(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [I-H-K]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 1064-1067
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [I-H-K]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 1064-1067

Job Anna, nata il 16 maggio del 1805 a Napoli dagli artisti Serafino Fonti e Matilde Ragazzini, romani, entrò giovanissima, dopo la morte del padre, in Compagnia di Francesco Taddei. Sposò nel ’19 Giacomo Job, austriaco, attore mediocre, poi mediocre capocomico, nato il 1787 a Codroipo nel Friuli, il quale, ritiratosi dall’arte dopo il ’40, e fermatosi a Firenze, a far l’affittacamere, chiedeva invano il settembre del ’54 al Ministero di grazia e giustizia la naturalizzazione toscana. Morì a Firenze il febbraio del 1877. Passò l’Anna Job da quella di Taddei, nelle Compagnie di Raftopulo e Velli-Mascherpa ; poi prima amorosa dal ’24 al ’31 in quella de’Fiorentini di Napoli, al fianco della Tessari. Restaurato a Roma il teatro Pallaccorda, oggi Metastasio, Giacomo Job vi tenne compagnia per due anni, con l’Anna prima donna, ruolo ch’ella non lasciò più sino al ’48. Fu con Giuseppe Moncalvo due anni, poi sette con Corrado Vergnano, poi con Luigi Domeniconi e con Luigi Taddei. Tornò pel triennio ’48-’49-’50 col Domeniconi, assumendo la prima volta il ruolo di madre nobile, al fianco di Adelaide Ristori, poi di Amalia Fumagalli, per altri quattr’anni e nella stessa compagnia. Fu dal’57 al’59 con Ernesto Rossi, e dal’61 al’75 con Alamanno Morelli, dal quale si allontanò per ritirarsi più che settantenne a Firenze, ove morì il 12 maggio del 1890. Dal suo matrimonio con Giacomo Job, nacque a Napoli il 25 marzo 1827 il figliuolo Achille, modesto attore e specchiatissimo amministratore delle Compagnie Morelli, Bellotti-Bon, e Marini, morto a Firenze il 22 giugno del ’98.

Dei meriti di Anna Job, prima donna, possono far fede le compagnie primarie nelle quali essa fu : e fors’anco maggiore ne sarebbe stata la riputazione artistica, se vissuta in età più vicina alla nostra, e se non avesse avuto da lottare con attrici gloriosissime quali la Internari, la Marchionni, la Polvaro, la Bettini, la Robotti, la Rosa, la Pelzet. Con questa pare vi fossero i soliti malumori che abbiam trovato nelle comiche di ogni tempo. In una lettera da Bologna della Pelzet a Niccolini del 27 luglio 1843, sono queste parole : « Poi è venuta la Job, la quale dopo aver rovinato Verniano colla sua pros…… (prosopopea), cerca d’insinuarsi verso Coltellini per farmi onta e spauracchio. » E più oltre : « Anche la Job prima donna comica, vil…… (vilissima) creatura, ha scelto una tragedia per sua beneficiata. » Ma non è da prestar troppa fede ai pettegoli risentimenti di una artista che si trova tra compagni inesorabili e crudelmente accaniti contro la sua poca abilità ; sono sue parole. Ernesto Rossi, Antonio Colomberti, Luigi Capuana, ne’loro ricordi di teatro e di critica ebber verso Anna Job parole di molta lode : e dei meriti suoi come caratterista e madre nobile posson far fede moltissimi anch’ oggi che poterono ammirarne la dizione spontanea e piana, il gesto sobrio, l’intelligenza fine, il contegno nobilissimo. A lei accennò il Belli in uno de’ suoi incomparabili sonetti ; e Luigi Bonazzi, letterato e artista egregio (V.), le dedicò del ’41 questi versi.

