la società avanza nella coltura. Chi adunque arzigogolando sdegna di riconoscere da tali principii la tragedia e la commedia Greca, non vuol far altro che dare un’ aria di novità e di apparente importanza ai proprii scritti, e formar la storia della propria fantasia più che del l’arte.

Solevano i riferiti cori ed inni nominarsi indistintamente tragedia e commedia, e chi ne scrisse ebbe il nome talvolta di tragico, talvolta di comico poeta. Apollofane da Suida vien detto, antico poeta comico, e nel l’Antologia tragico. Cefisodoro, Forono, Egesippo, sono chiamati ora tragici ed ora comici. Suida mentova una Medea ed un Tereo argomenti tragici come favole di un tal Cantaro cui dà il nome di poeta comico. Il nomato Epigene vien detto comico dallo stesso Suida, ma da Ateneo si citano l’Eroine e le Baccanti di questo drammatico come favole tragiche.

Corsero intorno a mille anni dal tempo in cui resse Minos lo scettro di Creta, alla venuta di Tespi; ed in tal periodo moltissimi poeti coltivarono in Atene la tragedia spiegando tutto il patrio veleno contro di quel re che dipinsero come ingiusto e crudele, pel tributo da lui imposto agli Ateniesi delle donzelle e de’ giovani da esporsi al Minotauro in vendetta del l’ucciso Androgeo di lui figliuoloa.

Ma il genere tragico sino al l’olimpiade LX, o LXI non si vide ben distinto dal comico. Tespi contemporaneo di Solone provveduto di competente gusto e discernimento gli separò; e perchè si attenne sempre al solo tragico, gli fu attribuita l’invenzione de’ la tragediaa, avvegnacchè altri l’avessero precedutob. I Giovani Sacri, il Forbante, il Penteo sono nomi di alcune favole Tespiane. Appartiene a Tespi questo frammento rapportato e tradotto da Grozio c:

Vides ut alios Jupiter superet deos;
Mendacium illi et risus et fastus procul:
Unus deorum est dulce quem non attigit.

Gli Episodii così purificati da ogni mescolanza comica, nel passare nel l’olimpiade LXVII in mano di Frinico discepolo di Tespi, di parte accessoria del coro divennero corpo principale del dramma, trattarono favole ed affetti, e formarono uno spettacolo sì dilettevole, che meritò di essere introdotto in Atene. Cherilo l’ateniese che fiorì nel l’olimpiade LXIV, avea trovata la maschera ed abolita la feccia, di cui prima tingevansi gli attoria, e Frinico accomodò quest’invenzione anche alle parti di donne.

Se abbiasi riguardo allo stato della drammatica di quel tempo, Frinico merita l’ammirazione de’ posteri. In una tragedia pose alcuni versi cosi pieni di robustezza, di energia e di arte militare, e gli rappresentò con tanto brio che scosse gli spettatori di un modo che nel medesimo teatro fu creato capitano; giudicando assennatamente gli Ateniesi che chi sapeva tanto solidamente favellare delle operazioni belliche, era ben degno di comandare elle squadre per vantaggio della patriaa. Frinico inventò ancora il tetrametro. Le favole che di lui si citano, sono: Pleuronia, gli Egizj, Atteone, Alcestide, Anteo, i Sintoci e le Danaidi. Fu egli figliuolo di Poliframmone o di Minia o di Corocle, secondo Suida, e fu padre di un altro poeta tragico chiamato anche Poliframmone. L’Espugnazione di Mileto, di cui parla Eliano stessoa, appartiene a un altro Frinico figliuolo di Melanta, il quale per tal tragedia fu punito dagli Ateniesi con una multa di mille dramme. Questo Frinico di Melanta fu il poeta che rappresentando la mentovata tragedia preso da non so qual timore, ovvero da orrore naturale, non potè proseguire, ed il popolo lo fe ritirare dalla scenab.