(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [D]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 801-806
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [D]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 801-806

Federigo, l’ultimo dei fratelli Duse, è morto a trentacinque anni, avanti il ’50, e fu artista drammatico di buon nome per le parti di primo attore. Prese in moglie certa Capra, comica assai più vecchia di lui, e non ebbe figliuoli.

Luigi Duse, del quale imprendo a parlare, nato a Chioggia il 15 gennaio 1792 da Natale e da Teresa Sambo in Parrocchia di S. Giacomo, aveva ottenuto, fatti gli studi liceali, un posto di alunno al Monte di Pietà. Impiegato effettivo dopo un triennio, restò ancor due anni nella nativa Chioggia, dopo i quali si trasferì a Padova per assumere a quel Monte di Pietà l’ufficio di Cassiere. La passione del teatro lo indusse a formare una Società Filodrammatica, di cui eran parte, fra gli altri, Giacomo Bonfìo, poi attore e scrittore drammatico, Antonio Calvi e Francesco Crescini ; e di cui egli fu l’anima, recitando con gran successo le parti principali nel Filippo e nella Malvina di Scribe, nella Teresa di Dumas, nel Benefattore e l’ Orfana, nell’ Incendiario, nei Trent’anni di vita di un giocatore. Recatasi a Padova la Compagnia di Angelo Rosa, il Duse (aveva già sposato una Elisabetta Barbini, padovana, e ne aveva avuto il figlio Eugenio), vi si scritturò in qualità di primo attore giovine per un triennio, formando poi la famosa compagnia (che dal suo nome s’intitolò Compagnia Duse), colla quale, a Padova specialmente e a Venezia, passò di trionfo in trionfo, sia per la prontezza dell’ingegno e i pregi artistici, sia per la fortuna che gli arrise sempre e dovunque. Creò, trascorso qualche anno, il Giacometto, giovialone veneziano, che egli incarnò stupendamente facendo smascellar dalle risa il pubblico, di cui egli era ormai il beniamino. Esordì sotto le spoglie della nova maschera (parrucca nera liscia con codino dritto all’ingiù, due segni neri alle sopracciglia, fazzoletto bianco al collo, giubba turchina, panciotto goldoniano a fiori, calzoni rossi, calze bianche, scarpe nere con fibbie) il 1832-33 al S. Benedetto di Venezia, oggi Rossini, nella commedia in tre atti di Giacomo Bonfìo – L’imbrogio delle tre mugier – la quale per gli equivoci e i sali comici ond’era piena, e per la maestria del Duse fu replicata ben quindici sere. A questa tenner dietro Gli Esposti, ovvero Sior Giacometto va con uno, torna con dò, e resta con tre, il Medico e la Morte e poche altre con cui egli finì la stagione di Carnevale fortunatissima. Nelle sere di riposo della Fenice, la più alta nobiltà accorreva in folla a rifarsi il sangue dal buon Giacometto ; e tanta fu la simpatia del pubblico di Venezia ch’egli vi fece quattordici stagioni di seguito, alcuna delle quali comprendeva autunno, carnevale e quaresima, con grave danno delle maggiori compagnie sulla Piazza, quali di Mascherpa con l’Adelaide Ristori, di Robotti, e la Reale Sarda. Nè il successo del Duse fu esclusivamente locale ; chè ugual fortuna l’accompagnò nelle principali città del Veneto, della Dalmazia, di Lombardia e di Romagna. Nel’46 risolse di far rivivere il teatro, più specialmente dialettale, di Goldoni, scegliendo a ciò attori provetti, e le commedie allestendo con minuziosità di particolari, e decenza e fedeltà di arredi, e interpretazione accurata, e recitazione viva e spontanea : e tanto vi riuscì, che la sua Compagnia si acquistò allora fama di Compagnia modello ; e le rappresentazioni della Casa Nova, delle Morbinose, delle Donne Gelose, del Campiello, del Maldicente, del Bugiardo, della Puta onorata, della Bona Mugier, del Ventaglio, del Sior Todero Brontolon, delle Done de Casa Soa, delle Baruffe Chiozzote, del Molière, dei Quattro Rusteghi, non ebbero più chi le superasse nè chi le uguagliasse. Venuta la rivoluzione del’48-49, accusato di avere in qualche sua recita a Padova alluso con motteggi all’eroica resistenza di Venezia, bloccata dall’Austria, trovò chiuse le porte di quei teatri che altra volta l’avean accolto con tanto entusiasmo ; il favore del pubblico finito. Accettò il Teatro Fedeli delle Zattere, ma anche là provò gli effetti tristissimi dell’infame calunnia. Perdè gran parte de’lucri di tant’anni per regger la Compagnia, finchè umiliato, accorato, dovè ritirarsi a Padova, ove morì d’idropisia il 25 gennaio del’54.