AD ANNA JOB

 —Epistola sulla recitazione. —

Bella e quant’altra mai degna d’onore,
O donna, è l’Arte tua. Per mute carte
Di che pianto e che riso esser cagione
Melpomene e Talia potrebber mai,
S’ella cinto al lor piè coturno e socco
Non le adducesse di vivente voce
E di gesto possenti in pien teatro
Alti affetti a destar, regger costumi ?
Quindi primi calcar vide le scene
D’Edipo e Ifigenia Grecia gli Autori ;
Vide Gallia Moliero, Anglia Sacspiro,
Iberia Calderon : Geni che augusto
Fèr lo scenico suol. Ma a quei, che tanta
A dipinger Natura ebber parola,
Ricusava Natura e voce ed atti
Di lor parola animatori. Ad altri,
Compartendo i suoi doni, eletta tempra
Conformabil concesse a finger tutte
Nell’aspetto e nel suon de la favella
Le sembianze de l’alma ; e a lor commise
Crescer, non che mostrar, l’alta virtude
Di que’ famosi, ed in onor tornarli,
Se non mertato li coprisse oblio.
E oblio copriva de l’inglese dramma
Il primo creator ; Garrico surse
Alto interpetre anch’ei d’alto poeta ;
E più ammirato a le britanne scene
Tornò geloso ad adirarsi Otello,
Tornò gli spettri a paventar Macbetto.
Leggiadri in atto ed in galante foggia
Sul francese teatro ivan gli eroi
De la Grecia e del Lazio in pria che grande
In sua simplicità Talma apparisse
Con la toga ed il pallio a offrir l’imago
De’ signori del mondo ; e tale allora
Dal labbro di quel fiero avvalorati
I carmi di Cornelio ebbero un suono,
Che da la corte del maggior Luigi
Non fu udito giammai. Di premio degni
Fur que’ valenti ; e premio a l’ un fu assai
Vita d’agi beata e regia tomba ;12
De l’altro al merto guiderdon ben amplo
Del Cesare novel13 fu l’amistade.
Ma qual degna mercè l’itala terra
Diede al suo Roscio,14 che a l’ingenue
De la bella natura alfin rendendo [norme
L’arte che dal clamor nome prendea,
E le leggi cangiate onde costretta
Aveala il vulgo letterato e i molti
Ampollosi istrioni15 a cui la sagra
Fiamma del genio non ardeva in petto,
D’Adria il Terenzio e il Sofocle astigiano
E quant’ altri ha poeti estrania scena
Multiforme abbellia ? Frementi plausi
Tratti da cor commossi entro il teatro
Ei raccogliea ; ma i nobili sudori
Quell’oro appena gli valean che altero
Oggi rifiuta, o disdegnoso accetta
Cantor mezzano : chè a cantor valente,
Non che tesori, si tributan oggi
Serti, trionfi e monumenti eterni.
Incantatrice d’ogni cor gentile,
È ver, fu sempre l’armonia ; nè solo
Nell’italo terren pregiati tanto
Sono gl’itali Orfei. Oltre Oceàno,
E fin d’ Europa ai gelidi confini
Recan la gioia de’concenti loro ;
Obliando colà tra gli agi e il fasto
Il cielo azzurro, i verdi colli e il sole
De le patrie contrade. E largo scorre
L’oro britanno ad allegrar di canti
La nebbia del Tamigi ; e Francia omai
Conquistatrice d’itali cantori
Più non s’adonta degli amari accenti
Onde l’inane musicar francese
Scherniva il Sofo ginevrin, rapito
A la beltà de l’itala armonia.
Pur della Senna e del Tamigi in riva
Ricchezze e onori si profondon’anco
A chi fa bella del natio suo riso
La classica Commedia,16 e a chi l’accento
Che immortale segnò tragica penna
Fa possente suonar ;17 nè meno in folla
A Riccardi, a Zaire, a Polïutti
Che a Silfidi e ad Orfei traggon le genti ;
Ove d’Italia in le città più vaste
Ad armoniche gole e a piè danzanti
Si posposero ognor Mirre e Medee
E Saulli ed Oresti ; e scema spesso,
Benchè a men costo aperta e men capace,
Vider l’arena lor Vestri e Taddei.
Nè men sete di canto ebber da poi
Le minori cittadi, ove talvolta
Su le scene evocato infin fu visto
L’ardito Imprenditor, che cento e cento
Trarre sperò da l’arche cittadine
Auree monete o comperar le note
D’una prode laringe. E fortunate,
Se a que’ cantori desiati tanto
Tutta la possa del valor canoro
Piacque sempre spiegar ! chè dispettando
Del lor campo di gloria il breve cerchio,
O repugnando a la servil fatica,
Talvolta osaro a desiose orecchie
Niegar superbi la vocal dolcezza.18
Da l’arte intanto, a cui compagna andava
La dispregiata povertà, fuggia
Chi, l’anima temprata a bel sentire,
Onorar la poteva ; e fior tra bronchi
Si rimase l’egregio. Il sol desio
D’andar vagando a sostentar la vita,
O la mal tramandata arte degli avi
Gl’ istrioni creò, che più dispersi
Di nomadi pastor mai non s’uniro
A durevol tribù. Quindi una strana
E di voci e di modi e fin di fogge
Discordanza letale ; e scolorito
D’ogni grazia natia l’altisonante
Mal infinto colloquio ; e de’gagliardi
Moti de l’alma interpetre il clamore,
Il vulgo concitar, che più sonanti
A chi gridar più sa batte le palme.
Quindi deserte, o mal calcate, ancora
Le domestiche scene, un di palestra
D’egregia gioventù ; si che la grande
Del porger arte, che pur tanta un giorno
Parte si fu de l’eloquenza, e tante
A Demostene, a Tullio, a Eschine, a Gracco
Cure costava, abbandonò ben’anco
Accademie e Licei : se pur non vuolsi
Arte nomar e gl’ incomposti accenti
Ed i lezi e le fredde enfasi ingrate,
O i noievoli modi onde un antico
Purissimo scrittor legge il pedante,
Di come e punti osservator solerte.
Così meco io pensava allor che a queste
Scene, o Donna, venisti ; e a te, per cui
Di quell’arte che avviva la parola
I bei pregi sentii, de’sensi miei
Inculto spositor volava il verso.