(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [D]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 754-756
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [D]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 754-756

De Marini Giuseppe. Nacque a Milano il 13 agosto 1772. Suo padre lo destinò agli uffici delle finanze, ma appassionatissimo per l’arte comica, sordo a ogni rimostranza, dopo di avere recitato co’filodrammatici, comparve sulle scene di Lodi il 1798, come primo amoroso della Compagnia di Pietro Pianca, dalla quale passò in quella di Andrea Bianchi, sino al 1801. In codest’anno egli dovè cedere alla volontà imperante del padre che lo restituì al suo ufficio ; ma dopo un anno di prigionìa del corpo e dello spirito, rotto ogni ritegno, superato ogni ostacolo, determinò di tornar sul teatro per non abbandonarlo più. Comparve questa volta al S. Samuele di Venezia in Compagnia di Giacomo Dorati, e parve da quel tempo un prodigio. Il 1807 fu scritturato da Salvatore Fabbrichesi per la Compagnia Reale del Principe Eugenio, Vicerè d’Italia, al 1827 ; anno in cui il Fabbrichesi morì quasi improvvisamente a Verona. Tornato a’Fiorentini di Napoli, scritturatovi per tre anni dalla Società Prepiani, Tessari e Visetti, vi ridestò gli antichi entusiasmi ; ma dopo un anno dovette lasciare il teatro per una gravissima operazione chirurgica. Ricomparve apparentemente guarito la sera del 15 marzo 1829 ; e così festosa e clamorosa fu l’accoglienza di quel pubblico affollato che egli ne pianse vivamente commosso. Ma dopo alcune recite, incalzando il male, si fe’trasportare a S. Maria di Capua presso la famiglia della moglie, Virginia Trenca, che avea sposata nel’24, e in breve tempo mancò ai vivi, il 10 di maggio, non ancor compiuto il suo cinquantasettesimo anno di età.

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come primo attore assoluto nei drammi e nelle commedie con scelta di parti. Scioltasi quella compagnia, restò De Marini col Fabbrichesi, recandosi con lui a Napoli, ove stette a quel Teatro de’Fiorentini fino al 1823, e nell’ Italia centrale fino

Dire dell’arte del De Marini non è ardua impresa. Chiunque scrisse di lui non ebbe che inni di lode. Parve che la natura si fosse divertita a raccogliere in lui solo tutte le grandi qualità fisiche e intellettuali occorrenti a formare un grande artista.

Sfogliando una serie di manifesti della Compagnia Fabbrichesi ne ho tratto le parti ch’egli sosteneva :

Rotemberg nell’ Onor vince amore d’Iffland – Falklaud nella Coscienza – Il Presidente Monsenico nel Berretto nero – Merfort nel Pittore per amore – L’ Abate de l’Epée nella commedia omonima – Il Conte nel Portafoglio di Kotzebue – Giacobbe nel Giuseppe in Egitto – Valman negli Eredi dal tedesco della Waisen-Thurn, prima attrice al Teatro Imperiale di Vienna – Lord Suffold nel Benefattore e l’Orfana di Nota. – E altre ne cita Luigi Borghi in una sua Dissertazione in difesa dell’Arte Comica, al De Marini dedicata, nella quale sono parole di entusiasmo per l’artista gigante.

Ma il meglio che io possa fare per dir giustamente e degnamente di lui si è di riferir qui le parole che Francesco Righetti, attore della Compagnia drammatica al servizio di S. M. il Re di Sardegna, dettò nel secondo volume del suo Teatro Italiano (Torino, Paravia, s. d.), e quelle che traggo dagli Scritti inediti di Antonio Colomberti, attore assai pregiato e contemporaneo del De Marini, che desteranno, son certo, il più vivo interesse per le particolarità artistiche onde son ricche.

……Non credo che altri ragionevolmente chiamar si possa offeso, se giudico il nostro De Marini per il più valoroso ed acclamato attore Italiano vivente. Una versatilità prodigiosa, mercè che si accomoda ai caratteri i più opposti, una voce insinuante, ed a vicenda dolce, maschia, robusta, maneggiata nelle graduazioni con mirabile maestria ; un aspetto seducente, un portamento grazioso e nobilissimo, una tal verità nell’espressione delle passioni e nell’espansione degli affetti, fanno si che nessuno più di lui è stato padrone del cuore degli spettatori ; nessuno più di lui ha saputo, e sa agitarli, commoverli, straziarli ; ed ove avvenga che nel carattere da lui rappresentato s’incontrino scene comiche, il riso ch’ei promuove non è quello sganasciamento, a cui s’abbandona tanto facilmente e tanto volentieri la plebe per gli sconci e per le smorfie de’buffoni, ma quel riso eccitato nobilmente dalla naturalezza e dalla semplicità con cui sono espressi que’sali attici della commedia, che dilettando istruiscono : riso, che non va mai sino in obscuras humili sermone tabernas.