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Una delle grandi prerogative di Luigi Duse, non più accordata, ch’io mi sappia, ad alcuno, fu quella di poter negl’intervalli della commedia, uscire alla ribalta a sipario calato, e vestito com’era del costume teatrale, discorrer degl’interessi di casa sua, ch’ei raccontava con una famigliarità e una comicità siffatta da far andare in visibilio il suo pubblico ; il quale anche, tal volta, sopperiva dicesi, lì per lì a’bisogni di lui, ora per soddisfare a quelli dello stomaco, il più spietato de’creditori, ora, ed eran le più volte, per pagargli una qualche cambiale alla vigilia della scadenza. Venezia e Padova erano ormai città sue ; il pubblico non diceva più di andare a sentir la Compagnia Duse ; ma a far visita all’amico Duse ; e anche sapendo che tutti i salmi finivan in gloria, e che la mano avrebbe dovuto correre al borsellino, pareva che gli mancasse qualcosa se non vedeva fuor del sipario il suo Giacometto. A lui fu per tal modo concesso dai padovani di erigere un teatro in legno, presso il Caffè Pedrocchi, detto allora Teatro Duse, di cui metto qui la riproduzione dell’interessantissimo sipario, il quale, oltre al comprender Luigi Duse nel suo costume, e gli altri di famiglia, l’Alceste sopr’a tutti, in quello de’personaggi nella Figlia del reggimento, dà anche una idea ben chiara di quel che fosse codesto teatro popolare, composto di tutta una famiglia, che viveva patriarcalmente, come non si potrebbe dire, e nella più perfetta delle armonie. Nè si limitò il Duse alla Recitazione del repertorio goldoniano ; chè in molti de’ drammi lacrimosi e degli scherzi comici del tempo, alcuni dei quali scritti a posta dallo Zanchi, dal Calderon, dalla Barluron, egli riusciva artista preclaro. La maschera del Giacometto, anzi, in questi impiegava più che nelle commedie di Goldoni. Amico intrinseco di Francesco Augusto Bon fu uno de’primi e più valorosi interpreti della sua Triologia di Ludro, e, contemporaneo di Gustavo Modena, ne faceva con gran successo la parodia, rivaleggiando con lui nel Gigi undese, ch’egli stesso aveva composto. Non sempre, specialmente a Padova, si pagava in danaro : questi recava un salame, e specialmente la studentesca, quegli un cappone, l’uno una resta di cipolle, l’altro altro, e sior Gigi bonariamente diceva : Porté, fioi, che tuto xe bon ! Curiosi erano i titoli ch’ei dava alle commedie, negl’inviti al pubblico per la sera successiva : Le done gelose de siora Lugrezia, che fa pegni in cale del Ridoto a sior Boldo orefese e a sior Todaro marzer a Rialto, Un gobo, do gobi, tre gobi, tuti gobi etc. etc.

Ma quei dialoghi a sipario calato, semplicioni, bonaccioni, senza una scurrilità, in cui è tanta affettuosa corrispondenza tra pubblico e attore ! !

(Terminata la Commedia)

Pubblico. Volèmo Gigi, volèmo Gigi Duse !… fòra, fòra !

Duse. So quà, so quà…. Cosa comàndeli da mi ?

Pubblico. (Da un palchetto). Che commedia se fa doman de sera ?

Duse. Doman de sera go preparà un bel pezo grosso che i resterà tuti contenti.

Pubblico. Cossa sèlo, cossa sèlo… ?

Duse. Sior Todaro Brontolon.

Pubblico. La xe vecia, la gavemo sentia.

Duse. Se vero, la xe vecia, ma mi doman de sera faxo un bel teatro perchè tanti desidera de sentirla ; e po mi me tegno al provverbio che dise : gallina vecia fa bon brodo : E i provverbi de rado sbaglia. Dunque me raccomando, ai so amisi i ghe diga che i vegna doman de sera che i starà allegri, e mi più di lori : dunque ghe auguro felisenotte, e buon riposo…. Adesso ghe faremo la farseta, e poi anderemo tuti in leto.

Pubblico. Bravo Gigi, bravo Gigi !.. ?

