(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [D]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 786-787
/ 718
(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [D]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 786-787

Dondini Cesare. Figlio dei precedenti, nacque a Cuneo il 4 dicembre 1807. A dieci anni, quando i parenti si trovavan con Benferreri al Tordinona di Roma, esordì con molto successo in una piccola parte di pulcinellino : poi seguì i parenti in Sicilia, passando in mezzo alle tribolazioni di ogni specie pel lungo periodo di otto anni. Cominciò a recitar parti di secondo amoroso il ’26 nella Compagnia di Lorenzo Tassani, dalla quale passò in quella di Monti, Rosa e Marchionni, scritturato per le parti di… trovarobe. Fu generico il ’28 nella Compagnia Mazzeranghi e Mariani, diretta da Lorenzo Pani, poi successivamente, assieme alla madre, in quella di Colapaoli, Ghirlanda e Nardelli. Fece i suoi primi passi alla celebrità nella Compagnia Solmi e Pisenti, creandovi per cortesia del Pisenti, brillante, la parte di protagonista nel Diplomatico senza saperlo di Scribe, con tal successo, che a poco gli fu dagli accorti capocomici passato il repertorio intero del brillante, nel quale il Dondini potè di punto in bianco mostrarsi artista preclaro.

Entrò il ’35 assieme alla famiglia nella Compagnia di Romualdo Mascherpa in cui stette sino al ’45, per poi scritturarsi in quella Reale Sarda che abbandonò il ’53 per passare dalla parte di attore pagato a quella di capocomico ; e formò una compagnia di cui fu splendido ornamento Clementina Cazzola, (alla quale successer poi e la Pezzana e la Pedretti e Tommaso Salvini), e in cui egli assunse per la prima volta il ruolo di caratterista e promiscuo, cedendo quel di brillante al fratello Achille.

Dopo quindici anni di glorioso capocomicato, si scritturò in Compagnia Giuseppe Peracchi, dalla quale uscì la quaresima del ’70 per lasciar definitivamente il teatro. Morì a Trieste il 20 maggio del 1875.

Dire dell’arte di Cesare Dondini non è agevole impresa. Egli fu attore di una verità e spontaneità maravigliosa. Avea fatto mezza la parte all’apparire in scena, (in arte lo chiamavano buzzo, a causa della sua splendida pancia) l’altra metà la faceva, dicendola, con una semplicità di mezzi sorprendente. Non si capiva se recitasse ; non faceva nulla ; discorreva : ma intanto il pubblico era tutto suo. Della vasta opera goldoniana fu un interprete valorosissimo, il più valoroso forse di quanti furono a’ bei tempi di Goldoni stesso. I personaggi boriosi e stangati del Marchese di Forlimpopoli nella Locandiera e del Conte nel Ventaglio, erano, incarnati da lui, altrettanti poemi.

Non vi fu pubblico, del quale Cesare Dondini non doventasse dopo poche frasi l’idolo ; non vi fu critico per quanto sofistico, il quale avesse a notar qualche pecca nell’arte sua. Tra tante testimonianze del suo valore e della sua gloria son degne di nota quelle di Gustavo Modena, di Ernesto Rossi e di Tommaso Salvini. Il primo, recatosi una sera dopo il suo lungo esilio, al Carignano, ove recitava la Compagnia Reale, e richiesto del parer suo su di essa, rispose : « È senza dubbio una compagnia composta di ottimi attori ; ma sembra a me che fra essi molti declamino, e due soli veramente parlino ; cioè Cesare Dondini e la Romagnoli. »

Ed Ernesto Rossi (op. cit.) :

Per me, Cesare Dondini fu il più caro artista, che io mi avessi visto : allevato alla scuola del Vestri, ebbe sempre per guida la naturalezza. Forse aveva un difetto : la sua natura emergeva troppo nei caratteri da lui rappresentati ; ma era una natura così simpatica, omogenea, che dal critico poteva esser perdonato il vederla spesso riprodotta.

Te lo ricordi tu ? Nel Marchese della Seglière, e nel Don Marzio alla Bottega del caffè ? Nella parte del padre del Bugiardo di Goldoni : a quella famosa lettura della lettera : non faceva ridere e piangere ad un tempo ? E nel Michele Perrin, che io aveva veduto rappresentare a Parigi da Buffet ? Nel Michele Perrin, Dondini superò il Buffet : e gli fu facile ; poichè la figura del Dondini pareva tagliata a bella posta per rappresentare quel bonaccione di prete di campagna, vero servo di Dio, cui stava più a cuore l’anima che il corpo. Buffet era piccolo, magro e nervoso. e suppliva ai suoi difetti collo studio e l’intelligenza. La fatica per giungere allo scopo non poteva fra i due attori aver paragone : e quantunque quella del Dondini fosse minima, pure riusciva più bella.

E Tommaso Salvini (op. cit.) :

Dopo Luigi Vestri e Luigi Taddei, questo attore fu il seguace più fedele della scuola del vero. Al solo vederlo suscitava il buon umore, infondeva l’amenità del suo carattere nell’uditorio, e faceva fare buon sangue agli ascoltatori, nelle interpretazioni dei più variati caratteri che rappresentava.