Egli è in forza di questa maravigliosa unione di sublimi qualità di natura e di arte, che quest’insigne attore ha saputo cattivarsi l’ammirazione di tutta l’Italia, ad onta di due importantissimi difetti, cioè dell’uso troppo più del bisognevole della mimica. L’illusione si diminuisce nello spettatore, se vede nell’attore troppi preparativi : per questa sovrabbondanza si dimentica talvolta delle convenzioni sociali e del tacito patto fra l’attore ed il pubblico sul limite stabilito a quella massima, che l’attore, tranne i personaggi co’quali trovasi in scena, deve credere non esservi altra persona che lo guardi e l’ascolti ; precetto che ha bisogno d’essere ben spiegato, perchè non del tutto vero, ed a cui contrasta il fatto. L’altro difetto è d’una pronunzia che sente dello straniero, e che mal suona all’orecchio d’un delicato spettatore italiano. Ma questi due vizj, se adombrano un cotal poco un si gran quadro, non distruggono l’effetto di quella luce, di che n’è tutto raggiante, e non si può meglio che al nostro De Marini applicare il detto d’ Orazio : ubi plura nitent non ego paucis offendar maculis.

Giuseppe De Marini possedeva l’educazione di gentiluomo. Era affabile, e per nulla superbo della sua immensa superiorità nell’arte. Direttore, insegnava con amore ; e Francesco Lombardi e Gustavo Modena ne furono la prova. Egli fu dotato dalla natura di tutti i doni necessarj per raggiungere la perfezione nell’arte della scena. Ad una giusta e proporzionata figura univa un portamento nobile, mentre il suo volto imitava con una sorprendente facilità tutte le umane passioni. Con un ingegno naturale, reso più grande da un perfetto corso di studj, era naturale che emergesse subito nella Tragedia classica ; ed infatti fu il primo a declamare il Cajo Gracco del Monti, e con tal fanatismo ne fu retribuito dal pubblico, che l’autore ne lo ringraziò con una sua lettera. Oreste, Orosmane, Cintio, Aristodemo e molte altre furono da lui declamate con immenso successo. I due Bonfil, i Lindori, le tre Zelinde, gl’ Innamorati, il Bugiardo, l’ Avaro fastoso ; e più tardi : il Benefattore e l’Orfana, il Filosofo celibe, l’Atrabiliare, l’ Ospite francese, il Tutore e la Pupilla, La riconciliasione fraterna, il Ministro d’onore, il Cugin di Lisbona, l’Abate della Spada ( !!), Tom Iones, Derby nel dramma la Rosa bianca e la rosa rossa, il Berretto nero, la Scuola dei vecchi, I due Sergenti, l’Uomo di 104 anni, etc., etc., etc.…, tutte queste produzioni tragiche, comiche e drammatiche furono da lui declamate e recitate con tal superiorità di genio da non temere il confronto del Garrick inglese e del Talma francese : ed era cosa veramente sorprendente il vederlo questa sera nel Milord Bonfil con volto di forme regolari, con sguardo vivo ed ardente d’amore, con un corpo, che per le sue perfette proporzioni, solo un Canòva avrebbe potuto modellare, con una voce ora armoniosa, ora irritata, ora commossa, dimostrare l’immensa sua passione per Pamela ; e la sera seguente sotto l’aspetto di un vecchio centenario (l’Uomo di 104 anni) paralitico, balbuziente, vederlo camminare a stento, con occhio semispento ; eppure giungere a destare il fanatismo in una scena di rimprovero al nipote e alla nuora per la loro cattiva condotta. Oltre lo studio accurato sull’incedere e sul gesto, De Marini occupava moltissimo tempo per trasformare il suo volto, e bene spesso egli recavasi al teatro due ore prima del principiare dello spettacolo. Onde riuscire a diferenziare la sua fisionomia il suo volto fu sempre raso. Egli teneva nella sua tavoletta di teatro scatolette con varj colori per dipingersi in modo che quando si presentava sulla scena molte volte il pubblico non lo riconosceva che al suono della voce. E ciò accadeva in una farsa chiamata La finestra murata, ov’egli rappresentava un muratore di mezza età. (In quell’epoca i grandi artisti si degnavano di recitar nelle farse). De Marini, appena lo potè, prese il sistema di destinare un abito apposito ad ogni produzione, incominciando dalla parrucca alle scarpe, meno, s’intende, l’abito borghese, che, per questo non diferenziava che la testa. Egli diceva come il celebre Zanerini : – L’artista vestito in carattere ha già fatto la metà della parte. – Era cosa poi assai sorprendente per gli stessi artisti che con lui recitavano, il vedere come si prevaleva delle più piccole cose, come una scatola da tabacco, una penna da scrivere, una sedia, un tavolino, per ricavarne un effetto certo in una scena o in altra della produzione. E tante volte, alla fine della commedia, questo preparativo servivagli per un gesto, per un’occhiata. E mentre nel suo pensiero era tutto preparato, riesciva a far credere allo spettatore esser tutto opera del caso : tanto in lui l’arte imitava la natura. De Marini però non sagrificava mai la verità all’effetto, perchè diceva : questo si ottiene sempre, seguendo quella.

Ecco ciò che fu Giuseppe De Marini.

E in una nota, dopo di aver invocata da Milano al meno una pietra che ricordi il nome del grande artista, nato e cresciuto tra le sue mura, si domanda il perchè egli mettesse quel De al Marini che era il suo vero casato. Alcuni dissero che il facesse per non compromettere il nome di famiglia, altri per nobilitarlo all’uso francese. E qui il Colomberti aggiunge : Nel primo caso, ha tolto un onore alla sua famiglia ; nel secondo…. non ne aveva di bisogno.