Un’altra sera :

Pubblico. Duse fora, fora Duse, volèmo Gigi.

Duse. (Dietro il sipario). Vegno, vegno subito. (Poi fuori). So qua a invitar sto cortese publico per doman de sera. Go preparà un lavoreto che ghe piaserà.

Pubblico. El sarà qualche pastiso.

Duse. Ah pian co’sto pastiso, perchè el xe un lavoro del nostro immortalissimo Carlo Goldoni, intitolato, La Bona Mugier ; e le commedie de Goldoni non le ga mai fato fiasco.

Pubblico. (Applaudendo). Bravo Gigi, bravo Gigi.

Duse. Dunque doman de sera li aspetto a teatro co le so muger, co le so fie, co le so cugine, co le so cognade, co le so serve, perchè quando vien le done, vien anca i omeni : dunque me raccomando a i me boni veneziani, i me vogla ben, e ghe auguro felisenotte. (Entra).

Pubblico. (Applaudendo). Fòra Duse, fòra Duse.

Duse. (Tornando). So qua, paroni. Lori i me ciama fòra, e mi doman de sera li ciamo dentro…. felisenotte. (Risa generali).

E un’altra sera :

Pubblico. Volemo Duse, fòra Gigi, Gigi fòra, fora.

Duse. Cosa vorli da mi ?

Pubblico. Cosa ghe xe de novo per doman ?

Duse. Ghe farò le Baruffe Chiossotte con una farsa del Giacometto.

Pubblico. Ben, bravo, bravo.

Duse. (Dopo un momento). Za che son quà vogio confidarghe un affar che me dà molto da pensar, e che me fa star de mal umor.

Pubblico. Cosa xe, cosa xe nato.

Duse. Mi ghe lo digo, ma me raccomando la segretezza, perchè se tratta d’una cosa seria.

Pubblico. Sentimo, sentimo.

Duse. Dopo doman me scade una cambial de 500 lire, e mi no so come far a pagarla ; e go paura che i me la protesta, e questo saria un bruto complimento per mi. Eh ! Cosa gogio da dir ! Go tuta sta zente qua de drio del sipario che i vol el spesato tute le matine, e no ghe xe miga discorsi : i vol magnar tuti i zorni. Mi proprio no so che santi ciamar. Però go pensà una cosa sta note quando giera in leto che no podeva dormir.

Pubblico. Sentimo, sentimo, sentimo.

Duse. Go pensà de far la me serata con la commedia intitolata Ludro e la so gran giornata ; e dopo la Commedia La cavalcata de sior Giacometto. Mi digo che no ghe xe altro per introitar un migliareto de lire. Cosi pago la cambiale, fazo bona figura col mio creditor, dago la paga a sti comisi che go da drio del sipario, e che i me sta sempre alle coste a domandarme soldi, posso portar allora la testa alta e fazo figura de galantomo. Ma per aver tuto questo ghe vol el consentimento de sto pubblico e dei me boni veneziani tanto boni e cortesi con mi. Dunque posso sperar che i vegnerà tuti alla mia serata ?

Pubblico. Si, si, si, si….

Duse. No me resta che vivamente ringraziarli, e dir : Viva Venezia e i so cittadini.

Pubblico. Evviva Luigi Duse, evviva, evviva.

Dall’avvocato Silvio Duse si sa (V. un art. di C. Bullo nella Scintilla, A. XI, 23-24) che andata la Ristori a Padova nel’53, Luigi Duse le manifestò il proposito di voler restaurare il teatro e intitolarlo col nome di Lei. Della qual cosa tanto si mostrò grata la somma artista che gli diè promessa di andar ella stessa ad inaugurar le recite. Ma la morte lo colse anzi tempo, e quel povero teatro, in cui il Duse aveva militato decorosamente e trionfalmente ventotto anni, sul cui frontone si leggeva : Al popolo Padovano consacrava Luigi Duse riconoscente, oggi, (perchè ?) è intitolato al nome di Giuseppe Garibaldi. Fu anche Luigi Duse, ci dice lo stesso nipote, gastronomo per eccellenza ; e « quando passava per le piazze era tutto un coro : Sior Luigi sta dindieta – sior Luigi, sti osei – sior Luigi sta bondola. Mangiava molto, forse avrebbe avuto più lunga vita, se più temperante ».

Egli lasciò quattro figliuoli : Eugenio, Giorgio, Alessandro, Enrico, che furon tutti artisti drammatici, e di cui verrò ora parlando.